Travelling the Balkans: breviario di viaggio nella ex yugoslavia

1 Settembre 2010 Commenti chiusi

Il viaggio nei territori della ex Yugoslavia non è così esotico come altri e quindi non ho molto da raccontare. Come ogni viaggio ci sarebbero in realtà centinaia di episodi e scorci, ma la verità è che questi non sono di alcuna utilità per chi viaggerà dopo di me, dato che conoscerli è il motivo del viaggio e leggerne non è di molto aiuto.

Per comodità dividerò le note secondo i quattro stati che abbiamo attraversato che, nonostante facessero parte di un medesimo stato fino a 20 anni fa, mostrano quante differenze contengano le varie culture che erano tenute insieme dallo stato yugoslavo.

SLOVENIA

La Slovenia sembra un pezzo di Tirolo spostato a Est di qualche centinaio di chilometri. E’ sempre stata la parte più ricca della ex Yugoslavia e ha subito la guerra per un tempo veramente brevissimo dato che non è stata teatro delle sanguinose faide che invece hanno insanguinato una buona parte di Serbia, Croazia e Bosnia. E’ entrata nell’euro da un paio di anni (se non sbaglio, ma wikipedia vi aiuterà) e i suoi prezzi sono in tutto e per tutto europei, ovvero pari a quelli italiani.

Noi abbiamo attraversato la Slovenia da Nova Goriza fino a Ljubljana, per poi proseguire lungo alcune stradine fino a Novo Mesto e sbucare in Croazia. Ricordatevi prima di entrare sulle autostrade slovene che dovete acquistare una simpatica “vignette” per transitarvi (in stile Svizzera). Sulla via del ritorno siamo passati per la statale che collega l’Istria con Trieste. Il paesaggio e il tono delle persone che abbiamo incontrato ci è sembrato costante: cordiali, gentili, ma abbastanza formali. C’è da dire che con la Bosnia è l’unico territorio della ex Yugoslavia dove ci sia ancora una sinistra come la intendiamo noi. In particolare Ljubljana ci sono due spazi sociali: la Methelkova (una ex caserma riconvertita in luogo con locali e con un ostello fantastico ricavato dall’ex prigione militare – Hostel Celica – che consiglio a tutti di visitare e utilizzare, nonostante il costo decisamente elevato) e il Rog (un vero e proprio centro sociale che trovate lungo il fiume allontanandovi una decina di minuti a piedi dal centro).

Sempre Ljubljana cova l’ambizione di diventare una capitale artistica e culturale europea ed è una città piacevole dove passare un paio di giorni a rilassarsi bevendosi qualcosa lungo il fiume.

Per mangiare consigliamo vivamente lo Skofu: un ristorantino che trovate sicuramente in tutte le guide nella zona di Trnovo più a ridosso del fiume, appartato e tranquillo. Il cibo è ottimo, ma chiedete prima quanto costa che altrimenti vi ritrovate un controfiletto ai mirtilli buonissimo ma che vi pela 22 euro! Senza strafare si può mangiare al prezzo di una cena al ristorante in Italia.

Per dormire sconsigliamo abbastanza l’Alibi Hostel, non perché sia sporco o scomodo, anzi, è situato in centro, ma diciamo che il buon giorno non è un optional incluso nel prezzo. Viceversa se volete spendere un pochino il Celica Hostel nella Methelkova o l’H2O Hostel (anch’esso in centro sulla riva del fiume) sono decisamente meglio. Dopodiché un po’ tutti i posti vanno bene in Slovenia: non vi ritroverete bacarozzi o fregature grossolane. Andate sereni.

Le attrazioni di Ljubljana sono un po’ quelle arcinote: tour al Castello, giretto all’Open Air Theater e passeggiate lungo il fiume e i suoi multipli baretti. Buon divertimento.

SERBIA

Dopo aver attraversato di corsa una miriade di paesini della Slavonia (Croazia) siamo fuggiti in territorio serbo lungo l’Autoput (autostrada) Zagreb-Beograd. Stanchi dal viaggio abbiamo deciso di uscire alla prima uscita dell’autostrada in Serbia e siamo andati a dormire nel paesino di Erdevik, per testare la vita nella Serbia non metropolitana.

Qui abbiamo trovato una sola affittacamere, fantastica, di nome Katarina, una sciura di 50 e passa anni che non parla manco mezza parola che non sia serbo, ma che ha molta voglia di accogliere viaggiatori. Erdevik si trova a una decina di chilometri dal parco naturale di Fruska Gore e quindi per chi ama la natura può essere una perfetta tappa nella wilderness serba. La sciura ci ha accolto in una bella stanza doppia per 10 euro a testa, e con un altro euro e mezzo ci ha abbuffato la mattina dopo con una colazione sontuosa.

Infatti i costi serbi sono ancora extraeuropei (diciamo che tutto costa all’incirca la metà): solo sul pernottamento si stanno rapidamente adattando – almeno nelle grandi città – mentre per quanto riguarda il cibo si riesce ancora a cenare in due al ristorante per una ventina di euro senza lesinare.

La principale tappa del nostro viaggio serbo è stata però Belgrado: una splendida città, ancora all’inizio del processo di gentrification che lascia ampi spazi per vedere la Belgrado che fu e che sotto sotto sempre sarà. Una città di café e di vita notturna, di chiacchiere e di passeggiate. Se cercate mostre e musei non troverete granché, ma se cercate un po’ di nightlife è il posto giusto (magari non in agosto, eheh).

Per dormire troverete mille soluzioni. Noi abbiamo scelto un ostello sul Danubio, l’Arkabarka, dal quale in mezz’oretta a piedi potete arrivare in centro (o in 10 minuti se prendete l’autobus) e che alla sera è un’oasi di piacevole rinfresco dal caldo mortale che fa di giorno. Lungo il fiume troverete decine di barche con ristoranti, pub, bar, terrazzine di ogni tipo. E se vi addentrerete nelle viette vicino al centro troverete scorci veramente interessanti e un fantastico graffito alto quanto una casa a 4 piani di Blu. Complimenti.

Per mangiare noi consigliamo tra i tanti 2-3 posti. Il primo è Brodic, un baretto verso la Fiera di Belgrado (prendete il lato verso Belgrado vecchia del fiume e camminate verso destra guardando Kalemegdan, la fortezza); se vi perdete chiedete si 6 Topola (un locale molto conosciuto proprio di fianco). Al Brodic potete passare un’ottima serata e mangiare una decente pizza!

Il secondo posto è Stepenice, un ristorante con una terrazza sul fiume proprio vicino alla zona in cui grandi magazzini portuali stanno venendo trasformati in locali di lusso. Se guardate Kalemegdan dal fiume, appena sopra la zona dei magazzini, vedrete una terrazzina con tendine gialle illuminata di notte, come se fosse sospesa tra altri edifici. Quello è il ristorante. Si mangia bene, cibo non particolarmente tipico, ma gustoso e a un prezzo accettabile.

