It’s a Bad Trip

26 Novembre 2006 3 commenti

Stamattina, come al solito, mi sono alzato presto. Dormire fino a tardi mi fa venire il mal di testa, da buon milanese ipercinetico. Torno dalla colazione e mi ritrovo un messaggio da un numero che non riconosco. Ieri me n'è arrivato uno che mi invitava a una festa con nani e ballerine che mi ha lasciato un po' perplesso, per cui ho pensato subito che qualcuno si era proprio segnato il mio numero sotto il nome del suo compagno/a di scorribande notturne. 

Invece mano a mano che leggo il messaggio mi rendo conto che non è un errore, ma che il messaggio è proprio per me. E' gomma, che mi scrive per dirmi che il Professor Bad Trip è morto.

Io non ho conosciuto molto il privato dello spezzino indiavolato che sta dietro lo pseudonimo, ma ho ammirato moltissimo i suoi disegni, e per me la sua impronta è stata una delle prime immagini collegate all'underground e alla partecipazione al mondo variopinto delle sottoculture milanesi e internazionali.

Novembre è il mese dei morti. Io ho un rapporto molto dignitoso con la mietitrice, da ateo e nichilista quale sono. Non riesco mai a soffrire per la morte in sè di qualcuno che lascia un immagine di incredibile potenza nel vuoto delle relazioni che non potranno più incontrarlo se non nei propri ricordi.  La morte è un problema dei vivi.

 

Prosegui la lettura…

Categorie:movimenti tellurici Tag:

E’ natale

23 Novembre 2006 8 commenti

E' natale, è tempo ri rispolverare le vecchie tradizioni e abitudini. No, non sto parlando dell'albero, tantomeno del presepe

Momento magico della giornata. Dei ragazzini in prima media mi chiedono, dopo l'ora di religione: "prof., per lei cos'è Dio?" Io posso con gioia rispondere: "Io sono ateo". "Cosa vuol dire?". "Che non credo nell'esistenza di Dio."

Il silenzio in aula è stato un momento bellissimo. 

Prosegui la lettura…

Categorie:General Tag:

Passiamo in Europa

23 Novembre 2006 Commenti chiusi

Entro al bar penelope dopo che è rimasto chiuso per mesi. Sono in ritardo perché ho insegnato in un corso linux e reti fino alle nove: entro nel bar e vedo Crespo che insacca, quasi che me lo facesse come un piacere personale. Del primo tempo quindi conosco solo gli ultimi minuti, passati dallo Sporting all'assalto della difesa nerazzurra che se la gestisce con disinvoltura (considerato anche il fatto che i portoghesi sono noti per il loro attaccanti inesistenti).

Nel secondo tempo l'Inter gestisce il risultato e mostra un gioco che io non ricordo da molti anni:  sicurezza, tranquillità, scambi veloci, organizzazione in campo, tutto per benino. Crespo gode di un intuito tattico ineguagliabile (sempre nel posto giusto quando la palla arriva), il centrocampo si trova a memoria, la difesa chiude ogni spazio nonostante le scarpate che i centrocampisti avanzati (in assenza di attaccanti si fa quel che si può….) dello Sporting rifilano a tutti quelli che si trovano a tiro. Ibrahimovic irride i portoghesi con giocate di un altro pianeta. 

Nella mia testa rimangono impresse due azioni (che potevano essere due gol senza problema): Ibra chiuso da tre sulla linea del fallo laterale, giochicchia per due minuti poi cucchiaio a scavalcarli tutti con palla che si appoggia sul piede di Vieira; scambio tutto di prima con Maicon e Crespo e stecca di Ibra che Ricardo para (quasi come il rigore degli Inglesi ihihihih!). Palla giocata in avanti da Grosso dopo un recupero, tacco a seguire di Stankovic verso Ibra, galoppata furente che si lascia dietro tutti, cross perfetto con Crespo che in scivolata non ci arriva per questioni di microsecondi. Chi se la ricorda un Inter tanto spigliata. Io no di certo (d'altronde negli anni sessanta non ero nato).

