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La storia siamo noi

30 Gennaio 2008 Commenti chiusi

 

Nel giorno in cui Silvio viene assolto grazie a una legge voluta da Silvio che cancella dal codice penale uno degli articoli contestati a Silvio, mi accingo a pubblicizzare un video racconta le sensazioni e la partecipazione a un corteo che ha cercato di opporsi alla riscrittura della storia collettiva dei nemici pubblici numero uno, come Silvio direbbe, ad opera dei giudici dell’era di Silvio, che hanno sancito che durante il governo precedente di Silvio, la rivolta che ha popolato le strade di Genova era un atto contro lo Stato e contro lo stesso Silvio (tra le altre cose) e che quindi doveva essere punito con oltre 100 anni di carcere da dividere in 25. Se qualcuno scorgesse delle stranezze in tutto questo, non si preoccupi, sarebbe una persona normale, non un italiano qualsiasi.

Scaricate e guardatevi il video La Storia Siamo Noi

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E’ chiaro: c’è sudditanza!

27 Gennaio 2008 18 commenti

 

E’ chiaro, no? C’è sudditanza, lo dicono tutti, anche se a questo punto verrebbe da chiedersi di chi nei confronti di chi. L’unica certezza che esce dalla partita di Udine è che per rendere interessante il campionato (per gli altri) noi dobbiamo giocare in dieci e vederci annullare almeno un goal regolare (e la Roma deve giocare in superiorità numerica). Giocando di nuovo 10 contro 11 per settanta minuti, l’Inter colleziona 6 o 7 occasioni da gol, mentre l’Udinese tira in porta seriamente una volta sola. Il verdetto di Udine è che gli avversari si devono cagare addosso, e che se pennivendoli, piangina e media vari vogliono rendere il campionato più interessante facendoci giocare in 10 che ce lo dicano prima, così almeno scegliamo noi chi non schierare.

Dalla partita di Udine ho capito anche altre cose: che un colpo sulla palla vale una seconda ammonizione con rosso se vesti la casacca della Beneamata, mentre è regolare se vesti altre casacche; che un calcio volante nella schiena al limite dell’area è un fallo a due senza giallo; che i falli nostri sono più "da ammonizione" di quelli altrui; che strangolare l’avversario in area è fallo di chi è strangolato. Soprattutto scopro che le regole del calcio le decidono i media asserviti (o forse dovrei dire sudditi?) all’antico duopolio (e nostalgici) e gli arbitri le applicano. Domani infatti non ci saranno titoli tipo: "Pasticcio Udinese!"; "Rosetti deve essere fermato un mese!" (come Gervasoni); "La Roma è aiutata dagli arbitri?". Fosse per me continuerei il silenzio stampa a oltranza.

In sé la partita dal punto di vista tecnico ci dice che la squadra sta risalendo dopo la scarsa forma mostrata nelle prime uscite del 2008. Per il resto non ci sono grandi dati da evidenziare, perché la cosa interessante sta altrove, nella vomitevole prestazione di arbitri e guardalinee. Usciamo dando un segnale di grande forza calcistica, fisica e psicologica, anche se lo pagheremo nei muscoli, speriamo non ad Anfield Road. Ora guardiamo a mercoledì, sperando di poter giocare in 11 contro 11 e non 12 contro 11 (non nel senso che i senza vergogna gobbi intendevano con il loro striscione a san siro mercoledì scorso dopo venti anni di malefatte, ma nel senso che intendo io, con la forza del gruppo che conta come un uomo in più per noi e pareggia la storica avversità arbitrale (non sempre in buona fede, come si sa ampiamente)).

 

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Intelligenze Precarie: Next Level

25 Gennaio 2008 Commenti chiusi

Domenica 27 gennaio, finalmente, dopo mesi di girovaghismo, le intelligenze precarie inaugurano un luogo vecchio ma con nuova linfa, nella speranza di rilanciare un po’ l’iniziativa che latita in giro per la città di Milano e non solo. Sotto la newsletter e il volantino dell’iniziativa: 

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Intelligence Precaria –  Newsletter #16
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=====================================================
Appuntamenti & Iniziative –
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domenica 27 gennaio 2008
||||||||| Punto San Precario – Next Level
dalle 17.00 in poi, in viale monza 255 – Milano

Si parlerà di come costruire uno spazio che possa diventare punto di
riferimento, espressione libera e varace dei sentimenti e degli
intendimenti  dei precari e delle precarie, native o migranti.
Potenzialmente un luogo di agitazione e di produzione culturale, di
organizzazione e di conflitto. In sintesi lo spazio della Cospirazione
Precaria.

