Seru Tituli
Della partita non ce ne frega un cazzo! Milan Milan vaffanculo!
Per una volta niente commenti, niente di niente, vivere novanta minuti rilassanti e gaudenti per lo scudetto numero 17.
Della partita non ce ne frega un cazzo! Milan Milan vaffanculo!
Per una volta niente commenti, niente di niente, vivere novanta minuti rilassanti e gaudenti per lo scudetto numero 17.
Dato che se n’è parlato molto in questo blog, riporto il comunicato uscito dopo una settimana di molte delle realtà organizzatrici del corteo. Ci è voluto molto per capire che cosa fosse avvenuto e per farlo leggere a tutti e raccogliere le firme. Penso che questo scritto rispetto al primo sia meno manchevole e più ragionato. Ora la palla è nelle mani di tutti/e noi.
Comunicato n° 1
Testosterone partout, justice nulle part
Al termine della MayDay di Milano, il primo maggio scorso, è
avvenuto un fatto gravissimo: l’abuso di un uomo su una donna. Come
uomini e donne che partecipano al processo di costruzione della MayDay,
ci sentiamo direttamente coinvolt* in quello che è successo e siamo
rimasti colpiti nel cuore dal fatto che sia accaduto in uno dei nostri
spazi. Anzi, in quello che per noi è uno degli ultimi spazi residui di
libertà ed espressività della città di Milano.
A mente un po’ più fredda rispetto alle prime ore dopo il fatto, ci
sentiamo di scrivere ancora qualche riflessione, che dirigiamo a chi ha
partecipato alla MayDay, a chi l’ha seguita da lontano o da vicino, a
chi ci ha criticato e attaccato e a chi ci ha aiutato a capire cosa
fosse successo. Soprattutto le dirigiamo alla ragazza che ha subito
sulla sua pelle la violenza, a cui va il nostro abbraccio sincero.
Vogliamo che questo episodio serva per riflettere sulla violenza, su
quella di tutti. Sulla violenza di genere, prima di tutto, ma anche su
quella di chi si vuol fare giustizia da sè, come è successo venerdì
scorso in piazza Castello. Ce lo diciamo da anni: le violenze avvengono
in casa, avvengono sul lavoro, avvengono ovunque. Perché i nostri
luoghi dovrebbero esserne immuni? Lo dicevamo, certo, ma ora la
crescita della MayDay ci ha messo di fronte a una giornata che
rappresenta uno spaccato troppo ampio della società per poter essere
immune da alcunché. Anche tra le persone che partecipano alla MayDay
c’è chi è stato contagiato dal lessico del maschilismo imperante, dal
declino culturale e politico del nostro paese.
Non l’abbiamo visto solo nella violenza sessuale che è accaduta, ma
anche nella reazione violenta dei presenti (per tacer della polizia che
ha manganellato colpendo a caso, nel mucchio, e senza un motivo). Lo
abbiamo letto negli articoli di giornale, nelle dichiarazioni di De
Corato e Penati che hanno usato l’accaduto in modo strumentale, per far
campagna elettorale. L’abbiamo visto nei commenti nauseabondi di chi ha
accusato la vittima di esserla andata a cercare. Infine, l’abbiamo
letto nel nostro primo comunicato, scritto con fretta e stanchezza, in
cui abbiamo infilato un paio di espressioni e un paio di mancanze che
hanno causato giuste critiche.
La questione di genere è da sempre interna ai nostri percorsi
politici. La stessa MayDay, grazie alla sua componente pink e alla
partecipazione delle donne e di gruppi e collettivi che lavorano sul
nesso tra genere e precarietà, ha sempre assunto il genere come
tematica centrale. Anche per questo abbiamo riflettuto a lungo su come
affrontare questo problema e abbiamo deciso di avviare un percorso di
costruzione di una tavola rotonda di confronto, da svolgersi nelle
prossime settimane. Vogliamo riprendere le questioni di genere e
renderle in modo ancora più forte una componente importante della Long
MayDay, facendo in modo che ci accompagnino fino al prossimo primo
maggio.