La partita però la dedichiamo al cuchu che finalmente rientra e subito sgroppa da centrocampo in avanti (peccato aver perso Dacourt che dava aggressività a tutto il centrocampo). Come dice giustamente la gazza, Inter a trazione argentina, che!

 

Prosegui la lettura…

Categorie:spalti e madonne Tag:

happiness is a warm gun

23 Novembre 2006 1 commento

Happiness is a warm gun
Happiness is a warm gun, momma
When I hold you in my arms
And I feel my finger on your trigger
I know nobody can do me no harm
Because happiness is a warm gun, momma
Happiness is a warm gun
-Yes it is.
Happiness is a warm, yes it is…
Gun!
Well don't ya know that happiness is a warm gun, momma?

Dedicato alla madre di Federico Aldrovandi e alla recente notizia (oggi sul Corriere) che l'ennesima perizia cerca di scagionare i 4 sbirri che hanno massacrato di botte suo figlio e che si nascondo dietro un possibile arresto respiratorio.

Prosegui la lettura…

Categorie:oscuro scrutare Tag:

La vera storia delle origini di indymedia italia

20 Novembre 2006 6 commenti

Pre scriptum: da molto tempo voglio scrivere una cronaca autonarrata dei due pezzi di movimento che io ho vissuto più intensamente negli ultimi dieci anni; da un lato l'evoluzione del connubio tra hacking e spazi sociali, dall'altro la soggettività che è emersa a cavallo della fine degli anni 90 e del nuovo millennio, e che ha profondamente innovato le forme del fare politica, pur perdendosi nel suo epilogo nel ricalcare le forme tradizionali della fine della politica 🙂 Un giorno lo farò. Questo consideratelo un assaggio, funzionale al ragionamento che sto sviluppando sulla crisi di indymedia, ormai finalmente conclamata.

Pre scriptum paraculo: questa narrazione è totalmente soggettiva e sicuramente altri occhi e orecchie l'avranno vissuta diversamente. Inoltre non è mia intenzione (mi pare di aver capito che qualcuno abbia interpretato così il mio ultimo post) assolvere o condannare alcunchi, dato che penso che i processo complessi di movimenti e politica siano tutt'altro che questione morale in cui individuare colpevoli e innocenti. Un processo non si conclude né inizia con un evento, ma un evento può essere parte di un processo complesso e ramificato, in cui può anche giocare un ruolo, se si vuole anche solo di immaginario, molto importante.

C'era una volta…..

Nel giugno del 2000 erano già successe alcune cose fondamentali per delineare il panorama di movimento che stava rapidamente cambiando pelle: a Seattle nel novembre del 1999 si era visto qualcosa che non si vedeva da anni, il blocco di un vertice internazionale ad opera di una accozzaglia di attivisti dagli approcci più diversi; era nato il cosiddetto "popolo di Seattle", la diversity of tactics, il summit-hopping,  e via dicendo. In Italia c'erano gli scettici (di professione, come me, e occasionali) e gli entusiasti (di professione, come Bifo, e dilettanti). Intanto c'era stata la Carta di Milano e la nascita delle tute bianche, prima simbolo usa e getta aperto a tutti, poi uniforme di un certo gruppo di centri sociali che si andranno via via definendo più come area che come pratica aperta, anche grazie all'alternativa praticamente inesistente (l'autonomia di classe di fine anni 90 aveva ed ha il sex-appeal di un tonno morto). Nel giugno del 2000 le tute bianche avevano già mostrato come intendessero interpretare la triade rappresentazione/conflitto/immaginario (sulle valutazioni in merito servirebbero circa 76 volumi a parte): Ponte Galeria era stato seguito dagli scontri di via Corelli (genuini per alcuni dei protagonisti, arrangiati per altri dei protagonisti, rivelatori per i più furbi dei primi e per i più cinici dei secondi), e dalla pagliacciata di MobiliTebio.

