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Inter in Wonderland: november rain

15 Novembre 2010 11 commenti

In una serata crepuscolare dominata dal tambureggiare di una fastidiosissima e tetra pioggerella di novembre l’Inter tornata sulla Terra si dispone ad affrontare una squadra di cadaveri tenuta insieme con il bostiq e la retorica nazional popolare. Avendo imboccato la via del realismo anche Benny propone finalmente il rombo in campo e sugli spalti si sprecano gli elogi per la scelta finalmente dotata di senso, elogi che si spengono sulla bocca dei tifosi quando ci si accorge che la linea difensiva è composta da 4 centrali: forse l’unica soluzione per bloccare la squadra ancora di più che con fantasiosi 4-2-3-1 con mezzo mediano e 4-4-2 con giovani implumi esterni di centrocampo.

La mestizia si insinua senza soluzione di continuità nei cuori dei tanti supporters nerazzurri presenti al Meazza e confinati al terzo anello pur avendo pagato in anticipo un abbonamento del secondo. Per di più la linea di centrali ultratrentenni viene posizionata da Benny all’altezza del centrocampo, così che dopo soli 3 minuti Ibra parte in contropiede dalla metà campo rossonera: la diagonale perfetta dell’unico giocatore di calcio del reparto difensivo – Lucio – sembra aver spento il pericolo, quando la nostra arma segreta – Matrix – si avventa sul nostro ex regalando un rigore solare. Almeno avesse storpiato per sempre lo svedese avremmo capito il vantaggio concesso alla squadra nemica, ma così sembra solo un favore gratis. C’è anche da dire, e il proseguio della partita lo confermerà, che senza tale stupidaggine la seconda squadra di Milano non avrebbe segnato manco senza il portiere.

La tanto attesa reazione nerazzurra non si fa attendere: dopo 40 minuti di niente infatti, eccezion fatta per l’infortunio muscolare di un ragazzo di 19 anni che non ha fatto il mondiale e non è recidivo, e l’ennesima applicazione del Lodo Gattuso (quello per cui il Gennaro nazionale prende solo un cartellino ogni tre falli da ammonizione), è ammirabile lo scatto dei nostri 11 per raggiungere gli spogliatoi.

Al rientro in campo ci attendiamo la mossa definitiva: e infatti fuori Milito (ennesima ricaduta, che strano!) e dentro un Pandev versione ira d’iddio, con Eto’o punta centrale stritolata da Nesta e Thiago Silva. Così nei tifosi nerazzurri si fa strada la certezza che anche con il sottoscritto in porta la partita non sarebbe potuta cambiare se non in peggio.

Il metro Tagliavento, a noi costato un Inter-Samp in 9, che se applicato avrebbe fatto giocare in 7 la seconda squadra di Milano, almeno ci concede di giocare 10 morti viventi contro 11 per una trentina di minuti: ed ecco il colpo di genio, propiziato da un intervento da rosso diretto di Ibra su Matrix quale noi avremmo voluto vedere a parti inverse, con una fascia destra ribattezzata la fascia della non sovrapposizione e dell’ignoranza tattica animata da Zanetti e Biabiany, e una fascia sinistra con Chivu e Pandev che non riescono a fare un triangolo neanche con un manuale di geometria delle medie stampato sulla parte interna della retina.

In trenta minuti di superiorità numerica non tiriamo manco in porta e perdiamo – dopo due anni e rotti – una partita in casa, il derby, andando al quinto posto e lanciando i nostri più detestati avversari al primo, primato immeritato se non nel campionato del “ciapa no” che va di moda nella Terra dei Cachi. Non solo: nei tre scontri diretti con le “pretendenti” al titolo abbiamo raccimolato l’abbacinante cifra di 1 punto avendo giocato due delle tre partite in casa. E dulcis in fundo abbiamo fatto 20 punti su 36 disponibili. Quasi il 50%, mica pizza e fichi!

Ora, qualsiasi persona di buon senso capirebbe che la pazienza è finita, e che è tempo di puntare il dito. Io non mi tiro indietro e faccio un bell’elenco senza priorità, così che ognuno possa scagliarsi sul bersaglio che preferisce. Il primo imputato è la società, nella persona del suo Presidente e del Direttore Sportivo: un minuto dopo la serata più entusiasmante di questa generazione – e non solo – di tifosi, con le frasi sul FPF e la concessione a Mourinho di scappare sulla macchina di una squadra avversaria, hanno sparato nelle gonadi (palle o ovaie poca differenza in termini di dolore metaforico) di tutti coloro che erano lì per gioire e festeggiare; sempre grazie, dal profondo del cuore, per la capacità unica di rovinare le feste, per poi lasciare l’allenatore che si è scelto da solo nel guado circondato da alligatori, spesso vestiti pure di nerazzurro e senza uno straccio di giocatore nuovo a scuotere gerarchie e zolle di terra.

Il secondo imputato, però, poche cazzate, è proprio l’allenatore e il suo staff: non è credibile che la squadra non sappia fare un movimento offensivo, che la palla circoli sempre in orizzontale con gli uomini nascosti dietro l’avversario, che si scelga di intasare i luoghi del campo dove la palla dovrebbe viaggiare e si svuotino quelli dove gli uomini dovrebbero stazionare; sullo staff non c’è più nulla da dire, ma se la società volesse finalmente cambiare registro senza esonerare l’allenatore (ammettendo la propria stessa incompetenza) dovrebbe almeno silurare il preparatore atletico, senza se e senza ma.