Se invece volete mangiare del Cevapcici o altre amenità carnivore tipiche dei serbi (a me piacciono un sacco, ma dopo una settimana di solo Cevap mi è un po’ venuto a noia) fermatevi allo Zlatna Bokar sulla “montmatre di belgrado”, Skadarska.

Se poi durante il giorno volete un momento di pace dal caldo e dal chiasso potete andare al Café-Restoran dentro l’Università che potete raggiungere tagliando verso la principale via commerciale partendo da Trg Studenski: guardando in uno dei cortili lo vedrete privo di chiasso e apparecchiato con decine e decine di tavoli. Il proprietario praticamente vive lì e afferma “qui si chiude quando se ne va l’ultimo cliente”. A Belgrado significa che non chiude mai. Ma è l’unico baretto senza musica che troverete in centro, e ogni tanto anche le vostre orecchie avranno bisogno di ristoro.

Per concludere non perdetevi una gita al mausoleo di Tito per la foto di rito (è un po’ fuori mano rispetto al centro ma con i mezzi pubblici si raggiunge senza menate) e ricordatevi che in Serbia si usano i dinari: 100 dinari circa per ogni euro. Fatevi bene i conti perché poi cambiare i dinari non val proprio la pena!

BOSNIA-HERZIGOVINA

Passare dalla Serbia alla Bosnia è come passare dall’Italia alla Turchia. Da un lato i balcani europei dall’altro quelli ottomani. Lo noti dal panorama lungo le strade costellato di moschee, dai vestiti delle persone, dalle facce rugose e scure contrapposte a quelle rubizze e tonde sopra le spalle larghe, dai suoni e dagli odori. Dopo la Serbia, la Bosnia è la parte dei balcani che mi sono goduto di più, in cui trovo più affinità e in cui il viaggio mi pesa meno. E non è solo questione di costi, che in Bosnia, se possibile, sono ancora minori che non in Serbia.

La principale tappa del viaggio è stata Sarajevo, anche nota come “piccola Istanbul”, a ragione. Sarajevo non è enorme, soprattutto se si escludono i sobborghi di Nova Sarajevo: il centro è stato rimesso a nuovo ed è molto godibile, anche se fortemente turistico. In particolare il bazar del centro, la Bascarsija, è un po’ artefatto, ma pieno di posticini piacevoli dove mangiare e bere qualcosa. Nonché comprare qualsiasi cosa che vi venga in mente di comprare.

Sarajevo si può visitare in un paio di giorni con tutta comodità, vedendo tutto quello che c’è da vedere, almeno secondo me. Di seguito vi metto il tour tipico. Mattino: Vecchia Chiesa Ortodossa vicino alla piazza dei Piccioni, Casa Svrzo (una casa musulmana perfettamente restaurata e conservata), il Museo Ebraico e la sua sinagoga, le Moschee della zona del centro, il museo Brusa Bezistan dedicato alla città, le Cattedrali Ortodossa e Cattolica (non granché), Casa Despica (una casa ortodossa molto ben conservata). Il giro ve lo sbrigate in 4 ore e potete prendere un biglietto cumulativo per tutte le attrazioni con ingresso a pagamento spendendo 12 KM (marchi convertibili) ovvero 6 euro. Potete mangiare qualcosa al baretto 2 Ribara lungo la riva sinistra del fiume andando verso Novi Sarajevo oppure al Bar Hana in pieno bazar (chiedete all’Ufficio Informazioni Turistiche dove parlano un ottimo inglese e vi riempiranno di cartine e mappette). Nel pomeriggio andate a vedere il Museo di Storia di Sarajevo con una impressionante mostra sulla guerra e subito sotto passate un’oretta al Tito’s Café (potete comprare delle fantastiche magliette con il profilo del grande condottiero stilizzato.

La sera verso le 18.30 prendete un bel taxi e fatevi portare al Biban Kavanha (ditegli così, vi chiederanno 10 euro quindi cercate dei compagni di viaggio) da cui potrete gustarvi la vista di tutta Sarajevo dall’alto e mangiare degli ottimi manicaretti. Terminata la cena scendete a piedi verso la città e se fate la strada giusta sbucherete proprio di fronte al Birrificio di Sarajevo, per un’ultima birretta prima di andare a letto.

Per quanto riguarda il pernottamento a Sarajevo problemi non ne incontrerete: ci sono circa 50 ostelli e 100 pensioni, tutte in centro. I prezzi per il letto in camerata dovrebbero oscillare tra i 10 e i 15 euro al massimo, colazione inclusa; per le doppie cercate un posto con parcheggio e colazione, e dovreste trovare dai 35 in su (noi abbiamo pagato 40 euro in un posto veramente in centro gestito da delle pischelle simpaticissime). Non vale neanche la pena prenotare, perché la concorrenza è spietata. Prima di ripartire per proseguire il vostro viaggio, non dimenticate di comprarvi un po’ di pistacchi e di frutta nei negozietti del centro: i prezzi sono ottimi e non ve ne pentirete.

La seconda tappa che abbiamo fatto in Bosnia è stata Mostar: la città è stata completamente ricostruita usando le tecniche originali di costruzione ottomana. E’ splendida, ma ad agosto è infestata dai turisti. E soprattutto non ha un posto all’ombra manco a pagarlo. Risultato: abbiamo resistito due ore, incluso il pranzo, e poi siamo fuggiti verso la costa croata. Ma se non ci andate d’agosto, presumo che ci sia molto più gusto a camminare per i vicoletti della città vecchia circondati da pareti bianche e ricordi sommessi di una guerra che è passata, ma non da troppo tempo. E per fermarvi a pensare come solo dieci anni fa ci fossero ancora fucili che sparano proprio nel cuore dell’Europa. Mette lo stato di pace in cui viviamo in una prospettiva molto più precaria.

CROAZIA

E raggiungiamo così l’ultima tappa del nostro viaggio balcanico. La Croazia mi è sempre stata un po’ sul cazzo, quindi non stupitevi se non sarò molto obiettivo. Storicamente è stata la patria dei nazisti jugoslavi, è sempre stata più austriaca che balcanica e tuttora detiene il primato non invidiabile del maggior numero di destroidi in assoluto (insieme alla Serbia a dire la verità).