Prima del giugno 2000, però, succedono cose importantissime per quanto riguarda la comunicazione e gli strumenti digitali: a Seattle nasce indymedia, una rete di attivisti che pretende di autogestire in maniera aperta e partecipata la produzione di informazione circa gli eventi di movimento. E' un progetto fortemente innovatore, e immediatamente prende piede grazie sia agli eventi di Seattle che al suo potenziale. Intanto in Italia esplode il fenomeno degli hacklab e dell'hackmeeting: il lavoro degli anni 90 di ecn.org e di Decoder produce l'incontro tra politica e tecnologie digitali, trascinando nell'onda un sacco di entusiasti (come me), di esperti, e di compagni/e. Dopo l'hackmeeting98 la comunità si allarga, entrano in scena un sacco di pischelli e in due anni, oltre a rendere l'hackit una data irrinunciabile dell'agenda politica e techno-savvy italiana, si sviluppa una rete incredibile di collettivi, gruppetti, individui che si conoscono, che si stimano, si fidano delle cose che si fanno, e che condividono almeno i principi di base del senso che ha occuparsi di tecnologie, di società e di politica. Nascono e crescono gli hacklab, l'hackmeeting diventa un evento da imitare (in Spagna ci replicano da vicino :), nasce la necessità di autogestire la propria comunicazione al di là delle prime esperienze di tmcrew, ecn, decoder. In pratica si sviluppa una comunità molto solida, antiautoritaria, eterodossa, e decisamente ostile alle egemonie politiciste delle aree più in vista del movimento. 

Nel giugno 2000 void e devmat decidono di usare il logo di indymedia come uno specchietto per le allodole durante le mobilitazioni contro l'OCSE di Bologna, ennesimo passaggio del tour cominciato con i CPT e passato per Mobilitebio. Indymedia italia nasce così, come giochino da dare in pasto ai media al fine di dare visibilità alle mobilitazioni. Ai tempi non esisteva il process per diventare un nodo locale di indymedia, e il tutto si basava sulle buone relazioni con chi si era inventato indy a Seattle. Devmat, globetrotter del movimento all'epoca, aveva le relazioni, void il know-how tecnico. 

Dopo giugno 2000, il giochino indy rimane un po' in sordina, mentre cresce lo sforzo fatto da alcuni ignoti che documentano in presa diretta le mobilitazioni: il sito degli sgamati diventa un punto fermo dell'informazione indipendente tanto quanto ecn o tmcrew. Indy ancora non se la cagano in molti, rimasta una lampadina molto luminosa, usata per quel che poteva dare: il brand.

Ma durante l'estate succede una cosa curiosa:  un gruppetto di persone provenienti da vari hacklab e da alcune esperienza telematiche (i suddetti sgamati, hacklab FI, LOA hacklab MI, Underscore TO, altri sparsi) si ritrovano in quel del nuovo Bulk (occupato proprio a Capodanno) insieme a Void. L'argomento è indy e il suo uso potenziale. Il gruppo che si ritrova è eterogeneo: si era giovani e ingenui, ma onesti nella voglia di fare e nel desiderio di creare uno strumento utile per tutti. Ammetto che forse non per tutti era chiaro il passaggio che stavamo compiendo, ma perlomeno una buona parte lo sapeva. Guardandolo in retrospettiva è stata una mossa di entrismo che più trotzkista non si può, ma nessuno dei presenti era trotzkista, né aveva la malizia con cui si fanno più avanti negli anni queste mosse. Per molti era semplicemente uno spreco che uno strumenot così potente fosse usato come puro e semplice brand: c'erano un sacco di cose migliori per cui usarlo!

Così chi era al Bulk quel giorno decise di entrare nella lista di gestione di indymedia e di iniziare a usarla per quello per cui serviva di più: creare un nuovo media dal basso di informazione, un canale potente, libero, aperto. La forza di chi era lì quel giorno, era il sentirsi una comunità, sentire molto denso il rapporto di fiducia con gli altri, a prescindere dalle differenze politiche. Ed è con questa forza che un gruppo di smandruppati si prese indymedia italia e lo trasformò a propria immagine e somiglianza. Difetti inclusi.