Chiediamo a tutte le realtà e le persone che hanno partecipato ai
percorsi legati alla MayDay negli ultimi nove anni di aiutarci ad
aprire un confronto per assumere insieme la responsabilità collettiva
di questo percorso. Vogliamo che anche in futuro la MayDay continui a
essere uno spazio aperto, di partecipazione, allergico alle sirene
securitarie e alle spinte a rinchiudersi nel territorio sicuro, ma
claustrofobico, delle proprie identità.
Milano, 6 maggio 2009
info@euromayday.org
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Pacio – spazio libero [Piacenza]
La Beneamata pareggia a casa del piccolo Chievo: un risultato giusto che mette in luce i limiti degli attuali nerazzurri. Cali di concentrazione, scarsa intensità agonistica e poco cervello in mezzo al campo. Se a questo si somma la stanchezza la frittata è fatta e assistiamo alla fotocopia di Inter-Siena dell’anno scorso: da possibile partita che chiude i discorsi, a mezza sconfitta che lascia l’amaro in bocca. L’Inter va in vantaggio due volte e due volte si fa rimontare da una squadra modesta che approfitta della scarsa concentrazione di uno o l’altro interprete nerazzurro: nel primo tempo lasciamo tirare i clivensi venti volte da fuori area, finché non imbroccano l’angolino; nel secondo tempo Maxwell fa il solito movimento sbagliato abbandonando il suo posto da terzino e ci costa il secondo pareggio. Ma la cosa più fastidiosa per un tifoso è vedere poi dieci minuti di lanci lunghi sconnessi, un’ameba come Jimenez in campo a non si sa fare che cosa, e soprattutto la capolista a difendere il pareggio nel recupero. Inaccettabile. Restiamo incompiuti, la quasi squadra cannibale e feroce che ogni tifoso vorrebbe: speriamo che il vate di Setubal riesca a incidere in queste ultime tre partite e in estate per cambiare soprattutto questo aspetto della Beneamata.
Julio Cesar non può nulla sui due gol e per il resto è praticamente inattivo: ordinaria amministrazione. Zanetti a destra va bene e la mossa che lo sostituisce con Burdisso lasciando Santon in panchina è un mistero della fede; Maxwell a destra bene quando avanza, malissimo come al solito quando deve chiudere: suo il rinvio sui piedi di Marcolini, suo lo svarione che lascia battere a rete Luciano, suo il colpo di testa che regala il corner che poteva costarci caro al 47esimo, è l’emblema di cosa manca a questa squadra per essere la squadra di Mou. In mezzo Samuel fa il suo, Cordoba mostra i segni dell’età: non ci costa nulla perché abbiamo di fronte Pellissier e Bogdani, anziché Cristiano Ronaldo e Tevez. Altrimenti finiva 7-2.
Al centro Stankovic avrà pure la scusa del mal di stomaco, ma non sembra lui. Cambiasso ci impiega un tempo a entrare in partita. Muntari si dimostra il centrocampista con i piedi più scarsi che abbiamo, ma con l’intensità di gioco migliore. E’ qui il limite della squadra. Davanti Figo fa un’altra signora partita, pur rallentando molto a causa del caldo, Mario non entra con il cipiglio giusto ma imbrocca un gol da antologia che come l’anno scorso a Siena poteva sembrare il gol scudetto, Crespo mette il suo sigillo e si merita tutti i complimenti del caso. Gli ingressi in corso d’opera sono un disastro e mostrano i limiti della nostra rosa: Cruz per ogni palla toccata, un fallo; Jimenez tocca meno palle di Cordoba, un disastro inguardabile.
Ora, cerchiamo di essere chiari: dopo questo profluvio di critiche, nessuno pensi che io non sostenga la squadra o non pensi che l’ossatura è buona. Al contrario, ma è nella testa che dobbiamo cambiare. Nessuna ansia, ci mancano cinque punti e dovremo conquistarli con il coltello tra i denti come abbiamo sempre fatto, ignorando la fiera del magheggio che Silvio e i suoi servi ci scaglieranno contro a partire da stasera.
