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La Lega dei Citroni: non è un torneo per conigli

21 Ottobre 2009 2 commenti

 

Mourlino si riaffaccia al di fuori dei confini della Terra dei Cachi, almeno virtualmente, dato che giochiamo in casa, sul campo minato e coltivato di San Siro, dove il rimbalzo è sempre una sorpresa dell’ultimo secondo, per fortuna per entrambe le squadre.

Affrontiamo i maledetti controrivoluzionari ucraini (unico personaggio che ricordo con piacere di quelle lande è ovviamente Nestor Makhno): corsa, tecnica, velocità e ferocia. Mourlino conosce gli effetti della Lega dei Citroni sui suoi uomini e fa di tutto per contrastare il nefasto eco psicologico di questa competizione: dispone tappi per le orecchie per ogni giocatore, e non fidandosi dell’orgoglio di ogni giocatore, obbliga il vicino di posto a tappare l’orecchio a quello alla propria sinistra, per non sentire la maledetta musichina. Non funziona.

Non sa che il Potere Tentatore del Demonio è addirittura più forte del Serpente Incantatore Mourliniano, e ha pagato un qualche addetto dell’Inter per fare dell’ipnosi notturna antilega usando la fottuta musichina. Guardie della Rivoluzione Nerazzurra, scovate l’infame ed eliminatelo, altrimenti per noi tra i Citroni non c’è futuro.

I nostri eroi nerazzurri si ripresentano con la stessa formazione e lo stesso modulo della partita con i Grifoni, ma con il Leone d’Africa al posto di Supermario. Tutto bene? No. Infatti entriamo in campo con la solita cacarella da CL, con i tre arditi del nostro centrocampo trasformati in pecorelle belanti e rallentate, Crystal trasformato in Polu il buco con il difensore intorno, l’Orco e il Muro mutati in sbirulino o in una pallida imitazione di sé stessi. Per tirarsi su di morale decidono tutti insieme di fare un gioco: quando la palla ce l’ha uno dei nostri, tutti si nascondono dietro l’avversario, ridendo come matti di fronte allo sguardo basito del portatore di palla al grido di "tana per tutti!". Si sentono ragazzi, per chi li guarda sembrano conigli.

Il risultato netto di tutta la melma di origine organica sparsa sul campo e dello splendido manto erboso è facile da prefigurare: tra il primo e il quinto minuto subiamo due cross tesi sul primo palo che nessun giocatore – per fortuna neanche controrivoluzionario – sfiora mentre attraversa tutta l’area nerazzurra, un rimpallo che quasi mette in porta un giocatore avversario e un Capitano d’Acciaio che si impappina con la palla servendo un passaggio smarcante per l’avversario che ovviamente in avanti verso dove dobbiamo segnare non ha mai fatto in vita sua. Uno a zero, la Controrivoluzione si avvicina.

Fino al trentesimo continua lo spettacolo degno dei peggiori gabinetti di Caracas e lo stadio semivuoto piange, poi con un contropiede di culo riusciamo a pareggiare grazie manco a dirlo al Drago, in serata no, ma non abbastanza da mancare il bersaglio. Manco il tempo di gioire e il terzo cross teso colpisce: il Capitano d’Acciaio salta come se fosse una pecora zoppa, l’Orco cerca di metterci una pezza, ma da buon Sbirulino di serata insacca nella sua porta. Tutto da rifare.

Anche i sassi capiscono che c’è bisogno di alzare un filino il baricentro e di ritrasformare i nostri giocatori da birilli per il nascondino in esseri umani. La mossa di King David la condividono in molti, anche se togliere Calimero, ovvero l’unico normodotato di fiato e gambe in questa serata maledetta non convince proprio tutti. I sani di mente dello stadio San Siro si chiedono: ma mettere tipo il Bambino d’Oro al posto dell’Uomo d’Acciaio che d’Acciaio in Europa non è mai? Nessuno ha la risposta del perché con la squadra sulle ginocchia i cambi arrivino all’83esimo. La mossa di King David sembra dare i suoi frutti e il Muro riscatta una prova così così con un incornata che ci riporta in parità.

Il resto della partita è un copione già visto: attacchi confusi e statici nerazzurri, rimpalli, ripartenze controrivoluzionarie che si spengono prima di arrivare in porta (tranne una volta che complice Polu il buco con il difensore intorno, due zolle ribalde, e un gran culo, Sheva si mangia un gol fatto sparandolo al primo anello). Nel frattempo dopo i primi cinque minuti di stupore per vedere King David in campo insieme a degli Homo Sapiens, tutti si ricordano del perché non vogliamo vederlo mai più su un campo di calcio: non appartiene alla nostra specie; insieme a Obinna l’unico campionato a cui si possono iscrivere è quello delle foche monache. Quindi non è colpa sua, ma di chi ha ingaggiato per una competizione tra primati un altro povero animale. Contagiato anche il Leone d’Africa, arruolato nonostante la zoppia e comunque abbandonato nelle steppe di San Siro a correre da solo come un povero cretino, che si mangia due gol fatti per scarsa lucidità e per le solite zolle maledette.

Matrix centravanti e Vieira a far finalmente rifiatare il Drago dopo 83 minuti per gli ultimi dieci minuti con il 4-2-4 sono mosse degne del peggior film di fantascienza di serie B. Paradossalmente funzionano e rischiamo di segnare il gol decisivo, se non fosse che capita sul piede del pinnipede che da 80 cm riesce a sparare fuori senza spiegazioni razionali.

Il triplice fischio fa calare il sipario su una serata ancora più incredibile che consegna il nostro girone alla storia come uno dei più duri, con le quattro squadre dopo tre giornate tutte praticamente a pari punti, dopo il risultato incredibile di Barcellona dove il Kazan (Mio Dio Ke Kazin! pare abbia esclamato Laporta, ridete insieme a me della battuta di infima categoria) ha sbancato il Camp Nou tirandocela in quel posto dove non batte il Sole. Ora Mourlino e i nostri eroi devono vincere due partite su tre e pareggiare l’altra, per avere discrete speranze di passare il turno.

Al momento sarebbe anche possibile veder avanzare le squadre sovietiche e lasciare fuori i detentori del titolo e i detentori della nomea peggiore in europa tra le squadre campioni del proprio campionato (noi, per chi non l’avesse capito). La CL non è un torneo per conigli, ma per gente che non ha paura di giocarsela ovunque. Fino a che i nostri eroi non entreranno in quest’ordine d’idee, tanto vale non iscriversi manco alla competizione ed evitare di fare figure barbine in serie che potrebbero rovinare anche tutto il resto del lavoro di evoluzione societaria che l’Inter sta faticosamente facendo in questi anni.

Al momento, però, non possiamo circolare.

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Inter in Wonderland: grifogerontocidio

18 Ottobre 2009 2 commenti

 

Pre Scriptum: Da oggi le mie cronache dalla Terra dei Cachi usciranno prima sul blog di Simone Nicoletti, per espormi al pubblico ludibrio di una community di interisti ampia e variegata. Chi si diverte con esse venga sia di qua che di là a sparare minchiate. Grazie. 

Dopo due settimane di vagabondaggio per le lande desolate della Pianura Pagana, della Terra dei Cachi e di altri due ameni continenti a vostra scelta, gli eroi nerazzurri si riaffacciano sulle vallate della Serie di Oz. Il Mago Mourlino non può disporre di tutti i suoi uomini, e soprattutto di alcuni dei protagonisti delle nostre storie: mancano il Principe, il Leone e la Statua di Sale. Ma Mourlino non è tipo da farsi impensierire: carica tutti sul pullmino vacanze e si porta al di là delle montagne per incontrare La squadra rossoblu. Quando la Serravalle finisce in mezzo alla landa genovese avanza un uomo solo, un vecchino malfermo su un bastone. Mourlino ghigna, ma non sa che quello che ha di fronte è molto di più di Gasperson, il tecnico rossoblu: è il Vecchio Balordo in persona, temporaneamente alloggiato nel guscio di carne dell’ex allenatore della Primavera dei Gobbi (onta difficilmente lavabile nonostante la simpatia).

I nostri eroi e Mourlino si avvicinano circospetti al campo da gioco convinti che ad affrontarli non ci possa essere solo un vecchietto. Infatti dagli spalti e dai picchi al segnale di Gasperson scendono undici Grifoni. Tutti i nostri eroi hanno reazioni scomposte mentre i maestosi uccelli si avvicinano alla squadra schierata con maglie nerazzurre. Piume rosse, piume blu, becchi duri come acciaio e gialli come oro, uno spettacolo veramente invidiabile. L’Orco si gira verso gli altri e grida: "Io non ho mai assaggiato questa roba arrosto, com’è?" L’incantesimo è rotto, i nerazzurri si sganasciano e preparano le armi. Dalla panchina Mourlino arringa i ragazzi in nerazzzurro: "I grifoni sono splendide creature mitologiche. Noi siamo la Storia Contemporanea. Davanti a noi massacreremo la fantasia. E’ tempo che finisca il Medioevo da queste parti. Facciamo fare loro la fine dei dodo, sterminati dalle armi da fuoco britanniche. Avanti, ragazzi!". Che condottiero, sospirano sbrodolandosi le tifose di ogni dove.

I Grifoni si guardano con aria un po’ bislacca. Passano sei minuti e spariamo la prima selva di avvertimento: un ferito, il grifo Modesto, insacca nella sua porta deviando un tiro del Pelato Magico (meglio di un funghetto). Le stolide creature mitologiche paiono non capire che Mourlino gli ha dichiarato guerra. Per altri venticinque minuti volano proiettili e insulti, minacce e di tutto un po’. Gli Eroi Nerazzurri si stracciano le palle di temporeggiare e decidono di rincarare la dose degli avvertimenti: l’Olandesina Volante in versione oggi tocco la palla una sola volta perché sono troppo forte e non devo manco guardare dove la metto perché è sicuramente nel posto giusto  allarga il gioco su Supermario, che con sapido tocco la mette nel sacco, ribadendo perché io sono io e voi non siete un cazzo davanti ai basiti tifosi rossoblù. Secondo cadavere sul campo. Ma i grifoni non demordono e anzi contrattaccano, una guerriglia fatta con gli strumenti di cui dispongono: con gli artigli non puoi premere il grilletto, ma puoi far male. Ai nostri eroi non rimane che sfoderare l’artiglieria pesante: il Drago, da bravo colonnello a cui appuntare quintali di medagli sul petto,  prepara gli obici a lunga gittata e stermina il grifo Amelia (quello che rientra nel secondo tempo è un ologramma, il vero portiere si è suicidato dopo l’assist incredibile fatto al nostro eroe).

Tra il primo e il secondo tempo anche il direttore di gara cerca di stemperare la tensione ed evitare l’eccidio. Ispirato dalla disposizione ad Albero di Natale usata da Mourlino e da quella a Babbo (di Natale) Morto usata dal Vecchio Balordo, sceglie di testare le nuove direttive FIFA, sempre più interessanti per il giuoco del calcio: una pernacchia e per trenta secondi si può colpire la palla solo di testa, due pernacchie solo di sinistro, tre pernacchie solo di destro, quattro pernacchie e ogni tre calci d’angolo è un rigore. Noi non sentiamo i versi di Morganta l’arbitro, ma in campo evidentemente sì’. I giocatori, però, non la prendono benissimo e quasi ci scappa la rissa, ma si sa che Blatter è un genio e Platini è il suo profeta, percui ci sarà sicuramente un motivo per cui a un certo punto ci dovremo incazzare quando ci daranno un rigore contro per aver calciato di sinistro in area. Si fa per lo spettacolo, dicono.

La partita è finita. Il Vecchio Balordo, con tre cadaveri sul groppo e senza portiere (un ologramma non può fermare la palla) dovrebbe trattare la resa, ma ai restanti Grifoni manca completamente il senso della dialettica della guerra: quando sei di fronte a un nemico più forte, meglio armato e non hai alcun terreno di vantaggio, a un certo punto è meglio se ti arrendi, sperando nel regalo di una riserva dove sopravvivere e leccarsi le ferite grazie alla clemenza altrui. I Grifoni non lo capiscono proprio e cominciano a artigliare e beccare chiunque gli capiti a tiro, una resistenza futile, fatta di calci e sputi contro cannonate e catapulte di vario calibro: il Colosso e Barbalbero Vieira (nonostante la lentezza immonda degli Ent) armano i fucili e sparano ad alzo zero. Dopo le ennesime due vittime, sull’orlo dell’estinzione grifonica, le Creature decidono di sopravvivere ed entrare nel mondo dell’Era Contemporanea anziché rimanere confinate nella sfera dei racconti fantasy per sempre. Nella vesta di splendidi esseri estinti di cui si narrano le gesta passate.

E’ bello vedere che Mourlino sa essere magnanimo e trattiene i suoi cavalieri. Che dire: oggi Mourlino ha dimostrato di essere un Mago anche della tattica, facendo un culo a paiolo a Gasperson (che altre volte ha dimostrato invece di non essere così sprovveduto). I grifoni che abbiamo affrontato oggi non erano tutti i migliori grifoni della landa ligure, ma erano comunque temibili. Difficile godere più di così. Difficile dare una lezione di dialettica assoluta e totalizzante migliore, altro che Sun Tzu. Se questo non fosse un fantasy staremmo parlando di quanto è adorabile l’odore del napalm alla mattina presto. Quando ci sveglieremo sulle macerie del Genoa e della Serie di Oz.

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Il dono della sintesi

14 Ottobre 2009 6 commenti

 

 

 

Se cliccate sull’immagine arriverete alla fonte (come sono politically correct), ma se cliccate su questo link trovate chi mi ha ispirato con la sua stupenda canzone. Poi potete pure cercare Checco Zalone e i suoi pezzi che rincarano la dose. Almeno passerete qualche decina di minuti di allegria nel mare di merda in cui naufraghiamo

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Neve

14 Ottobre 2009 1 commento

 

Quando ho iniziato a pensare alla recensione per Neve di Orhan Pamuk avrei voluto scrivere che era un romanzo a cavallo di molti altri romanzi, che partiva da Kafka e arrivava a Beckett, o meglio che li attraversava e se ne lasciava attraversare. Poi ho pensato alla frase si Fazil che Pamuk lascia a chiosa del romanzo nelle pagine finali: "Se mi mette in un romanzo ambientato a Kars, vorrei dire ai lettori di non credere assolutamente a ciò che dice di me, di noi. Nessuno può capirci da lontano. […] Ci crederebbero, per considerare se stessi intelligenti, superiori e umani, vorranno credere che noi siamo ridicoli e simpatici, e che loro ci possono capire così come siamo, arrivando addirittura a provare affetto nei nostri confronti. Ma se mette questa mia frase, nelle loro menti si insinuerebbe un dubbio." E ho pensato che partire con la mia recensione con un paragone sarebbe stato esattamente il tipico comportamento paternalista – anche non voluto, anche ingenuo – stigmatizzato così spesso nel libro e centrale nella psicologia dei personaggi (e forse non solo dei personaggi, ma anche dei luoghi e della società che vogliono raccontare).
Così comincerò dicendo che il libro di Pamuk è un grande romanzo, ricco di ragionamenti sulla psicologia e la società turche, sull’antropologia della storia del paese dell’autore, e che fa ben capire perché in tempi meno aperti alla critica e al confronto lo scrittore sia stato messo all’indice dall’estabilishment turco. Già prima di andare quest’estate in Turchia, sono sempre stato positivamente colpito dalle produzioni culturale di quel Paese – soprattutto cinematografiche e recenti – ma dopo esserci stato devo ammettere di apprezzare ancora di più il libro di Pamuk.

[Saltate questo paragrafo se non amate veder rivelata la trama di un libro, io di solito me ne sbatto]
Il libro racconta del poeta in esilio Ka, del suo ritorno alla città della sua giovinezza, Kars, nel remoto Oriente della Turchia, al confine con l’Armenia. Questo suo ritorno è raccontato postumo da Orhan Pamuk, amico del poeta alla ricerca della storia degli ultimi anni della vita del suo amico. Ka ritorna a Kars per ritrovare la felicità, per ritrovare la poesia e l’amore. Troverà e perderà entrambe, in una città le cui vie di comunicazione con il resto del mondo saranno bloccate per la neve per tre giorni. Tre giorni in cui si consumerà la tragedia di Ka e delle persone che entreranno a far parte della sua vita, nonché di tutta Kars, scossa da un colpo di stato organizzato un po’ per l’arte e un po’ per la politica da un Carmelo Bene turco (Sunay Zaim).
[Fine trama]

Per me il libro da subito è stato un viaggio dell’autore attraverso se stesso. Se avessi ceduto alla voglia di fare il paragone con Kafka sarei partito con K, il personaggio più celebre dell’autore di lingua tedesca. E avrei speculato che Pamuk avesse attraversato le spoglie di K per creare Ka, un personaggio introverso, contraddittorio, umano e poetico nel senso più assoluto del termine. Ka infatti è il bambino, l’innocenza, l’assenza di cattiveria anche quando è meschino. E’ la poesia nella sua forma più alta, è ciò che ci rende esseri umani, è la felicità di fronte all’amore e l’incapacità di goderne appieno. Ognuno di noi è Ka, se si guarda in fondo all’anima, senza paura di ammettere la propria umanità, la propria cattiveria e la propria dolcezza, la propria meschinità e la propria grandezza al tempo stesso. Umano troppo umano.