Da lì in poi la storia è nota: l'ultimo esperimento misto sgamati/indy per Praga 2000, la preparazione di Genova, la crescita di partecipazione e l'imposizione della logica antiegemonica e libertaria, l'aumento di visibilità del 2001-2002, la crisi nel momento in cui quella comunità che si credeva forte ha iniziato a dubitare di sè stessa, trascinata nei drammi ridicoli della Politica di movimento. Da lì in poi molti la vedono in maniera diversa, ma pochi si ricordano di come è cominciato il "periodo d'oro" di indy, quel momento in cui credevamo di costruire qualcosa di intrinsecamente diverso, mentre eravamo noi ad essere diversi dal resto del politicume.

Una breve parabola

Il retroscena pseudotrotzkista della fondazione di indymedia e del suo overtake mi serve per cercare di chiarire quello di cui ho già parlato nel mio precedente post, ovvero delle modalità della politica. 

All'epoca dell'incontro al Bulk ammetto che probabilmente non tutti la vedevano come la si può facilmente vedere oggi in prospettiva, ma molti di noi non avevano dubbi sul fatto che quello che stessimo facendo fosse un legittimo atto di sostegno a una certa opzione politica: cercare di creare un movimento che fosse quanto più libero possibile dalle egemonie, che fosse capace di liberarsi dei molossi ortodossi e politicisti che ne appestavano i modi di fare, che fosse legato ai territori sia locali che globali, che fosse più giovane e ingenuo, senza per questo risultare superficiale nell'approccio ai problemi. La nostra opzione passava per il controllo di uno strumento che in mano di qualsiasi egemonia avrebbe soffocato ogni possibilità rinnovatrice. E Genova, con tutto quello che vi è avvenuto, con tutti i deliri tra indy e disobbedienti, tra indy e bb, tra indy e chiunque, è lì a rappresentare che indy era l'unico snodo possibile di un movimento eterogeneo e che non abbandonasse mai i paletti fondamentali di un approccio radicale ai problemi politici, di un rifiuto dell'autorità, di un sostegno costante dei principi di solidarietà e uguale dignità delle ipotesi politiche, per lo meno di fronte agli strumenti di comunicazione.

Quello che è mancato da 3 anni a questa parte a indy (non da Torino, così nessuno fraintende) è stata l'opzione politica. Nessuno è stato in grado di rigenerare quell'amalgama di relazioni, immaginario, obiettivi politici che fosse in grado di ricostruire un senso del comune all'interno della molteplice comunità di indymedia. Ed è senza questa opzione che non si può porre fine ad una crisi o trovare una soluzione, perché per definizione una soluzione consegue all'individuazione del problema, e la definizione di problema dal punto di vista con cui guardi una situazione. Non si cambiano gli strumenti a caso, non si buttano li' soluzioni tecniche o politiche che non sono altro che una pezza (a meno che non lo si faccia consapevoli che sono solo una pezza). Si immagina qualcosa, vi si costruisce intorno un obiettivo politico, e POI si definisce lo strumento che serve per quella opzione. Altrimenti si sta giocando. 

A Torino il copione è stato lo stesso, nell'assemblea di indy, ed è questo che ho cercato di evidenziare sia quando ne ho parlato a latere con le persone al meeting, che nel mio post precedente. Fa male ma è così, senza idee non si costruisce nulla se non l'ennesimo luogo inconcludente e privo di interesse. E non c'entra nulla mistificare il senso di fare politica con "i modi vecchi" o "i modi nuovi": fare politica significa creare le condizioni per cui una certa opzione possa esistere e realizzarsi, il resto si chiama oratorio, ma è un capitolo totalmente diverso dell'enciclopedia della vita. Indymedia quando è cominciata era un progetto strumentale a un'opzione politica molto definita, e per questo molti la avversavano, perché ne intuivano la pericolosità. Si può spingere una certa opzione politica anche in modi innovativi, aperti, antiautoritari, eterodossi, ma se si vuole rimanere nell'alveo del fare politica una idea si deve pur averla.

