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Inter in Wonderland: aiutini…

26 Settembre 2010 Commenti chiusi

La bella addormentata nerazzurra entra in campo con l’unico undici possibile per legge. Ma il problema non è la scelta dei titolari o lo stato di forma di alcuni di essi (in pesante e inspiegabile regresso), quanto la logica con la quale si è giocato il match. La palla viene fatta passare da un bipede all’altro, senza particolare necessità di farci qualcosa di specifico.


Dopo trenta minuti di niente, finalmente il bordocampista che è in ognuno di noi capisce cosa sta succedendo: per dieci minuti i nostri hanno pensato che si giocasse a pallavolo (non si spiegano altrimenti i posizionamenti a centrocampo), poi a qualcuno viene il dubbio di sbagliarsi, e infatti si passa a giocare a mosca cieca, seguita da nascondino.


Finiti i 45 minuti ogni tifoso che si rispetti si aspetta che Benny abbia spiegato un po’ meglio che stiamo ancora giocando nella Serie di Oz. Ma qualche malefico borgataro deve aver sciolto sostanze stordenti nelle bibite dei nostri eroi. Perché il secondo tempo è ancora più soporifero del primo. I nostri avversari, dapprima increduli, lentamente si rendono conto che per interpretare al meglio l’Alba dei Mortacci Viventi è necessario provare a fare qualche tiro in porta. Cosa che riesce loro, ma senza grandi risultati.


Intanto i nostri eroi continuano la scansione di tutti i giochi da età prescolare: rialzo, indovina chi, strega comanda color, bandiera, dando vita a una specie di incompresa versione dei giochi della demenza. Il dramma lo si raggiunge quando il Colosso e Totò, in lingua madre brasiliana, si autoconvincono con una sessione improvvisata di ipnosi a due che l’ultima prova delle Olimpiadi dell’Interdizione è “ce l’hai”. Prima uno poi l’altro scagliano la palla sull’avversario avviando il suo contropiede. E se al primo giro ci salviamo, al secondo Vucinic si lancia al grido di “bubusettete” e ci punisce per l’ennesima volta.


Dei nostri non si salva nessuno. Troppo brutti e spenti per essere veri.


Subiamo la adeguata punizione per puntare a un pareggino salva apparenze, di cui la Roma non si accontenta, giustamente. Alcuni tornati indietro di due settimane sulla preparazione, altri con la testa altrove, tanto da sbagliare passaggi e movimenti elementari. Benny dimostra grande polso riuscendo a ridare concentrazione alla squadra, solo però nel tunnel degli spogliatoi, perché fuori questo non si vede.


Inutile fare drammi perché può succedere, però avrei preferito perdere per aver provato a vincere, che per inerzia. Forse la verità è che non riusciamo proprio a non tendere la mano ai burini, anche se ce la mordono ogni anno. Perché forse siamo umani, troppo umani, e quando vedi uno sventurato sull’orlo della fossa, come fai a non dargli il tanto agognato… aiutino? Ecco, adesso almeno cambino per un paio di settimane l’inno, qualcosa tipo “Grazie Inter, che ci hai resuscitato e fatto vince, grazie Inter…” Non vi piace? Manco a me.

[Repost] Cerca la tua piccola storia di rivolta in famiglia!

23 Settembre 2010 Commenti chiusi

Riposto da cavallette

Grazie a un tweet di Wu Ming siamo arrivati a scoprire un interessantissimo articolo sul blog degli storici del Friuli Occidentale che insegna come consultare il Casellario Politico Centrale del PNF (Partito Nazionale Fascista). Ovviamente attraverso l’articolo si scoprono un sacco di risorse archivistiche molto poco pubblicizzate, ma molto interessanti dal punto di vista storico e culturale. Ovviamente se ci fosse qualcuno ancora attento a un concetto così obsoleto come quello di storia e memoria, nell’eterno presente del Paese che Non C’è in cui viviamo e non prosperiamo.

Se volete essere gentili andate al link degli storici, altrimenti le istruzioni in breve sono queste: andate sul sito dell’Archivio dei Beni Culturali dello Stato sezione Casellario Politico e cliccate su Ricerca. Da lì potrete vedere se un vostro nonno o un vostro bisnonno erano della vostra stessa opinione riguardo a cosa fare delle camicie nere (un sol fascio e poi… ecc ecc.). Buon divertimento e buon salto nel vostro e nostro passato e presente!

Inter in Wonderland: due più due fa sempre quattro

23 Settembre 2010 Commenti chiusi

Nella landa desolata del Paese-che-non-c’è i cavalieri della beneamata scendono in campo con l’unico 11 possibile, considerati i degenti, gli sbarbati nerazzurri in fieri e le chiocce, una delle quali – Speedy – dovrà anche entrare in campo quasi subito al posto del Muro acciaccato. Nella bruma della prima partita autunnale risuonano rimbombi, colpi, boati, esplosioni. Gli Scrondi del Tavoliere, decisamente abbelliti dalla permanenza nella massima Serie di Oz, attoniti si guardano intorno: non capiscono se siano cannonate o il ritmico e aggressivo percuotere di tamburi. Loro non lo sanno, ma è il rumore dei nemici, che finalmente anche Ciccio assaggia anche se in versione decisamente soft.

A sfoderarne una versione hardcore ci pensa Almiron, lo scrondus maximus considerati i suoi trascorsi, a meno di 30 secondi dal calcio d’inizio, con un proiettile da 40 metri che scalfisce i pilastri della porta nerazzurra. Il problema, come dicono dalle parti in cui sono nato, è che “se esci il ferro, poi devi saperlo usare”. Forte di questa massima di periferia, l’Inter davanti alla successiva assenza di bellicosità degli Scrondi, dimostra che non c’è trippa per gatti.

I nostri eroi sbucano da ogni collina, da ogni tumulo, da ogni ripiegamento del terreno, seminando il panico tra i giocatori avversari. Li sbeffeggiano, li aggrediscono, e imbasticono mitragliate talvolta a salve, talvolta no. I rumori e le esplosioni si sono avvicinati fino a entrare in campo: e purtroppo gli Scrondi scoprono troppo tardi che sono le armi cariche dei nerazzurri. Altro che medioevo! Ed è forse solo grazie allo stress post-traumatico di tutte queste esplosioni che anche il Principe si sblocca, nel modo meno nobile, deviando di faccia l’ennesimo assist di un Leone che brucia l’erba con i piedi e gli artigli eburnei.

Nei secondi 45 minuti il monologo di raffiche e proiettili continua: due rigori, trasformati dal nuovo rigorista, il Leone; finalmente una marcatura con un missile terra aria del Principe; svariate occasioni mancate di un soffio. Il gong finale lo suona Calimero, entrato da pochi secondi, quando lascia risuonare la sua testa vuota al suono dello sterile cannone del Tavogliere su punizione. Il tuono sprigionato dalla percussione umana improvvisata suona anche come l’epitaffio su una partita mai cominciata.

L’Inter sale di condizione e sale in cattedra, ma tanto quanto la vittoria di misura contro i siculi non rendevano giustizia alla superiorità espressa in campo, così la larga goleada odierna la accentua forse esageratamente. La squadra del Tavoliere è meglio di quello che sembra da questo match. Molti giocatori stanno tornando ai loro livelli, ma la panchina è veramente cortissima e speriamo di non avere in fretta il fiatone. E merita un plauso anche la scelta di Benny di sostituire i migliori giocatori in campo per dimostrare che in squadra sono tutti uguali. Bravo!

Due più due fa sempre quattro. Se le punte lavorano così tutta la squadra gira a mille. Godiamoci i tre punti e la partita. Godiamoci anche che per ora due partite su due con la curva ospite schierata in mezzo ai tifosi normali del terzo anello rosso, grazie alla mirabolante invenzione della Tessera del Tifoso, che ha reso obsoleto il settore ospiti, una delle poche intuizioni intelligenti di chi progetta l’ordine pubblico negli stadi. Siamo tutti curiosi di vedere come finirà con i drughi in mezzo alla gente civile. Take no prisoners, suppongo. Che mestizia.

Inter in Wonderland: non esiste rosa (nero) senza spine

20 Settembre 2010 Commenti chiusi

I cavalieri della tavola romboidale (magari!) nerazzurra entrano in campo con quella che è la formazione titolare in questo momento, con il solo Drago al posto dell’infortunata Olandesina, il Capitano d’Acciaio al posto di Marika e il Colosso nella sua posizione naturale. Di fronte si trovano il muro di spine delle Rose Nere palermitane, con qualità solo in pochi settori del campo e che non perde in casa da un anno e mezzo, con grande grinta e con un discreto culo, almeno per buona parte del match.

I ragazzi sfoggiano i migliori 45 minuti dall’inizio della nuova stagione, martellando il rovo avversario con tanto gioco, decespugliatori, cesoie, tante azioni e buone occasioni. Tutto gira abbastanza bene, ma la fortuna non ci assiste: la fiammata del Drago dalla tre quarti si spegne sulla traversa ignifuga di Sirigu e il rimpallo sulla sua testa finisce a lato anziché in porta. Prima e dopo il Colosso e il Drago seminano il panico assistendo il Leone e il Principe. Ma la palla non entra. D’altronde forse dei cavalieri medievali con in mano un paio di forbici sotto steroidi non avrebbero fatto gran figura nemmeno nelle più sfrenate saghe epiche.

Viceversa su calcio d’angolo il rimpallo della difesa finisce proprio sui piedi dell’uomo rosanero lanciato in contropiede (potere delle spine prensili) che guadagna rapidamente l’area nerazzurra e appoggia per Pastore: paratissima dell’Acchiappasogni che nulla può sulla ribattuta. Prima e unica vera azione da gol rosanero e spina conficcata nel cuore e nella rete dei nostri eroi. Le bestemmie si sprecano.

Seguono altri 15 minuti con due azioni da gol clamorosamente sparate addosso a Sirigu e fuori dal Principe, sgroppate di chiunque, financo dell’Orco, ma ogni maglietta scura viene avviluppata dalle grinfie del roveto. E il risultato non cambia.

Nei secondi 45 minuti i ragazzi perdono la bussola, e in particolare Polu, il buco con il difensore intorno si renderà protagonista di un secondo tempo allucinante, tanto da far ampiamente dubitare delle capacità intellettive di chi lo ha lasciato lì da solo a farsi saltare per un intero tempo di gioco. Aiuto. Per 15 minuti è solo Palermo. Il rovo libera i suoi tentacoli di spine e comincia a pungere di brutto, con i nostri eroi e le loro armature impotenti di fronte alla forza vegetale.

E a questo punto tocca a noi giocare di rimessa e Benny passa a un 4-4-2 un po’ sghembo con il Drago in mezzo, il Capitano e la Pantera esterni e il Leone prima punta: prima il Principe tocca a lato un cross basso perfetto come non è mai successo prima, poi il Leone raccoglie un palleggio perfetto del Principe stesso, dà fuoco al difensore rinsecchito rosanero e batte Sirigu. Finalmente. Dopo neanche 4 minuti rischiamo di subire il pareggio, ma fortunatamente Pastore non ha ancora imparato a usare il piede sinistro. Intanto “Chi l’ha visto?” riceve plurime richieste per accertare la localizzazione di Ciccio dato che evidentemente ci stanno prendendo a pallonate dei fottuti arbusti le cui uniche qualità di nota sono petali e spine.

Per fortuna del mister il Drago – gran partita – e il Colosso – bentornato! – scambiano sulla fascia e mettono in mezzo per il Leone che non si fa pregare una volta avvicinato alla porta e raddoppia. Un minuto dopo il culo (in questo caso impersonato dall’arbitro Romeo) finalmente gira e si mette a favore di vento nerazzurro: Polu bruciato per l’ennesima volta cade strattonato e rovina a terra, sgambettando Cassani. Per me è rigore tutta la vita, ma fortunatamente non faccio l’arbitro.

All’alba del 75esimo Ciccio finalmente alza il suo tasso glicemico e si decide a cambiare qualcuno: entrano il Bambino d’Oro e Calimero laterali di centrocampo. Ma Polu rimane misteriosamente in campo ed è proprio sulla sua fascia che continuiamo a vedere i famosi volatili per diabetici. D’altronde una fascia Polu-Calimero può esistere solo nella versione più oscura del mondo parallelo in cui si svolge la Serie di Oz. Peraltro il Bambino d’Oro non vedrà biglia per tutti i minuti giocati o quasi. Non contento pare che Ciccio, per dimostrare la sua vena offensiva e il suo bel calcio, avesse richiamato altri 123 difensori arrivando fino ai pulcini B, ma che non abbia potuto schierarli per mancanza di una deroga immediata della Lega Calcio (che pure aveva preventivamente chiesto, non si sa mai!).

C’è il tempo per un palo clamoroso di Pastore e Mariga seconda punta (!). Venti minuti (15 + 3 di recupero, ok, ma tant’è) di assedio di un roveto ai Campioni d’Europa, modello Camp Nou aprile 2010. Peccato che si giochi al Barbera. Per carità: in questo momento l’importante sono solo i tre punti, e finché arrivano quelli va tutto bene. E abbiamo giocato un ottimo primo tempo. E certamente la sfiga del primo tempo ci ha compensato con il culo e una svista arbitrale grossa così (tipo le dimensioni di Rocco Siffredi, cit.) nel secondo tempo. Ma le epopee vivono di altro. Vivono di slancio e di determinazione, di gesta e di narrazioni fantastiche. E soprattutto non possono tollerare l’ipocrisia: non ce la si venga a menare con il gioco offensivo e la vocazione a fare il Barcellona de’ noartri. Si dica che si sta cercando di capire che cazzo fare e che la coperta (o l’asciugamano, visti i tempi) in panchina è corta. I tifosi devono tifare e tiferanno. Non temete, non ci tiriamo indietro dal nostro ruolo di carne da cannone nelle grandi battaglie campali. Ma almeno non ci sentiremo presi in giro. Sappiamo che non esiste una rosa (nero) senza spine. E ce ne faremo una ragione.

Zeitoun e gli esseri umani

17 Settembre 2010 Commenti chiusi

Zeitoun racconta la storia vera verissima di Abdulrahman e Kathy Zeitoun, una coppia siro-americana musulmana di New Orleans nei giorni precedenti e successivi all’arrivo di Katrina. Narrano l’odissea di chi è fuggito dalla città lasciandovi tutto e la sospensione di ogni parvenza di democrazia nella città subito dopo l’uragano. Il libro di Dave Eggers è una finestra illuminata sulla labilità di quello che noi pensiamo essere il mondo evoluto in cui viviamo e con cui ci scontriamo tutti i giorni, e penso sia un’ottima lettura per ricordare a tutti che alla fine quello che conta sono gli uomini, il resto è tutto accessorio. Sono gli uomini infatti che possono trasformare la giustizia in violenza, la solidaritetà in prevaricazione; sono gli uomini che fanno la storia, la società, la democrazia; sono gli uomini, infine, che possono cambiare le cose e renderle migliori o peggiori. Zeitoun è la storia di ogni secolo, di ogni decennio, di ogni giorno intorno a noi, che ci racconta di come gli uomini non siano adeguati a diventare migliori, di come gli uomini siano ancora e soprattutto animali, senza  molte speranze. Nonostante le eccezioni.

Voto: 9

Lega dei Citroni: Twente-Twenty

15 Settembre 2010 5 commenti

I triplettati eroi detentori del titolo ricominciano il cammino nella Lega dei Citroni dal campo dei campioni d’olanda, o Paesi Bassi che dir si voglia, anche se di bassi nella squadra rosso vestita ce ne sono ben pochi. Benny schiera una formazione simile il più possibile all’Inter che ha vinto l’edizione precedente del torneo, con il Capitano d’Acciaio terzino sinistro a curare gli inserimenti dei veloci avanti avversari e la coppia centrale decisamente in rodaggio Pelato-Marika. Durante il riscaldamento i nerazzurri si rendono conto che il Twente ha dipinto una croce con lo spray in alcuni punti del campo, ma nessuno riesce a dare una spiegazione della cosa, neanche il madrelingua Olandesina Volante.

Il match inizia sotto i migliori auspici e i nostri eroi passano subito in vantaggio grazie a una bell’azione fatta di molti scambi, di un tiro del ritrovato – almeno nei movimenti – Principe con ribattuta a rete dell’Olandesina e la Pantera che si scansa per evitare di fare muro al posto degli olandesi. Sembriamo controllare bene il match, ma poi scopriamo esattamente che cosa servivano le croci tracciate con lo spray: i rossi continuano a passarci sopra attendendo il momento fatale in cui l’arbitro gli concede abbastanza generosamente un fallo per intervento del Muro, proprio sul segno nell’erba. Janssen prepara la palla e spara un missile nel sette imprendibile dal nostro Acchiappasogni.

Tutti pensano: poco male. Ma la verità è che siamo dentro i twenty-minutes del Twente. Quelli in cui gli olandesi fanno la partita. Ripassano sulla stessa fottuta zolla e stavolta è l’Orco a fare fallo. Janssen spara un altro missile che l’Acchiappasogni devia sulla traversa. Sul corner olandese il Principe ritrova il gol, ma nella porta sbagliata. Sfiga atomica e nerazzurri in svantaggio. Il dominio Twente dura ancora una decina di minuti, nei quali però il Pelato prende una clamorosa traversa su azione perfetta con l’Olandesina. Finiti i venti minuti di Twente, l’Inter pareggia con un rasoterra imparabile del Leone dopo triangolo con la Pantera.

Come si potrà facilmente intuire il nostro nanetto da giardino è in grande spolvero, e con lui il Leone che corre per tre, ovvero anche per la Pantera e il Principe che ancora non hanno abbastanza benzina. Le posizioni del Pelato e di Marika sembrano invertite, dato che l’uno dovrebbe stare dietro e l’altro avanzare e non viceversa come sembra ordinare Benny. Dietro niente da eccepire, soprattutto con brutti clienti come gli attaccanti olandesi.

La ripresa è tutta di marca nerazzurra: ci proviamo spesso e volentieri, ma il muro olandese ci rimbalza ogni pallone che puntualmente finisce sui piedi di Ruiz che rischia di imbucarci spesso ma senza grandi risultati. Incredibilmente a un certo punto anche Tiendalli usa la croce tracciata a terra per farne una lapide dedicata alla Pantera, ma l’arbitro non vede il fallo che fa uscire il giocatore nerazzurro in barella e gli olandesi continuano il contropiede come nulla faccia. Simpatici.

Entra Totò e Marika sale anche lui in cattedra. Totò fa i movimenti giusti e non ha paura, pur essendo un diciottenne all’esordio in Lega dei Citroni. Certo è leggero e spesso viene lanciato via, ma le migliori conclusioni in porta sono due sue battute senza pensarci due volte che vengono fermate dalle gambe dei difensori olandesi, e un diagonale di Marika che esce di poco. Ci proviamo fino alla fine, ma il risultato rimane inchiodato su un tutto sommato legittimo pareggio.

La squadra è in netto miglioramento, e questo è il dato principale. Un pareggio alla prima non è un dramma anche considerato il pareggio identico nell’altro scontro del girone. Certo con un po’ di culo si potevano portare a casa i tre punti, e l’infortunio alla Pantera ci costringerà ad accellerare i tempi del cambio di modulo tanto agognato per questa prima parte di stagione. E’ anche vero che era l’avversario più abbordabile, ma non mi sento di criticare la squadra più di tanto. Forse avrei fatto dei cambi un po’ più in fretta per tenere alto il ritmo ed evitare di spremere alcuni veramente un po’ allo stremo. Recuperare il Sindaco e il Bambino d’Oro è una priorità assoluta. No drama. No panic.

Le Poste Italiane colpiscono ancora

13 Settembre 2010 2 commenti

Già un anno fa le Poste Italiane mi hanno fatto perdere un anno di lavoro (che ho recuperato solo per puro culo a distanza di un paio di settimane con un’altra offerta). Anche quest’anno il servizio telegrammi sembra non funzionare in zona Isola-Stazione Centrale a Milano. Infatti venerdì (10 settembre) la scuola in cui ho insegnato due anni fa ha inviato i telegrammi per nominare due docenti, con scadenza per la conferma della disponibilità alle 12.00 di lunedì 13 settembre. Il telegramma (che dovrebbe essere consegnato al massimo entro 24 ore) mi è arrivato lunedì pomeriggio.
Fortunatamente una collega di quella scuola mi ha avvisato per tempo della partenza dei telegrammi e io ho chiamato pur non avendo ricevuto alcuna notifica. E quindi non ho perso l’occasione (anche se pare non sia abbastanza in alto in graduatoria per prendere una delle due cattedre). Ma se aspettavo i magnifici metodi della scuola italiana (le mail sono un oggetto sconosciuto evidentemente, e anche il telefono) e l’efficienza di Poste Italiane (che non dovrebbe essere monopolista eppure si fa fatica a trovare caselle della posta di altre società, no?) stavo fresco.
Ovviamente online non si trova alcun numero dove effettuare un reclamo, se non un anonimo form che nessuno leggerà. Altrettanto ovviamente non c’è alcun modo di rifarsi e un normale cittadino se la deve solo tenere in saccoccia. Poi non mi chiedete perché mi viene voglia di spaccare ogni mezzo e persona indossante il logo delle Poste Italiane che incontri per strada. Se non posso rifarmi civilmente su P.I. mi rifarò incivilmente su chi mi capita.

Inter in Wonderland: the dark side of the lord, il limbo dei tormenti

12 Settembre 2010 1 commento

Al ritorno dalle nazionali, gli eroi nerazzurri arrivano alla Pinetina immersa in un silenzio surreale. Circospetti i nostri beniamini si avvicinano agli uffici di Ciccio Benny, dai quali non fuoriesce un suono. Il buio domina la valle di Appiano, è mattina presto, ma nonostante tutto si dovrebbe almeno intravedere il Sole. Uno per uno, in fila indiana, entrano nelle strutture nerazzurre per cercare di capire che cosa stia succedendo. Nelle stanze i mobili sono coperti da lenzuoli candidi e immobili, qualche ragnatela inizia a fare capolino agli angoli delle pareti. L’Inossidabile Capitano, primo fra tutti ad entrare, guarda atterrito i proprio compagni di squadra.
Finalmente, nell’ultima stanza, quella del mister, trovano Ciccio seduto dietro la scrivania, zitto, lo sguardo concentrato e perso nei propri pensieri. I ragazzi, a un cenno del capitano, si schierano lentamente di fronte al neo allenatore, in attesa di capire dalle sue parole che cosa sia accaduto. O che cosa stia accadendo. Dopo interminabili minuti, Benny focalizza lo sguardo sui nuovi arrivati e comincia una piccola orazione greve, senza alzare la voce, come se fosse di estrema importanza per tutti capire la delicatezza del momento e il pericolo che si sta correndo.

“Quando sono arrivato qua il primo settembre, tutto era cambiato. Voi non c’eravate. Alcuni di voi a casa con le famiglie, altri in viaggio per giocare con la propria nazionale. Sono arrivato e i prati verdi erano diventate distese desolate, le mura prima sgargianti opprimenti barriere grigie, i visi sorridenti tirati musi da zombie. Non so cosa sia accaduto. Non so quale svolta abbiamo sbagliato. Ma so che il luogo dove ci troviamo, questo sepolcro prematuro, non è più il Paese delle Meraviglie che avevate conosciuto fino a poco tempo fa. Abbiamo attraversato l’ennesimo specchio che ci ha riportato nel passato, o forse nel futuro. So solo che le insidie saranno ancora più numerose, e che quello che pensavamo fosse un gioco e niente più che un gioco, è improvvisamente diventato qualcosa di molto più letale e pericoloso. Siamo arrivati nel lato oscuro del Paese dei Cachi. E non so se riusciremo a tornare da dove siamo venuti. Non abbiamo altra scelta che stare vicini e cercare di combattere tutti insieme per ritrovare il sorriso e per far tornare i colori in questa landa perduta. Siete con me? Saremo soli e sarò solo contro tutti, saremo i capri espiatori, le vittime designate, siete disposti a combattere con me?”

Gli eroi perplessi, e con loro i tifosi impotenti spettatori, hanno trattenuto il fiato per tutto il tempo in cui il mister ha parlato. Poi si sono guardati l’un l’altro, alcuni increduli, altri spaventati, altri ancora sardonici. E hanno lasciato che a parlare fossero i fatti. Si sono girati e sono andati sul campo di allenamento, aspettando che Ciccio li raggiungesse per provare a raddrizzare un’avventura che stava prendendo una piega veramente tetra. Il cunicolo dopo il trionfo al Bernabeu forse era solo l’inizio. Ma almeno sanno di non essere soli nell’odissea che stanno per intraprendere. Si sono voltati verso i piccoli spalti. E hanno visto che la gente era ancora lì. Per loro. E per se stessi. E per i colori del cielo e della notte. Si sono tornati a guardare l’un l’altro e hanno cominciato a preparare la successiva partita.

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In un San Siro trasfigurato e diafano, mezzo vuoto nonostante la bella giornata, con il terzo anello blu vuoto di sostenitori che grazie alla tessera del tifoso hanno potuto comprarsi un comodo posto nel terzo anello rosso in mezzo ai sostenitori della Beneamata (complimenti!), Benny schiera ancora il 4-2-3-1 con importanti novità: dietro i terzini sono l’Inossidabile Uomo d’Acciaio – che sa il fatto suo – e un Crystal che definire in stato confusionale è dire poco. Il ragazzo non ne azzecca una e il suo attaccante lo marca meglio di quanto faccia lui a parti invertite: togliamolo da quella posizione perché tra poco diventerà un bersaglio mobile a San Siro e non so se lo merita. In mezzo il Pelato e la Marika, davanti al trittico Principe-Olandesina-Leone si aggiunge l’Iguana delle Banlieues.

Nei primi minuti la squadra gira, di fronte al coraggiosissimo 5-4-1 tutti dietro la palla del pretino Guidolin, e grazie a una dormita colossale della difesa furlana l’Orco può segnare di sinistro mentre finisce di fumarsi una sigaretta. I minuti passano e il limbo in cui sembrano essersi perduti la determinazione e gli automatismi nerazzurri inizia a manifestarsi. E’ difficile individuare un colpevole: sicuramente Crystal non ne imbrocca una, ma c’è da dire che il Leone sembra non avere voglia di correre e bruciare l’erba: o meglio corre, ma è come se qualcosa non quadrasse; l’Iguana non fa una sovrapposizione o un movimento giusto manco a pagarlo, imitato a ruota dal Principe (passi che tu non abbia lo scatto, ma i movimenti sono rimasti a Madrid insieme alle offerte di cui ci avevi parlato? ti aspettiamo!); Marika ha dei numeri, ma deve ancora imparare la parola tattica. Ci sono anche gli aspetti positivi: da quando si è ventilato l’arrivo dell’Anuro Ligure l’Orco ha ritrovato smalto e il Muro è implacabile; l’Olandesina ha almeno 60-70 minuti di autonomia (forse non doveva giocare la seconda partita con l’Olanda perché la mia sensazione è che non sia al top a causa del piccolo risentimento patito); il Pelato e il Capitano sono dei martelli, ringiovaniti – per ora – dalla convocazione in nazionale.
Le poche cose buone non ci salvano e su un innocuo calcio d’angolo pigliamo un fico da Floro Flores Florellin tutto solo in area. E’ il dramma, il tormento dei tormenti, è il vuoto che i tifosi leggono nello sguardo dei loro campioni: non un vuoto dovuto ai muscoli che ancora non rispondono al meglio, ma un vuoto di agonismo, come se le gonadi nerazzurri fossero state levigate fino a diventare bellissimi preziosissimi fragilissimi ornamenti di cristallo. Finisce il primo tempo, inizia il secondo tempo. Ma il limbo permane sul terreno di gioco.

D’altronde anche i furlan ci mettono del loro dato che nei primi 15 minuti il tempo effettivo di gioco tra sceneggiate e finti infortuni rasenta i 120 secondi. Incredibilmente a dare la scossa è l’uscita di Crystal con il Capitano d’Acciaio terzino sinistro e Speedy Gonzales sulla fascia destra che in cinque minuti fa quello che l’Iguana non è riuscito a fare in 60: scende fino in fondo e prova a crossare. Due volte. Incredibile. La squadra si scuote un po’, ma il tono fisico è in discesa verticale. Dentro la Pantera per l’Iguana. Ma la solfa non cambia. La squadra è già in apnea mentale e fisica da tempo.

Com’è come non è riusciamo a procurarci un rigore. Il Leone va sul dischetto. E sbaglia, tanto per rinnovare i tormenti del limbo, ma almeno la ribatte dentro. La squadra non ne ha più. Dentro Calimero – buona la prima anche se per poco – per il Principe con passaggio fugace al rombo ma con l’Olandesina prima punta. Misteri della fede. E del limbo. Marika sta con le bombole ad ossigeno. Il numero di passaggi sbagliati rasenta l’80%. Si contano i centesimi che ci separano dalla fine. Rischiamo di fare la frittata tantissime volte, ma la partita finisce così.

La testa non c’è. Il fisico non c’è. Siamo nel limbo. Speriamo di trovare una via d’uscita. Ma oggi abbiamo strappato con i denti i 3 punti. Ed era tutto quello che contava: brutti, sporchi, cattivi, cinici, fortunati. Quello che volete, ma servivano solo i tre punti. Per il resto, aspettiamo che le nebbie si diradino.

Anche Venezia via da Milano grazie al Comune

10 Settembre 2010 1 commento

A giugno feci un breve post raccontando di come grazie al ritiro del patrocinio della Provincia di Milano (appena passata dalla sinistra alla destra nell’eminente persona di Podestà) la Rassegna del Festival di Cannes a Milano dopo anni e anni di onorata carriera venisse meno. In realtà proprio in extremis alcuni miseri fondi vennero stanziati e consentirono una versione molto risicata della Rassegna, da almeno una decina di anni uno dei pochi eventi culturali degni di nota del modesto panorama milanese.

A settembre da altrettanti anni (o forse di più, non saprei) si tiene una rassegna dei film del Festival di Locarno e di Venezia. Quest’anno la panoramica si è presentata in una forma diversa da quella degli altri anni: laddove fino al 2009 potevi acquistare degli abbonamenti da una quarantina di euro per assistere potenzialmente (dovevi essere molto lesto e pronto a sciropparti 5-6 film al giorno) a 30-40 film dei 40-50 proposti, quest’anno è stato previsto – oltre a una serie di iniziative promozionali e coupon con Esselunga e Corriere della Sera – un abbonamento da 32 euro per 8 film a scelta tra i 39 in programmazione. Lo scarto in termini di rapporto film-spesa per gli appassionati è abbastanza evidente: da 1 film per 1.5 euro, a 1 film per 4 euro. Diciamo per comodità due volte e mezzo, se non tre, a seconda di quanti film eri in grado di seguire con la vecchia formula.

Incuriosito sono andato oggi alle 18 alla vendita degli abbonamenti per capire un po’ meglio la situazione. Ho parlato con un ragazzo grande, grosso e appassionato di cinema con cui ho sempre scambiato quattro chiacchiere durante le code e che fa parte dell’organizzazione della Rassegna. Penso di essere stata la centesima persona a fargli la domanda per cui mi è parso molto preparato a rispondere cercando di giustificare il più possibile la scelta fatta.

Sostanzialmente i motivi che hanno portato al cambiamento di formula sono tre: (a) il Comune di Milano ha stanziato 20.000 euro anziché 120.000 come gli altri anni; (b) le sale a disposizione sono piccole e con una media di due proiezioni a film a fronte di 2000 tessere degli anni passati non se la sentivano di fatto di escludere 1400 persone dalla possibilità di vedere ogni film; (c) i distributori a fronte di numeri così esigui (2000 abbonamenti) non danno la disponibilità delle pellicole per più di 1-2 passaggi.

Io ovviamente capisco la necessità del mio interlocutore di indorarmi la pillola, ma la risposta si presta facilmente all’interpretazione del responsabile della nuova e peggiore formula dell’abbonamento alla rassegna: le sale cinematografiche di Milano fanno schifo da sempre, non certo da quest’anno, e il circuito che partecipa alla rassegna non mi pare sostanzialmente cambiato, da cui possiamo anche dirci tranquillamente che il problema (b) era facilmente risolvibile; i distributori sono stronzi capitalisti, ma niente più di questo, per cui a fronte di maggiori soldini, sicuramente avrebbero dato la disponibilità di 3 visioni anziché 2, o comunque del numero di visioni degli anni scorsi. Motivo per il quale tenderei a minimizzare anche il problema (c).

Evidentemente sono mancati i fondi per pagare queste proiezioni e l’impiego delle sale, cosa che mette in risalto come il principale responsabile del parziale (almeno per ora, ma a giudicare dalla ricezione delle modalità non mi pronuncerei con tanta sicumera sul futuro) affossamento della rassegna sia il Comune di Milano e la sua nuovissima vocazione al risparmio. Siamo certi che i soldi per fanfare e cazzate di ogni tipo per i consiglieri comunali non siano mancati e che i 100.000 euro non assegnati alla Rassegna non siano purtroppo finiti a fare asili nido popolari o programmi di calmierazione degli affitti.

Alla fine la formula non mi ha convinto e ho deciso di non fare l’abbonamento. C’è da dire che anche i film in programma non mi hanno molto convinto. Non è certo colpa di chi organizza la rassegna se i titoli nei rispettivi Festival non sono proprio entusiasmanti: in questo ultimo anno, sarà un problema di mia percezione soggettiva, ma mi pare che le sale dei festival si riempiano di film sulle parti più atroci dei regimi ispirati al marxismo e al comunismo (da notare: ispirati a e non qualificati come). E’ pieno di gente impegnata a rinnegare le idee che hanno condiviso e per cui si sono battuti, senza ovviamente che nessuno si preoccupi di quello che ha compiuto. Voglio dire: è evidente che ci sono aspetti dei regimi totalitari cosiddetti socialisti che sono quantomeno discutibili (e a nulla vale la constatazione che i regimi di altro segno hanno fatto di peggio e lo hanno fatto per proprio programma e non per deviazione dalla propria versione “ideale”), ma come mai non è pieno di gente che si vergogna di quanto fatto dai cosiddetti regimi democratici e dai ben peggiori regimi totalitari tuttora in pieno fulgore in tante parti del mondo (inclusa la nostra beneamata penisola)? E perché è pieno di anime candide quando bisogna guardare i peccati degli altri e vuoto di volontà di fare qualcosa quando si guardano i propri?

Sono un materialista, non come i chinai, ma pur sempre un materialista. La storia è violenza. E’ violento scontro di interessi e di bisogni. Non mi vergogno di ciò che non ho fatto io, non sento il bisogno di giustificarlo, né di condannarlo. Ma sento spesso, sempre più spesso il bisogno di capire. Di capire soprattutto ciò che mi è più vicino. E devo essere sincero: il Paese in cui vivo e che segue abulico la sua vita falsa e falsamente benestante non lo capisco e non lo accetto più di buon grado. D’altronde lo sappiamo tutti: il vero problema del posto in cui viviamo sono 4 cazzo di fumogeni, non 100.000 persone che non avranno più un reddito per conservare intatto il margine di profitto di chi di soldi ne ha già molti. O no?

Travelling the Balkans: breviario di viaggio nella ex yugoslavia

1 Settembre 2010 Commenti chiusi

Il viaggio nei territori della ex Yugoslavia non è così esotico come altri e quindi non ho molto da raccontare. Come ogni viaggio ci sarebbero in realtà centinaia di episodi e scorci, ma la verità è che questi non sono di alcuna utilità per chi viaggerà dopo di me, dato che conoscerli è il motivo del viaggio e leggerne non è di molto aiuto.

Per comodità dividerò le note secondo i quattro stati che abbiamo attraversato che, nonostante facessero parte di un medesimo stato fino a 20 anni fa, mostrano quante differenze contengano le varie culture che erano tenute insieme dallo stato yugoslavo.

SLOVENIA

La Slovenia sembra un pezzo di Tirolo spostato a Est di qualche centinaio di chilometri. E’ sempre stata la parte più ricca della ex Yugoslavia e ha subito la guerra per un tempo veramente brevissimo dato che non è stata teatro delle sanguinose faide che invece hanno insanguinato una buona parte di Serbia, Croazia e Bosnia. E’ entrata nell’euro da un paio di anni (se non sbaglio, ma wikipedia vi aiuterà) e i suoi prezzi sono in tutto e per tutto europei, ovvero pari a quelli italiani.

Noi abbiamo attraversato la Slovenia da Nova Goriza fino a Ljubljana, per poi proseguire lungo alcune stradine fino a Novo Mesto e sbucare in Croazia. Ricordatevi prima di entrare sulle autostrade slovene che dovete acquistare una simpatica “vignette” per transitarvi (in stile Svizzera). Sulla via del ritorno siamo passati per la statale che collega l’Istria con Trieste. Il paesaggio e il tono delle persone che abbiamo incontrato ci è sembrato costante: cordiali, gentili, ma abbastanza formali. C’è da dire che con la Bosnia è l’unico territorio della ex Yugoslavia dove ci sia ancora una sinistra come la intendiamo noi. In particolare Ljubljana ci sono due spazi sociali: la Methelkova (una ex caserma riconvertita in luogo con locali e con un ostello fantastico ricavato dall’ex prigione militare – Hostel Celica – che consiglio a tutti di visitare e utilizzare, nonostante il costo decisamente elevato) e il Rog (un vero e proprio centro sociale che trovate lungo il fiume allontanandovi una decina di minuti a piedi dal centro).

Sempre Ljubljana cova l’ambizione di diventare una capitale artistica e culturale europea ed è una città piacevole dove passare un paio di giorni a rilassarsi bevendosi qualcosa lungo il fiume.

Per mangiare consigliamo vivamente lo Skofu: un ristorantino che trovate sicuramente in tutte le guide nella zona di Trnovo più a ridosso del fiume, appartato e tranquillo. Il cibo è ottimo, ma chiedete prima quanto costa che altrimenti vi ritrovate un controfiletto ai mirtilli buonissimo ma che vi pela 22 euro! Senza strafare si può mangiare al prezzo di una cena al ristorante in Italia.

Per dormire sconsigliamo abbastanza l’Alibi Hostel, non perché sia sporco o scomodo, anzi, è situato in centro, ma diciamo che il buon giorno non è un optional incluso nel prezzo. Viceversa se volete spendere un pochino il Celica Hostel nella Methelkova o l’H2O Hostel (anch’esso in centro sulla riva del fiume) sono decisamente meglio. Dopodiché un po’ tutti i posti vanno bene in Slovenia: non vi ritroverete bacarozzi o fregature grossolane. Andate sereni.

Le attrazioni di Ljubljana sono un po’ quelle arcinote: tour al Castello, giretto all’Open Air Theater e passeggiate lungo il fiume e i suoi multipli baretti. Buon divertimento.

SERBIA

Dopo aver attraversato di corsa una miriade di paesini della Slavonia (Croazia) siamo fuggiti in territorio serbo lungo l’Autoput (autostrada) Zagreb-Beograd. Stanchi dal viaggio abbiamo deciso di uscire alla prima uscita dell’autostrada in Serbia e siamo andati a dormire nel paesino di Erdevik, per testare la vita nella Serbia non metropolitana.

Qui abbiamo trovato una sola affittacamere, fantastica, di nome Katarina, una sciura di 50 e passa anni che non parla manco mezza parola che non sia serbo, ma che ha molta voglia di accogliere viaggiatori. Erdevik si trova a una decina di chilometri dal parco naturale di Fruska Gore e quindi per chi ama la natura può essere una perfetta tappa nella wilderness serba. La sciura ci ha accolto in una bella stanza doppia per 10 euro a testa, e con un altro euro e mezzo ci ha abbuffato la mattina dopo con una colazione sontuosa.