Programma
ore 17.00 – Sessioni di "lavoro" collettivo
ore 19.00 – Mary Popper cortometraggio autoprodotto

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Allibismo

25 Gennaio 2008 2 commenti

 

Non è che uno non vorrebbe scrivere anche di altro, oltre che delle partite dell’Inter, ma se oltre alla carenza di tempo cronica, uno ci aggiunge anche lo stato d’animo che suscitano le sorti del paese in cui vivi, diventa veramente una lotta impari. L’unica cosa che riesce a definire come mi sento è "allibito". In una giornata qualsiasi ne potete avere cento esempi, prendiamo ieri.

Ieri per 13 persone sono stati chiesti circa 50 anni di carcere per aver organizzato una serie di manifestazioni e aver cercato di darsi da fare perché anche al sud ci fosse un movimento anti-globalizzazione organizzato. Uno può considerare questa attività legittima o meno, interessante o meno, ma da qui a pensare che sia uno pseudo reato necessita un certo sforzo di fantasia.

Nel frattempo in Parlamento il governo Prodi cadeva con scene degne di un mercato del pesce e non certo della massima istituzione italiana: gente che stappava spumante (offerto dal bar del Parlamento pagato dai nostri stipendi) e mangiava mortadella, gente che per una decisione avversa si sputava in faccia al grido di "frocio di merda, checca". Questo è il livello delle nostre istituzioni. Se io sputo in faccia a un mio collega, vengo licenziato, e pure giustamente, direi. Strano che questo non avvenga per un parlamentare, e che nessuno si ponga il problema del livello di degenerazione della classe politica. Ovviamente molte delle persone che si stavano sputando in faccia non verranno mai tacciate di organizzare alcunché, né tanto meno di reati, né tanto meno messe di fronte alla possibilità di passare anni in carcere.

La vita va un po’ così, dipende da che parte scegli di stare, no?

Sotto il comunicato di supportolegale sulla requisitoria del pm Fiordalisi a Cosenza, nel cosiddetto processo al Sud Ribelle. IN fondo vi invita ad andare a Cosenza, il 2 febbraio. Io non ci riuscirò, ma se potete, è importante tanto quanto il 17 novembre a Genova. La storia alla sbarra è sempre la stessa.

50
anni di pena, questa la richiesta del pm per gli imputati del
Sud ribelle. Siamo giunti alle battute finali del processo che si
tiene a Cosenza e che vede coinvolte 13 persone, accusate a vario
titolo di associazione sovversiva, ai fini di impedire l’esercizio
delle funzioni del Governo italiano durante il Global Forum di
Napoli e al G8 a Genova nel luglio 2001 e creare una più
vasta associazione composta da migliaia di persone volta a
sovvertire violentemente l’ordinamento economico costituito
nello Stato. Niente male, come impianto.
Un processo che fin dalle
sue premesse si farà ricordare come tragicamente farsesco,
grottesco, una commedia all’italiana, più ‘I Mostri’, che
non ‘I Soliti Ignoti’. I momenti in cui non si ride, corrispondono
con la lettura delle ichieste del pm Fiordalisi, voglioso di
prendersi qualche attimo di gloria. Peccato sia oscurato dalla
querelle Prodi si, Prodi no.
Le pene vanno dai 2 anni e sei mesi
ai sei anni. Per tutti gli imputati sono state richieste anche
misure di sicurezza, da tradursi in libertà vigilata per
periodi che vanno da un anno a tre anni. Le comiche però
non mancano nell’iter processuale: è il 2002 quando alcuni
piccoli funzionari di polizia si fanno il giro delle procure d’Italia
per trovarne una disponibile a mettere sotto processo la rete di
attivisti che organizzò il controvertice di Napoli 2001.
Incontrano molte porte in questo peregrinare: gli sbattono tutte
in faccia tranne na, quella della procura di Cosenza e del pm
Fiordalisi il cui imperituro ricordo si lega a quattro inchieste
del CSM su di lui e ad inchieste particolari: fu lui a chiudere
l’inchiesta sulla Jolly Rosso nave facente parte del progetto
COMERIO, su cui anche Ilaria Alpi stava seguendo la pista. E’ il
15 novembre 2002 le case di decine di attivisti di Napoli, Cosenza,
Taranto, Vibo Valentia, Diamante e Montefiscone, vengono nottetempo
devastate dalle perquisizioni delle forze dell’ordine: il risultato è
venti persone arrestate, ad altri cinque furono notificati gli
arresti domiciliari, quarantatre persone finirono indagate nel filone
di inchiesta, computer, libri, intercettazioni telefoniche,
ambientali e telematiche.
Ancora una volta ci tocca dire "Nessun
rimorso": come per Genova, così per Napoli non ci può
essere alcun rimorso in chi ha tentato di opporsi al otere
economico mondiale. Per questo, per dimostrare a questi 13 imputati
di non essere soli, saremo in piazza a Cosenza il 2 Febbraio.

La
Storia siamo noi.


Supportolegale

Un pareggio dimostrativo (featuring: gobbi di merda)

24 Gennaio 2008 4 commenti

Il pareggio di questa sera a San Siro dimostra molte cose, anche a chi cercherà di nasconderle (forse per non parlare del grandissimo Milan che perde a Bergamo 3 dei 9 punti dei recuperi con i quali sarebbe già quarto per la propaganda mediaset): dimostra innanzitutto che le sviste a favore e contro l’Inter non hanno motivo di innescare polemiche, se non speciose, ma una riflessione sulla qualità della classe arbitrale italiana; stasera infatti Farina, che io odio per il suo protagonismo esasperato, ha diretto impeccabilmente la gare, inclusi gli episodi più dubbi (qualche giallo in più non guastava). Vicerversa i suoi collaboratori o sono dei cecchini, o hanno alzato la bandierina ogni volta che un nerazzurro si lanciava nella metà campo bianconera. Questo pareggio dimostra che la Juve senza tre titolari ma con un tridente osannato in tutta Italia (Iaquinta, Pinturicchio, Trezeguet) era sotto di due gol in 11 contro 10, e solo con il secondo centrale difensivo fuori (Matrix per una testata) è riuscita ad accorciare le distanze. Il secondo gol è una ingenuità della difesa interista molto attenta fino ad allora, e della complice Legge Universale del Rimpallo Interista, che recita: in ogni caso se un rimpallo può andare in culo all’Inter, esso lo farà; viceversa se può favorire Milan o Juve, esso lo farà. Infatti il terzo gol di Cruz si infrange sul palo esterno, mentre la capocciata di Boumsong quel mezzo giocatori colpisce il lato interno della traversa e termina di un filo oltre la linea. Chiamala bravura… Peraltro in due dei quattro tiri a rete bianconeri. Chiunque ne capisca di calcio ha visto una squadra in dieci con meno della metà dei titolari in campo non far toccare la palla per mezzora alla squadra terza in campionato in superiorità numerica. Ai ragazzi che hanno calcato l’erba scivolosa di San Siro vanno tutti gli applausi del mondo e i complimenti per aver dimostrato che l’Inter non solo ha tecnica, rosa, qualità, ma anche grande carattere. I calci in culo  li deve prendere solo Burdisso: dopo una settimana di can can assurdo sui "favori all’Inter" cosa pensi bene di fare? Falcidi un uomo lanciato a rete, da dietro. Quando capirai che alle volte megli essere sotto di un gol in undici che in dieci per tutta la partita, forse sarai tornato il Burdisso pre-Valencia. Per ora sei la sua pallida ombra.