 

Prosegui la lettura…

Categorie:movimenti tellurici Tag:

Indymedia, la politica e l’horror vacui

20 Novembre 2006 13 commenti

Questo weekend, senza avere molto altro da fare se non seguire la capolista, ho deciso di andare a vedere che aria tirava al meeting di indymedia italia, preannunciato come "il meeting della crisi". Io ho partecipato al percorso di indymedia sia a livello italiano che a livello internazionale dal 2000 fino al 2003-2004. Ne sono stato di fatto l'unico referente tecnico per 3 anni, fino a che non mi sono stancato di un progetto che solo a parole era collettivo e elaborato in comune, e in pratica nascondeva l'inadeguatezza della comunità che lo sosteneva dietro lo sforzo individuali di pochissimi.

Non è questo il luogo e il momento per dire dove e quando indymedia ha cessato di essere interessante se non come bacheca virtuale, né per approfondire i motivi di questo calo di significatività (legato si potrà facilmente intuire al collasso di quella comunità eterogenea e antiegemonica che ha sostenuto lo sviluppo del progetto fino al 2002-2003, Genova inclusa), ma alcune cose mi sento di dirle, dopo aver osservato lo spettacolo pietoso di un'assemblea che di politico non aveva nulla, preda dell'horror vacui generalizzato e dell'incapacità di individuare i problemi reali dall'altra.  Di fronte a questo atteggiamento non si può che comprendere come possano saltare fuori report così poveri e articoli di giornale così centrati (per quanto  inclementi con i pochi che un po' ci provano).

Quando indymedia è nata, la comunità che vi ha investito tempi ed energie, lo ha fatto con in mente una certa opzione politica, a cui plasmare lo strumento che aveva tante potenzialità. Quando ero un pischello alle prime esperienze politiche non mi ci è voluto molto per capire che la politica non si fa a caso, e che le cose non avvengono per grazia ricevuta, ma perché qualcuno si fa un culo a capanna con in mente qualcosa per sostenerle.

L'assemblea di questo week-end a Torino è stata il contrario di tutto ciò. Tutti o quasi i presenti erano esclusivamente in paranoia per la decisione di chi ha garantito banda (e server, dato che indymedia italia non ha un vero referente tecnico dal 2004) di non offrirla più, persi nel vuoto cosmico dell'ignoranza su come funzionava il giochino che si è usato finora, di quanto e quando si poteva intervenire per salvarlo, e del suo valore sia storico che politico. Mi è sembrato di vedere, e lo dico con una tristezza infinita perché alcune delle persone presenti per la loro intelligenza e il loro impegno non lo meritano,  un pollaio durante un eclissi. Se non fossimo homo sapiens non porrei il problema.

Il problema non è che xxxx ha tagliato la banda, o che indy ha troppi commenti idioti, o che è uno strumento relativamente obsoleto, o che il codice è sporco, o che consuma troppa banda. Il problema è che chi se la sta bancando non ha un'idea, non sa quello che vuole, né di conseguenza è in grado di imporsi perché succeda quello che vuole, e dulcis in fundo non è disponibile a impegnarsi per ottenere quello che vuole (sempre che riesca a capire che cosa sia). Quando abbiamo reso indy quello che è ora, diverse persone vi hanno dedicato tutto il loro tempo e la loro intelligenza, non si sono lanciati in un paio di settimane di passione per poi passare a bersi una birra al pub per il resto della loro vita appagati di quello che hanno provato a fare senza nessuna sostanza. 

Per me fare politica significa avere un'idea, comporre un'opzione politica e poi costruire le condizioni perché questa opzione prevalga o abbia le gambe per vivere (non sopravvivere, per pietà!). Nell'assemblea di questo week end (per inciso la prima dopo due anni quando alcuni soliti noti si imposero per sovrastare  il rumore degli ignavi che protagonizzano il forum e le polemiche), nessuno aveva un'idea, e tutti sono passati direttamente a proporre soluzioni che non sapevano dove sarebbero finite, preoccupati solo di chiudere la magagna oppure di combattere l'horror vacui che restare senza indymedia ispirava loro. Una sola persona ha detto con tranquillità e sicurezza: ormai indy è una bacheca, nulla di più e nulla di meno, ma non è poco e io vorrei che pensassimo le soluzioni per renderla la bacheca migliore possibile.