Infatti i costi serbi sono ancora extraeuropei (diciamo che tutto costa all’incirca la metà): solo sul pernottamento si stanno rapidamente adattando – almeno nelle grandi città – mentre per quanto riguarda il cibo si riesce ancora a cenare in due al ristorante per una ventina di euro senza lesinare.

La principale tappa del nostro viaggio serbo è stata però Belgrado: una splendida città, ancora all’inizio del processo di gentrification che lascia ampi spazi per vedere la Belgrado che fu e che sotto sotto sempre sarà. Una città di café e di vita notturna, di chiacchiere e di passeggiate. Se cercate mostre e musei non troverete granché, ma se cercate un po’ di nightlife è il posto giusto (magari non in agosto, eheh).

Per dormire troverete mille soluzioni. Noi abbiamo scelto un ostello sul Danubio, l’Arkabarka, dal quale in mezz’oretta a piedi potete arrivare in centro (o in 10 minuti se prendete l’autobus) e che alla sera è un’oasi di piacevole rinfresco dal caldo mortale che fa di giorno. Lungo il fiume troverete decine di barche con ristoranti, pub, bar, terrazzine di ogni tipo. E se vi addentrerete nelle viette vicino al centro troverete scorci veramente interessanti e un fantastico graffito alto quanto una casa a 4 piani di Blu. Complimenti.

Per mangiare noi consigliamo tra i tanti 2-3 posti. Il primo è Brodic, un baretto verso la Fiera di Belgrado (prendete il lato verso Belgrado vecchia del fiume e camminate verso destra guardando Kalemegdan, la fortezza); se vi perdete chiedete si 6 Topola (un locale molto conosciuto proprio di fianco). Al Brodic potete passare un’ottima serata e mangiare una decente pizza!

Il secondo posto è Stepenice, un ristorante con una terrazza sul fiume proprio vicino alla zona in cui grandi magazzini portuali stanno venendo trasformati in locali di lusso. Se guardate Kalemegdan dal fiume, appena sopra la zona dei magazzini, vedrete una terrazzina con tendine gialle illuminata di notte, come se fosse sospesa tra altri edifici. Quello è il ristorante. Si mangia bene, cibo non particolarmente tipico, ma gustoso e a un prezzo accettabile.

Se invece volete mangiare del Cevapcici o altre amenità carnivore tipiche dei serbi (a me piacciono un sacco, ma dopo una settimana di solo Cevap mi è un po’ venuto a noia) fermatevi allo Zlatna Bokar sulla “montmatre di belgrado”, Skadarska.

Se poi durante il giorno volete un momento di pace dal caldo e dal chiasso potete andare al Café-Restoran dentro l’Università che potete raggiungere tagliando verso la principale via commerciale partendo da Trg Studenski: guardando in uno dei cortili lo vedrete privo di chiasso e apparecchiato con decine e decine di tavoli. Il proprietario praticamente vive lì e afferma “qui si chiude quando se ne va l’ultimo cliente”. A Belgrado significa che non chiude mai. Ma è l’unico baretto senza musica che troverete in centro, e ogni tanto anche le vostre orecchie avranno bisogno di ristoro.

Per concludere non perdetevi una gita al mausoleo di Tito per la foto di rito (è un po’ fuori mano rispetto al centro ma con i mezzi pubblici si raggiunge senza menate) e ricordatevi che in Serbia si usano i dinari: 100 dinari circa per ogni euro. Fatevi bene i conti perché poi cambiare i dinari non val proprio la pena!

BOSNIA-HERZIGOVINA

Passare dalla Serbia alla Bosnia è come passare dall’Italia alla Turchia. Da un lato i balcani europei dall’altro quelli ottomani. Lo noti dal panorama lungo le strade costellato di moschee, dai vestiti delle persone, dalle facce rugose e scure contrapposte a quelle rubizze e tonde sopra le spalle larghe, dai suoni e dagli odori. Dopo la Serbia, la Bosnia è la parte dei balcani che mi sono goduto di più, in cui trovo più affinità e in cui il viaggio mi pesa meno. E non è solo questione di costi, che in Bosnia, se possibile, sono ancora minori che non in Serbia.

La principale tappa del viaggio è stata Sarajevo, anche nota come “piccola Istanbul”, a ragione. Sarajevo non è enorme, soprattutto se si escludono i sobborghi di Nova Sarajevo: il centro è stato rimesso a nuovo ed è molto godibile, anche se fortemente turistico. In particolare il bazar del centro, la Bascarsija, è un po’ artefatto, ma pieno di posticini piacevoli dove mangiare e bere qualcosa. Nonché comprare qualsiasi cosa che vi venga in mente di comprare.

Sarajevo si può visitare in un paio di giorni con tutta comodità, vedendo tutto quello che c’è da vedere, almeno secondo me. Di seguito vi metto il tour tipico. Mattino: Vecchia Chiesa Ortodossa vicino alla piazza dei Piccioni, Casa Svrzo (una casa musulmana perfettamente restaurata e conservata), il Museo Ebraico e la sua sinagoga, le Moschee della zona del centro, il museo Brusa Bezistan dedicato alla città, le Cattedrali Ortodossa e Cattolica (non granché), Casa Despica (una casa ortodossa molto ben conservata). Il giro ve lo sbrigate in 4 ore e potete prendere un biglietto cumulativo per tutte le attrazioni con ingresso a pagamento spendendo 12 KM (marchi convertibili) ovvero 6 euro. Potete mangiare qualcosa al baretto 2 Ribara lungo la riva sinistra del fiume andando verso Novi Sarajevo oppure al Bar Hana in pieno bazar (chiedete all’Ufficio Informazioni Turistiche dove parlano un ottimo inglese e vi riempiranno di cartine e mappette). Nel pomeriggio andate a vedere il Museo di Storia di Sarajevo con una impressionante mostra sulla guerra e subito sotto passate un’oretta al Tito’s Café (potete comprare delle fantastiche magliette con il profilo del grande condottiero stilizzato.

La sera verso le 18.30 prendete un bel taxi e fatevi portare al Biban Kavanha (ditegli così, vi chiederanno 10 euro quindi cercate dei compagni di viaggio) da cui potrete gustarvi la vista di tutta Sarajevo dall’alto e mangiare degli ottimi manicaretti. Terminata la cena scendete a piedi verso la città e se fate la strada giusta sbucherete proprio di fronte al Birrificio di Sarajevo, per un’ultima birretta prima di andare a letto.