Il terzo imputato sono i giocatori: non è tollerabile vedere gente così molle in campo, giocatori di serie A immobili e incapaci di una verticalizzazione una, dediti più a mettersi in mostra per la propria inettitudine o per la propria isolata classe che a giocare a calcio, nell’assenza assoluta di qualcuno che li richiami all’ordine (a Coutinho qualcuno potrà dire di non fare le veroniche mentre stai perdendo un derby? o qualcuno lo chiama l’uomo a Sneijder e Lucio che cincischiano con la palla tra i piedi? o qualcuno da due calci in culo a Biabiany per spiegarli cosa vuol dire dare profondità?); se anche qui la società e l’allenatore avessero la più pallida voglia di far cambiare le cose, qualcuno scalderebbe la panchina per scelta tecnica almeno per 2-3 match, con un primavera al suo posto nel rettangolo verde. Il risultato non cambierebbe, ma almeno ci sarebbero degli alibi da spendersi.

Non ho mai vissuto una serata con davanti un’Inter così impotente, con la sensazione che avremmo potuto giocare 900 minuti e non buttarla dentro mai. E il peggio è che è una sensazione che si trascina di partita in partita. Ed è incredibile che 80mila persone infreddolite, ricacciate nell’osceno palco del Meazza, nella sporcizia e nella scomodità per cui hanno pagato un cinquantesimo del loro stipendio, debbano assistere allo spettacolo di una tale assenza di dignità e di pudore di gente che guadagna al minimo 100 se non 1000 volte più di loro.

Semplicemente inaccettabile.

[repost] Quel che resta del diritto al lavoro

12 Novembre 2010 Commenti chiusi

Nel silenzio generale indotto dalla crisi permanente di governo è stato approvato un documento che rende se non vane, molto più difficili le cause contro i datori di lavoro che abusano dei contratti di lavoro atipici per schiavizzare i propri dipendenti. Riposto l’articolo che è uscito su precaria e che è già molto chiaro di suo.


Collegato Lavoro: mutismo e rassegnazione?

Precari per sempre: il nuovo ‘collegato’ lavoro

Il condono tombale per le imprese che utilizzano lavoratori precari è diventato legge di stato con la firma del Presidente Napolitano e la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale. E’ la legge 183/2010 che in 18 pagine modifica fortemente l’attuale disciplina del diritto del lavoro per i lavoratori precari e i neoassunti.

Ecco i punti salienti della riforma:

a)      Per quanto riguarda le controversie di lavoro non vige obbligo di effettuare un tentativo di conciliazione, ma è possibile rivolgersi immediatamente all’autorità giudiziaria, a meno che non si decida di impugnare dinanzi al giudice un contratto di lavoro certificato. In questo caso, infatti, il tentativo di conciliazione presso la commissione che ha emesso l’atto di certificazione è obbligatorio.

b)      Permane inoltre la possibilità di accedere immediatamente alle procedure arbitrali, nei casi e con le modalità previste dai contratti collettivi. L’arbitrato sarà disponibile in due forme alternative: durante il tentativo di conciliazione promosso presso la Direzione Provinciale del Lavoro, dove è la commissione di conciliazione a costituirsi in collegio arbitrale su richiesta delle parti; davanti al collegio costituito a iniziativa delle parti, con un rappresentante per ciascuna di esse e un presidente scelto di comune accordo. Infine, nei casi l’arbitrato davanti alle commissioni di certificazione dovranno essere queste stesse a istituire camere arbitrali proprie.

c)  Viene introdotta la     “certificazione” da parte dell’organo pubblico dei contratti di lavoro, con funzione di certificare la validità degli stessi nonché l’effettiva volontà del lavoratore a stipulare quel determinato contratto. Con la “certificazione” vi sarà la possibilità di inserire nel contratto una clausola c.d. compromissoria con la quale le parti  devolveranno le eventuali e future controversie ad appositi collegi arbitrali sottraendole al giudizio alla magistratura ordinaria.

d) L’obbligo di impugnazione, entro i 60 giorni dalla ricezione della relativa lettera e/o comunicazione, dei provvedimenti di licenziamento (ora anche quelli verbali e quelli intimati nell’ambito delle tipologie contrattuali atipiche, oltre che per effetto di cessazione di rapporti di lavoro a termine, per disdetta oppure per interruzione in seguito alla scadenza temporale), con l’ulteriore obbligo di deposito dei relativi ricorsi giudiziali entro i  successivi 270 giorni. Tali termini saranno vincolanti anche in tutti i casi cui il lavoratore voglia agire per ottenere l’imputazione di un determinato rapporto ad altro soggetto rispetto a quello che formalmente risulta il datore di lavoro (es. contratti di lavoro interinali). Mentre è fissato a 60 giorni il termine entro il quale rivolgersi al giudice in caso di rifiuto dell’arbitrato o di fallimento della conciliazione.

e)  La previsione dì una indennità risarcitoria a carico del datore di lavoro in tutti i casi in cui il termine apposto al contratto dovesse essere ritenuto nullo da parte del giudice. L’indennità in questione va da un minimo di 2,5 mensilità ad un massimo di 12 mensilità, da applicarsi anche  ai giudizi già pendenti alla data di entrata in vigore della legge. Tale indennità potrebbe secondo la volontà del legislatore addirittura escludere il diritto del lavoratore alla conversione del rapporto di lavoro da tempo determinato a tempo indeterminato (da valutare).

Futuro precario

Questo il quadro generale. Un panorama dai contorni foschi per i diritti di milioni di cittadini-lavoratori precari, che si vedranno praticamente azzerate le già residue di resistere alla forza d’urto del capitale.

Ci  vogliono muti e rassegnati

a) Ci si chiede per quali ragioni un legislatore di centro-destra che fa del liberismo e della l il proprio capo-saldo etico-politico tenti di “far passare” la validità di un contratto di lavoro attraverso la suddetta “certificazione” di un organo pubblico ?

La risposta a noi sembra chiara.

Nel nostro ordinamento, vige (vigeva?) il principio per cui il prestatore di lavoro è da ritenersi parte debole del rapporto contrattuale in quanto ogni sua volontà può subire forti condizionamenti da parte del datore di lavoro; ritenendosi, invece, che quando la volontà del lavoratore venga espressa con l’intervento dell’organo pubblico e dinnanzi allo stesso, venga manifestata libera da condizionamenti.

Ed allora, la “certificazione” servirà al datore di lavoro per pre-costituirsi la prova della formazione di una volontà del lavoratore libera da indebiti condizionamenti, eliminando la possibilità per quest’ultimo di contestare successivamente la regolarità del contratto di lavoro sottoscritto

Il gioco è fatto: si “certifica” in modo inoppugnabile e come libera una volontà in realtà “estorta” (d’altronde, vii immaginate un lavoratore che dinnanzi all’organo pubblico confesserà il ricatto?) e si precostituisce l’impossibilità di poter essere convenuto dinnanzi al giudice del lavoro (normale destinatario, per costituzione, della “conoscenza” di ogni controversia di lavoro).

Il primo tentativo della riforma non sembra essere quello di ridurre il contenzioso, quanto, piuttosto, quello di eliminarlo.

b) Ancora, si pensi alla introduzione dell’obbligo di impugnazione da parte del lavoratore della cessazione di qualsivoglia tipo di rapporto per potere datoriale nel termine dei 60 giorni, con obbligo di introduzione della controversia nei successivi 180 giorni.

E’ davvero una riforma prevista solo per esigenze di certezza del diritto e dei rapporti tra le parti? Tiene nella dovuta e giusta considerazione gli interessi di entrambe le parti in gioco? Oppure, anche su questo punto, la riforma inserisce nell’attuale ordinamento elementi di tutela per una sola (la solita ?) delle parti contrattuali ?

Corsa contro il tempo

Perché, al riguardo, anche il secondo tentativo che sembra perseguire la riforma in discussione sembra chiaro.

Innanzitutto, con la previsione di tempi ristrettissimi per le impugnazioni dei provvedimenti del datore di lavoro si vogliono abbattere il più possibile i costi delle eventuali illegittimità dagli stessi commesse, essendo ovvio che tali tempi abbiano quale prima automatica conseguenza quella di diminuire, in ipotesi di illegittimo recesso e/o interruzione del rapporto di lavoro a c.d. chiamata (vedasi ipotesi di rinnovi di contratti di somministrazione di lavoro o di contratti a termine), i tempi in cui l’azienda può vedersi esposta al risarcimento dei danni conseguenti a tali illegittimità (meno tempo, meno retribuzioni e contributi sul groppo, meno rischi per le proprie malefatte).

Ma ciò non basta; con l’operazione in discussione si tenta addirittura di azzerare ed abbattere completamente gli eventuali costi in esame, e ciò attraverso il prodotto del mix esplosivo e perverso che scaturisce dal rapporto tra i tempi stretti previsti per l’impugnazione ed il contesto di completa sottoposizione del lavoratore ai tempi di “chiamata” del datore di lavoro.

Basterà, infatti, che il datore di lavoro interessato prospetti una ipotesi di rinnovo contrattuale e/o chiamata a contratto anche ulteriore a 60 giorni dalla cessazione del precedente rapporto ed il gioco è fatto.  Il lavoratore a cui è stata fatta intravedere la possibilità di una nuova “chiamata” , baratterà la rinuncia ad impugnare nei termini  con la speranza del mantenimento del posto di lavoro.

Si passa così da una situazione (ante-riforma) in cui il lavoratore avrebbe potuto continuare a lavorare riservandosi di agire, ad esempio,  per la tutela dei suoi diritti solo alla fine della successione di tutti i rapporti somministrati a termine illegittimi, ad una condizione (post-riforma) in cui ogni rinuncia alla impugnazione nel termine richiesto comporterà completa abdicazione ad ogni suo interesse. E si garantisce al datore di lavoro la sanatoria ai comportamenti ed agli atti illegittimi che ponga in essere.

Poco cash al posto dei diritti

c) Ed ancora, perché prevedere quale sanzione per la conversione del rapporto di lavoro da tempo determinato a tempo indeterminato una indennità risarcitoria da 2,5 a 12 mensilità (limitabili a 5 in particolari ipotesi) se non con l’unico scopo di evitare alle aziende l’obbligo di assumere a tempo indeterminato la forza lavoro illegittimamente assunta ed utilizzata “a scadenza”?

Anche sul punto, il terzo tentativo della riforma è chiaro ed incontrovertibile: al di là delle molteplici questioni interpretative, appare di tutta evidenza – ancora una volta – che l’obiettivo non è quello di predisporre valide ed efficaci tutele per il lavoratore assunto ed utilizzato con illegittimi contratti a termine, bensì quello di garantire al datore di lavoro la possibilità di apporre illegittimamente un  termine al rapporto di lavoro senza far ricadere su di questo l’obbligo dell’assunzione a tempo indeterminato ed i relativi costi.

Gli esempi valgono a far capire al lettore che la riforma in questione, ben lontana dal voler effettivamente perseguire gli obiettivi simulati e dichiarati (deflazione del contenzioso e riduzione dell’incertezza dei tempi dello stesso) ha quale intento quello di iniziare a chiudere un cerchio che si è iniziato a disegnare 15 anni fà.

Treu-Biagi-Sacconi: si chiude il cerchio

Allora, con la legge Treu, si cominciavano a prevedere ipotesi di lavoro c.d. flessibile attraverso il quale consentire alle aziende di utilizzare e sfruttare manodopera assunta da soggetti terzi, senza assunzione dei rischi di impresa che un qualsiasi rapporto di lavoro deve comportare.

Ed è attraverso tale sdoganamento che si è potuti arrivare al secondo passo del diabolico percorso, ovvero alla legge 30/03, attraverso cui si è compiuto un notevole salto in là nella codificazione del precariato prevedendo – a sovvertimento del principio generale per cui ogni posto di lavoro nasce a tempo indeterminato salvo eccezioni – che dette eccezioni venissero trasformate in regola, consentendo all’impresa di potere disciplinare rapporti di lavoro di fatto pienamente subordinati con contratti che di tale tipologia nulla hanno a che vedere.

Con la riforma in questione il passo è definitivo ed il piano si sposta verso l’unico contesto i cui si fanno i giochi, ovvero quello processuale e della tutela effettiva dei diritti del lavoratore.

La precarietà ormai imposta e codificata sul piano dei rapporti sostanziali, viene ora introdotta sul piano delle conseguenze delle illegittimità del datore di lavoro, vuoi creando ogni artificio per rendere più difficile al lavoratore l’esercizio dei diritti connessi all’art. 24 della Costituzione, vuoi tentando di abbattere completamente i costi e le sanzioni che le illegittimità del datore di lavoro dovrebbero ancora prevedere.

Inter in Wonderland: lost in Salento

11 Novembre 2010 Commenti chiusi

I nerazzurri hanno attraversato le lande della Terra dei Cachi e della Serie di Oz, hanno trionfato ovunque e sfatato il mito dei Citroni. Poi hanno preso il largo nel limbo nebbioso di ciò che non si sapeva sarebbe stato o che si temeva sarebbe potuto essere. Sono stati pescatori, pirati, corsari, marinai, uomini di mare nel mare alla deriva. E infine naufraghi che arrivano stremati su una spiaggia sconosciuta, con un cartello con scritto Salento. Nessuno se ne rende conto, ma il viaggio fantastico volge al termine. Anche le fattezze degli eroi che hanno popolato la fantasia di tanti tifosi perdono di intensità e di carattere, riavvicinandosi ai lineamenti di persone che conosciamo ogni giorno: niente più orchi, niente più fate, troll, muraglie, castelli, cavalieri, damigelle e creature mitologiche. Il Salento è la fine dell’errare vagabondo nel limbo, approdando sul lato sbagliato dell’Oceano del Sogno. Quello della vita di tutti i giorni.

E così anche le parole di questo umile narratore di una stagione fantastica devono adeguarsi e tornare a raccontare la cruda realtà, con i suoi nomi e cognomi, come un tempo quando iniziò la Cronaca di ciò che veniva dopo il Cataclisma Purificatore dell’estate del 2006. In quell’agosto ho ricominciato a sognare, ma ritrovare la via della fantasia è stato un percorso tortuoso e impervio, tanto quanto la via del ritorno è drastica e immediata.

Entriamo in campo con un 4-4-2 contro gli ennesimi avversari privi di giocatori di fascia, con almeno metà squadra fuori ruolo: Santon a destra al posto che a sinistra, Chivu terzino invece di centrale, Cordoba centrale sinistro, Obi interno di centrocampo, Biabiany e Coutinho esterni di centrocampo. Questione di scelte obbligate si dirà: ma alla fine altre soluzioni avrebbero potuto mettere almeno un 50% di giocatori in più nel posto dove si trovano più a loro agio. La speranza in una partita diversa dalle ultime dura sì e no 12 minuti. Ci mangiamo due gol clamorosi di cui uno con un Pandev che gioca chiaramente contro l’uomo pacioso che siede scomodo e preoccupato in panchina.

Poi sono 33 minuti di niente conclusi incredibilmente con Coutinho spostato al centro che rende un po’ di più. Rientriamo in campo e la mollezza non vede alternative. Milito per Pandev ci dà qualche speranza, che si infrange contro la sfiga di un palo clamoroso. Passano i minuti e la squadra si spezza, lasciando sempre più spazio a un Lecce che probabilmente dovrebbe ancora militare nella serie cadetta. Finalmente esce Biabiany, il giovane più molle che abbia mai visto in un campo di serie A, per Deki, e magicamente si gioca quasi a pallone. Poi il miracolo: al 30esimo passiamo in vantaggio nonostante un tocco sbagliato (ma un movimento giusto) del bomber argentino su assist di Eto’o. Purtroppo serve solo un minuto per ritornare sulla terra con uno schianto. Il primo calcio d’angolo del secondo tempo e il secondo di tutta la partita (mi pare) e quella cariatide di Olivera può saltare indisturbato e infilarci il pareggio.

Se fossimo una squadra di media classifica come pare ambiamo ad essere quest’anno si potrebbe malignare su qualche magagna a favore di bookies e scommettitori ben introdotti. L’entrata in campo del reietto Mancini è il segnale dell’Apocalisse, la rivelazione della sfiga e dell’abbruttimento che si sono incarnati nei nerazzurri. Siamo l’Anticristo della squadra del triplete. La sua nemesi. E solo noi possiamo sconfiggerci ed esorcizzarci. La domanda è: tra quanto tempo?

Invece la drammatica verità è che non abbiamo idea di che cosa stia succedendo. Viviamo in balia degli eventi e ci ritroviamo quarti, meritatamente, pur nel campionato del “ciapa no”. Non ci siamo con la testa, non abbiamo “garra” e se non stiamo giocando per far saltare l’allenatore forse è pure peggio: vorrebbe dire che 8/11 della squadra hanno smesso di pensare di essere calciatori e si sentono baby pensionati d’oro. Un po’ alla Suazo per intenderci, con la differenza che l’honduregno almeno evita di mostrarsi in giro.

Dimostriamo un po’ di dignità: un bel silenzio stampa, una cappa di silenzio per ritrovare fede e concentrazione e forse anche la via per l’immaginazione al potere che ci ha permesso di fare cose straordinarie l’anno scorso. O al massimo per suonare un silente requiem del sogno: perché se giochiamo così, settimana prossima assisterò dal terzo anello blu al secondo set.

Inter in Wonderland: ritorno al passato

7 Novembre 2010 2 commenti

E’ sabato sera. A Milano non c’è niente di interessante da fare. A parte andare a vedere la recente trionfatrice di Europa e Italia desiderosa di riscatto contro una neopromossa. Eppure sugli spalti umidi del Meazza ci sono sì e no 30mila persone, indice di una tifoseria, prima che una squadra, con la pancia piena e la testa completamente svuotata di motivazioni. Sul rettangolo di gioco in campo aperto scendono i nostri pirati da due soldi, sul cui corpo i cerotti coprono un’area maggiore che non la divisa nerazzurra.

Nel cielo volteggiano delle spente Rondinelle, reduci da cinque sconfitte consecutive, tra le quali si cela mesto e con le ali ripiegate un airone cinerino sul finir della carriera. L’ultima volta che l’ho visto spiegare le ali era proprio qui a San Siro, con una maglia da ciclista, un paio di anni e rotti fa, prima che si ributtasse nell’anonimato della categoria a cui appartiene, la serie B. I primi dieci minuti fanno ben sperare, nonostante il 4-4-1-1 strettissimo che usa praticamente solo la fascia centrale del campo (una volta che il 4-2-3-1 si poteva usare, ovviamente si preferisce mettere il Mozzo Totò e Darko il Macedone come centrocampisti di fascia). Ma da un contropiede incredibile sbagliato all’ultimo passaggio tra il redivivo Principe Corsaro e un sempiterno Leone degli Oceani, pigliamo un gol con rimpallo favorevole. Il Meazza rivede le ali del maledetto airone cinerino dispiegarsi.

Quello che accade dopo è incomprensibile: i marinai nerazzurri cominciano a vagare sul campo senza una metà, in preda alle idee più stravaganti. Ognuno gioca un po’ dove cazzo gli pare, impervio alle parole dell’allenatore, dei compagni e pure del pubblico. Uno spettacolo di mezz’ora troppo brutto per essere vero, che evoca cupamente ai pochi presenti i fantasmi di un passato che credevamo sepolto per sempre: il Bucaniere e talvolta difensore Polu sembra essere in campo per sbaglio, forse ossessionato dai troppi milioni che percepisce all’anno; l’Olandese Volante finalmente spostato in mediana fa una delle migliori partite di questo scorcio, ma poi sviene negli spogliatoi inspiegabilmente, forse un calo di dignità (più che di pressione); e dulcis in fundo Quattropinte, il nostro difensore più aggressivo schierato nonostante fosse mezzo infortunato (ma il Bambino Pirata ha la lebbra? a giudicare da come claudica nel secondo tempo dopo due scatti forse sì, ndr) completa l’infortunio (muscolare, tanto per confermare che qualche problemino nella preparazione c’è).

Negli spogliatoi siamo certi che Benny abbia strigliato a dovere i suoi che però forse non lo hanno ascoltato neanche per un minuto, tutti presi dalla contemplazione delle icone del Vate-che-fu. D’altronde se anche in società si struggono nel rimpianto e nel ricordo, non si capisce perché non dovrebbero farlo i giocatori. Allo svenevole Olandese Volante subentra uno che per tanti anni ho considerato solo un dribblomane e che invece nel campo aperto tempestato dalla merda di rondine e airone si dimostra uno dei migliori in campo: l’arpionista Obi ce la mette tutta, non tira mai indietro la gamba e a lui vanno tutti gli onori per aver combattutto fino all’ultimo. Intanto anche il Capitano d’Acciaio zoppica ma resta in campo dato che il fottuto volatile cinerino stronca probabilmente la carriera del miglior difensore che abbia mai visto all’inter dai tempi di Giacinto Facchetti. Che le sue ali si possano spezzare e possano essere inchiodate sulle assi di legno per il resto dell’anno: il movimento del ginocchio di Walter Samuel (non merita soprannomi oggi) è una pietra tombale sulla stagione e temo sulla vita sportiva del nostro favoloso centrale.

Solo il Leone degli Oceani continua a combattere, nonostante la sorte avversa e il discreto culo nel rimpallo dei bresciani, nonostante un Principe Corsaro allo stremo delle forze e un Darko il Macedone che non ci mette mai la gamba. Nel suo sporco lavoro è aiutato solo dagli spunti individuali: un indemoniato Orco Marino a tutto campo; il Bambino Pirata che fa quello che può con una gamba sola; il redivivo Bucaniere che svaria sulla fascia sinistra insieme al Capitano e all’arpionista Obi; e l’unico dotato del potere del sogno, il Mozzo Totò. E da solo il Leone trova il rigore che vale il pareggio. E per poco se il Principe fosse quello di una volta, troveremmo anche una incredibile vittoria.

Invece restiamo con la sensazione di un anno maledetto dalla sorte e incancrenito dalla assenza di volontà di una società che ha scelto di crogiolarsi nella sua pancia piena, nell’impossibilità di ripetere quanto fatto l’anno scorso, nel lamento per la sindrome di abbandono, e di lasciare alla deriva dei mari in tempesta un modesto allenatore, sul quale però è troppo facile fare il tiro a segno (anche se lui fa di tutto per aiutare il compito dei cecchini, anziché mettersi al riparo). E’ un ritorno al passato: forse per questo nelle partite casalinghe è tornato anche a suonare ogni volta “Solo Inter”, l’inno di anni in cui la società non esisteva e se esisteva, esisteva male; l’inno di anni in cui gli allenatori si cambiavano come pannolini, dopo averli usati per cagarci dentro; l’inno di un’Inter che pensavamo scomparsa per sempre e che invece era solo mascherata dall’ingombrante presenza di un messia. Presidente, dirigenti, giocatori, staff: fateci un favore, archiviate quell’inno per quando potremo festeggiare di nuovo, ma nel frattempo ricordatevi che state indossando una divisa che merita amore e dedizione, non la mesta sensazione di un crepuscolo di appagamento e delusioni. Abbiate il coraggio di fare delle scelte, di difenderle e di sognare un futuro – e non il passato – della Beneamata. Dimostrateci di essere degni dell’amore che riversiamo ogni giorno su questi colori. O abbandonate la nave senza fare tante manfrine.

[precaria.org] San Precario vs Boeri, Onida, Sacerdoti, Pisapia – Full Report!

5 Novembre 2010 Commenti chiusi

La serata del 2 novembre alla Casa della Cultura di Milano in cui San Precario ha sfidato a singolar tenzone i 4 candidati del centro sinistra alle primarie come sindaco della metropoli lombarda sui temi della precarietà è stata un successo. Non si può definire in altro modo un evento in cui la sala è gremita di più di 300 persone che sono rimaste incollate alla discussione per più di 2 ore. Per dirla con le parole di uno degli interventi dal pubblico: “Ringrazio San Precario perché era 10 anni che non partecipavo a un dibattito politico pubblico!”

A distanza di pochi giorni forniamo a tutti coloro che sono interessati e che hanno o non hanno potuto esserci alla serata (o in persona o via twitter seguendo i più di 50 twit inviati direttamente dal tavolo dei candidati!) i materiali di preparazione all’incontro, la trascrizione quasi fedele ma completa del dibattito e l’audio integrale. In calce trovate anche il contratto che San Precario ha chiesto di firmare ai 4 candidati, perché verba volant, scripta manent. Tre su quattro hanno firmato, modificando qualche punto, entro breve la foto dei contratti.

Ringraziamo tutti e tutte per aver partecipato. Non perdetevi i prossimi appuntamenti, che da queste parti non si molla l’osso!

Materiali

Spot
Materiale di preparazione: la storia in breve del Punto San Precario
Materiale di preparazione: cassa integrazione, guadagni e mobilità a Milano, l’impatto della crisi
Materiale di preparazione: la precarietà a Milano, alcuni dati
Materiale di preparazione: la povertà a Milano (fonti 2007)
Materiale di preparazione: il lavoro professionale e i servizi alle imprese a Milano (fonti 2009)
L’Introduzione da parte di una devota di San Precario all’inizio dell’incontro
La trascrizione completa del dibattito
L’audio integrale del dibattito (Occhio che sono 102 Mb!!!!)
Il contratto di San Precario con i 4 Candidati del Centro Sinistra alle Primarie per il Sindaco di Milano (con l’esclusiva sillabazione inglese su testo italiano!!)

Freedom di J. Franzen, un libro normale

4 Novembre 2010 19 commenti

Freedom è stato salutato come uno delle migliori opere dell’anno e Jonathan Franzen, amico del defunto David Foster Wallace, come uno dei pochi autori che potrebbero occupare la casella vagamente disabitata dei “Grandi Romanzieri Americani”. Incuriosito sia dal legame con DFW che con gli elogi sperticati che si sono tessuti del libro, ho deciso, in un momento di shopping librario compulsivo, di comprarlo in lingua originale (dato che la traduzione è in previsione tra pochi mesi).

E devo dire che dal punto di vista dello stile e dell’impostazione del libro non mi è per nulla dispiaciuto: l’ho trovato un’opera interessante, una specie di Buddenbrooks della nuova middle class popolare e impoverita americana, uno sguardo abbastanza pungente soprattutto sui limiti degli attuali adulti e delle loro famiglie, delle eredità psicologiche e sociali che li generano e di quelle che lasciano in dono alla propria progenie.

C’è anche da dire che forse il “Grande Romanzo Americano”, come anche quello Italiano, sono alquanto defunti non solo perché mancano gli autori, ma perché mancano le storie, rimpicciolite dal nanismo delle vicende che ci circondano, della vita sociale che vediamo dipanarsi tutti i giorni intorno a noi. Storie piccole, libri piccoli, autori piccoli. Che cosa ci sarebbe di strano?

Occorre – e scomodo ancora una volta la riflessione sul New Italian Epic di Wu Ming 1 – inventare storie degne di diventare parte dei nostri sogni, delle nostre speranze, di ciò che vorremmo potesse ancora accadere. Invece Freedom è un’opera sulla realtà, anzi direi che Franzen dà il meglio di sé quando dipinge senza mezzitoni le ipocrisie e le patetiche mezzeverità in cui il sogno americano si è trasformato: quando sferza il presunto potere sovversivo del rock osannato da cantanti che prendono milioni di euro al mese; quando definisce in una frase tutta la politica liberal (“il desiderio di assolvere il proprio senso di colpa”); quando la storia di Mitch – il fratello diseredato e homeless di uno dei protagonisti – si conclude con il suo dialogo con Walter intorno a una scatoletta e un rotolo do banconote e con l’epocale chiusa “You’re a free man” “That I am”; quando dipinge la diversità di lettura di un film sconosciuto chiamato The Fiend of Athens tra l’intellettualizzazione di Walter e la pragmaticità tutta americana di Patty (diversità che rappresenta di fatto la chiave di lettura dell’intero libro, per dire la sofisticatezza dell’operazione letteraria di Frazen…)

Ed è un’opera figlia del senso di colpa dell’autore stesso, della sua coscienza sporca: Franzen è un figlio della middle class americana degli anni 60/70, il figlio di una generazione convinta che i suoi sogni sarebbero presto diventati realtà e che sulla scorta di questa illusione ha completamente dimenticato di porsi il problema di come allevare decentemente una nuova generazione, di una generazione che ha scaricato le proprie disillusioni e i propri difetti di immaturità su schiere di giovani che si sono riversati nel nuovo sogno americano negli anni 90 e 2000. Ecco, se Freedom può rappresentare qualcosa, è proprio la disperazione di prospettive intellettuali e politiche degli anni 2000 in America.

Peccato che come ogni buona opera di esorcismo dei propri demoni, Franzen ceda proprio nel finale all’auto-assoluzione, alla compassione, alla felicità patinata di un finale borghese tutti felici e contenti, ognuno nella propria mediocrità e nell’accettazione della propria natura umana e fallace. Perché alla fine siamo comunque in America, il Paese benedetto da Dio, dove tutti possono sbagliare e imparare dai propri errori e alla fine vivere una vita felice, grazie all’immenso, eterno, perfetto più che perfettibile Sogno Americano.

Se questo deve essere l’erede di Steinbeck e altri nomi che hanno fatto la storia della letteratura, non lo sarà certo per questo libro.

Voto: 7

La Lega dei Citroni: buio pesto

3 Novembre 2010 11 commenti

In campo, in una terribile notte tempestosa di inizio novembre, non entrano i nostri eroi, non entrano pirati e corsari, fiabe e mostri mitologici, ma solo deprimenti primati, quadrumani degni del giorno in cui si festeggiano i morti. Le immagini scorrono sui televisori e sotto gli occhi attoniti di chi ha seguito la squadra fino alle desolate lande di Albione.

Gli ominidi nerazzurri sembrano nani di fronte alle cavalcate dell’elementare 4-4-2 della bianca squadra inglese. E’ solo questione di tempo prima che arrivi il primo affondo. E solo la scarsità dei nostri avversari non rende peggiore il passivo al termine di 45 minuti di orrore. Il bombardamento degli speroni ai danni delle speranze e della fiducia dei tifosi nerazzurri è accentuato dall’apparente incapacità di reagire dei non più bipedi in campo.

C’è solo il tempo per uno squillo di un primate olandese per il resto dei minuti completamente assente dal campo, prima di assaggiare l’amaro sapore di un secondo colpo al cuore. A cui segue l’ennesima uscita dal campo in barella e l’ennesimo esordio di un giovane primavera. Purtroppo questa volta non porterà fortuna. Il tempo scorre, e gli ominidi non si trasformano in Homo sapiens, né tantomeno le cavalcate degli avversari rallentano o ci danno tregua.

Nemmeno il momento di grazia di uno dei pochi a onorare la nostra storia recente e passata e futura, un lampo con cui ci regala l’illusione di poter sopravvivere all’incrinamento del nostro cuore di cristallo, rischiara l’orizzonte. E’ buio pesto. E’ notte fonda. Senza stelle. E quando a pochi istanti dalla fine arriva anche la terza coltellata c’è solo voglia di gridare e di picchiare i pugni sulla tastiera mentre lo streaming avanza inesorabile, bit dopo bit, verso la sentenza finale di disfatta.

E’ la sconfitta più amara della stagione, forse solo pari come modalità e come sensazioni a quella di Montecarlo, quando ancora si potevano accampare scuse sulla fase primorde della stagione. E’ la disfatta sul palcoscenico dove pensavi di aver trovato energie mentali e stimoli che altrove ti mancavano, quello su cui ti scopri umano meno che umano, ominide e quadrumane, anziché eroe. E’ la recita che ti riporta alla realtà. E al fatto che qualcuno deve assumersi la responsabilità di quello che sta succedendo a una squadra che a novembre sembra già arrivata a fine aprile: vuota di energie, di luce, di volontà e soprattutto di speranza. E gli infortuni sono un indizio di colpevolezza, non un alibi.

Il credito è finito. Per me da oggi la strada è tutta in salita: il mio tifo sempre seguirà i colori del cielo e della notte, ma c’è chi da oggi dovrà subire lo scrutinio di ogni paia di occhi genuinamente e per sempre nerazzurri, senza il beneficio del dubbio. Il tradimento del sogno e la mistica della dura realtà no pasaran!

San Precario vs Boeri, Onida, Pisapia, Sacerdoti: che cosa farà un sindaco di sinistra per i precari e le precarie?

31 Ottobre 2010 2 commenti

Bene bene. A Milano si avvicinano le primare del 14 novembre e anche giustamente i residui della sinistra milanese iniziano a chiamare a singolar tenzone i candidati sindaco: Stefano Boeri, Michele Sacerdoti, Valerio Onida, Giuliano Pisapia. Anche San Precario non vuole essere da meno e vuole avere cognizione di cosa prometteranno i candidati a precarie e precari: perché è vero che il problema è nazionale, ma anche le metropoli possono dire molto sul modello di società che si va immaginando.

Se siete blandamente interessati, se siete anche voi precari, se avete voglia di chiedere direttamente conto delle scelte che si faranno, venite anche voi alla Casa della Cultura, in via Borgogna 3 a Milano, martedì 2 novembre 2010 alle ore 21.00

Ne vedrete delle belle! Ovviamente non mancherò di essere presente per spaccare le gonadi pure io.

PS: è assurdo ma la Casa della Cultura non ha una connessione disponibile. Devo fare i sopralluoghi, ma se chiavetta e/o cellulari prendono dovremmo scagliare tutto quanto avverrà su twitter (o sull’account infosanprecario o sull’hashtag #precariesindaci (avevo proposto #precarieprimarie ma non hanno colto…)

Inter in Wonderland: venerdì di magra (consolazione)

30 Ottobre 2010 Commenti chiusi

Chiunque sa che agli uomini di mare non deve essere dato da mangiare pesce. Chiunque. Tranne evidentemente il cuoco e il dietologo dell’Inter, che in un impeto di ortodossia religiosa decidono nel giorno di un match tanto importante per i nostri corsari spompati di fornire solo di pagasio e altre amenità di carne bianca ai nostri eroi. I risultati si vedono subito: la carenza di ferro, emoglobina e proteine rende i nostri arrembanti pirati confusi e privi di lucidità, malinconici in un certo senso. L’unico che – da buon musulmano – si spiana un intero rotolo di carne tritata e compattata di quelli che si usano nei kebabari di ogni città che si rispetti, condito di cipolle intere, patatine, salsa yogurt e salsa piccante è il nostro disprezzatissimo Calimero. Nessuno si rende conto di quanto questa sua diversità religiosa sarà determinante nella serata di Marassi.

Il buon Calimero è infatti obbligato a prendere posizione sul ponte di comando già al ventesimo minuto al posto di un Pelato Mastrolindo a cui la carenza di fibre muscolari di animali non nuotanti nella pancia causa l’ennesima ricaduta muscolare. Nella confusione generale di una battaglia marina che si preannuncia amara per i nostri colori, Calimero spara un bolide centrale e di facile presa, ma o’Animalo, il portiere dei grifoni al posto degli artigli sfodera una delle zampe palmate, lasciando scivolare la palla in rete.