Veniamo ai ragazzi, escluso l’argentino. In porta Toldo rientra dopo due mesi di stop e un po’ si vede, ma non si nega un paio di parate decisive e la necessaria sicurezza. Dietro partiamo con Burdisso-Matrix centrali, Rivas a destra (di contenimento) e Maxwell a sinistra (di spinta). Dopo l’espulsione e il panico fino al 15esimo, Matrix fa coppia con Rivas e Cesar scala come terzino destro vedendosi costretto a scarpinare chilometri. Una volta assettata così la squadra in inferiorità numerica è ampiamente superiore alle merde bianconere, e questo in sé è una figata. Matrix migliora, anche se non rinuncia a entrate plateali che possono costare care con arbitri meno sicuri di Farina; Rivas dimostra inaspettate qualità di tempismo e determinazione; Cesar da terzino non è malissimo, anche se necessita aiuto per tenere la fascia. Il suo assist per il secondo gol di Cruz vale un bacio in bocca. Maxwell gioca la sua migliore partita di quest’anno, facendo sperare di aver ritrovato il fluidificante preziosissimo dell’anno scorso. 

A centrocampo schieriamo Maniche e Pelè in mezzo, a contrastare e impostare, sui lati Cesar e Solari; dopo l’espulsione passiamo al centrocampo a tre, molto più stretto e compatto. Maniche è molto ben integrato nei movimenti della squadra, cose sorprendente considerato che è la seconda partita in nerazzurro. Pelé dimostra che i recenti flop erano un momento di flessione, e fa vedere numeri tecnici veramente pregevoli, nonché una autorità molto decisa per un ragazzino che viene dalla serie B portoghese a fare il culo al club più titolato d’Italia. Solari rimane un mezzo giocatore sul viale del tramonto e si mangia due cross che erano praticamente gol. Cesar spinge sulla fascia e va encomiato. Quando a metà del secondo tempo entra Zanetti la fascia destra con Cesar diventa un incubo per i bianconeri che si trasferiscono in blocco dall’altro lato. Cambiasso entra e sarebbe decisivo se sostituisse Pelé come previsto, ma l’infortunio a Matrix lo costringono a fare il centrale difensivo di cui deve ancora acquisire i movimenti (sai non è esattamente il suo ruolo). Comunque è intoccabile e ingiudicabile. Rientra anche Vieira, e al primo pallone da solo scarta tutto il centrocampo dei gobbi e anche mezza difesa: qualità incredibile, e sogno di vederlo così in forma per alcune partite di fila. Se fossi nei prossimi avversari dell’Inter la prospettiva di un rombo con Stankovic, Cambiasso, Figo, Vieira non mi farebbe dormire sonni tranquilli (neanche con gli innesti possibili di Maniche, Jimenez, Zanetti e Cesar).

Davanti vediamo la coppia Cruz-Crespo: Mancini sceglie bene perché Ibra non brilla con i gobbi, mentre i due veterani ne hanno da vendere. Valdanito è definitivamente scongelato e gli manca solo il gol. Cruz in questo momento, con i suoi due gol ha un solo paragone nella storia dell’umanità: Gesù. Se avesse fatto il terzo che il palo gli ha negato, avrebbe fatto un salto di categoria: Dio. Forse Suazo avrebbe fatto comodo nella fase finale della partita, e penso che Cruz non lo vedremo domenica dato che ha dato tutto e si preparerà per mercoledì prossimo.

Quando ho visto la formazione all’inizio ho pensato (e lo penso tuttora) che forse era un errore sottovalutare la partita così, nonostante le assenze di Nedved, Chiellini, Salimazdic, Buffon. L’espulsione ha confermato questo problema, ma la risposta motivazionale dei nerazzurri è qualcosa che non ho mai visto all’Inter almeno dalla metà degli anni Ottanta in poi (per quanto mi ricordi): è qualcosa di nuovo, che noi tifosi non conoscevamo e che spero di poter ammirare a lungo, e si chiama carattere, consapevolezza, determinazione. Devo dire che una vittoria mi avrebbe veramente reso felice in maniera indescrivibile, e sarebbe stata pienamente meritata, ma anche con questo pareggio non sento di poter dire nulla ai ragazzi se non grazie per l’emozione che mi hanno dato. E i gobbi sanno di aver avuto molta fortuna a infilare due gol. Vorrei che Mancini tra Udine e mercoledì non risparmiasse i titolari e desse un assaggio della potenza dell’Inter a pieno regime. Mi tocco le palle e vado a leggermi le dichiarazioni ridicole dei pennivendoli ("orgoglio juve" in 11 contro 9, "la Juve rimonta l’Inter" che vinceva due a zero in inferiorità numerica multipla, ecc.)

La conclusione del post non può che essere una: gobbi di merda, mi fate vomitare. <g> 

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Vittoria immeritata, ma per questo godevole

20 Gennaio 2008 1 commento

zlatan black blockL’Inter affronta la partita nel modo peggiore: sufficienza, convinzione che passerà facilmente e in fretta, e poca crudeltà sotto porta. La nebbia non aiuta e per almeno mezz’ora non si capisce bene che cazzo succede nella parte avanzata della nostra fascia destra. E la nebbia è l’unico motivo per cui Gervasoni può non aver dato il rigore di quel babbo di Cordoba (che ogni interista sano di mente dovrebbe sperare destinato a una senile panchina) su Corradi. La partita sembra comunque passare quando l’Inter va in vantaggio, ma il pareggio di Cigarini è un regalo guarda caso di Burdisso e Cordoba, sicuramente i giocatori meno validi della difesa interista, che rende giustizia alla determinazione del Parma. Mancini non aiuta il gruppo cambiando assetto tattico una infinità di volte durante la partita: partiamo dignitosamente con il rombo con Cambiasso davanti alla difesa, Jimenez dietro le punte, Zanetti e Maniche in mezzo, poi passiamo inspiegabilmente al 4-4-2 mettendo tutti i giocatori fuori posizione. Burdisso al centro (non ci è bastata Valencia e altre incredibili prestazioni schifose), insieme a Cambiasso, Maniche esterno a sinistra (dove non gioca mai), Jimenez a destra (ricordiamo che il giovane cileno ha incantato nella Fiorentina quando giocava da trequartista e ha fatto vomitare alla Lazio quando giocava da laterale appunto). Poi spostiamo Burdisso dietro e Zanetti davanti, poi spostiamo di nuovo i giocatori immettendo Cesar e togliendo Maniche. Un delirio che origina una preoccupante assenza di gioco, non colmata da un Ibra in serata non particolarmente brillante e da un Crespo che fa fatica a trovare spazi, ma viene sostituito da un Cruz non in vena proprio quando stava iniziando a capire come mettere in difficoltà gli emiliani. Il tutto con una difesa in cui l’unico decente è Maxwell, con un Matrix privo della mentalità che ne ha fatto un mattoncino fondamentale dello scudetto dell’anno scorso (da quando è lui il perno della difesa abbiamo preso 4 gol contro i 9 presi dall’inizio del campionato con Samuel), un Cordoba in piena regressione, e senza un terzino destro, con un Burdisso che quando non viene buttato a caso a centrocampo non è all’altezza di una squadra che punta in alto. Queste sono le sere che Mancini dovrebbe ammettere: non sapevo che cazzo fare e ho provato a mischiare le carte a caso, ma non mi è mica riuscito.

Tutto questo non basta e per una volta la personalità di alcuni fuoriclasse non basta a tirarci fuori dai guai. Il gol di Gasbarroni grazie a una punizione inutile procurata da un intervento a caso in spaccata Matrix style dei peggiori periodi, e all’assenza di una barriera su una punizione a uno che Julio Cesar dovrà spiegarci prima o poi. Tutti a questo punto si aspettano la reazione di orgoglio, ma non se ne vede ombra. Solo verso l’ottantesimo iniziamo a macinare gioco, anche grazie all’innesto di Vieira e alla scomparsa di Burdisso dal centrocampo (o quasi). Bucci toglie una palla dalla rete su colpo di testa di Cambiasso e dopo poco Ibra si inventa una ribattuta che sembra destinata in rete: Couto si mette sulla traiettoria con testa e braccia di fianco alla testa. Non è una buona idea. Nessuno dirà mai definitivamente se era rigore o no. Io personalmente penso che per quello che abbiamo fatto quel rigore è stato un regalo di Gervasoni, seppur aiutato da Fernando Couto. Ibra segna dal dischetto, e poi comincia l’assedio: il Parma accusa psicologicamente mentre l’Inter si sente invasa della luce del culo totale. E infatti Ibra infila la porta al 43esimo: per una volta non siamo quelli che oltre il novantesimo perdono, ma quelli che vincono. Allo stadio è un tripudio. Non ce ne frega un cazzo che è un regalo: è una trance estatica in cui non sai più chi sei e che cosa fai, gridi, ti abbracci, ti lanci addosso a quelli che ti sono accanto. Se c’è un motivo per andare allo stadio è proprio l’estasi di questi momenti al di là di sé stessi.