Per quanto riguarda il pernottamento a Sarajevo problemi non ne incontrerete: ci sono circa 50 ostelli e 100 pensioni, tutte in centro. I prezzi per il letto in camerata dovrebbero oscillare tra i 10 e i 15 euro al massimo, colazione inclusa; per le doppie cercate un posto con parcheggio e colazione, e dovreste trovare dai 35 in su (noi abbiamo pagato 40 euro in un posto veramente in centro gestito da delle pischelle simpaticissime). Non vale neanche la pena prenotare, perché la concorrenza è spietata. Prima di ripartire per proseguire il vostro viaggio, non dimenticate di comprarvi un po’ di pistacchi e di frutta nei negozietti del centro: i prezzi sono ottimi e non ve ne pentirete.

La seconda tappa che abbiamo fatto in Bosnia è stata Mostar: la città è stata completamente ricostruita usando le tecniche originali di costruzione ottomana. E’ splendida, ma ad agosto è infestata dai turisti. E soprattutto non ha un posto all’ombra manco a pagarlo. Risultato: abbiamo resistito due ore, incluso il pranzo, e poi siamo fuggiti verso la costa croata. Ma se non ci andate d’agosto, presumo che ci sia molto più gusto a camminare per i vicoletti della città vecchia circondati da pareti bianche e ricordi sommessi di una guerra che è passata, ma non da troppo tempo. E per fermarvi a pensare come solo dieci anni fa ci fossero ancora fucili che sparano proprio nel cuore dell’Europa. Mette lo stato di pace in cui viviamo in una prospettiva molto più precaria.

CROAZIA

E raggiungiamo così l’ultima tappa del nostro viaggio balcanico. La Croazia mi è sempre stata un po’ sul cazzo, quindi non stupitevi se non sarò molto obiettivo. Storicamente è stata la patria dei nazisti jugoslavi, è sempre stata più austriaca che balcanica e tuttora detiene il primato non invidiabile del maggior numero di destroidi in assoluto (insieme alla Serbia a dire la verità).

Informazioni preliminari: in Croazia fino al 2012 si useranno le kune, tasso di cambio circa 7 kune per ogni euro; le autostrade si pagano un tocco per volta in stile Francia; ovunque accettano e danno resto anche in Euro, tranne che alle biglietterie dei traghetti, forse per dispetto; i costi della Croazia sono in tutto e per tutto quelli europei, e sulla costa pure più alti (cena di pesce per due intorno ai 70 euro; pranzo normale per due intorno ai 40-50 euro; pernottamento in una doppia o in un mini appartamento 40-50-60 euro a seconda delle location).

Noi abbiamo visitato in una sera e una mattina la splendida Dubrovnik: la città è veramente molto bella e ricorda di brutto Lecce e altre città pugliesi. Purtroppo in luglio e agosto è talmente piena di turisti da non riuscire a camminare nella via principale del centro. Nei vostri giri non vi perdete assolutamente la Chiesa di Sant’Ignazio e la piazzetta su cui si affaccia: è veramente splendida, e la palma chiusa tra la facciata della chiesa e il vicino edificio che non sono riuscito a identificare è uno scorcio che vale un’ora di contemplazione. La città è stata ricostruita dopo i bombardamenti ed è decisamente un posto attraente turisticamente e culturalmente.

Per il resto il nostro viaggio ha fatto tre tappe di mare, tutte decisamente positive per qualità dell’acqua, dell’aria, dell’ambiente in cui abbiamo nuotato e preso il sole e il vento. Tutta la costa croata è molto bella, e basta sbattersi un po’ per trovare calette e spiagge relativamente tranquille. Per dormire in ogni luogo troverete gente che affitta camere (sobe) o mini appartamenti (apartmani) ai prezzi che ho sopra indicato. E praticamente ovunque tranne che su qualche isola troverete campeggi a prezzi abbordabili e autocamp per camper e mezzi di trasporto vari.

Noi siamo stati prima di tutto a Trsteno: a 20 km da Dubrovnik è un paesino piccolissimo con due ristorantini e manco un bancomat o un mercatino (i più vicini sono a 5-10 km di distanza verso Dubrovnik); è un’ottima base per visitare la città dalmata e per farsi dei giorni di mare appena sotto l’Arboretum, un giardino botanico risalente al 1500.

Seconda tappa è stata l’isola di Korcula in fondo alla penisola che parte da Ston a pochi chilometri da Dubrovnik. Per raggiungere l’isola basta arrivare in fondo alla penisola e prendere un traghetto per la città di Korcula (ce ne sono una ogni ora) che è una specie di piccola Dubrovnik altrettanto bella e candida. Per quanto riguarda il mare il consiglio è quello di prendere la strada verso Vela Luka (sul lato meridionale dell’isola all’estremità opposta rispetto a Korcula) passando per Cara, Smokvica e Brna fino ad arrivare a Prizba. Qui troverete tantissimi posti dove fermarvi, ma noi abbiamo scelto di girare a sinistra appena fuori la zona più turistica di Prizba, in corrispondenza dell’unico negozietto che troverete. In fondo alla strada troverete un ristorante/pensione chiamato Riva1 e gestito da Danny, un simpaticissimo australiano di origini croate e sua mamma. Noi abbiamo dormito lì e ci siamo tuffati da quelle parti, il resto dell’isola in macchina.

Terza tappa: l’isola di Vis. Per raggiungerla dovrete prendere il traghetto da Split (occhio che sono due ore di traghetto e una 70ina di euro per macchina e due persone), e arrivati alla città di Vis dovrete cercare un posto dove dormire (non che ci voglia molto considerato che tutte le strade insieme di Vis arrivano sì e no a 25-30 chilometri). Noi abbiamo preso la strada per Rukavac e Srbrena dove abbiamo trovato facilmente un posto dove dormire. Occhio che su Vis non ci sono campeggi né ostelli e dovrete accontentarvi (!) di mini appartamenti e/o pensioncine. Una volta trovato dove dormire la nostra routine è stata semplice: colazione a Komiza (la cittadina sul lato opposto di Vis, molto più accogliente e a misura d’uomo), 10 minuti di internet, mare a Srbrena la mattina e a Rukavac il pomeriggio, cena e aperitivo sulla veranda di casa. A Rukavac troverete anche due ristorantini abbastanza buoni: Il Dalmatino e Le Terrazze. Quest’ultimo è gestito da un croato di origine libica e dalla sua compagna che parla italiano, come per il resto la maggior parte della gente sulla costa dalmata (quelli che non parlano tedesco).

Buon Viaggio.

E se vi interessano dettagli o cose che non ho descritto con maggiore precisione sapete come trovarmi qui sul blog o in altre forme.

PS: tutti i nomi di luoghi e posti mancano dei caratteri speciali dell’alfabeto serbo/croato/bosniaco. Mi spiace, ma penso vi ci raccapezzerete lo stesso