Questa è stata l'unica proposta costruita politicamente in maniera dignitosa: opzione politica, strumenti per realizzarla, decisioni conseguenti. Tutto il resto è stato chiasso, paura di perdere i punti di riferimento, nostalgia, scarsità di orizzonti. Io sono stato zitto perché non avevo intenzione di essere anybody's saviour, ma lo spettacolo è stato onestamente desolante. Chiudere indy e rifare il process è burocraticamente corretto ma non porterà a nulla se non a un immobilismo colmo di panico e privo di idee che non siano già per strada altrove. L'unico valore in questo momento di indymedia italia era il brand e il numero di visite: una bacheca inestimabile per quanto politicamente priva di un progetto (contrariamente a quello che è avvenuto in passato), ma tuttavia uno strumento utile. Io avrei ammesso che nessuno aveva un'opzione politica migliore di questa base molto povera, e l'avrei perseguita, anziché rimandare all'ennesima lista, all'ennesimo process, all'ennesima coda di polemiche, l'ammissione del limite di una comunità ormai defunta (a cui non si può e non si deve negare il merito di quanto ha fatto in passato). 

PS: le soluzioni sono semplici una volta individuata l'ipotesi che si vuole seguire e sostenere, e si possono fare anche le forzature più allucinanti quando si sa cosa si vuole e si è disposti a difenderlo. Per una buona bacheca, bastava spostare tutti i commenti nel forum (o trasformare la tabellina in un semplice link), annullare la colonna centrale se non con post promossi dal newswire (così non servono più liste editoriali diventate ormai piccoli ghetti felici o infelici a seconda dei casi), eventualmente preparare un po' di view diversificate per tipologia di post. Ogni altra opzione ha soluzioni altrettanto banali (roba da un pomeriggio di codice), ma il problema è sapere cosa si vuole e poi capire come ottenerlo.

Non sai quello che vuoi, non riuscirai ad averlo.

E' una questione di qualità, o una formalità, non ricordo più bene.

 

 

Prosegui la lettura…

Categorie:movimenti tellurici Tag:

Si soffre per essere primi

19 Novembre 2006 Commenti chiusi

Entriamo in campo con in testa il gol al fotofinish di Pepe al Palermo, che ci mette in poleposition per mettere in cassaforte il primo posto in classifica (quantomeno per il momento). Io conosco l'Inter da quando ero nella pancia di mia madre che esponeva striscioni pro Beccalossi allo stadio, per cui me lo sento che sarà una partita di merda, sofferta e con l'acqua alla gola. Non mi sbaglio.

La Reggina entra in campo disposta a tutto e con Bianchi vicecapocannoniere. L'Inter entra in campo senza Ibrahimovic e con il complesso del primato, per il quale abbiamo quasi pudore di essere primi in classifica. Meno male che c'è valdanito che la spara dentro al 4' e mi fa quasi dubitare delle mie previsioni. Dopo il 10' del primo tempo i nerazzurri scompaiono, dopo un numero di Figo e uno di Solari che lascia a bocca aperta. Non imbrocchiamo più un passaggio a centrocampo neanche senza avversari e facciamo sembrare gli esterni della Reggina due fuoriclasse. Ci mettono sotto e prima di andare al riposo centrano un palo al rallentatore con Julio Cesar battuto. Al 46' p.t. il portiere che si autocelebra pari a Taffarel quasi si prende un gol ridicolo lasciando rimbalzare la palla alta e tenendola per un pelo al di là della linea di porta.