Ci ho messo qualche giorno a metabolizzare la cosa, a digerire la rabbia che mi risale nella gola più degli antibiotici. Giovedì 7 maggio la Corte di Cassazione si è pronunciata sul processo per i fatti del San Paolo, confermando la sentenza di appello. Se non sapete di cosa sto parlando adesso faccio un piccolo riassunto senza pretese di esaustività. E’ una storia di merda, senza se e senza ma, e si conclude dimostrando una cosa sola: che la giustizia è al servizio del potere e del più forte, che per i deboli e per chi si oppone a un sistema non c’è altro che repressione e violenza. E che non si capisce perché si dovrebbero ripagare braccia e menti del potere con altro che questa stessa moneta.
Immaginate una sera di primavera. Dipingetevi in riva a un canale di acque placide, circondati da molta gente ma non troppa. Raffiguratevi l’aria leggera dei primi mesi caldi, la luce che scompare sempre più tardi oltre l’orizzonte, il pensiero che si ricomincia a vivere per strada con meno fatica. Prendete un martello e frantumate lo specchio in cui avete rappresentato questa scena: quel colpo sono le coltellate che un vostro amico, un vostro compagno si prende in una vietta laterale, insieme ad altre due persone, a pochi passi da un commissariato di polizia e da un noto centro sociale. Gli aggressori sono un nazista e i suoi due figli, con un cane chiamato Rommel, tanto per capirci. La vittima è Davide Cesare, detto Dax, che muore praticamente sul colpo. Delle altre due persone una rimane gravemente ferita.
Ora immaginatevi a correre a perdifiato verso l’ospedale dove hanno portato il corpo del vostro amico e gli altri. Immaginate di non sapere nulla di come sta, impazziti alla ricerca di una buona notizia qualsiasi. Arrivate davanti al pronto soccorso del San Paolo e ci trovate la polizia, entrate, chiedete, nessuno sa nulla, nessuno vi risponde. Poi esce un carabiniere in borghese e ironizza sul fatto che il vostro amico è morto. Altri agenti intanto stanno interrogando in malo modo le altre persone ferite come se fosse colpa loro aver preso una coltellata. Percepite la rabbia che monta? Percepite la sensazione di impotenza?
Ecco, ora immaginate che le forze dell’ordine anziché defilarsi per evitare che gli animi si scaldino continuino a sfottere e che parta qualche spintone. Immaginate che arrivi un reparto della celere e che scenda dal furgone già in assetto antisommossa e cominci a caricare, fino dentro le corsie del pronto soccorso. Immaginate gente messa a terra, ammanettata e picchiata a manganellate, e carabinieri girare intorno all’edificio con mazze da baseball tirate fuori dai cofani delle auto di servizio. Siete ancora lì? Guardate una ragazza con un braccio rotto chiusa in auto e minacciata, poi lasciata a duecento metri di distanza con la minaccia di non farsi più vedere, inseguimenti, grida, insulti, pestaggi. E immaginate che qualcuno abbia filmato tutto.
Poi arriva il processo. Contro quei poliziotti e quei carabinieri che si sono comportati da animali sanguinari? Che hanno deriso la morte di un vostro amico? Contro i tre nazisti che hanno ammazzato una persona? No. I tre nazisti fanno un processo a parte e il maggiorenne prende poco più di dieci anni di carcere, mentre il padre che lo accompagnava praticamente nulla. Se c’eravate voi di fianco a un’omicida a incitarlo vi davano sicuro 20 anni per concorso morale. Ma a loro no. Ma non è questo il processo: il processo San Paolo vede come imputati quattro dei ragazzi davanti all’ospedale tra cui uno dei feriti e il ragazzo ammanettato a terra e pestato a manganellate da un carabiniere e un poliziotto coraggiosi. Loro sono accusati di resistenza, perché ovviamente da terra avranno cercato di evitare i colpi per esempio. A processo ci sono anche due carabinieri e due poliziotti, per lesioni e abuso d’ufficio.
Il processo è a senso unico: giudice e pm vogliono dimostrare la famosa tesi del tutti colpevoli della violenza, nessuno responsabile. Gli avvocati delle forze dell’ordine che sono bravi ragazzi che onorano la divisa e che magari hanno sbagliato ma senza malafede, a massacrare di botte gente che voleva solo sapere cosa era successo a un loro amico accoltellato. Secondo voi com’è finita? E’ finita che le forze dell’ordine nonostante i video, nonostante tutti sappiano cosa è successo, sono state praticamente tutte assolte. Due dei compagni presenti (tra cui quello colpevole di aver tentato di schivare i colpi mentre era ammanettato e pestato a terra come immortalato in un video) sono stati condannati a un anno e sei mesi e a pagare i danni al pronto soccorso (fatti dalle forze dell’ordine) per 120 mila euro.
Poi chiedetevi perché quando vi ritrovate coinvolti in una situazione di tensione con di mezzo la polizia non dovreste cercare di spaccare quanto più cose e persone possibili. Tanto pagherete comunque. Essere ragionevoli non conviene in un mondo in cui ha ragione solo il più feroce e il più figlio di puttana.
I dati che riporto potrebbero non essere tutti esatti. I server di autistici sono incasinati e la mia memoria vacilla, ma la sostanza c’è tutta: non sarà un mese in più o in meno di condanna a cambiare l’aberrazione che rappresenta. E quanto dimostra il sistema in cui viviamo e come ognuno dovrebbe regolarsi.
Il giorno dopo questa sentenza ho portato i pischelli della mia prima media al Museo di Storia Naturale. Arrivato ai Giardini di Porta Venezia ho incrociato le macchine della Digos che solerti sorvegliavano innocui rifugiati sdraiati sull’erba. Mi hanno salutato come una vecchia conoscenza, mentre li guardavo in cagnesco e bestemmiavo sottovoce. Sono tornato a scuola verso le 13.30 e ho incrociato i bambini delle elementari che tornavano da una bellissima gita alla caserma del reparto mobile (di via Cagni penso) di milano, gente meritoria, che ha partecipato anche se un po’ defilata alle cariche su via Tolemaide e ai fatti di piazza Alimonda (se qualcuno non lo sapesse la piazza dove è morto Carlo Giuliani). Ho visto i bambini scendere, con i poliziotti in divisa antisommossa che gli davano il cinque e facevano grandi sorrisi, ognuno con il suo cappellino della Polizia Italiana. E’ un quartiere difficile quello della mia scuola, e qualcuno pensa che questa sia "educazione alla legalità", che serva a far diventare persone migliore i ragazzi destinati a una vita sospesa tra violenza e criminalità. Io penso di no. E non per ideologia, ma perché penso che uno non debba diventare una persona capace di distinguere il bene dal male solo perché ha come modello coloro che esistono solo per punire. Penso che un ragazzino dovrebbe capire come si fa a vivere insieme agli altri e non idealizzare il ruolo dei cani da guardia.
Mi sono fermato e mi sono chiesto. Quei sorridenti e affabili celerini avranno avuto il coraggio di raccontare a quei bambini in gita del processo San Paolo, dei loro errori della violenza in cui si tuffano come un pesce nell’acqua? Non penso. Perché anche gli sbirri se ne vergognano ed avere il coraggio non è una dote di cui abbondano nella media: intendiamoci, non è un problema delle forze dell’ordine. La pavidità è un problema dell’uomo. Ma per insegnare ai ragazzi a diventare degli uomini e delle donne adulti forse dovremmo essere capaci di trasmettere cose diverse che non l’autorità e la necessità di vivere sorvegliati e imprigionati, repressi e controllati: coraggio, onestà, responsabilità. Basterebbe questo. Nessuna delle qualità che quei celerini potrà mai dire a cuor leggero di avere a meno di non dimenticare troppe vicende della storia recente del nostro paese.
Mai come oggi mi echeggia in testa un famoso slogan del maggio 68 francese: Police par tout, Justice null part. La giustizia quella vera, non quella dei tribunali ma la virtù a cui si appellano quando emettono le loro sentenze, è antitetica alla violenza e al sopruso che la polizia e le forze dell’ordine rappresentano nel loro agire quotidiano. E non vedo all’orizzonte un evento che cambi questo stato di cose e che mitighi il mio odio e la mia rabbia.