Informazioni preliminari: in Croazia fino al 2012 si useranno le kune, tasso di cambio circa 7 kune per ogni euro; le autostrade si pagano un tocco per volta in stile Francia; ovunque accettano e danno resto anche in Euro, tranne che alle biglietterie dei traghetti, forse per dispetto; i costi della Croazia sono in tutto e per tutto quelli europei, e sulla costa pure più alti (cena di pesce per due intorno ai 70 euro; pranzo normale per due intorno ai 40-50 euro; pernottamento in una doppia o in un mini appartamento 40-50-60 euro a seconda delle location).

Noi abbiamo visitato in una sera e una mattina la splendida Dubrovnik: la città è veramente molto bella e ricorda di brutto Lecce e altre città pugliesi. Purtroppo in luglio e agosto è talmente piena di turisti da non riuscire a camminare nella via principale del centro. Nei vostri giri non vi perdete assolutamente la Chiesa di Sant’Ignazio e la piazzetta su cui si affaccia: è veramente splendida, e la palma chiusa tra la facciata della chiesa e il vicino edificio che non sono riuscito a identificare è uno scorcio che vale un’ora di contemplazione. La città è stata ricostruita dopo i bombardamenti ed è decisamente un posto attraente turisticamente e culturalmente.

Per il resto il nostro viaggio ha fatto tre tappe di mare, tutte decisamente positive per qualità dell’acqua, dell’aria, dell’ambiente in cui abbiamo nuotato e preso il sole e il vento. Tutta la costa croata è molto bella, e basta sbattersi un po’ per trovare calette e spiagge relativamente tranquille. Per dormire in ogni luogo troverete gente che affitta camere (sobe) o mini appartamenti (apartmani) ai prezzi che ho sopra indicato. E praticamente ovunque tranne che su qualche isola troverete campeggi a prezzi abbordabili e autocamp per camper e mezzi di trasporto vari.

Noi siamo stati prima di tutto a Trsteno: a 20 km da Dubrovnik è un paesino piccolissimo con due ristorantini e manco un bancomat o un mercatino (i più vicini sono a 5-10 km di distanza verso Dubrovnik); è un’ottima base per visitare la città dalmata e per farsi dei giorni di mare appena sotto l’Arboretum, un giardino botanico risalente al 1500.

Seconda tappa è stata l’isola di Korcula in fondo alla penisola che parte da Ston a pochi chilometri da Dubrovnik. Per raggiungere l’isola basta arrivare in fondo alla penisola e prendere un traghetto per la città di Korcula (ce ne sono una ogni ora) che è una specie di piccola Dubrovnik altrettanto bella e candida. Per quanto riguarda il mare il consiglio è quello di prendere la strada verso Vela Luka (sul lato meridionale dell’isola all’estremità opposta rispetto a Korcula) passando per Cara, Smokvica e Brna fino ad arrivare a Prizba. Qui troverete tantissimi posti dove fermarvi, ma noi abbiamo scelto di girare a sinistra appena fuori la zona più turistica di Prizba, in corrispondenza dell’unico negozietto che troverete. In fondo alla strada troverete un ristorante/pensione chiamato Riva1 e gestito da Danny, un simpaticissimo australiano di origini croate e sua mamma. Noi abbiamo dormito lì e ci siamo tuffati da quelle parti, il resto dell’isola in macchina.

Terza tappa: l’isola di Vis. Per raggiungerla dovrete prendere il traghetto da Split (occhio che sono due ore di traghetto e una 70ina di euro per macchina e due persone), e arrivati alla città di Vis dovrete cercare un posto dove dormire (non che ci voglia molto considerato che tutte le strade insieme di Vis arrivano sì e no a 25-30 chilometri). Noi abbiamo preso la strada per Rukavac e Srbrena dove abbiamo trovato facilmente un posto dove dormire. Occhio che su Vis non ci sono campeggi né ostelli e dovrete accontentarvi (!) di mini appartamenti e/o pensioncine. Una volta trovato dove dormire la nostra routine è stata semplice: colazione a Komiza (la cittadina sul lato opposto di Vis, molto più accogliente e a misura d’uomo), 10 minuti di internet, mare a Srbrena la mattina e a Rukavac il pomeriggio, cena e aperitivo sulla veranda di casa. A Rukavac troverete anche due ristorantini abbastanza buoni: Il Dalmatino e Le Terrazze. Quest’ultimo è gestito da un croato di origine libica e dalla sua compagna che parla italiano, come per il resto la maggior parte della gente sulla costa dalmata (quelli che non parlano tedesco).

Buon Viaggio.

E se vi interessano dettagli o cose che non ho descritto con maggiore precisione sapete come trovarmi qui sul blog o in altre forme.

PS: tutti i nomi di luoghi e posti mancano dei caratteri speciali dell’alfabeto serbo/croato/bosniaco. Mi spiace, ma penso vi ci raccapezzerete lo stesso

Inter in Wonderland: la palla è quadrata

31 Agosto 2010 Commenti chiusi

Finita l’altalena emotiva e fisica di balzi e rimbalzi sul tappeto elastico, la banda degli eroi nerazzurri con il loro nuovo condottiero orizzontale si affaccia alla maratona della Serie di Oz (o quello che è diventata, che con tutti questi turbillons di nani e ballerine non ci si capisce un cazzo). Benny mette in campo la squadra in maniera simile alla prima amichevole della pre-season, con il Pelato e Marika in mezzo al campo, ma è costretto a variare le due fasce con i tandem Inossidabile-Pantera a destra e Crystal-Leone a sinistra.

Primo tempo che scorre bloccato: sarà il ritardo di condizione che non ci dà 90 minuti, sarà il peso della figura di merda rimediata venerdì, sarà quel che sarà, ma la squadra sembra imballata. Il Principe non è ancora lui, il Leone fa solo timidi tentativi di azzannare, l’Olandesina e Marika sono quelli che si mettono più in mostra. Le migliori occasioni sono degli avversari, arroccati nella loro metà campo in stile “fortezza medievale” con un modernissimo 9-1-1. Fortunatamente sparano fuori entrambe le chances, ma la palla si dimostrerà quadrata: la faccia mostrata nel lato occupato dai rossoblù nel secondo tempo è di fronte ai nostri eroi, e non ci sarà modo di girarla altrove. Solo per una decina di minuti del primo tempo, Ciccio rispolvera una tattica mourinhana: abbassa la squadra, per allungare il campo e aprire gli spazi NON gestendo il possesso palla: ne escono le uniche semioccasioni nerazzurre dei primi 45 minuti.

La compagine nerazzurra entra in campo nel secondo tempo con altro piglio. E mette sotto il Bologna. Marika continua la sontuosa partita, il Principe sembra ritrovarsi almeno per 10-15 minuti, l’Olandesina corre come un pazzo e finalmente Crystal fa quello che deve fare: correre lungo la fascia e creare la superiorità numerica (si dice così, no?). Appena questi meccanismi si oliano, il Bologna prende solo pallonate in faccia, in particolare sulle mani di Viviano che fa almeno tre interventi miracolosi, mentre sull’ultima deviazione di una punizione dell’Olandesina sfodera tutto il culo di cui dispone. Per quanto mi riguarda, dopo sta partita, che marcisse altri 3-4 anni a Bologna: non dico tanto, ma cazzo, non fare i miracoli contro la squadra di cui sei il terzo portiere!