Veniamo ai ragazzi: le note positive, e molto sono diverse. Maniche si è inserito molto bene e ha mostrato buone qualità, una specie di Dacourt con visione di gioco e piedi buoni, nonché la bomba da fuori area; Vieira è rientrato e sembra rodare bene, dimostrando che la sua presenza rappresenta un salto di qualità per il nostro gioco; Maxwell sembra in fase di ripiglio, dopo mesi di oscuramento. Purtroppo le note negative sono molte di più: Cordoba è inguardabile, Matrix lontano da quello che è stato, Burdisso da allenare da zero, Jimenez capace di dare il meglio in un solo ruolo, Ibra ancora afflitto da incostanza cosmica, Crespo ancora non al pieno delle sue capacità e Cruz non può essere la soluzione a ogni male. Infine, e peggio di tutto, Mancini a volte pare incapace di ammettere i propri errori. Speriamo sia un passo falso che ci serva di lezione e ci scuota in vista della fase più importante della stagione.  

PS: devo dire che dopo l’incazzatura per la partita giocata male, la trance per il gol decisivo al 93esimo, l’adrenalina, le parole dei ragazzi nelle interviste sono il meglio. Cambiasso: "forse è tornata la pazza inter, ma speriamo solo per una sera"; Jimenez: "non sono soddisfatto della mia prestazione"; Ibra alla domanda, ma volevi veramente prendere Mancini? "beh, è giusto che soffra un po’ anche lui, mica solo noi!" Un Genio! 

UPDATE Devo dire che il can can che si sta scatenando sui media italiani ha qualcosa di ridicolo. Beninteso, nessuno afferma che meritavamo di vincere la partita o che non ci siano state sviste che ci hanno favorito, ma trovo un po’ curioso che nessuno ricordi le sviste che ci hanno danneggiato (e parlo solo di quest’anno), o le sviste che hanno favorito tanto per citare due squadre, Milan e Juve (tanto per fare esempi Nesta su Quagliarella domenica, e i due rigori su Semioli di Fiorentina-Juve). Va bene che dà fastidio che dopo vent’anni di malaffare mediatico-criminale del duopolio rossobianconero noi vinciamo perché siamo più forti, ma così mi pare un po’ esagerato. Un po’ come Vieri che dice che all’Inter lo facevano giocare anche infortunato quando tutti sanno che l’unica squadra che tutela fin troppo i suoi giocatori è proprio quella nerazzurra, e che le squadre che si oppongono al test incrociato urine/sangue sono proprio rossoneri e gobbi. Strano no? Per una squadra come quella bianconera salvata dalla prescrizione nel più grosso scandalo doping del calcio moderno. Forse qualcuno ha interesse a cercare di creare il caso per coprire altro, maestro nelle ombre diafane della comunicazione e del malaffare. Pensateci ogni tanto pecoroni. Siete tutti un po’ ridicoli e ogni interista dovrebbe ridervi in faccia senza ritegno. 🙂

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Questa volta ne ho visto almeno un pezzo…

17 Gennaio 2008 2 commenti

Al contrario della partita d’andata, questa volta il Carlsberg sui Bastioni di Porta Volta si era munito di carta La7Più, forse anche complice il fatto che il proprietario è juventino e ieri doveva vedere la sua squadra sudare sette camicie per eliminare l’Empoli (in dieci uomini). Quindi almeno il secondo tempo (quasi tutto) l’ho visto. Non è stato granché, ma alla fine è sempre un 3-0, e anche la 12esima vittoria consecutiva in gare ufficiali, che è pur sempre un record che fa statistica.

In campo tantissimi giovani e meno giovani in cerca di minuti e di riscatto, quasi sempre non trovato. Crespo e Cesar di questi ultimi trovano il gol, e il primo anche un po’ di smalto, ma il brasiliano che appare a intermittenza è nella fase off. Solari continua a risultare non pervenuto, tanto che ho visto Bolzoni e Siligardi molto più in palla dell’argentino. Balottelli sembra sempre più Adriano: stessa aria appesa durante la partita, stessa voglia di pigliarlo a schiaffi per fargli mostrare un po’ di carattere e umiltà. Pelé continua a essere un mistero perché giochi (le squadre le fanno i procuratori), come anche Rivas, mentre Fatic e Filippini mostrano alcuni numeri.

Andrò controcorrente sull’esordio del figlio di Mancini – o meglio di Dossena – che ha fatto tanto incazzare i Primavera nerazzurri per lese gerarchie e nepotismo: e se fosse tutta una mossa mediatica, per far parlare di questa partita i giornali domani che altrimenti non avrebbero neanche preso in considerazione un trafiletto. Sarebbe veramente geniale. D’altronde la Coppa del Patriota è un po’ singolare come trofeo: quando la vinciamo noi non vale un cazzo ed è fastidiosa, mentre quando la vincono gli altri è quasi quanto uno scudetto. Misteri della fede, o meglio delle faide.

 

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Risotto ai 4 formaggi e arance

13 Gennaio 2008 14 commenti

 

Ingredienti:

  • 50-75 g di brie
  • 50-75 g di altro formaggio simile ma meno forte (io ho usato un formaggio molle di pecora e mucca)
  • 30-50 g di grana padano grattuggiato
  • 30-50 g di pecorino o altro formaggio stagionato e saporito, grattuggiato
  • 180 g di riso
  • 1 cipolla
  • la buccia grattuggiata di un arancio
  • brodo (almeno 1-1,5 l)
  • olio o burro

Preparazione:

Soffriggete la cipolla tagliata in pezzi molto piccoli in una padella dal bordo alto. Per il soffritto i puristi prediligono il burro, ma io uso l’olio di oliva, che già il risotto è una mattonata senza ulteriori grassi animali 🙂

Preparate il formaggio a pezzi (quello molle) e il formaggio grattuggiato (quello stagionato) 

Quando la cipolla sfrigola per bene versate il riso nella padella senza mai smettere di rimestare con un cucchiaio di legno. Aggiungete un mestolo alla volta il brodo, e lasciate assorbire rimestando prima di aggiungerne un altro. La cottura in questo modo deve andare avanti per 20 minuti circa, quando il riso assumerà la consistenza voluta (anzi un po’ meno, dato che la mantecatura con i formaggi addensa il tutto in una crema).

Abbassate il fuoco al minimo e aggiungete prima i formaggi molli rimestando fino a ottenere una crema, e poi i formaggi stagionati grattuggiati. Togliete dal fuoco e aggiungete la scorza di arancia. Mescolate e portate in tavola. Se volete aggiungete il ciuffo di qualcosa di verde come decorazione (suggerirei menta o prezzemolo, ma alla fine è identico dato che non ve lo papperete).

Voilà! 

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Cincischiare e vincere

13 Gennaio 2008 2 commenti

L’Inter affronta il rientro dalla pausa come sa: provocando il patema in ogni tifoso con un minimo di memoria storica. Poco importa che basterebbe giocare bendati per vincere con il Siena, dobbiamo soffrire un po’, e dare la possibilità a quei gobbi impenitenti che commentano le partite su Sky di dire "il Siena avrebbe meritato il pareggio", dopo aver passato tutto il secondo tempo a cercare di dimostrare (senza riuscirci) che il gol di Cambiasso allo scadere del primo tempo era viziato da un fuori gioco di Cruz.

In campo una formazione che mi piace ed è ormai collaudata, anche se Matrix dietro ancora non da tanta sicurezza quanto Samuel. Cordoba è il solito pasticcione (gli venisse un colpo) e Maxwell meno brillante dell’anno scorso. Fortunatamente Julio Cesar atraversa un periodo di forma splendido. A centrocampo Cambiasso in cabina di regia a fare il terzo centrale di difesa, Zanetti e Chivu ai lati, Jimenez trequartista. Davanti un Ibra in forma strepitosa e un Cruz un po’ opaco (forse Crespo avrebbe meritato qualche minuto). Grande nota positiva il rientro di Stankovic, che delizia con un paio di cross al bacio, mostrando voglia di giocare.