Appena ho saputo che era uscito l’ennesimo e ultimo – si mormora – capitolo della serie di Hap e Leo, mi sono fiondato a prenderlo in libreria. Beh, a dire il vero ci ho messo quasi 15 giorni, ma alla fine quello che conta è lo spirito morale con cui ho affrontato la cosa, no? Il titolo – Sotto un cielo cremisi – e l’annuncio del libro mi hanno fatto pensare che alcuni dei nostri eroi, includendo in essi Jim Bob Luke e Brett, ci rimettessero le penne. Ma sono stato colpito dalla sindrome da traduzione: infatti il titolo originale è Vanilla Ride e nulla fa presagire nefasti eventi nella vita dei personaggi principali della serie. Ovviamente escludendo la sequela di botte e proiettili che si beccano nelle 312 pagine di puro Lansdale. La conclusione è semplice: Lansdale si è rammollito, non è più quello di una volta, e si è affezionato ai suoi eroi di carta. E meno male, perché io non avrei retto alla morte di Leo o Hap, e peggio ancora di Jim Bob Luke.
Il libro è tradotto così così, soprattutto nelle prime pagine, ma poi anche il bravo ragazzo che ci si è cimentato prende il ritmo e si lascia trascinare dagli eventi. L’ironia e l’umorismo di Lansdale ne escono intatti, anche se la trama non è esattamente avvincente. Del resto questo è Lansdale, prendere o lasciare. Un po’ come è scritto anche nel libro. Per chi vuole godersi qualche ora e spendere qualche ghigno, è semplicemente imperdibile: l’unico lato del Texas che apprezzi 🙂 Voto: 8
Quando uno si chiede perché l’Italia è un paese retrogrado basta che provi a leggere i giornali. Ma non per averne le prove, ma per capire da dove comincia tutto.
A Milano il primo maggio ormai da anni si tiene forse la più grande manifestazione autorganizzata e non finanziata da alcuna organizzazione (partito o sindacato o associazione che siano) d’Europa. Quest’anno in piazza c’erano più di centomila persone: un tripudio di colori, umori, persone, idee, slogan, canti. Dal nostro carro il tamarrissimo Oscar White ha fatto un free style proletario proprio di fronte al Duomo, mentre i Petardi lo sostenenvano con le loro basi: una manifestazione enorme e importantissima, ma di cui stranamente non avreste trovato alcuna traccia sugli organi della cosiddetta informazione.
I giornali di sinistra non la pubblicizzano perché antitetica ai loro finanziatori (il Partito per Liberazione, la CGIL per Il Manifesto). I giornali principali del panorama italiano la snobbano perché di solito è una manifestazione pacifica, gioiosa e che parla di un tema scomodo su cui troppa gente ha la coscienza sporca. Poi non c’è mai nessuno di famoso a fare né da testimonial né da accaparratore, e quindi le redazioni di Repubblica, Corriere e via dicendo non sanno che pesci pigliare. Peccato che forse dimenticano che raccontare eventi rilevanti nelle principali città italiane sarebbe forse il minimo che dovrebbero fare. Di una parata di questo calibro non si parla. Non è "interessante".
Poi improvvisamente succede un fatto orribile (lasciate perdere i commenti che sono il solito ricettacolo di dementi): alla fine del corteo, nella situazione di delirio che pervade il Castello Sforzesco alla fine di ogni Mayday Parade, una ragazza subisce una violenza da parte di un imbecille. Gli amici della ragazza e chi si trovava nei paraggi ha dato una lezione all’imbecille fino a farlo giungere nei pressi della polizia. La polizia ha pensato bene di menare un po’ le mani riuscendo a dare luogo al primo semiincidente in otto anni di Mayday. Magicamente sui siti di Corriere e Repubblica adesso la mayday c’è, ma si vuole infrangere ogni record: sul sito di Repubblica un articolo di 2000 battute riesce a entrare nei dettagli supposti e possibili del fatto, senza mai spiegare che cos’è la Mayday Parade. Idem il corriere.
