Pre scriptum: da molto tempo voglio scrivere una cronaca autonarrata dei due pezzi di movimento che io ho vissuto più intensamente negli ultimi dieci anni; da un lato l'evoluzione del connubio tra hacking e spazi sociali, dall'altro la soggettività che è emersa a cavallo della fine degli anni 90 e del nuovo millennio, e che ha profondamente innovato le forme del fare politica, pur perdendosi nel suo epilogo nel ricalcare le forme tradizionali della fine della politica 🙂 Un giorno lo farò. Questo consideratelo un assaggio, funzionale al ragionamento che sto sviluppando sulla crisi di indymedia, ormai finalmente conclamata.
Pre scriptum paraculo: questa narrazione è totalmente soggettiva e sicuramente altri occhi e orecchie l'avranno vissuta diversamente. Inoltre non è mia intenzione (mi pare di aver capito che qualcuno abbia interpretato così il mio ultimo post) assolvere o condannare alcunchi, dato che penso che i processo complessi di movimenti e politica siano tutt'altro che questione morale in cui individuare colpevoli e innocenti. Un processo non si conclude né inizia con un evento, ma un evento può essere parte di un processo complesso e ramificato, in cui può anche giocare un ruolo, se si vuole anche solo di immaginario, molto importante.
C'era una volta…..
Nel giugno del 2000 erano già successe alcune cose fondamentali per delineare il panorama di movimento che stava rapidamente cambiando pelle: a Seattle nel novembre del 1999 si era visto qualcosa che non si vedeva da anni, il blocco di un vertice internazionale ad opera di una accozzaglia di attivisti dagli approcci più diversi; era nato il cosiddetto "popolo di Seattle", la diversity of tactics, il summit-hopping, e via dicendo. In Italia c'erano gli scettici (di professione, come me, e occasionali) e gli entusiasti (di professione, come Bifo, e dilettanti). Intanto c'era stata la Carta di Milano e la nascita delle tute bianche, prima simbolo usa e getta aperto a tutti, poi uniforme di un certo gruppo di centri sociali che si andranno via via definendo più come area che come pratica aperta, anche grazie all'alternativa praticamente inesistente (l'autonomia di classe di fine anni 90 aveva ed ha il sex-appeal di un tonno morto). Nel giugno del 2000 le tute bianche avevano già mostrato come intendessero interpretare la triade rappresentazione/conflitto/immaginario (sulle valutazioni in merito servirebbero circa 76 volumi a parte): Ponte Galeria era stato seguito dagli scontri di via Corelli (genuini per alcuni dei protagonisti, arrangiati per altri dei protagonisti, rivelatori per i più furbi dei primi e per i più cinici dei secondi), e dalla pagliacciata di MobiliTebio.
Prima del giugno 2000, però, succedono cose importantissime per quanto riguarda la comunicazione e gli strumenti digitali: a Seattle nasce indymedia, una rete di attivisti che pretende di autogestire in maniera aperta e partecipata la produzione di informazione circa gli eventi di movimento. E' un progetto fortemente innovatore, e immediatamente prende piede grazie sia agli eventi di Seattle che al suo potenziale. Intanto in Italia esplode il fenomeno degli hacklab e dell'hackmeeting: il lavoro degli anni 90 di ecn.org e di Decoder produce l'incontro tra politica e tecnologie digitali, trascinando nell'onda un sacco di entusiasti (come me), di esperti, e di compagni/e. Dopo l'hackmeeting98 la comunità si allarga, entrano in scena un sacco di pischelli e in due anni, oltre a rendere l'hackit una data irrinunciabile dell'agenda politica e techno-savvy italiana, si sviluppa una rete incredibile di collettivi, gruppetti, individui che si conoscono, che si stimano, si fidano delle cose che si fanno, e che condividono almeno i principi di base del senso che ha occuparsi di tecnologie, di società e di politica. Nascono e crescono gli hacklab, l'hackmeeting diventa un evento da imitare (in Spagna ci replicano da vicino :), nasce la necessità di autogestire la propria comunicazione al di là delle prime esperienze di tmcrew, ecn, decoder. In pratica si sviluppa una comunità molto solida, antiautoritaria, eterodossa, e decisamente ostile alle egemonie politiciste delle aree più in vista del movimento.
Nel giugno 2000 void e devmat decidono di usare il logo di indymedia come uno specchietto per le allodole durante le mobilitazioni contro l'OCSE di Bologna, ennesimo passaggio del tour cominciato con i CPT e passato per Mobilitebio. Indymedia italia nasce così, come giochino da dare in pasto ai media al fine di dare visibilità alle mobilitazioni. Ai tempi non esisteva il process per diventare un nodo locale di indymedia, e il tutto si basava sulle buone relazioni con chi si era inventato indy a Seattle. Devmat, globetrotter del movimento all'epoca, aveva le relazioni, void il know-how tecnico.
Dopo giugno 2000, il giochino indy rimane un po' in sordina, mentre cresce lo sforzo fatto da alcuni ignoti che documentano in presa diretta le mobilitazioni: il sito degli sgamati diventa un punto fermo dell'informazione indipendente tanto quanto ecn o tmcrew. Indy ancora non se la cagano in molti, rimasta una lampadina molto luminosa, usata per quel che poteva dare: il brand.