Anche l’ingresso di Totò e dell’Iguana delle Banlieues (scelte da me sostanzialmente condivise e che mi fanno sperare che Ciccio inizi a orientarsi) non cambiano l’inerzia della partita, nonostante il match guerriero del Muro e dell’Orco, la superprestazione dell’Inossidabile nonostante i suoi 37 anni, e la buona prova complessiva.
Purtroppo la faccia del dado della sorte non volge al meglio e la partita termina a reti inviolate, un pareggio come gli esordi in campionato degli ultimi tre anni. Un pareggio che però mi lascia meno amaro in bocca di venerdì sera e qualche speranza in più. Certo, tutte energie buttate, dato che è già fuga per lo stellare Milan della fantasia e del bel calcio, il quale è predestinato a vincere con merito lo scudetto facendo 30 punti nelle prime dieci partite. Ricordatevelo! Tanto se non avete buona memoria ci penserà il circo del calcio televisivo a non farvelo scordare!

Supercoppa Nobilis: la differenza tra vincere e perdere

28 Agosto 2010 1 commento

Che fosse una giornata infausta per i colori nerazzurri si avvertiva durante tutta la fase prepartita: chi ha dormito male, chi si è svegliato con la schiena incriccata, chi nervoso, chi con i testicoli incrociati a x, chi con un nuovo varicocele, chi si è dimenticato delle sue più elementari regole di scaramanzia, ecc. ecc. La giornata è stata mesta, nuvolosa, ma non fresca, appiccicosa, con un cielo grigio che opprimeva tutta una città ricca, brutta e senza alcuna attrattiva, il cui simbolo è uno schema di rombi bianco rossi (i colori dei Colchoneros). Nonostante tutto questo però, lo stadio Louis II è pieno e tutti sperano in qualcosa che volga la giornata al meglio. Nell’ennesima impresa. Che non arriverà. Sfiga. O forse no. Forse solo la differenza tra vincere e perdere, tra vincenti e perdenti.

Ciccio Benny schiera in campo quasi la stessa formazione del Bernabeu e della Supercoppa Italiana. Eh, sì, perché da buono chef pensa di aggiungere quel paio di tocchi che possono trasformare un capolavoro gastronomico in una torta di merda: dentro il Drago al posto della Pantera e schieramento iniziale con un inguardabile 4-1-4-1 un po’ sghembo. Nei primi cinque minuti sbarelliamo e si torna all’ormai consueto 4-2-3-1. Seguono 15 minuti di vera Inter, in cui i nostri eroi si fanno onore.
Ma tra il ventesimo e il venticinquesimo del primo tempo la squadra inizia ad andare in anossia cerebrale e muscolare: non teniamo più una biglia, ogni passaggio di prima è una palla buttata via, gli avversari sono sempre i primi sul pallone. Sembra di vedere la gara di maggio, ma a parti invertite.

Il primo tempo termina meritatamente sullo 0-0, ma i segnali sono pessimi. Ciccio non cambia nulla nonostante palesemente ci siano parecchi giocatori che non ci stanno capendo un cazzo: Crystal in primis, il Pelato in secundis, il Drago sfiatato in terzis. Ma non solo loro.
Bisogna aspettare la cappella delle cappelle, a cui aggiunge la sua parte di colpa anche l’Acchiappasogni prendendo gol sul suo palo, per vedere una reazione sulla panchina. Dentro la Pantera e fuori Deki, ma nessun altro segno atto a scuotere la squadra. Che puntualmente segue il copione dei precedenti 30 minuti. Il secondo gol con fuga solitaria sulla fascia e il Colosso che sta a guardare da lontano (ah, chi diceva che non aveva più voglia di giocare con la nostra maglia forse non aveva tutti i torti, no?) mentre il colchonero la tocca in mezzo per El Kun tutto solo.
Per l’arrembaggio finale Ciccio si scompone: dentro Totò per l’Olandesina (in effetti in debito di ossigeno dopo aver corso come un ossesso e predicato nel deserto), e di nuovo nessuna variazione tattica di rielievo. Cambia poco. Quando al 45esimo Busacca ci concede un rigore che il Principe spara sul portiere con scarsa convinzione il destino è già segnato da tempo.
Riassaggiamo il sapore della sconfitta.

Ora, lo so che è un gioco infame, ma non si può esimersi dal farlo: tre mesi prima una squadra di undici uomini disposti a tutto ha giocato una finale con il coltello fra i denti e al top della condizione (raggiunta rischiando tutto in campionato), contro una squadra con la maglia a strisce biancorosse, con un condottiero che a ogni imperfezione saltava in aria gridando indicazioni e spronando la truppa, vincendo 2-0; tre mesi dopo gli stessi (o quasi, anche se è un quasi che pesa) uomini con 30 minuti scarsi nelle gambe (la preparazione atletica mica la programmo io, eh!) e senza palle hanno affrontato una squadra a strisce biancorosse, con un condottiero dallo sguardo bovino che ha assistito inerte a tutto il match senza riuscire a scuotere di un millimetro l’andamento della gara, perdendo 2-0. Il confronto è impietoso.
I due homini novi del ciclo nerazzurro che si va aprendo – Bancaleon e il suo protetto Ciccio Benny – si stanno giocando molto della propria credibilità e del proprio futuro. Sul fronte diretto dal primo le strategie hanno portato al momento a un totale flop o poco ci manca. Sul fronte del secondo il primo obiettivo importante della stagione è andato a ramengo, e dire che gli era stato servito su un piatto d’argento solo da cogliere e degustare. Le prime cartucce sono state buttate nel cesso. E con loro un buon 50% del credito disponibile presso la mia augusta persona e presso la maggior parte dei tifosi.
Nonostante questo è tempo di guardare avanti. Dopo tutto se non avessi postato stamattina tutto si sarebbe risolto per il meglio e molte delle parole dei paragrafi precedenti sarebbero ben diverse. Quindi se dovete lapidare qualcuno, quel qualcuno sono io. Non mi riesco a dare pace, pur con tutte le razionalizzazioni esposte sopra, del mio grossolano errore in ambito scaramantico. Dio perdona. Nero no. Neanche se stesso.

Supercoppa Ignobilis & Inter in wonderland 2010/2011: Il demone blanco, l’incontro con l’hombre horizontal e il quarto titulo

23 Agosto 2010 Commenti chiusi

E fu così che la compagine nerazzurra appena scesa dal palcoscenico del suo tri(3)pudio, proprio nel momento culminante delle proprie epiche imprese, non si avvide della trasformazione avvenuta nel proprio condottiero, della trappola che il crudele destino cinico e baro riserva a ogni eroe alla fine della propria saga, al fine di garantirne un sequel con adeguato ritorno economico. Erano mesi infatti che Gesù da Setubal combatteva contro il Potere corruttore del Demone Blanco e conclusa la sua opera magna, spossato nel corpo e nella mente, il Vate non poté che soccombere ai malefici artefici (alcuni lo chiamano vil danaro, ma tant’è) del demonio spagnolo nella cui magione aveva appena disputato la più importante partita nerazzurra dell’ultimo mezzo secolo.

I tri(3)plici eroi nerazzurri nulla potevano sospettare quando il loro comandante gli mostrò una scricchiolante sudicia porta anziché l’ingresso degli spogliatoi: si infilarono nell’antro oscuro senza alcun timore e fieri di quanto appena compiuto. Sulla soglia, come a guardia di un percorso ancora tutto da intraprendere, restarono il Colosso e l’ingrato Figliol Prodigo: mentre i loro compagni si addentravano nell’oscurità all’uno l’ormai perduto Vate offrì un calice di vino da sorseggiare insieme in una nuova avventura, all’altro uno sputo in faccia, tanto per chiarire. Il Colosso immobile sulla soglia tentennò fino a che i sentimenti (ok, non proprio i sentimenti, ma cominciano lo stesso con la esse) ebbero la meglio sul potere del serpente tentatore: voltò le spalle al mentore e si avviò verso la fine della fila indiana formata dai suoi compagni di squadra. Il Figliol Prodigo come sempre mostrò un ammirevole aplomb cominciando a sbraitare e a spaccare tutto quello che si trovava a portata di mano: per evitare che gli strepiti del disprezzato fuoriclasse mandassero a ramengo tutto il loro piano, le meringhe diaboliche si adoperarono per posizionare il giovane privo di senno su una catapulta in direzione Manciocity, la città dove divertirsi è più difficile che suicidarsi. Come contrappeso sulla catapulta, per far tornare il sorriso anche sul viso distorto dalle grida del fu Figliol Prodigo mononeuronico, un bel saccone di petroldollari, tanto cari anche al mecenate della spedizione nerazzurra così silenziato per tutta la vicenda da mercato del pesce in cui si stava trasformando l’epica impresa del suo club.

Quando i nostri paladini videro il ghigno del loro ormai ex condottiero chiudere l’uscio e farli piombare nel buio più totale seppero di non poter fare altro che continuare ad avanzare, senza macchia e senza paura, consci del loro valore e di poter superare ogni ostacolo. Seguirono quindi un oscuro e tortuoso cunicolo fino a un abisso tremendo e senza fine di fronte al quale si bloccarono meditabondi. Lungo la strada alla compagine si andavano sommando altri personaggi, alcuni con lode (Totò il Folletto, l’Iguana delle Banlieues), altri con infamia (il Fulmine Cieco di Tegucigalpa, la Foca Ammaestrata, il Reprobo Pancione), e altri ancora si sapevano ancora celarsi nell’oscurità guidati dallo Stregatto Nerazzurro, noto anche come il Direttore. Sull’orlo dell’Abisso tutti sapevano di non aver nulla per cui esitare: o l’andava o la spaccava. In entrambi i casi i cocci sarebbero stati nostri (dei tifosi, intendo): e fu così che i nostri eroi si lanciarono nel vuoto di una nuova avventura, sentendo l’aria strappata dai polmoni per la velocità della caduta, la pressione del buio sulla pelle e sui nervi, la tensione di ciò che sarebbe ancora dovuto accadere e che forse non sarebbe potuto accadere mai più.

All’atterraggio di tutta la compagnia pensò l’enorme panza dell’Hombre Horizontal, ampia e comoda come un paterno materasso, elastica come un trampolino: la compagine nerazzurra aveva incontrato il proprio nuovo condottiero, il gemello sconosciuto e sagace di Pinco Panco e Panco Pinco, Benny “Sancho Panza” Hill. Ed è dalla distesa morbida del suo ventre che comincia questa nuova annata di IIW.

Ben ritrovati?

L’euforia per aver evitato danni all’atterraggio sul fondo dell’abisso contagia rapidamente la ciurma nerazzurra che comincia a saltellare sul tappeto elastico adiposo dell’hombre horizontal come bambini appena arrivati al Luna Park. Purtroppo nessuno degli eroi si avvede che sotto i loro piedi sono nel frattempo entrati sul terreno di gioco i soliti teatranti giallorossi, che si rotolano sotto gli innocenti piedi dei tri(3)plici cavalieri del drago. Le novità in campo sono poche: il 4-2-3-1 di Benny presenta una difesa altissima, un gioco rischioso da fare se hai un terzino come Crystal che si fa tagliare fuori 4 volte dallo stesso movimento e due centrali non proprio sprinter; e davanti mi pare che gli automatismi siano ancora da ritrovare, complice anche una forma ancora in ritardo soprattutto per i giocatori più muscolari come il Principe. Ma tutto sommato Benny mantiene fede a quello che ha detto in conferenza: ha cercato di tenere di buono quello che l’Inter già faceva, e ha cercato di aggiungere qualche tocco personale.

Mentre i tifosi discettano di questi nobili argomenti la rometta picchia dentro un gol d’infilata sulle due mezze azioni imbastite, a dispetto del predominio nerazzurro. I nostri eroi cominciano le evoluzioni sui tappeti elastici e il terreno diventa un tritacarne di calcio: in pratica i giallorossi non rivedono più la biglia fino alla fine della partita, incassando tre reti che non diventano il doppio solo grazie alla misericordia dei nostri beneamati. Da segnalare il ferreo cipiglio del direttore di gara e dei responsabili dell’OP che come al solito solertemente hanno sospeso la partita dato il comportamento incivile del pubblico romanista al colmo della frustrazione: una sera come quella di una sfida diretta poteva essere un’ottima occasione per dimostrare con i fatti che si vuole risolvere il “problema stadi”. Ennesima figura debole, ma ci siamo abituati: i “problemi” meglio riempano le pagine di giornale, le soluzioni non interessano a nessuno.

La partita finisce in tripudio per il quarto titulo, non prima di aver rivisto in campo Adriano2, nel senso di un giocatore che pesa come due: e pensare che pensavamo che il Reprobo Pancione fosse il peggio in circolazione quanto a bulimia. Bene così. Se proprio vogliamo fare gli interisti: è evidente che la squadra ha dei margini di miglioramento e che il mercato da questo punto di vista potrebbe dire la sua. Ma per ora i tifosi mi sa che si dovranno contentare di essere satolli di premi e meno di entusiasmanti progettualità. Per quelle stiamo alla finestra.

Il segreto dei suoi occhi

9 Luglio 2010 10 commenti

 

Ieri finalmente dopo tipo un mese sono riuscito ad andare al cinema senza assilli e senza fretta, per vedere un film che avevo preso di mira da un annetto:  El segreto de sus ojos di Juan José Campanella, argentino vero, lui e il film. 

Tutti gli effetti speciali del film si esauriscono nella scena iniziale, ma già dimostrano la voglia disperimentare con il codice cinematografico senza strafare. Tentativo ampiamente riuscito con una pellicola tesa nella sua trama thriller e sospesa sulla passione degli uomini e delle donne. Il film è lungo, ma scorre piacevolmente fino alla fine, con una sorpresina a ogni svolta, toccando i sentimenti degli esseri umani, ciò che li spinge a fare quello che fanno e ad essere quello che sono, la storia dell’argentina e del resto del mondo, delineata con due tratti di dialogo, come si confà a un ottimo racconto che non vuole ammorbare il lettore, ma seminare il dubbio su ciò che è stato nella storia e che forse potrebbe tornare.

Su tutti è bello ricordare il personaggio di Pablo Sandoval, fantastico ubriacone fine e generoso conoscitore del cuore degli uomini, autore della miglior risposta telefonica in un ufficio pubblico di tutta l’Argentina: "Pronto, Banca del Seme, Ufficio Prestiti, desidera?"; e la fantastica scena nello stadio del Racing Club de Avellaneda (originario club di Diego Alberto El Principe Milito, ehehe) o i cinque minuti di monologo sulle differenti tipologie di coglioni presenti sulla Faccia della Terra. Campanella ha molta strada davanti, speriamo che decida di percorrerla tutta 🙂

Voto: 8,5

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L’ennesima alba della dittatura

11 Giugno 2010 4 commenti

 

La cosa ridicola del Paese-che-non-c’è è che quasi ogni giorno si assiste al drammatico annuncio dell’inizio della dittatura. Senza che questo cambi di una virgola le nostra indolenti e sciagurate abitudini. Come in altri tempi: cambia tutto perché non cambi nulla, nel Paese Inesistente, più che Paese Dimezzato. La legge ad personam sulle intercettazioni, mascherata da strumento dei paladini della privacy e in realtà ennesimo schiaffo a difesa dei soliti noti (per arrestare me le intercettazioni non servono, basta aspettare di farmi incazzare durante un corteo, <g>), è l’occasione per l’ennesimo grido d’allarme, che inevitabilmente sarà seguito dalla usuale afasia grassoccia. 

Intendiamoci: io penso seriamente che l’Italia da tempo sia entrata in un regime di democrazia ristretta, dato che sostanzialmente l’esistenza dell’uomo comune è sempre più in balia di decisioni arbitrarie di chiunque gestisca un minimo di potere (divisa o meno). Ma sono molto irritato da chi sventola la bandiera della rivolta con la sola intenzione di tirare acqua al proprio mulino e di difendere il proprio limitato orticello. Perché se questa è la logica, mi pare ovvio che l’orticello di moltissimi abitanti del Paese Inesistente non verrà granché intaccato dalle leggi e leggine di questa dittatura soft. E ne consegue quindi che nessuno si sognerà mai di ribellarsi.

Agli abitanti del Paese Inesistente manca la spina dorsale e la storia di popolo per avere a cuore un concetto relativamente semplice e allettante nella sua accezione pura come la democrazia. Siamo abituati ad arrangiarci e continuiamo ad arrangiarci, incuranti del fatto che l’unico motivo per cui ancora esistiamo sia da attribuire allo status demodé del colonialismo (inteso come invasione fisica) e alle necessità dell’euro di tenerci a galla.  

Più andiamo avanti e più mi auguro di vedere presto un finale simile all’inizio di The Road, fantastico film e fantastico libro, che tra le altre cose stava per non essere distribuito in quanto "troppo deprimente": come si sa il Paese Inesistente è un paese di persone felici, sia mai che qualcuno si accorga di non vivere per niente nel miglior luogo possibile, ma in un luogo in cui prevale l’egoismo, l’indifferenza, la disonestà, il campanilismo becero e provinciale, la miopia rispetto alla res pubblica. 

La verità è che non c’è bisogno di allarmi su allarmi, di parole su parole, ma di fatti. E se i fatti non arrivano, rassegnamoci al fatto che alle persone che ci circondano va bene così. Nessuno però mi rompa i coglioni quando sarà il/la protagonista negativa del prossimo sopruso. Se non prendi mai parola, non farlo neanche per piangere miseria.

 

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La storia non insegna

31 Maggio 2010 1 commento

 

Una notte. Una nave. Decine di uomini e donne che vogliono portare aiuto ad altri uomini e donne. Improvvisamente: spari, bombe, elicotteri, assalti, morti (per ora 19), feriti, un massacro. Uno sterminio. Luci ed esplosioni che squarciano il cielo. Grida e sangue innocente. I visi distorti dalla ferocia.
Non è il racconto dell’attacco notturno di una squadraccia contro i partigiani, o quello di un blitz delle SS per scovare ebrei nascosti in territorio tedesco. È la storia di quello che lo Stato di Israele ha appena compiuto contro una nave di aiuti umanitari diretta verso la Striscia di Gaza.
La Freedom Flotilla è stata assaltata e le persone a bordo massacrate. Le ultime di migliaia di vittime della foga omicida dello Stato di Israele.

Non è un videogame. Non è un incidente. È un atto premeditato di prepotente violenza per mandare un segnale a tutti coloro che non accettano la dittatura di Tel Aviv, che non accettano che milioni di persone siano rinchiuse da anni in un lager a cielo aperto. Senza cibo. Senza medicinali. Senza libertà.
Allo Stato di Israele e a molti dei suoi cittadini e sostenitori la storia non insegna nulla. Un terribile rovesciamento della storia in cui i protagonisti del più grande genocidio si rendono protagonisti a loro volta dell’oppressione e dello sterminio lento e inesorabile di un intero popolo.

La strage della Freedom Flotilla deve riportare Israele e i suoi sostenitori nella storia. E ognuno di noi deve agire perché non si torni più indietro. Torniamo a riempire le piazze. Torniamo a gridare il nostro dolore e la nostra rabbia. Torniamo a vivere la rivolta.

In ogni città. In ogni strada. In ogni quartiere.
Intifada.
Per non dimenticare tutte le vittime del regime israeliano.
Libertà per il popolo palestinese.