Il resto dei novanta minuti prosegue tra conati di vomito dei nostri novelli pirati con il mal di mare e quelli dei solidali rossoblù: i nostri eroi non riescono a raggiungere il castello di poppa avversario manco se avessero a disposizione 270 minuti; i nemici affonderebbero la nave della beneamata neanche con l’ausilio di una decina di catapulte. Facciamo in tempo a perdere anche Julio Manolesta per l’ulteriore postumo dell’assenza di carne rossa nella dieta del giorno e a concludere la partita assediati con una difesa a cinque come neanche il peggior Castel di Sangro.

Diciamocela tutta: una partita di merda, vinta immeritatamente, con interpreti veramente al di sotto delle loro possibilità, tranne poche sufficienze e nulla più. I tre punti erano fondamentali, ma siamo inguardabili. E l’impossibilità da parte di Benny di imporre all’Olandese Volante di scendere sulla linea dei centrocampisti e di non piazzarsi a sbagliare assist e palloni in serie a ridosso delle punte sta diventando imbarazzante e non aiuta. Per non parlare di un Bambino d’Oro che non riesce a recuperare palloni che vengono spazzati da Totò che corre di gran carriera lungo tutta la fascia. Difficile non ammettere che le perplessità iniziano a superare il credito accordato a Benny e alla squadra tutta. Ma come tifoso posso solo arrivare a fine serata senza voce. Il resto non dipende da me

Inter in Wonderland: il Re Pescatore e la maledizione della Luna Blucerchiata

25 Ottobre 2010 Commenti chiusi

I tri(3)plettati eroi nerazzurri ormai veleggiano di mondo in mondo, di dimensione in dimensione, alla ricerca della Serie di Oz e della Terra dei Cachi. E’ infatti dal giorno in cui sono usciti vittoriosi da uno stadio lontano da casa in una notte di pura gloria che hanno smarrito la via del continuum spazio-temporale originale, proiettati in mille avventure una più assurda dell’altra, risolvendo ogni tappa del loro viaggio come una specie di videogame fin troppo reale. Così, dopo la puntata corsara appena vissuta, i nostri beneamati si sono ritrovati a galleggiare sulla propria nave in acque meno tormentate e più famigliari. Per un attimo hanno pensato di essere finalmente riusciti a tornare a casa, novelli Ulisse sulle rive di un Itaca nerazzurra. Purtroppo per loro si è rivelata l’ennesima illusione, l’ombra di un mondo a loro assimilabile, irradiata dalla malefica e maledetta Luna Blucerchiata.

Ai nostri eroi lo stadio di San Siro, immerso in una fitta pioggerellina autunnale, non sembra neanche casa loro: si sentono solo i doriani maledetti che non la smettono un attimo di cantare. I proteiformi corsari nerazzurri sanno riconoscere l’odore della fregatura quando la vedono e per questo dismettono i panni arrembanti appena indossati per trasformarsi in semplici e miti pescatori. Lanciano le loro reti nel mare verde del Meazza e le issano a bordo con movimenti regolari: a ogni tornata, raccolgono messi di creature marine di ogni tipo, che si spartiscono secondo il proprio gusto. Mastro Lindo, subentrato in squadra al posto del troppo pugnace Tredita, e Capitan Corto Maltese frangono i flutti al centro del campo, mentre per il resto è tutto come sempre, con un Orco Marino fuori dall’ordinario insieme a un nanetto riccioluto che in una sera così sembra un sosia di San Pietro, soprattutto se paragonato all’Olandese che con la pioggia si dimentica di come volare tra le folate di vento di una tempesta.

Draghiamo per 45 minuti il quadrante marino avversario, ma in sottofondo si sente sempre lo stesso rumore: titic, titoc, titic, titoc. Tutto lo stadio comincia a guardarsi il polso per capire chi è che ha un orologio tanto rumoroso. Non si rendono conto che tale frastuono è semplicemente l’eco delle decine di passaggi ripetuti fino alla nausea, il fruscio continuo delle reti che vengono lanciate, issate, riparate e rilanciate. Poi all’improvviso, da una maglia non ben cucita, la maledizione della Luna Blucerchiata fa il suo corso e la squadra si ritrova sott’acqua.

La reazione è rabbiosa e l’identità corsara dei nostri eroi, il loro orgoglio, riesce difficilmente ad essere contenuto dagli umili vestiti che hanno indosso in una giornata come questa. Fino a che il più determinante dei nostri beneamati non capisce che a superstizione si può reagire solo con superstizione. Sul campo compare il Re Pescatore e dopo messi di reti bucate, di pesci sfuggiti, e di raccolte di conchiglie dal dubbio valore, riporta la chiatta nerazzurra sopra il livello del mare. E consente ai compagni di continuare a navigare alla ricerca del portale che riporterà tutti a casa.

Serata non difficile da interpretare: la maledizione della Luna Blucerchiata ci impedisce da anni di fare i tre punti con i maledetti ciclisti travestiti da giocatori di calcio e in alternativa da pesci. In una sera in cui le nostre stelle brillano meno del solito ci manca solo l’errore marchiano del solito Buco con il Difensore intorno per mandarci sotto. Per fortuna ci pensa il Re Pescatore, altrimenti sarebbe buio come solo una notte in mezzo all’oceano può essere. Rimane la domanda del perché il Bambino d’Oro non giochi un po’ prima delle colonne d’Ercole del triplice fischio e perché l’Iguana Terrestre della Banlieues non possa imparare a fare i movimenti giusti, tanto da apparire troppo simile al peggior Fulmine di Teguchigalpa, ora pensionato dorato nel campi di Appiano Gentile.

Benny merita fiducia, anche se sta scontando la sua retorica del bel gioco, che quando non è accompagnato dai tiri in porta diventa un semplice esercizio di stile. E l’Inter è una squadra e un popolo che punta alla sostanza. Quattro partite e cinque punti non è un bello score. Ma è tutto quello che abbiamo saputo raccimolare. Purtroppo. Si poteva e doveva fare meglio. Tiremm Innanz.