Ka è Kar, la neve, com il nome del libro di poesie che scrive e che l’autore del libro cerca di ricostruire, come l’organizzazione che da a quel libro lungo le direttrici della Memoria, della Logica e dell’Immaginazione, ovvero dell’uomo che ricorda quello che è e quello che vive, dell’uomo che lo analizza, dell’uomo che ama ciò che vive. Kar, la neve in turco, è la rappresentazione dell’innocenza, è la versione di Ka dello spettacolo di Sunay che trascinerà nella tragedia la città di Kars e le vite di Ka e dei suoi cari. Così allora Kar, Neve, è la tragedia di Ka.

E Kar è Kars. Un’altra lettera, un altro passo nel viaggio. E’ la realtà descritta nel romanzo, nella finzione, innocente e primitiva, in balia degli uomini e del confronto tra gli uomini e il mondo. Kars è il mondo, in quei tre giorni, secluso al resto del mondo, è tutto ciò che esiste al di fuori dell’umano. E’ tutto ciò che esiste al di fuori della poesia: è ciò che ci opprime, che ci libera, che ci aggredisce e che ci blandisce, sono gli ostacoli e sono anche i covi che vi troviamo, i nascondigli, le possibilità. Per tornare a Nietsche è una volonta che ci sfida e che noi siamo costretti a sfidare, in quanto esseri umani.

E alla fine a Kars arriva anche Orhan, l’alter ego dell’autore identico all’autore. Insegue il fantasma di un suo amico, vi si confonde, ne calca le orme fino a trasformarsi in Ka stesso. Pamuk arriva a capire Ka, e con esso la Turchia, la porta tra Oriente e Occidente, e la disperata situazione della sua società (e della nostra): "Chi si accontenta di essere felice, non può essere felice"; "In tutte le persone che parlarono c’era l’attesa di un uomo eroico e leale che avrebbe salvato tutti […], ma non facevano niente di concreto".
Orhan diventa Ka, forse è sempre stato Ka, e il suo pianto finale è il pianto per l’innocenza perduta, per la realtà ritrovata, per la speranza a cui è difficile credere, per la tragedia eterna dell’uomo (Nietsche).

PS: ovviamente ci sono altre mille storie e altre mille interpretazioni, tanto da poterne riempire altri dieci libri, personaggi fantastici come Kadife o come Necip/Fazil, ma recensire un libro è offrire un punto di vista parziale e personale alla mercé di tutti coloro che si prendono la briga di leggere e di discuterne. 

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Trittico cinematografico

12 Ottobre 2009 1 commento

 

Sono rimasto un po’ indietro con le recensioni cinematografiche, anche perché ciò che ci circonda tracima merda, e ciò impegna sempre una parte di energie quotidiane in odio e meccanismi di autocontrollo. Devo dire però che la selezione di film ha pagato: avendo meno tempo per andare in sala, ho provveduto a scegliere con maggiore attenzione le cose fondamentali da vedere. 

L’ultimo film di uno dei miei registi preferiti Quentin Tarantino è stato il primo che ho visto al cinema dopo la rassegna: Bastardi Senza Gloria è un fumettone di serie B godibilissimo (anche se forse era meglio non doppiarlo e sottotitolarlo interamente, ne avrebbero guadagnato alcune scene mitologiche con un Brad Pitt finto siculo) che mette al centro un grande classico dei fumetti americani degli ultimi 50 anni: i paladini della Seconda Guerra Mondiale, gli Americani senza macchia e senza paura, contro i Nazisti. Di questi tempi confusi e illogici, in cui sono più frequenti i se e i ma dell’ambiguità ad una sana partigianeria, devo dire che ho apprezzato un film in cui quelli che devono essere distrutti e devono morire sono Adolf & Co. Certo, sarà macchiettistico, sarà semplicistico e poco intellettuale, ma vuoi mettere che goduria vedere spaccare di botte e pallottole ogni individuo con una divisa da SS sul grande schermo. Ah… I piaceri semplici di una volta! Il film è stato molto criticato, ma io penso che sia una gran pellicola: un paio di scene sono talmente tirate per le lunghe con dialoghi assurdi che a un certo punto tutto il cinema, compreso il cane accompagnatore di un cieco che ci era entrato per sbaglio, cominceranno a gridare "e dai, spara, cazzo, cosa aspetti!". Fantastico. E devo dire che Brad Pitt si dimostra insieme al protagonista dei prossimi film che DEVO vedere (Johnny Depp, presente nei panni di Dillinger, in Parnassus di Terry Gilliam e in Alice nel Paese delle Meraviglie di Tim Burton)  di essere uno dei migliori talenti prodotti nonostante tutto da Hollywood. Voto: 9

Con la carica di Bastardi Senza Gloria uno si può affacciare serenamente a District 9, prodotto da Peter Jackson, una garanzia di mostri e azione degne di questo nome. La storia anche qui non è difficile: gli alieni arrivano sulla terra, vengono rinchiusi in un CPT e si innesca un meccanismo profondamente razzista nei loro confronti che porterà al precipitare degli eventi. La tecnica di regia che inscatola tutto in uno pseudo documentario regge fino a un terzo del film, per cedere il passo a una dimensione più ordinaria (peccato, era una strada coraggiosa e interessantissima da perseguire fino all’estremo, ma forse veramente difficile), è una grande scommessa e andrebbe premiata. Il film regge e tiene incollati per due ore senza problemi, fino all’apoteosi quando viene voglia di unirsi all’urlo del protagonista che apre il fuoco sui commandos dell’umanità contro gli alieni al grido d "Umani di merda, morite tutti!" Come non essere d’accordo? Voto: 8,5

Soprattutto impossibile non essere d’accordo vedendo poi l’ultimo film della mia personale trilogia: Videocracy, Basta Apparire di Erik Gandini. (e d’altronde il suo precedente Surplus è stato un cult delle nostre proiezioni Screem in Pergola).  Il regista ci trascina attraverso l’Italia e ciò che è diventata, come è scomparsa dalle cartine geografiche per entrare negli atlanti di sociologia: la nascita della figura del Presidente, il mondo televisionizzato che ci circonda, le nostre vite reali solo quando proiettate nel grande schermo, fino a un Lele Mora a metà tra Faust e un Papa medioevale con tanto di canzoncina "Onore al Fascio!" innocentemente esibita dal proprio telefonino e a un Fabrizio Corona come chiave di ciò che siamo diventati. Erik Gandini arriva secondo, dato che io e il mio socio con Blackswift e i suoi mostri avevamo già indicato in Corona la chiave di lettura del presente e della nostra vita in reality fiction collettiva. Soprattutto arriva secondo perché tra quando è uscito il film e oggi ne sono successe di tutti i colori, tanto che l’istinto omicida che ti assale durante il film può solo peggiorare leggendo i giornali. "Alla democrazia ghe pensi mi!" Chiunque abbia visto il discorso di oggi del Silvio nazionale non può non rendersi conto che le parole del premier sono identiche ai discorsi di tanti suoi predecessori delle dittature del Novecento. Con la differenza che oggi non c’è bisogno di distruggere l’opposizione: ogni voce contro viene inglobata nello show e diventa una comparsa nella grande trama di quel romanzaccio di terza categoria che siamo diventati. Eroi del nulla in un mondo inesistente. Voto: 10 (per il coraggio, per come cazzo ha fatto a ottenere le immagini, per come è riuscito a farlo arrivare nelle sale anche per poco, un po’ per tutto, grande stima)

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I buoni e i cattivi

9 Ottobre 2009 11 commenti

 

E’ il discrimine totale e definitivo, quello che ci offre ogni evento, ogni storia, ogni narrazione, ogni situazione. Il più facile e immediato, quello che non manca mai, il crinale lungo il quale scegliere da che parte stare. Neanche la voga del postmodernismo è riuscita a scalfire il mito di una divisione perfetta tra gli uni e gli altri, alimentata da secoli e secoli di semplificazione. Io, da sempre, fin da quando ero piccino, ho sempre preferito i cattivi. Non ci sono cazzi. Mi sono sempre piaciuti Dillinger, Bonnot, Vallanzasca, gli Indiani e financo Cattivik. Perché? Perché i buoni sono ipocriti e parteggiare per loro è una forma di ipocrisia ancora più viscida, fatta di menzogne taciute anche a sé stessi e di facili schieramenti, perché i buoni vincono sempre anche quando non lo meritano, perché i buoni incarnano ciò che è giusto e naturale che sia giusto, sono l’autoassoluzione dalla propria stronzaggine e della propria intima miseria egoistica. Sono un insopportabile assioma, una tautologia vivente (almeno nelle narrazioni), uno schiaffo alla realtà. Invece stare con i cattivi significa cercare di capire la verità, di capire che cosa succede, di non fermarsi alla facile apparenza e al conformismo di ciò che è giusto o di ciò che è sbagliato secondo "chiunque". Stare con i cattivi significa cercare, pensare, decidere.
Anche Genova è una storia con i buoni e i cattivi, anzi con tanti buoni e tanti cattivi, a seconda del punto di vista di chi vi racconta cosa è successo. Così ci sono i buoni per antonomasia, i poliziotti, le forze dell’ordine, quelli che ci proteggono, e i cattivi per definizione (almeno in questi decenni di bulimia dei consumi e di anoressia dei cervelli), i manifestanti, quelli che fanno casino. Ma anche spostando un po’ più in là l’asticella della nostra narrazione, ci sono sempre i buoni, i manifestanti pacifici, e i cattivi, i manifestanti cosiddetti violenti. Quindi, anche spostandosi più in là possibile con il punto di vista, rimane sempre bello limpido il discrimine: da un lato i buoni e dall’altro i cattivi, i violenti.
Ora: tralascerò una disanima sul termine violenza, una parola che non digerisco più. Intendiamoci: capisco perfettamente la sua denotazione, ma non riesco più ad accettarla come parte del mio lessico da quando è diventata un connotato di giustizia, da quando ciò che è violento è necessariamente sbagliato, come se avesse intrinsecamente un valore morale, come se violento fosse un aggettivo etico e non qualificativo di una situazione. Feroce è morale, forte è morale, prepotente è morale, ma violento in sé non è né buono né cattivo. Almeno fino a quando non hanno deciso di sciacquarci il cervello in un Arno fatto di equidistanze e privazione della capacità di prendere posizione, di decidere in base a ciò che viviamo e che vediamo intorno a noi.
La sentenza di appello per i fatti avvenuti nelle strade di Genova durante il G8 del 2001, nell’arco del famoso processo ai 25 – e se non sapete di che parlo fate una bella ricerchina in rete che non ne posso più di riassumere gli eventi – ha sancito una volta di più che quel discrimine non si può valicare se non a costo di gran parte della propria vita. I buoni, via via nei mesi, sono stati tutti assolti: chi pienamente perché santo subito (De Gennaro, l’ex capo della polizia, e compagnia), chi parzialmente con sentenze che assomigliano più a strigliate che non a condanne (Diaz e Bolzaneto), chi di straforo per culo o per inciso (mancanza di prove o risarcimento per aver subito una carica studiata a tavolino per scatenare il delirio a Genova come nel caso delle Tute Bianche in via Tolemaide, anche se su questo evento e sulla gestione giudiziaria della cosa si dovrebbe parlare a lungo per mille motivi, fatto salvo che sono contento per coloro che sono stati assolti). I cattivi pagano pegno: 10-15 anni a testa, zitti e muti. Con buona pace della storia e della ricerca della verità. Tra dieci e quindici anni. Pensiamoci ogni tanto alle cose che leggiamo o quelle che sentiamo al telegiornale.
I moralisti diranno: bene, se lo meritano. I loro compagni diranno: male, Stato bastardo e assassino. Io – pur condividendo questa seconda posizione diciamo in termini formali e ideologici – voglio ragionare con chi mi legge. La decina di persone che è stata condannata è il capro espiatorio di un evento storico che nessuno vuole guardare in faccia. Anche a distanza di anni, i libri scritti su Genova – sia da ex poliziotti che da (ex) compagni – non vengono comprati, non vengono letti, non vengono discussi. Tutti sono lì a nascondersi quello che è avvenuto, quello che hanno provato, la voglia di violenza che si è scatenata (o che qualcuno ha voluto scatenare, su questo non saremo mai d’accordo e forse non è possibile esserlo) in noi e intorno a noi. Così una decina di persone che ha causato qualche migliaio di euro di danni a un’altra decina di persone viene condannata a più anni che non qualcuno che ha ucciso (ucciso = ammazzato = morto) una persona, o di qualcuno che a truffato decine di migliaia di euro a tutti i cittadini italiani, o che ha aggredito e violato la dignità e l’incolumità fisica di una persona (uno stupratore ad esempio). 15 anni. Sono molti da passare in carcere per aver rotto dieci vetrine. Ma una pena più lieve non sarebbe stata abbastanza per i cattivi. E se i cattivi non sono più cattivi, i buoni non possono essere i buoni, e chi ci capisce più nulla? Non si può fare, converrete con me. Ci toccherebbe cercare di capire quello che è successo, la complessità del mondo in cui viviamo. Ma non è cosa per poveri esseri umani italiani del terzo millennio.
Rimane la rabbia. Rimane la frustrazione per non essere in grado di spiegare quanto sia semplice e brutale la situazione, quanto sia inevitabile e quanto nessuno voglia né conoscere quello che è avvenuto in quei giorni, né porsi il problema di che cosa significhi la parola giustizia o la parola violenza. Rimane l’istinto alla violenza. Rimane ciò che ci circonda. Rimane il disgusto. Rimane il discrimine e la possibilità di scegliere se stare da un lato o dall’altro del crinale. Io non ho cambiato idea.
Rimane la consapevolezza che è giunto il momento di leggere la realtà, di rendersi conto che lo spazio per la rappresentazione, per l’opinione, per la manifestazione è morto da tempo, annullato, vituperato, strumentalizzato. Che se volete dare libero sfogo alla vostra idea, se volete essere partigiani, non potete lasciare spazio ai dubbi. E’ il tempo di fare, di agire: che sia come riformisti (candidarsi, eleggersi, schierarsi, infilarsi in istituzioni di merda varie), che come radicali (tralascio gli esempi, ma penso che Bonnot o il subcomandante Marcos li conosciamo tutti). Non si può più aspettare che succeda qualcosa indipendentemente dalla nostra pochezza. Io sono un codardo, un vigliacco, o forse non sono abbastanza bravo o capace per fare passi così tetri, duri e cinici. Ma ammettendo il mio limite saggio anche il margine con cui mi accosto al crinale. Lo spazio per le speranze è finito da tempo e la storia sarà sempre e comunque di chi saprà scegliere, schierarsi e lottare. E di chi pagherà per questo. Intendiamoci: non servono martiri, ma servono persone che non abbiano paura di fare la cosa giusta. Io sabato 21 luglio avrei bruciato tutta la città. Mi fermai di fronte a decine di miei amici e compagni con cui avrei dovuto venire alle mani per fare quello che ritenevo giusto. Sbagliai. Altri non sbagliarono. Perché di fronte all’assalto alla nostra libertà di quei giorni e dei giorni che sono seguiti da allora, quello che fecero è ancora troppo poco, ma ne possono certamente andare orgoliosi (magari in nicaragua, eh? 🙂
Ho usato esempi estremi, ma ci sono milioni di situazioni quotidiane in cui chiunque di noi può essere un militante della propria statura etica. Non si può più aspettare e osservare il crinale. Bisogna calpestarlo, attraversarlo, cavalcarlo, viverlo. Il versante dei cattivi. Il versante dei giusti.

 

Le parole giuste

9 Ottobre 2009 Commenti chiusi

 

Alle volte è bello vedere che qualcuno trova le parole giuste per descrivere quello che si osserva e quello che si prova. Scrive Giovanni De Mauro sull’editoriale di questa settimana di Internazionale:

"Un sondaggio Ipsos di qualche settimana fa confermava tre dati interessanti. Il primo è che in Italia il 54 per cento delle persone si informa prevalentemente attraverso la televisione (il 25 per cento con i quotidiani, il 12 su internet e il 3 con la radio). Il secondo è che il 53 per cento degli italiani considera i mezzi d’informazione molto o abbastanza autorevoli, mentre il 41 pensa che non lo siano. Il terzo è che le persone convinte dell’autorevolezza dei mezzi d’informazione sono le stesse che guardano la tv, e appartengono ai ceti più popolari. L’aspetto preoccupante di tutto questo è che la spaccatura del paese sembra essere più profonda di una semplice divisione tra nord e sud, ricchi e poveri o destra e sinistra. È una frattura narrativa: gli italiani sono convinti di guardare tutti lo stesso film, ma i ilm sono due – uno raccontato dalla tv, l’altro dal resto dei mezzi d’informazione – e i personaggi e la storia sono molto diversi. Il rischio è che le due Italie non riescano più a parlare tra loro perché non condividono più la stessa realtà, e forse neanche le parole per deinirla. "

Telegrammi in ritardo e ricorsi per cattedre vacanti

5 Ottobre 2009 15 commenti

 

E’ giunto il momento di usare il blog per farmi dare un consiglio.

In via Fara la posta viene consegnata dai postini che escono dal centro smistamento di Poste Italiane di Via Valtellina, Milano. A  casa mia la posta viene consegnata sempre in ritardo, quando arriva: l’anno scorso ho dovuto disdire l’abbonamento a Internazionale perché veniva consegnato con 4-7 giorni di ritardo tutte le settimane, ma gli ultimi episodi sono due fatture consegnate aperte e una raccomandata consegnata con una settimana di ritardo (anche se sul foglietto giallo c’era scritto lo stesso la data giusta di una settimana prima per pararsi il culo). La situazione l’ho anche segnalata con le buone all’Ufficio Postale di via Valtellina (segnalazione telefonica avvenuta il 21.09), facendo notare che in questo periodo in particolare la consegna dei telegrammi è fondamentale per rispondere alle chiamate delle scuole e che un ritardo nella consegna di un telegramma equivale a perdere un posto di lavoro annuale. Mi è stato risposto dall’addetto di non preoccuparmi dato che sui telegrammi non avviene mai ritardo.

Oggi sono arrivato e ho trovato un telegramma del 24.09 (oggi è il 05.10) in cui mi si invitava a presentarmi presso una scuola in via Trilussa per una cattedra di 18 ore entro le ore 8.00 di lunedì 28.09. Ovviamente non ho potuto rispondere e quindi presumo che qualcuno – magari successivo al mio nono posto in graduatoria – abbia ottenuto la cattedra A059 a cui potevo aspirare. 

Non vi devo neanche dire quanto sono furioso.

Ma io vorrei che qualcuno mi desse un consiglio documentato e preparato: 

– posso chiamare domani la scuola, fare presente la situazione e presentare ricorso per sperare di recuperare il posto?

– cosa posso fare nei confronti dell’ufficio postale della mia zona responsabile di questa situazione? posso chiedere a loro i danni indiretti? posso fare in modo che i responsabili di questi continui soprusi nella consegna della posta abbiano delle conseguenze di qualche tipo?

PS: non mi rispondete di fare da me per fare per tre perché è una linea di condotta che conosco già e che non ho necessità mi venga delucidata. 

Grazie a tutti quelli che vorranno avere la pazienza di farmi capire come si muoverebbero in questo caso.

UPDATE 06.10.2009

Stamattina prestissimo mi sono recato alla scuola in via Trilussa e vi ho trovato delle segretarie gentilissime (quella scuola non sa quanto è fortunata in questo, ne approfitto per ringraziarle pubblicamente): mi hanno spiegato che il posto è stato assegnato a una collega che al momento dell’assegnazione era dodicesima (tre posti dopo di me) ma che alla compilazione delle graduatorie definitive che escono questa settimana sarà quarta (cinque posti prima di me). A questo punto rivalersi sulla scuola e sulla collega non ha nessun senso (e devo dire che sono abbastanza poco propenso ai ricorsi nei confronti di scuole e colleghi, dato che alla fine siamo tutti un po’ sulla stessa barca), mentre continua ad avere un senso citare Poste Italiane in giudizio per mancato guadagno (come conferma il mio avvocato). Grazie a tutti quelli che si sono interessati alla vicenda. A presto

 

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Inter in Wonderland: guerrieri di balsa

4 Ottobre 2009 3 commenti

 

 

I guerrieri di balsa del Friuli si avvicinano alla partita dichiarando a gran voce "di non aver paura" e di venire a San Siro "per vincere". Sarà la tenuta  bianconera che ricorda altri marrani della Serie di Oz, sarà la temperatura o i chilometri di viaggio, in realtà si schierano con un 4-4-2 secco, catenaccio e contropiede. Alla faccia del "Barça de noartri". Mourlino manda in campo la stessa formazione che avrei schierato pure io: rombo con Superman Zanetti e Crystal Chivu a presidiarie le fasce, Calimero-Drago-il Pelato dietro a l’Olandesina Volante per servire Leone e Principe.
La prima metà del match sul prato non è male: giochiamo, ma concludiamo poco, soprattutto dopo l’uscita del Principe che costringe sia il Leone che Supermario a giocare spalle alla porta. Mourlino e Marlino (il suo eponimo di balsa) hanno tracciato anche una linea verticale lungo il campo e tutti i giocatori hanno l’ordine tassativo di non valicarla: solo fascia sinistra nerazzurra e fascia destra/centrale bianconera. Diamo e prendiamo un gol su una colossale dormita di Crystal che oggi pare aver sbagliato la dose di Lexotan (e che quasi ci costa il secondo gol).
Dopo 45 minuti però finiamo la benzina e ci finisce l’ossigeno in circolazione: cominciamo a sbagliare appoggi molto semplici e a subire molto peggio il contropiede di balsa. Tiriamo di più, ma prendiamo più tiri. Il pubblico nerazzurro dimostra come al solito di essere l’unico non degno della Serie di Oz mugugnando (e vabene…) e fischiando più gli eroi nerazzurri che non gli avversari (uno scandalo…)
La palla non entra, Bergonzi il "direttore di gara" chiude occhi, bocca e naso, ma la palla continua a non entrare. Poco prima del novantesimo Di Natale e Lukovic confezionano l’ennesimo contropiede di balsa, e dobbiamo ringraziare il Drago che schiaccia il pulsante del turbo e fa uno scatto di 80 metri per buttarsi a babbo morto sul guerriero di balsa per sbilanciarlo quel tanto che basta perché spari fuori. Subito dopo Di Natale si invola sull’ultimo contropiede, Crystal decide di lasciarlo andare completando la sua prestazione horribilis e il balsesco Totò spara sull’Acchiappasogni. Poi, al novantatreesimo, quando la speranza si avviava al proprio funerale, dal cielo scende un’Olandesina su ali di piombo e la spara in fondo al sacco. I guerrieri di balsa si sfragugliano e tornano a casa ridisposti in comode assi di compensato prive di forma.
Ognuno fa i suoi fioretti: il prossimo fischio che sento ai danni di uno dei nostri giocatori mi riprometto di zittire lo stronzo con una sclerata di quelle che verranno narrate negli annali del secondo anello blu. E che cazzo.
 

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La Lega dei Citroni: minus (dispositivus) habens

29 Settembre 2009 3 commenti

 

I nostri eroi nerazzurri si spingono nella tana dei terribili tatari (da ora TTT) per portare a casa i primi tre punti verso la vittoria del girone. Mourlino, visti i recenti sconquassi e la diarrea fulminante di meta’ centrocampo, decide di tranquillizzare i suoi uomini con un nuovo esperimento: lungo il campo vengono seminati numerosi dispositivi multidimensionali, un nuovo gioiello di tecnica e tattica a disposizione dei nostri moderni cavalieri della tavola rotonda (e della testa quadrata di Mourlino).
Peccato che non il nostro Mago non sappia che i russi ne sanno una piu’ del diavolo e disattivano tutti i dispositivi ben prima dell’inizio della partita. Non solo: con una sessione di ipnosi i TTT rinverdiscono per bene il noto vitello nerazzurro, scatenato dalla musichina della Champions e che manda in tilt piu’ totale anche i migliori eroi della Beneamata.
Ed e’ cosi’ che entriamo in campo, in 10, per la presenza della mascotte Amantone, il simpatico ciccione, e debilitati dalla confusione indotta dall’ipnosi tatara. Come al solito quindi per 20 minuti non ci capiamo un cazzo di cosa succede sul campo e passiamo i minuti a scherzare come se fossimo su candid camera. All’11esimo il puntero avversario si lancia verso i nostri due centrali come un kamikaze, il Muro prima fredda l’altro attaccante tataro come un killer e poi si volta per dare una mano all’Orco con il primo. L’Orco punta dritto al dispositivo dimensionale che lo dovrebbe catapultare in mezzo all’area per un perfetto intervento difensivo, ma questo non funziona, e l’argentino che gioca nel Kazan si trova la porta spalancata.
Dopo altri 10 minuti di sofferenza ci ripigliamo e riusciamo anche a pareggiare. Nel frattempo i telespettatori (dato che sugli spalti ci sono solo figurine di cartone) sono costretti a vederne di tutti i colori: appoggi di testa sempre sui piedi avversari nell’errata convinzione che un qualche dispositivo sarebbe entrato in funzione fiondando la palla magicamente sui piedi di Eto’o; dribbling a rientrare su se’ stessi senza trovare il giusto varco dimensionale; uno scatto di Mario lungo la linea dell’out nella certezza di poter passare attraverso un’altra dimensione senza uscire formalmente dal cmapo; e via orripilando.
Rientriamo in campo nel secondo tempo avendo capito il nostro tragico errore. Purtroppo si verificano contemporaneamente due tragedie, nel senso piu’ originale del termine. Supermario non capisce la lingua dell’arbitro che da mezz’ora gli sta dicendo in olandese stretto: "non fare il coglione che ti butto fuori appena posso, negro italiano". E al sessantesimo al quinto fallo da dietro a centrocampo viene esposto al pubblico ludibrio del doppio giallo uguale rosso. Rimaniamo in 10, cioe’ in 9, considerata l’abulia di Amantone. Mourlino impazzisce definitivamente e sostituisce un simpatico umorista obeso con un utente h di una scuola media portoghese: la Trivella entra sul terreno di gioco e cala il sipario.
La sua splendida condizione di forma e di cervello è riassunta nella migliore azione di calcio che io ricordi su un campo della Serie di Oz o di altre competizioni. Viene lanciato sulla fascia, la Trivella guarda il pallone intensamente, si gira a guardare il suo compagno e gli fa un cenno di intesa, poi finta con il corpo lo stop e lascia sfilare il pallone. Sembra tutto perfetto, se non fosse che poi Trivella si ferma meravigliato al cospetto della linea del fallo laterale che lo scarta. Sì, lo scarta. Tripudio di risate isteriche. Passano 30 minuti di sofferenza.
Finisce 1-1. Al momento in Europa non possiamo circolare. Più passano le partite, meno le scuse di Mourlino reggono e della sua mano su questa compagine non vi è traccia. Ci tocca sperare nel coraggio e nel cuore dei nostri ragazzi, tutti, in questo momento di difficoltà del loro mago e mentore. Semm’ a post’.
 

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