Rientriamo nel secondo tempo che non cambia un cazzo. Quando Cruz incoccia su un difensore della Reggina e non riesce a riprendere a camminare dalla botta, lasciando il posto sul campo ad Adriano, so che saranno 40 minuti di sofferenza. A buon interista non si può mentire, infatti soffriamo contro la Reggina, al Meazza. Roba da suicidarsi se non fossimo sull'1-0. Al 32' la vista del guardalinee ci salva la vita quando nota che la deviazione di Bianchi è in fuorigioco. Uno spererebbe che  la cosa faccia svegliare un po' l'Inter, che invece gioca di rimessa imbroccando in effetti 4 contropiedi che se ci fosse stato un giocatore anzichè un anonimo ricco rincoglionito brasiliano sarebbero stati 4 gol fatti. Nonostante tutto l'arbitro fischia la fine e siamo a 30 punti, +3 sul Palermo prossimo avversario, +4 sulla Roma, e soprattutto +22 sul Milan. La juve poi pareggia con l'Albinoleffe, il che la dice lunga su quanti punti la separino da noi.

 

Prosegui la lettura…

Categorie:spalti e madonne Tag:

Via Adda Non Si Cancella (dalla memoria collettiva)

17 Novembre 2006 Commenti chiusi

Via Adda a Milano è una stradina tra la zona centrale e il quartiere isola, una vietta insignificante se non per il fatto di aver ospitato per decenni una delle ultime case di ringhiera della zona, negli ultimi anni casa a 300 e passa rom. Per mesi e mesi la grancassa della propaganda dell'amministrazione comunale ha usato via Adda come spauracchio per tutti i cittadini "civili democratici e ben educati", è stato per Albertini il simbolo della Milano che lui voleva distruggere per darla in mano alle persone per bene. Per chi conosceva dall'interno quel luogo, una volta superata la barriera di diffidenza che ci divide sempre da chi vive a lungo sulla strada, via Adda era un luogo di feste folli e di umanità, un aggregato di violento sentimento, di insofferenza alla vita civile che tanto decantiamo nella nostra opulenza.

Il primo aprile 2004, dopo diversi tentativi andati a vuoto per la durezza dello scontro profilato dai rom, la Questura riesce a farsi autorizzare l'uso di un numero spropositato di sbirri: 700 omini in blu si presentano a portare via 300 rom, dopo una settimana di editoriali e articoli fuoco e fiamme da parte di tutta la stampa cittadina, con la solidarietà solo di quei soggetti del movimento milanese che individuano la radicalità nell'insofferenza, oltre che nella capacità di espressione di innovazione politica. 

L'operazione dello sgombero è una vera e propria opera di propaganda e riconquista culturale della città, colpita e sommersa dal ribollire dell'indisponibilità a subire sempre e a compiacere i datori di lavoro e quelli che ci affamano ogni giorno: il primo dicembre 2003 i lavoratori dell'ATM erano entrati in sciopero selvaggio senza preavviso mettendo in ginocchio la città e costringendola ad ascoltare, solidale un po' controvoglia, le loro necessità. Le autorità cittadine e i benpensanti giocarono all'epoca subito la carta dell'eccesso, della maleducazione, del "certo hanno ragione, ma non si può fare così", della divisione tra lavoratori ordinati e sottomessi che ottengono qualche contentino e lavoratori indisciplinati e esigenti che verranno repressi. Non funzionò. Un rospo che non si poteva mandare giù nell'avamposto della ridefinizione culturale dell'Italia come Milano, nel fulcro economico e borghese della Nuova Italia proiettata verso il futuro. 

Come se non bastasse, una settimana dopo i vigili del fuoco replicarono con uno sciopero duro e dai toni decisamente vicini ai lavoratori ATM e alla masnada di pazzi che per giorni si presentava all'alba nelle caserme e nei depositi di tram e bus con thermos e biscotti. Uno sgarro di solidarietà che vede nell'epilogo di via Adda una punzione esemplare: il Comune costringe i vigili del fuoco a prendere parte allo sgombero (non senza aver ricevuto diversi rifiuti prima di trovare un equipaggio disponibile) e i 300 rom (di cui 150 rimpatriati al volo, con una pletora di famiglie distrutte senza alcuna remora) vengono portati all'aeroporto di Verona con gli autobus dell'Azienda Milanese Trasporti.