Ma durante l'estate succede una cosa curiosa: un gruppetto di persone provenienti da vari hacklab e da alcune esperienza telematiche (i suddetti sgamati, hacklab FI, LOA hacklab MI, Underscore TO, altri sparsi) si ritrovano in quel del nuovo Bulk (occupato proprio a Capodanno) insieme a Void. L'argomento è indy e il suo uso potenziale. Il gruppo che si ritrova è eterogeneo: si era giovani e ingenui, ma onesti nella voglia di fare e nel desiderio di creare uno strumento utile per tutti. Ammetto che forse non per tutti era chiaro il passaggio che stavamo compiendo, ma perlomeno una buona parte lo sapeva. Guardandolo in retrospettiva è stata una mossa di entrismo che più trotzkista non si può, ma nessuno dei presenti era trotzkista, né aveva la malizia con cui si fanno più avanti negli anni queste mosse. Per molti era semplicemente uno spreco che uno strumenot così potente fosse usato come puro e semplice brand: c'erano un sacco di cose migliori per cui usarlo!
Così chi era al Bulk quel giorno decise di entrare nella lista di gestione di indymedia e di iniziare a usarla per quello per cui serviva di più: creare un nuovo media dal basso di informazione, un canale potente, libero, aperto. La forza di chi era lì quel giorno, era il sentirsi una comunità, sentire molto denso il rapporto di fiducia con gli altri, a prescindere dalle differenze politiche. Ed è con questa forza che un gruppo di smandruppati si prese indymedia italia e lo trasformò a propria immagine e somiglianza. Difetti inclusi.
Da lì in poi la storia è nota: l'ultimo esperimento misto sgamati/indy per Praga 2000, la preparazione di Genova, la crescita di partecipazione e l'imposizione della logica antiegemonica e libertaria, l'aumento di visibilità del 2001-2002, la crisi nel momento in cui quella comunità che si credeva forte ha iniziato a dubitare di sè stessa, trascinata nei drammi ridicoli della Politica di movimento. Da lì in poi molti la vedono in maniera diversa, ma pochi si ricordano di come è cominciato il "periodo d'oro" di indy, quel momento in cui credevamo di costruire qualcosa di intrinsecamente diverso, mentre eravamo noi ad essere diversi dal resto del politicume.
Una breve parabola
Il retroscena pseudotrotzkista della fondazione di indymedia e del suo overtake mi serve per cercare di chiarire quello di cui ho già parlato nel mio precedente post, ovvero delle modalità della politica.
All'epoca dell'incontro al Bulk ammetto che probabilmente non tutti la vedevano come la si può facilmente vedere oggi in prospettiva, ma molti di noi non avevano dubbi sul fatto che quello che stessimo facendo fosse un legittimo atto di sostegno a una certa opzione politica: cercare di creare un movimento che fosse quanto più libero possibile dalle egemonie, che fosse capace di liberarsi dei molossi ortodossi e politicisti che ne appestavano i modi di fare, che fosse legato ai territori sia locali che globali, che fosse più giovane e ingenuo, senza per questo risultare superficiale nell'approccio ai problemi. La nostra opzione passava per il controllo di uno strumento che in mano di qualsiasi egemonia avrebbe soffocato ogni possibilità rinnovatrice. E Genova, con tutto quello che vi è avvenuto, con tutti i deliri tra indy e disobbedienti, tra indy e bb, tra indy e chiunque, è lì a rappresentare che indy era l'unico snodo possibile di un movimento eterogeneo e che non abbandonasse mai i paletti fondamentali di un approccio radicale ai problemi politici, di un rifiuto dell'autorità, di un sostegno costante dei principi di solidarietà e uguale dignità delle ipotesi politiche, per lo meno di fronte agli strumenti di comunicazione.
Quello che è mancato da 3 anni a questa parte a indy (non da Torino, così nessuno fraintende) è stata l'opzione politica. Nessuno è stato in grado di rigenerare quell'amalgama di relazioni, immaginario, obiettivi politici che fosse in grado di ricostruire un senso del comune all'interno della molteplice comunità di indymedia. Ed è senza questa opzione che non si può porre fine ad una crisi o trovare una soluzione, perché per definizione una soluzione consegue all'individuazione del problema, e la definizione di problema dal punto di vista con cui guardi una situazione. Non si cambiano gli strumenti a caso, non si buttano li' soluzioni tecniche o politiche che non sono altro che una pezza (a meno che non lo si faccia consapevoli che sono solo una pezza). Si immagina qualcosa, vi si costruisce intorno un obiettivo politico, e POI si definisce lo strumento che serve per quella opzione. Altrimenti si sta giocando.
A Torino il copione è stato lo stesso, nell'assemblea di indy, ed è questo che ho cercato di evidenziare sia quando ne ho parlato a latere con le persone al meeting, che nel mio post precedente. Fa male ma è così, senza idee non si costruisce nulla se non l'ennesimo luogo inconcludente e privo di interesse. E non c'entra nulla mistificare il senso di fare politica con "i modi vecchi" o "i modi nuovi": fare politica significa creare le condizioni per cui una certa opzione possa esistere e realizzarsi, il resto si chiama oratorio, ma è un capitolo totalmente diverso dell'enciclopedia della vita. Indymedia quando è cominciata era un progetto strumentale a un'opzione politica molto definita, e per questo molti la avversavano, perché ne intuivano la pericolosità. Si può spingere una certa opzione politica anche in modi innovativi, aperti, antiautoritari, eterodossi, ma se si vuole rimanere nell'alveo del fare politica una idea si deve pur averla.
Prosegui la lettura…