Jared Diamond è uno scienziato abbastanza eclettico, il cui curriculum spazia dalla biologia all'antropologia, passando per archeologia e studio degli ecosistemi. Ormai inizia ad essere vecchiotto (essendo nato nel 37 possiamo dire che oggi ha 70 anni suonati), ma le sue analisi sono molto lucide ed offrono una possibilità rara a tutti coloro che amano leggere divulgazione scientifica: scoprire l'interazione strettissima che nel mondo reale esiste tra i rami più disparati della scienza. Non lo conoscevo fino all'anno scorso, ma devo ringraziare sentitamente l'autistico che me lo ha fatto scoprire, perché a mio modestissimo parere, Diamond è il miglior divulgatore di scienza secondo solo al mai abbastanza compianto Richard Feynmann.
I due libri su cui mi sono dilettato sono Armi, acciaio e malattie e il suo ultimo Collapse, why societies choose to fall or survive. I due libri sono strettamente legati e parlano in pratica della stessa cosa, tanto che potrebbero essere uno il seguito dell'altro.
Nei libri di Diamond la chiave fondamentale è il desiderio di spiegare i meccanismi attraverso cui le società più o meno complesse che l'uomo è stato in grado di creare, sono riuscite a fare quello che hanno fatto nella storia. In pratica la domanda fondamentale (che l'autore attribuisce a un suo amico guineiano in veste di epifania dell'innocenza) da cui i libri partono è: "perché alcune società umane hanno conquistato mezzo mondo e altre sono morte tagliando l'ultimo albero che avrebbe potuto salvare loro la vita?".
La domanda non è banale e in essa si cela tutto il presupposto razzista dei bianchi di origine europea (e successivamente americana) in tutto il mondo. Il terreno è estremamente scivoloso, ma Diamond riesce a fare un buon lavoro di controdeduzione preparando in anticipo le risposte alle osservazioni-tipo del qualunquista medio. Per chi vuole dotarsi di argomenti contro il razzismo di accatto il primo libro di Diamond è fondamentale.
La brillantezza di Diamond è meno lucida nel suo ultimo lavoro, nonostante gli affreschi che riesce a trasmetterci di culture che vanno dall'Isola di Pasqua fino alla Groenlandia passando attraverso la Cina e il suo amato Montana (così nessuno si può confondere sulla sua Americanhood :). Soprattutto nelle conclusioni vi si legge un po' di cautela, una riluttanza ad ammettere il futuro disastroso che attende la maggior parte del genere umano.
I punti che Diamond elenca nell'ultimo capitolo chiariscono bene quali sono i problemi principali del nostro pianeta e i principali pericoli circa la sua sopravvivenza, ma per conoscerli era sufficiente leggere qualche rivista di scienza ed ecologia, non certo di sbobbarci 500 e rotte pagine 🙂 Quando nella conclusione deve arrivare al sodo e quantificare le chance e le proporzioni di sopravvivenza delle nostre attuali società, Diamond sembra lasciarsi andare ad un inopinato ottimismo, che non sento di poter condividere.
Purtroppo infatti l'umanità sopravviverà certamente all'imminente catastrofe (nonostante la mia speranza in senso contrario), ma come sopravviverà, quanti sopravviveranno, e come vivranno successivamente sono un tema (se si vuole più fantascientifico che divulgativo) a cui il 70enne scienziato ha tutti gli strumenti per rispondere meglio di quanto potrei fare io.
In ogni caso, vivamente consigliati a tutti e tutte entrambi i libri 🙂
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