La città si riconcilia sotto l'egida del razzismo e dell'intolleranza, con il placet della democrazia civile ma ferma (leggi violenta nei confronti di chi non accetta passivamente e supinamente le sue regole di sopraffazione economica).

Oggi, 17 novembre 2006, più di due anni e mezzo dopo, hanno cominciato a demolire l'area di via Adda, un luogo che per chi ha vissuto questi anni le stagioni di movimento e mobilitazione rimane un simbolo dell'inizio e della fine di uno dei pochi momenti di solidarietà a Milano, senza se e senza ma. Chi sta dall'altra parte della barricata, inesorabile, dopo aver usato via Adda come simbolo del ritorno della prodiga Milano nell'alveo delle città pacificate, abbatte la sua casa di ringhiera per cancellare la memoria di un piccolo sogno di resistenza e di follia.  

A futura memoria, ripubblico il video prodotto in quei giorni da una Reload Video Crew che ancora sapeva esprimere senso politico: 20040401_sgombero_via_adda.avi

Prosegui la lettura…

Categorie:movimenti tellurici Tag:

50 anni sperando di non vederli mai

17 Novembre 2006 Commenti chiusi

Il New Scientist ha chiesto una previsione a 70 scienziati di spicco in tutto il mondo. I risultati li trovate ordinati per categorie. La nostra più viva speranza è ovviamente quella che non arrivino mai altri 50 anni con la specie Homo Sapiens ancora in giro, l'estinzione è una prospettiva molto più interessante.

Prosegui la lettura…

Categorie:conscienza Tag:

Here comes the bastards!

17 Novembre 2006 Commenti chiusi

Con i percorsi di chainworkers, serpicanaro, imbattibili, san precario, ecc ormai da almeno un paio d'anni andiamo raffinando la teoria pratica del media sociale: per mesi abbiamo riflettutto su quello che siamo riusciti a fare in questi ultimi anni e abbiamo cercato di sistematizzarne senso e possibili indicazioni di prassi politica. Il tutto ha trovato un elemento di forte convergenza nel concetto di media sociale, ovvero di quel dispositivo relazionale e politico capace di trasformare gli atti degli individui in potenti elementi di comunicazione (nel senso più primigeno di creazione di comunità).

Non c'è da stupirsi quindi se di fronte alla nostra incapacità di dare una visibilità coerente e pubblica di tutti questi ragionamenti, i teorici del social networking, pionieri di un capitalismo dal volto nuovo, aperto, pulito, amichevole, ma non meno dedito a sfruttare ogni cosa e ogni persona per il solo desiderio di trarne profitto, abbiano cominciato a propagandare la loro definizione di media sociale

Le parole hanno un peso e la capacità di universalizzarle e di renderle moneta corrente nasconde un potere quasi mistico di determinazione della realtà: se penso che nel 1999 nessuno si definiva precario e quindi il problema strutturale della rivoluzione del mercato del lavoro non veniva minimamente preso in considerazione politicamente, e che dopo due anni di mayday nel 2002, la parola precario era ormai parte del vocabolario degli italiani, mi accorgo di quanta potenza abbiano espresso le parade in quanto media sociale.

L'idea mainstream del media sociale è quella di una rete di relazioni inefficaci dal punto di vista politiche, confinate all'interno della sfera del consumo e della fruizione, in cui il massimo della potenzialità sociale si esprime in superficiali e insulse catene di link incrociati e di sorrisini beoti. Un media sociale, un network sociale, come può essere un business model alternativo capace di generare mostruose entrate, può anche essere un dispositivo politico dalle potenzialità immense, in grado di imporre la volontà e il desiderio dei molti sull'interesse dei pochi. Il trucco è crederci e lavorare in modo da poter costruire reti sociali in grado di produrre senso politico e conflitto. Ci siamo già riusciti alcune volte (Serpica Naro uber alles), e lo si può fare ancora, se se ne sente il bisogno.

Here they come
Here come the bastards
I heard it from a confidant –
Who heard it form a confidant
They're definitely on their way

Prosegui la lettura…

Categorie:movimenti tellurici Tag: