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Milano da buttare, che novità: la panoramica “Cannes a Milano” 2010 non si farà per colpa della Provincia di Milano

10 Maggio 2010 5 commenti

 

Come ogni anno si avvicina l’inizio di giugno e il festival di Cannes: stimolato anche dalle uscite da piccolo ras offeso nell’orgoglio di quell’ignobile personaggio che risponde al nome di Sandro Bondi, mi sono ricordato che avrei dovuto controllare quando si vendevano gli abbonamenti per la panoramica a Milano della Quizaine. Per chi non lo sapesse infatti da quasi 15 anni sia quest’ultima che Venezia vedono una loro rappresentanza di film proiettata a Milano per gli appassionati che non hanno la possibilità di spostarsi fisicamente nei luoghi dei festival. Appassionati che negli ultimi anni hanno ampiamente sfondato le 15.000 presenze, per inciso.

Ebbene: sul sito dell’AGIS non trovo nulla. Mi insospettisco, cerca di qui, cerca di là, scopro che quest’anno dopo 14 anni filati, la panoramica "Cannes a Milano" non si farà. Motivo? La Provincia di Milano, recentemente passata al PDL con il prode Podestà, prima ha tergiversato sui fondi, poi ha richiesto di visionare le sinossi e il programma in anticipo (ah, ma il Popolo delle Libertà non è avulso alla censura?), e infine ha stanziato fondi ribassati del 40% ma ormai troppo tardi per consentire l’organizzazione del tutto.

Così, uno dei pochi eventi che facevano vagamente assomigliare Milano a una metropoli europea finisce nel cesso, grazie alla sua illuminante e illuminata amministrazione. Ma non vi preoccupate: i soldi per pulire i muri, per trasformare i bus in gabbie per negri, per sgomberare a destra e a manca, per finanziare questo o quel costruttore per avviare i lavori di un parcheggio che non si finirà mai ci sono sempre. Ma i milanesi non se ne accorgono: tanto la maggior parte di loro anela solo a un aperitivo in corso como a meno di 50 metri da qualche personalità del calibro di Fabrizio Corona e soci. Bella vita? Bella merda!

 

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Inter in Wonderland: quasi quasi…

10 Maggio 2010 Commenti chiusi

 

Gli eroi nerazzurri sbarcano a San Siro con l’ennesimo 4-2-3-1 con il Figliol Prodigo, il Leone, il Principe e il Drago supportati dal Pelato e dal Sindaco. Di fronte hanno i quasi clivensi, che nulla hanno da chiedere al campionato e possono giocarsela senza pressioni. Lo stadio è gremito e l’Inter parte forte: pim pum pam, quasi tre gol. Poi cross innocuo e invereconda deviazione del Sindaco, Inter sotto e scudetto quasi alla Roma. Ma il Chievo non esiste e i nerazzurri pressano a tutto campo: il Leone si inventa un numero in palleggio in piena area clivense e poi spara verso l’angolino, segnando grazie ad una deviazione che sa tanto di compensazione del destino.


I nerazzurri salgono in cattedra e il Pelato segna un gol su cross col contagiri del Colosso, mentre la Roma è ancora sullo 0-0: è quasi scudetto a Milano, in casa, dopo tanti anni. Tra la fine del primo tempo e l’inizio del secondo tempo "C’è Solo l’Inter", canzone del 5 maggio alla ricerca di definitivo esorcismo mandata in loop prima e dopo la partita, mortacci del dj: il Principe cambia nome in Diego Armando e lanciato supera Sorrentino – già evidenziatosi per svariate paratissime – con un pallonetto incredibile. Poi è il turno del Figliol Prodigo perdonato dallo stadio quando sigla il 4-1. In più la Roma è sotto 0-1 con il Casteddu: è sempre più quasi scudetto nerazzurro.

Poi il tempo gira, scendono catini di pioggia e il cielo si fa oscuro: la Roma pareggia, ed è quasi rimonta dei clivensi, con due gol su errori marchiani della nostra difesa,  che per prima cosa lasciano tirare Marcolini e non mandano in offside El Diablo Granoche, che devia in rete. Poco dopo il Capitano fa una frittata allucinante e Pellissier ci purga per l’ennesimo 4-3. Intanto il burino per eccellenza segna su rigore il 2-1. E’ quasi scudo alla Roma.

Gli ultimi 15 minuti sono al cardiopalma: nonostante la superiorità tecnica, tattica e fisica dei nerazzurri il pallone non entra e basterebbe l’ennesima cappella per buttare alle ortiche la stagione. Non segnamo, ma non prendiamo gol, e dopo 4 minuti di recupero è finita. Concludiamo imbattuti a San Siro la stagione. Che è quasi finita, quasi però. Sgrat. Per i prossimi 180 minuti ho bisogno di un endovenosa di ansiolitici.

 

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Hanno tutti ragione

7 Maggio 2010 Commenti chiusi

 

"La piccola borghesia è come uno di quei film sugli zombie, ne uccidi tre, tiri un sospiro di sollievo, poi si scoperchiano le tombe e ne escono altri quattrocento. Un inferno. Poche storie. Un inferno assoluto."

Tony Pagoda è un italiano un po’ più che medio, è uno di noi, uno di voi, uno di chiunque. E’ la vita che ognuno di noi potrebbe fare, vorrebbe fare, forse fa. Tony Pagoda non lascia scampo all’illusione e contemporaneamente è una selva di storie. Il libro di Sorrentino (il suo primo) è una bella prova, certo non al livello dei suoi film, dato che la regia è certamente l’ambito in cui il suo virtuosismo emerge di più. Ci fa appassionare alle mosse e alle fattezze di questo italiano qualunque, di un italiano qualcuno, ci fa ammazzare dal ridere e alle volte vergognare come cani, ben sapendo che quello che sta succedendo sulle pagine succede ogni giorno intorno a noi. E poi ci trasporta a Manaus, ci offre la speranza che tutto possa cominciare una seconda, una terza, una millesima volta. Fino a ritornare al principio. All’Italia, al moderno, al presente. All’orrore. Altro che inferno assoluto.

L’ultima parte del libro l’ho trovata molto faticosa, così combinata con due immensi e infiniti monologhi per giustificare l’atto finale. Ma il resto del libro scorre via molto più che liscio. E la parte conclusiva pur essendo un po’ viscosa è fondamentale per dare una chiave di lettura che mi sento di condividere fortemente dell’opera: hanno ragione tutti, il problema del mondo che ci circonda, del nostro presente, del paese dei cachi che non c’è e quando c’è sarebbe meglio che non ci fosse, è proprio questo. Hanno tutti ragione. E se hanno tutti ragione, vuol dire che la ragione non esiste e che esiste solo l’opinione, che esiste solo la prospettiva dei cazzi miei, sempre più importanti di tutto e tutti. E allora che senso ha cercare ancora una via verso il cambiamento complessivo di ciò che ci circonda? 

Forse il libro è un po’ disperato. Forse. O forse dovremmo essere meno ottimisti noi.

Voto: 7,5 

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La Coppa dei Cachi: uno, piccolu, ma uno!

6 Maggio 2010 6 commenti

 

Arriva la prima finale. E gli eroi nerazzurri la portano a casa. Un caco bello sugoso, dal retrogusto acido e rancoroso come il Paese che rappresenta, che i nostri ragazzi spolpano senza pietà. Formazione con un Orco in meno, ma con un’Olandesina in più, anche se la sua presenza dura solo 2 minuti, e ci pensa un giocatore il cui cartellino è di proprietà del nostro Presidente a spaccare il giocatore migliore, come predetto dal Vate: alla faccia di lealtà e correttezza sportiva, due parole che al calcio della Capitale certamente non calzano a pennello. Entra il Figliol Prodigo. E gioca un’ottima partita.
La partita è tesa, dinamica, ma la superiorità nerazzurra è indubitabile: e la frustrazione sale da parte giallorossa, sale, sale, sale. L’Inter sfiora più volte il vantaggio, i rosicatori professionisti giocano in undici dietro il pallone sperando nel contropiede vincente. Sfiorano il gol una sola volta, ma ci mette la mano l’Acchiappasogni. Poi il Principe si inventa un gol incredibile: lanciato, con quattro uomini che lo rimontano, spara un missile sotto l’incrocio. Come dice un mio amico: se spari forte nel sette, vinci sempre. E così sarà.
Dopo il gol l’Inter controlla la partita, fa correre gli altri, rischia il raddoppio, perde Speedy per problemi muscolari sostituito dal Muro che doveva riposare. I rosiconi picchiano duro, durissimo, ma sembrano immuni alle sanzioni. Chissà che prosopopea di dichiarazioni e tribunali all’Aia ci sarebbero stati se il gesto del pugno e il pugno vero e proprio di Mexes contro il Figliol Prodigo e Matrix l’avesse fatto uno con la maglia nerazzurra… Chissà. L’Inter non molla, fino alla fine. Fino a quando il "Capitano che è un esempio per i bambini" si copre d’onore con due calcetti in testa a un interista a terra e con un calcione da dietro al Figliol Prodigo, collezionando finalmente un bel rosso diretto. Noi invece portiamo a casa il primo titulo, picculo, ma pur sempre uno. Sorridendo felici.
Un ringraziamento a tutta la squadra, per la grande partita, e per non aver paura della violenza, del rancore e degli appoggi ipocriti e viscidi di cui la Squadra della Capitale e del Parlamento gode. Stasera ho visto una grande squadra di uomini veri conquistare un titulo e una piccola squadra di uomini piccoli piccoli sbraitare stizziti perché non li hanno fatti vincere. Anziché parlare di vergogna, forse qualcuno dovrebbe farsi un bell’esame di coscienza, e pensarci ben più di due volte prima di fare i moralizzatori della domenica.
 

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Mayday 2010: un video

5 Maggio 2010 Commenti chiusi

 

 

 

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Inter in Wonderland: oh nooo! (grazie rigà!)

3 Maggio 2010 Commenti chiusi

 

Mourlino manda in campo una squadra piena di titolari ma con un modulo anomalo: per far rifiatare il Principe, stremato dalla trasferta citronesca, giochiamo con l’Olandesina e il Drago dietro al Leone, con le fasce presidiate dal Colosso e da Crystal, un centrocampo con il Pelato e il Sindaco supportati da chi capitava a tiro. Tutti si chiedono come affronterà la gara la lazie, questa volta, memori di tanti scherzetti del passato e della sfiga che ha portato la campagna preventiva sul biscotto le scorse volte (do you remember firenze?).


L’Inter scende in campo grintosa, la Lazio pronta a giocare di rimessa, soprattutto sulle fasce e con Zorro Zarate. Per 45 minuti prendiamo a pallonate i biancocelesti, ma Muslera sembra non aver capito che aria tira a Formello e para qualsiasi cosa. La palla non entra, la palla non entra, la palla non entra. Cazzo. Tutti imprecano. Poi accade il miracolo: il Muro recupera la palla, apre per l’Olandesina e scatta a ricevere il triangolo di testa nell’aria piccola strappandola al Leone e infilandola in fondo al sacco. E’ il 46esimo. I tifosi interisti tirano un sospiro di sollievo. I lazieli espongono il migliore striscione dell’anno, esplicativo nella sua sintesi estrema: "Oh, Noooo!", con tanto di esultanza al gol nerazzurro di tutto lo stadio. 


Si rientra in campo e il dubbio permane: i lazieli smetteranno di giocare? La risposta è sì: noi abbassiamo il ritmo, loro non lo alzano, il Sindaco la mette di testa e la partita finisce lì. Di nuovo "Oh, noooo!" e tutti a casa. All’ingresso di Scaloni come terzo cambio (con Rocchi in panchina) pare proprio che anche i giocatori abbiano capito l’antifona dei tifosi.


Biscotto totale, comprensibile, auspicabile, benvenuto. Che dire? Grazie, riga’! Viva lo sport.

 

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Mayday Mayday

30 Aprile 2010 1 commento

 

 

 

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La Lega dei Citroni: dopodiché, sucate!

29 Aprile 2010 19 commenti

 

[disclaimer]

Post ad alto contenuto sessista. Comprendetemi e fatemi sfogare senza stressarmi. Se non siete in grado di farlo saltate l’articolo a pié pari.

[/disclaimer]


I gladiatori di Mourlino, da oggi in poi assurto a livello di Yahvé da Setubal, voce tonante del rovo infuocato, prototestamentario nei suoi dettami e nella sua weltanschauung, entrano in campo con una consegna precisa: assediare l’avversario nella nostra area e picchiare duro nel sacco alla prima occasione. Nessun prigioniero, nessuna paura, nessuna ossessione, un solo sogno: andare a Madrid. La sfiga vuole che nel riscaldamento si fermi Kung Fu Panda e Chivu debba subentrare scombinando un po’ i piani.
Fino a che l’arbitro (e stavolta i complottisti avevano ragione da vendere) ci lascia giocare alla pari i Pesci Pagliaccio del calcio del 2015 non fanno un tiro in porta. Al trentesimo il malefico belga butta fuori Kaiser Motta con atteggiamento che definire fiscale è ampiamente ipocrita: si chiama killeraggio in piena regola. A quel punto i Pesci Pagliaccio cominciano lo show che strappa il velo del finto buonismo di una squadra rancorosa e cattiva: ogni contatto un tuffo, cercando di trasformare il calcio in calcio a cinque; ogni possibilità di picchiare i nerazzurri diventa un’occasione d’oro; ogni stupidaggine diventa una polemica incendiaria.
Ma il castello nerazzurro non cede, neanche in dieci. Palle a dieci dimensioni per ogni giocatore, disumani. In tutto il match, tre tiri in porta, un gol, che rende gli ultimi 10 minuti nel lasso di tempo più lungo della mia vita. Al secondo gol, prima di rendermi conto che fosse stato annullato, ho sentito un groppo in gola e un urlo salirmi dalle viscere, contro l’ingiustizia che quel secondo gol avrebbe rappresentato. Al triplice fischio la gioia è incontenibile, alla faccia di tutti i gufi, di tutti quelli che speravano che ce la prendessimo in saccoccia per l’ennesima volta all’ultimo secondo: la remuntada è rimasta a metà, trasformandosi in una sincera enculada (scusate il francesismo, nda).
Fino ad oggi il Barça era una squadra che apprezzavo e stimavo: il teatrino dell’ultima settimana, l’isterismo dimostrato, lo scarso fair play in campo durante i 180 minuti, l’hanno trasformata in una brutta copia della peggior Juve o del Real Madrid degli anni Ottanta. Arroganti, abituati a vincere per decreto, incapaci di accettare la sconfitta. Se i Pesci Pagliaccio che giocano il calcio del 2015 sono la squadra migliore del mondo, non hanno bisogno di mezzucci: giocassero a calcio e fateci tre pere. Se ne foste stati capaci, vi avremmo stretto la mano. Così invece, mi ritrovo a dedicarvi un bel gestaccio a due mani: sucate a manetta. Sucasse Ibra e sia benedetto Guardiola che lo ha messo in campo per 3/4 della doppia sfida, sucasse Piqué e il suo odio ostentato, sucasse De Blackeere e la sua missione possibile, sucassero. E basta. Madrid la guardassero in tv.
E Yahvé da Setubal ha parlato, mi ha dato una frase che mi farò incidere sulla lapide: "non amo l’Italia, non amo il calcio italiano, ma amo la mia squadra e i miei giocatori", e questo è il più bel momento della mia vita calcistica. Almeno fino ad oggi. Grazie ragazzi.

 

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Inter in Wonderland: straordinaria amministrazione

25 Aprile 2010 2 commenti

 

L’Inter scende in campo dopo l’impresa contro la squadra del presente e del futuro, con le gambe pesanti e la testa un po’ leggera. Un po’ troppo in effetti. Mourlino dispone un turnover ragionato: dentro Marika (buona prova) e Calimero (solita discreta prova con limiti, ma in crescita, peccato che sia finita la stagione), Matrix e Speedy (prova abbastanza opaca), nonché Crystal il nostro tredicesimo uomo (il dodicesimo è il Drago, il quattordicesimo sarebbe la Merda Umana se fosse ancora un giocatore nerazzurro).


Tutti sperano in due gol entro venti minuti e in una gara riposante. Pronti via: al quinto minuto Matrix canna completamente la marcatura del Tir che ci infila senza pensarci due volte, da buon tifoso romanista. L’aria si fa pesante e le gambe non girano. Mourlino inizia a incazzarsi. E pure lo stadio. Al minuto 20 non si registra ancora un tiro in porta dei nerazzurri.

Poi una verticalizzazione improvvisa intorno alla mezz’ora cambia tutto: il Principe la sbatte dentro con un gran pallonetto e la squadra comincia a girare. Nel giro di dieci minuti produciamo almeno un paio di palle gol e sull’ennesima penetrazione sull’asse Sneijder-Eto’o a sinistra, cross in mezzo e fagiolata di cinque giocatori nerazzurri contro due orobici: non fare gol sarebbe stato un reato penale, e meno male che ci pensa la Marika.

Il secondo tempo è un martellamento nerazzurro con qualche sussulto bergamaschio. Purtroppo il gol che chiude il match arriva solo al 77esimo, quando Crystal anziché fare l’ennesima apertura cerca la via del gol da fuori, trovandola. Il resto è straordinaria amministrazione.

Raggiungiamo lo scopo di portare a casa i tre punti senza discussioni. Facciamo anche il massimo del turnover disponibile, ma il destino cinico e baro ci reca la ferale notizia del risentimento dell’Olandesina. Fottuta sfiga. Aggrappiamoci con tutta la nostra forza all’idea balzana di scherzo che può avere il settore medico e dirigenziale dell’Inter, ma c’è poco da ridere. Maledizione.

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La festa più importante

23 Aprile 2010 4 commenti

 

Ho sempre avuto una certa allergia per le feste comandate di origine religiosa. In realtà mi piacciono, nella loro forma di feste popolari, ma solo quelle locali: quelle nazionali mi danno l’orticaria e fosse per me le toglierei dal calendario ufficiale della Repubblica Italiana. In compenso le feste laiche mi attirano come una falena la luce di un lampione: mi ispirano un rispetto totale e anche il mio spirito sarcastico non riesce a farsi strada tra il senso di profonda ammirazione che nutro per il significato storico di ognuna di quelle date. 

Tra due giorni è il 25 aprile, la festa laica più importante (nonostante il ballottaggio con il primo maggio), la festa di un paese che si libera dai propri tiranni, dalle proprie storture, che per un giorno e forse per qualche anno si eleva sopra la propria ipocrisia e la propria tendenza ad arrangiarsi, accontentarsi, pensare al proprio. Perché l’Italia è il Paese Qualunque, lo è sempre stato (almeno nell’ultimo secolo), disabituato a lottare e abituato a fare di necessità virtù, dopo millenni e millenni di feudi e scazzetti di poco conto. 

Il 25 aprile ricorda un momento in cui la storia del popolo italiano è stata migliore. Migliore in senso assoluto. E forse ricorda anche a me che quello che mi circonda potrebbe essere altrimenti. E non è un caso che di questi tempi si debbano sentire affermazioni senza storia e senza qualità che rivendicano il diritto anche per i nostalgici di periodi bui e orrendi della storia del nostro paese di ricordare i loro caduti, che le autorità cittadine mettano sullo stesso piano chi ha combattuto per perpetrare la dittatura e chi per distruggerla. 

Come scrissi anche l’anno scorso: non è tutto uguale. Non tutte le posizioni valgono allo stesso modo. Alcune sono giuste, altre sbagliate. E aver trasformato l’Italia in un paese di opinioni e di equidistanze comode non l’ha resa un posto migliore. Per quello bisogna fare delle scelte, bisogna sostenerle e bisogna combattere. Ogni maledetto giorno. Il 25 aprile mi ricorda tutto questo. E mi dà un po’ di forza per non perdere la speranza che le persone a un certo punto riscoprano l’importanza della propria dignità e del proprio futuro, non solo quella del proprio interesse e del proprio presente. 

PS: appuntamento il 25 aprile alle 8.30 in Isola per il giro delle lapidi dei caduti per la liberazione, e alle 15.00 in porta venezia per il corteo.

PPS: la canzonedel video sotto fatta da aquilani per l’aquila e per la sua gente; anche loro sperano che le persone tornino a lottare per il proprio futuro, penso, smettendo di credere alle cazzate che raccontano tutti i giorni per rabbonire e sedare. to tame and to blame per così dire. 

 

 

http://www.youtube.com/watch?v=XYv4Sfa_CrY