Ecco: quando ci si chiede perché i giornalisti vengono visti con astio e sospetto, o da dove cominci il clima di ferocia e di degrado culturale e etico che vibra nell’aria milanese e italiana, la risposta è molto semplice. Comincia tutto da qui, dalla ricerca ossessiva del marcio e del peggio per raccontare solo quello, tralasciando i fatti e ciò che accade di imponente, per focalizzarsi sul minimo segno di sporcizia. Sarebbe come entrare a Versailles e occuparsi solo di un avvelenamento di un personaggio avvenuto nei suoi giardini di un ciuffo di polvere a terra, ignorando completamente la sua architettura e la sua storia.
Qualcuno un tempo ebbe a definirsi nano sulle spalle di giganti. Ora purtroppo siamo ridotti ad essere solo nani e per di più deformi nel corpo e nello spirito, soprattutto. Quello che rimane poi è solo rabbia e sdegno.
La partita di stasera è facile da descrivere, più difficile da comprendere. Sessanta minuti di nulla: la Lazio non fa niente per vincere e si aspetta che l’Inter ne approfitti. Per un’ora i nerazzurri non lo fanno, esibendo un indolenza e bassissima concentrazione. I tifosi si incazzano ed essendo il pubblico di San Siro tra i più rompicoglioni e silenziosi del mondo – la nostra curva canta solo quando vince e infatti gli unici cori pro Inter erano dei gemellati fascistissimi al primo anello blu – cominciano a mugugnare, a sbraitare contro "lo zingaro" e contro tutta la squadra. Ibra si incazza e sfodera quello che non aveva ancora fatto, la prodezza che vale i tre punti e poi l’assist perfetto che li consolida. In mezzo gestacci al pubblico che sicuramente non li dimenticherà: c’è da sperare che la società gestisca bene questa fase. Da un lato Ibra che vuole o più soldi e più campioni o una nuova squadra, dall’altro un pubblico che vuole un fuoriclasse sempre e non quando gli girano le palle a lui, dall’altro una società che quantomeno deve monetizzare di brutto il campione che ha portato alla ribalta se proprio non riesce a tenerlo. Un bel rebus, non c’è che dire, dopodiché se Ibra bisogna insultarlo per farlo giocare decentemente ci penso io mettendomi in transenna al primo verde durante il riscaldamento: giovane svedese, prendi 250 mila euro a partita, non sei obbligato a vincere, ma a giocare a calcio sì. Pedala e non cagare il cazzo: se pensavi di essere in presenza del pubblico inglese, hai preso una cantonata. GLi interisti sono il tritacarne peggiore per i nervi di chiunque da anni, pure per gli altri tifosi. Approfitti della squalifica per somma di ammonizioni per far raffreddare il cervello e le palle. Prego.
Se della partita non ha molto senso parlare, possiamo dire che nonostante le assenze la squadra fisicamente c’è e questa è già una differenza enorme con gli anni scorsi. Ancora il cambio di mano nella capacità di intensità e concentrazione per 90 minuti manca, e infatti rischiamo di rivedere la partita di Napoli con una Lazio ben più pericolosa. Sotto tono il solo Cambiasso tra i nostri pilastri, segno forse di una stanchezza anche legittima volendo. Davanti senza Mario, l’unico giocatore di calcio degno di questo nome è Ibra, e questo in società dovrebbe far riflettere molto. In mezzo il migliore è un signore di 34 anni e dai muscoli fragili come cristalli, che dobbiamo sperare abbia voglia l’anno prossimo di conquistarsi una maglia ai mondiali per dare il massimo nel suo ultimo anno in nerazzurro (Vieira). Il secondo migliore e unico capace di inserimenti degni di questo nome è anche colui che ha i piedi come dei ferri da stiro, Muntari, e questo la dice lunga sulla situazione del centrocampo. Dietro siamo solidi, non c’è che dire, ma l’anno prossimo avranno tutti un anno in più e nel calcio moderno non si può vivere sugli allori.