Il collettivo di A/I
autistici.org
inventati.org
noblogs.org

Aggiornamenti su: Italy Indymedia
Mobilitazioni: Forum Palestina

La Lega dei Citroni: il sogno più lungo, la notte più breve

24 Maggio 2010 7 commenti

 

E’ difficile decidere da dove cominciare a raccontare. Per noi nerazzurri nati negli anni settanta è l’epilogo di un sogno che pareva non dover giungere mai al suo culmine, un’esperienza ai confini dell’ossessione trasformata nella catarsi più totale di intere generazioni di tifosi. Mourlino lo sa e sa anche che le parole sono la forma più potente di magia: trasforma l’ansia in desiderio, la tensione in energia, gli uomini in guerrieri.

E’ difficile scegliere da dove cominciare. Per me tutto inizia con un viaggio di 17 ore alla volta di Madrid, un viaggio fatto di minuti lunghissimi che attraversano la notte di giovedì e la mattina di venerdì, un viaggio fatto di mezze frasi e di attenzioni morbose a ogni dettaglio, proprio come imposto dal vate di setubal, una odissea fatta di levigamenti del cavallo dei pantaloni e dei maglioni all’altezza del petto, fatto di cori improvvisati e di sagaci intuizioni, un percorso in cui il tuo compagno più fedele è una famiglia di marmotte che cercano repentinamente di infilarsi in ogni pertugio del tuo corpo per contagiarti con il terrore di cui sono alfieri.

E sai di non essere il solo: per le vie di Madrid scorgi Cambiasso sotto più travestimenti dell’ispettore Clouseau, alla ricerca di un’improbabile fuga, immagini – o forse no – Deki calarsi dalla stanza di albergo con una corda fatta di lenzuola e simulare il proprio rapimento. Anche gli eroi tradiscono una certa emozione. E la cosa non ti lascia proprio tranquillissimo. Anche la stregoneria di Mourlino ha i suoi limiti. Ma le ore corrono veloci, più veloci di quanto ti aspettassi. E in un attimo ti trovi a varcare l’ingresso del tempio, con lo stesso spirito con cui per milioni di anni gli esseri umani più umili hanno oltrepassato le soglie di luoghi sacri e terribili, il Santiago Bernabeu.

Sugli spalti ognuno reagisce come può: c’è chi ha passato la giornata a piangere, chi conta i secondi prima di prendere un altro respiro per non dimenticarsene, chi ostenta sicumera impalato come un citrone e ipnotizzato dal manto erboso perfetto, dalla scenografia di un teatro incredibile per una serata che non potrà mai dimenticare.

E poi c’è il fischio d’inizio. E improvvisamente il tempo muta, accelera, lasciandoti indietro senza fiato. Abituato a partite interminabili in cui snocciolare i minuti, ti ritrovi catapultato in una dimensione di immediatezza totale. Niente è come prima. Nulla conta. Nulla. Nel nulla due lampi, due battiti di ciglia, il Principe. Poi nuovamente l’ascesi, il vuoto che riempie la tua vita trascinandoti verso l’illuminazione, bodhisattva nerazzurro. Il triplice fischio arriva troppo in fretta. Non c’è neanche il tempo di pensare a cosa raccontare di quello che è successo sul rettangolo di gioco. Perché non conta nulla. Perché ciò che ti circonda è ormai superfluo, perché l’incantesimo dell’Illuminato portoghese ti ha fatto trascendere quanto di materiale sta intorno a te per trasformarti e trasformarsi in sogno, in molecole oniriche.

Qualcuno piange, qualcuno grida, qualcun altro ride a crepapelle. Il sogno è diventato realtà. Ciò che nessuno di noi credeva possibile è lì davanti ai tuoi occhi, ed è stato così repentino nel suo arrivo da rimpiangere ogni istante che lo ha preceduto, da odiare la tua natura caduca e umana che non ti ha fatto imprimere come ferro ardente nella carne ogni momento che ti ha accompagnato in questo anno incredibile.
Vivo l’ora e mezza di festeggiamenti nello stadio in stato di alterazione di coscienza: sono diventato una sola cosa con tutto lo stadio, con Madrid, con il mondo e con la natura, con gli uomini e con le donne intorno a me. Sono oltre me stesso. Non posso dire di essere emozionato. Sono trasceso, sono trasfigurato. Sono altro da quello che ero prima. Esco. Usciamo.

E la notte è troppo breve. E l’anima dell’uomo è troppo piccola per contenere la memoria delle emozioni di quanto è appena accaduto. Mi posiziono nel firmamento insieme a eroi nerazzurri e stelle passate presenti e future. E guardo verso un minuscolo immenso rettangolo verde circondato da una grande città. Mourlino si toglie i panni dello stregone e ritorna essere umano. L’incantesimo è finito. Anzi, è compiuto. Gli eroi nerazzurri smettono le fattezze fantastiche che li hanno mutati in leggenda e tornano ad abbracciare la loro umanità. Il cielo si riempie di grida, di urla, di metafisiche vesti. E da nero che è si stria lentamente di azzurro. Per sempre.

Sotto la luna crescente attraverso la città. E quando mi sveglio ho fatto altre 15 ore di auto, sono nel mio letto, ebbro e sfinito. Niente sarà più come prima. A terrible beauty is born.

"Cos these are the days of our lives
They’ve flown in the swiftness of time
These days are all gone now but some things remain
When I look and I find no change

Those were the days of our lives – yeah
The bad things in life were so few
Those days are all gone now but one things still true
When I look and I find

I still love you"

 

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Buone notizie con il contagocce

19 Maggio 2010 2 commenti

 

Le buone notizie, in questo scorcio di nuovo millennio, arrivano. Poche, con il contagocce, ma arrivano. Da mesi non mi interessavo più di cosa stava succedendo a Genova nei processi di appello per quanto successo durante il G8 del luglio 2001: dopo che ai 25 ragazzi usati come capro espiatorio per tutto quanto successo nelle strade di Zena erano stati confermati 100 e rotti anni di carcere, la voglia di combattere ancora nelle aule di tribunale era un po’ scemata… per dirla con un eufemismo.

Fortunatamente gli avvocati e compagni con cui  ho lavorato per anni ai processi di Genova non l’hanno data su, martellando senza demordere (chi più e con più merito, e chi meno). Proprio ieri chiacchieravo con una di loro e tra una cazzata e l’altra mi ha detto: "ah, stasera c’è la sentenza di appello per la Diaz". Dopo anni in cui ho dedicato quasi tutto il mio tempo a quei processi, mi è tornato tutto in mente: quella notte, quello che è successo, quello che ho fatto, quello che ho visto, e quello che è successo negli anni successivi. Le assoluzioni oltraggiose per le teste rotte e le vite distrutte, il ghigno arrogante e beffardo dei principali protagonisti e mandanti della spedizione punitiva al complesso scolastico Pascoli-Pertini (meglio nota come scuola Diaz). 