Ora, però, bando alle ciance. Mancano ancora sei punti. Concentriamoci su questi e poi parleremo del resto: di Ibra, di chi ci sarà l’anno prossimo, di chi potrebbe venire e di chi potrebbe andare. Intanto oggi contava solo vincere. Cosa fatta capo ha. E che capo.
PS: non vale neanche la pena di commentare che in Italia è il solito teatrino per cui le regole di civile convivenza sono al vaglio della comodità politica. Così un gruppetto di scemi che dice "napoli colera" vale un turno di squalifica di un intero settore dello stadio, mentre uno stadio intero che urla "non esiste un negro italiano" non è razzista, ma solo inopportuno. Oppure Muntari che da per sbaglio una manata in faccia a un avversario vale tre giornate, mentre Brocchi che mentre l’Inter sta attaccando rilancia il pallone in campo per interrompere l’azione non è meritevole di prova tv. Se non stessi godendo per l’avvicinarsi del traguardo, mi incazzerei quanto e più di Ibra. 🙂
«MayDay Countdown 2009» è uno spazio condiviso che raccoglie una scarica adrenalinica di iniziative di avvicinamento alle MAY DAY di tutto il erritorio nazionale.
I progetti politici e socio-culturali che danno vita a questo countdown sono attivi, radicali e radicati da anni nei rispettivi territori. Le tematiche vive su cui si è entrati in azione sono le politiche del lavoro (precarietà, welfare), le rivendicazioni dei migranti, le devastanti politiche ambientali e socio-culturali che affliggono le regioni metropolitane. Ogni soggetto propone creativamente le sue pratiche comunicative, in sintonia con le rivendicazioni della MayDay, e nel rispetto dell’autonomia e delle differenze dei protagonisti di ogni iniziativa. Le azioni saranno tutte caratterizzate dall’incisività e dalla precisione con cui andranno a colpire i responsabili delle
politiche che ci hanno trascinato nel baratro della crisi.
Nelle settimane che precedono il primo maggio, le metropoli italiane saranno infiammate da un’energia insolita… precari, giochiamo a fare la crisi?
Segui il Countdown su http://italy.euromayday.org/countdown
* Le prime tappe del Countdown *
21 Apr – Universi Precari (seconda parte)
24 Apr – Nuove forme di agitazione sindacale in azione a Milano ->
25 Apr – Obbligati allo scontro!
26 Apr – Fiera: restituiti gli scarichi fognari all’hotel NH
26 Apr – IKEA: chi mente paga
27 Apr – Monza: We are Homeless
28 Apr – Mayday batte Infojobs 6 a 0
29 Apr – Monito del Santo al Museo della Scienza e della Tecnica
* Spot Audio *: [ uno – due – tre – quattro – cinque – roma ]
* Primo maggio 2009 *
Milano, Porta Ticinese Ore 15.00
Palermo Piazza Marina Ore 16.00
Roma, Porta maggiore. Ore 12.00
Berlino, Brema, Den Bosch, Gent, Gornja Radgona, Amburgo, Hanau,
Helsinki, Liegi, Lisbona, Malaga, Porto, Terrassa, Tubingen, Vienna.
** Mayday: make them pay! **
Sono rimasto un po’ indietro sulle recensioni. Me ne scuso, ma sono settimane un po’ dense, tra lavori e impegni di altra natura. La prossima sarà pure peggio stretta intorno alla Mayday Parade, di cui avete già avuto un assaggio con il video del precedente post.
Ne approfitto e faccio in un colpo solo le recensioni dei tre libri che sono riuscito a leggere in questo mesetto. Ho battuto un po’ la fiacca, ma per metà del tempo mi sono rifiutato di leggere per non incasinare la traduzione che stavo facendo. Chiedo venia. Stranamente, ma forse neanche troppo, i tre libri che ho letto sono uniti da un fil rouge che trasporta il lettore attraverso la cruda realtà del mondo moderno e delle sue origini. Infatti il libro migliore tra i tre che ho spiluccato è certamente l’ultima fatica di Valerio Evangelisti, Tortuga. E’ stato un libro molto criticato, perché differisce da tante altre opere di autori del medesimo giro di Valerio nella lettura del fenomeno della pirateria. Il grafomane bolognese – lo dico con ammirazione non con vituperio sia chiaro – indaga con piglio storico feroce il periodo finale delle libere repubbliche piratesche, quando alla spontaneità delle prime esperienza si è già iniziato a sostituire il cinismo della ragione di stato. Quale stato è tutto da decifrare. Io come molti altri rimango fortemente affascinato dalla storia e dalla cultura dei pirati, ma devo ammettere di apprezzare anche il realismo della ricostruzione di Evangelisti: la società dei pirati come l’estremizzazione della società capitalista, un anarchismo stirneriano nella sua accezione peggiore, la grettezza eletta a unica ragione di vita, il profitto e la sopravvivenza nonostante tutto come principio imperante. Truce, vero, senza sconti per nessuno. La cosa più terribile e al tempo stesso splendida è che Tortuga non parla solo dei pirati, ma parla di noi, del mondo che ci circonda e di come è finito: in questo senso – direbbe Wu Ming – New Italian Epic a go-go, anche se un etica un po’ distopica. Dal punto di vista di noi blackswiftiani, una reality fiction storica di grandissima classe. Ogni tanto mi trovo a desiderare che Valerio non scriva altro che romanzi storici et simila. Il suo Noi saremo tutto rimane ancora uno dei migliori romanzi italiani degli ultimi 20 anni. Per me almeno. Voto: 7
A questo scorcio cinico sulla storia e sulle origini della cultura dominante nel mondo che ci circonda fa da contraltare l’attualità tremebonda di Knockemstiff di Donald Ray Pollock: il libro edito in Italia da Elliot Edizioni – di cui sapete che apprezzo molto le scelte editoriali – è veramente feroce. Mentre lo leggevo era difficile conservare un tono diverso dal nero sulle mie emozioni e le vicende che vi sono narrate difficilmente vi eviteranno una pessima settimana. E’ come entrare in un lunedì e non uscirne più. Quando l’ho finito non volevo consigliarlo molto, anche perché lo stile di scrittura – forse complice una traduzione non impeccabile – non è entusiasmante, e soprattutto lo spazio per scorgere un fiore in mezzo al mare di merda che il libro ti lancia addosso (e che circonda ognuno di noi) è veramente minimo. Quando però ho capito che i racconti non erano inventati, ma erano la più classica delle reality fiction ho rivalutato molto l’operazione del libro. Se esiste un luogo come Knockemstiff, il mondo è un luogo orribile e la fine della razza umana è segnata. Ogni cosa, ogni più piccolo atto che ci allontana da essere i discendenti legittimi di Tortuga e i coetanei non da meno degli abitanti della cittadina dell’Ohio è una piccola speranza. Voto: 6,5
Piccola speranza che il buon Giuseppe Genna non condivide. La sua ultima fatica, Italia De Profundis, conclude un trittico ideale sospeso tra Dies Irae e Medium – con l’intervallo poco distante di Hitler. Devo dire che ho amato molto il Genna di genere – come scrittore dico – almeno tanto quanto non riesco ad apprezzare la convoluzione dei suoi ultimi lavori: mi pare che si sia ritorto su sé stesso, nella ricerca di uno specchio per l’Italia orribile in cui viviamo. Forse è successo anche a me. Forse la mia scelta di smettere di scrivere per un po’ è più clemente. Con me stesso e con gli altri. Non sono riuscito ad andare oltre i primi capitoli ed è un fenomeno che mi è successo solo con Houellebecq. Voto: 5,5 (spero non mi odierai per questo 🙁
Bene, ora mi sono sfogato. Ho preso in mano l’ultimo di Scurati – che dalle prime battute è molto più arioso come stile – e presto acquisterò l’ultimo di Hap e Leo, dell’immortale Lansdale – Sotto un cielo cremisi. Con Infinite Jest di David Foster Wallace che mi attende a casa, non mi mancano certo le letture. Come il solito sarà il tempo ad essere tiranno.
Aspettatevi un po’ di post sulla mayday e le azioni premayday nei prossimi giorni.
Il Primo Maggio si avvicina e le menti si scatenano 🙂