A distanza di quasi nove anni, finalmente, la sentenza d’appello restituisce un minimo di senso alla parola giustizia. Dei 27 imputati 25 sono stati condannati a pene per complessivi 100 e rotti anni. Soprattutto i capi dell’operazione alla scuola Diaz (Gratteri, Luperi e compagnia) tuttora vertici della polizia e dei servizi italiani hanno dovuto ingoiare un bel rospo. Ora finalmente lo sguardo di odio e di disprezzo che ho scambiato fuori dall’aula del tribunale con l’ex direttore dello SCO non potrà più trasformarsi in un’espressione beffarda di scontata impunità. Capiamoci: a loro non succederà nulla. Tra indulti, prescrizioni e cassazione non avranno certo nel curriculum una condanna da un punto di vista formale. Ma da un punto di vista storico e sostanziale, sarà difficile per questi personaggi ignorare questa sentenza e contemporaneamente addobbarsi del ruolo di uomini di legge e di giustizia. E questo per me vale poco, ma per loro vale tutto. 

Come al solito l’attuale leadership del nostro stato delle banane non manca di far capire la propria scala di valori: Maroni si affretta a dire che nonostante le condanne non verranno rimossi dai loro incarichi (d’altronde se il capo del governo rimane lì nonostante le prove di corruzione e di migliaia di altre nefandezze, perché dovrebbero dimettersi dei miseri poliziotti per quanto in alto nella scala gerarchica). E Cicchitto sbraita che i tribunali hanno accolto "le tesi più estremiste dei no-global". Peccato per Cicchitto che le nostre non siano tesi, ma la verità di quello che abbiamo visto, vissuto, sentito sulla nostra pelle. Che siano sensazioni estreme non ci piove. Che siano colpa nostra, è tutto da discutere. 

Ma non è nelle corde dell’antropologia italiana quella di guardare i fatti della storia e di affrontarli in maniera adulta. Molte cose non ci affliggerebbero ancora. E forse saremmo un paese e un popolo migliore di quello che dimostriamo di essere. Nonostante questo è difficile oggi non andare in giro con un sardonico ghigno sul volto ogni volta che incontro un omino in divisa.

Inter in Wonderland: Masters of Oz!

17 Maggio 2010 2 commenti

 

Carrellata. Il ghigno beffardo e sardonico dell’Acchiappasogni. Il viso plastico del Colosso, le sue smorfie post-ubriachezza. Il sorriso di Matrix. Gli occhi di ghiaccio del Muro. L’espressione scolpita nell’acciaio del Capitano. La faccia da schiaffi del Sindaco. L’ovale sereno del Pelato. Le fattezze gnomesche del folletto Olandese Volante. La concentrazione del Leone. Il broncio atteggiato del Figliol Prodigo. I lineamenti tiratissimi del Principe. E ancora. La testa segnata di Crystal. La marmotta nascosta nelle mutande del Drago. Il ciuffo di Kung-Fu Panda. La determinazione di ogni poro di pelle di Yahvé da Setubal, Mourlino.
I Dominatori della Serie di Oz possono tutto. E vogliono dimostrarlo sul campo nella cinquantacinquesima partita stagionale. Però cominciano male: sotto ritmo, passaggi vicinissimi e molto cauti, Siena in quindici dietro il pallone. Al ventesimo gli eroi nerazzurri cominciano a rullare l’avversario: traversa, palla fuori di un soffio, parate incredibili di Curci. La palla non entra. Sembra una di quelle partite lì. Le bestemmie fioccano.

 

 

Rientriamo in campo sapendo che la Roma è campione d’italia sul campo dei quasi clivensi. Continuiamo a rullare l’avversario: il Colosso si mangia un gol incredibile, altre parate di Curci. Poi si sveglia il Capitano d’Acciaio e inizia a correre più di tutti, più di gente con la metà dei suoi anni. All’ennesima percussione, serve in profondità il Principe che controlla, avanza, e d’esterno batte il portiere dei giallorossi bianconeri. Mourlino subito cambia: fuori il Figliol Prodigo per Kung-Fu Pandev; poi Crystal per il Sindaco autore di una partita modesta, forse deluso dal non esserci a Madrid; poi il Drago con una marmotta nel culo come sempre quando in campo devi metterci tutto quello che hai, al posto di un’Olandesina Volante un po’ sottotono. La squadra rincula per una decina di minuti, e i tifosi cominciano a soffrire: ma come? i dominatori di Oz che controllano un misero uno a zero? Ma buttatela dentro così stiamo tutti sereni, no?

No. Però con il passare dei minuti controlliamo la palla e rischiamo di raddoppiare. Soffriamo solo due occasioni propiziate da un vero romanista in campo: Rosi(ca), nomen omen. Quando dal novantesimo ci piazziamo a far trascorrere i minuti d’esperienza sulla bandierina so che è finita. Fino al triplice fischio di un ottimo Morganti (faccio mea culpa) e al grido liberatorio.

E’ il 18esimo scudetto. Il secondo titulo quest’anno. L’ennesimo di questo ciclo fantastico. Non si può descrivere quello che si prova quando si avvicina l’epilogo di un capitolo di una saga epica. Al tempo stesso senti una gioia immensa in fondo allo stomaco, proprio al centro del tuo corpo, e una leggerezza che non sapresti comprendere. La tensione ti abbandona e ti scopri di nuovo bambino, capace di una felicità incondizionata e incondizionabile. Tifare per gli eroi nerazzurri quest’anno ha voluto dire questo. Indipendentemente da quello che succederà nell’ultima, maledetta, cinquantaseiesima partita. E vincere questo titolo quest’anno è absolutamente fantastico, dopo tutto quello che hanno provato a fare per strapparcelo dalla maglia, e che ancora proveranno a fare quest’estate per farci tornare indietro come gamberi (noi come tutto il Paese peraltro), senza rendersi conto di quanto ridicoli siano e di quanto male stiano facendo anche a sé stessi e a tutto il calcio italiano, e di quanto ne hanno già fatto. Dopo i calendari ad squadram, dopo i regolamenti validi solo per l’Inter, dopo le minacce del sistema mafia-calcio italiano a Yahvé, dopo le malignità a senso unico, l’ipocrisia pelosa di chi per l’ennesimo anno non ha vinto un cazzo. Dopo tutto questo, contro tutto e tutti, la capolista è ancora nerazzurra. Un florilegio di esplosioni di fegato. Una goduria immensa. Dite quello che volete, ma per me, per noi, c’è solo l’Inter!

 

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