Entriamo in campo con le gambe pesanti di fronte a un Siena che come i suoi parenti bianconeri ha tanta grinta e poca qualità (a parte quella merda rossonera di Locatelli che contro di noi dà sempre il meglio di sé). Per venticinque minuti non si vede quasi un tiro in porta. Due palle. Poi Girardi si inventa un rigore su Cruz a nostro favore, giusto per far parlare le malelingue che da sei mesi non sanno fare altro che parlare di presunti torti o favori arbitrali e dell’avvento del messiah Pato. Ibra segna e la partita continua come prima, anzi peggio, perché abbassiamo il baricentro e permettiamo al Siena di fare un gol molto bello, grazie a una doppia svista Maicon/Cordoba. Sul finire del primo tempo un liscio in combutta di Chivu e di un difensore del  Siena, Ibra mira la porta, ipnotizza tutto il Siena e serve Cambiasso che insacca nel primo rimpallo favorevole della partita.

Il secondo tempo entriamo in campo più tranquilli, e Ibra infila un gol a 100 all’ora da fuori area disumano. Poi sbaglia il 4-1 da solo davanti al portiere per misericordia. Pietà non contraccambiata dai gobbi toscani, che menano come fabbri e con un po’ di fortuna insaccano il 3-2 al 46esimo. Trenta secondi dopo Cruz ha la palla del 4-1 sul piede, ma  confermiamo la nostra natura antitetica all’infierire sull’avversario. Ci vuole classe. Anche per ascoltare le stupidaggini dei commentatori e guardare e passare oltre. 

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Le Benevole

11 Gennaio 2008 Commenti chiusi

Riposto qui un ottimo articolo di Wu Ming 1 a commento del libro Le Benevole di Jonathan Littel. Lo condivido molto e il libro è ottimo, anche se forse tirato un po’ per le lunghe. Non è di facile lettura e su alcuni passaggi mi pare che strafaccia per la caratterizzazione del personaggio, ma nulla è perfetto. Consigliato a tutti.

 
NESSUNO È IMMUNE DAL DIVENTARE NAZISTA

Le benevole, Supercoralli Einaudi, 2007Impressioni dopo la lettura del romanzo Le benevole di Jonathan Littell

di Wu Ming 1
da "L’Unità" del 30 settembre 2007

Premio Goncourt 2006. Monumentale opera prima scritta in francese da
uno statunitense. Caso editoriale in diversi paesi. Oggetto di stupore,
shock e ammirazione. Alzate di polveroni a destra e a manca da parte di
storici e critici, di ebrei e gentili. Perché?
Perché è chiaro fin da subito (dal lungo prologo intitolato "Toccata") che Le benevole di Jonathan Littell vuole imporsi come il romanzo supremo e definitivo su Germania nazista e sterminio degli ebrei.
Di questa ambizione, questa hybris
che fa scavalcare ogni argine e sfidare ogni precedente narrazione
sull’argomento, ho un’esperienza diretta di molti giorni. Leggere Le benevole è ritrovarsi testimoni, percossi e attoniti, di un tracimare:
goccia dopo goccia, rivolo dopo rivolo, il fiume di dati, episodi,
conversazioni, ricordi, sogni e citazioni si compone, si allarga, si
alza, si gonfia finché non esonda. Arriviamo sul fronte russo sospinti
da un’alluvione, immane ondata che spazza via interi mondi e
innumerevoli vite, finché non impatta con la resistenza di Stalingrado,
inattesa, inspiegabile. Le giornate di Stalingrado scavano un momento
di "vuoto" nel romanzo e nella vita del protagonista, Maximilien Aue,
ufficiale SS. Il vuoto si riempie di follia, follia per una volta non
sistemica né organizzata, follia non burocratica bensì singolare e
selvaggia. L’accerchiamento sovietico apre un crepaccio nel tempo e la
psiche devastata di Aue produce visioni e fantasticherie. I passaggi
sono fluidi, non più scanditi da cifre, date e acronimi, tutto è bianco
e non si sentono rumori… E’ a questo punto che l’onda s’incurva e
volge indietro, con violenza moltiplicata. L’Armata Rossa e il Generale
Inverno annichiliscono la Sesta Armata. Aue si salva, lo riportano a
Berlino.

Una volta respinta, la piena – che, ripeto, è una piena di informazione
– copre altre direzioni, invade altri campi. Le acque brune e scure
trasportano nuovi dati, episodi, conversazioni, reminiscenze di incesti
e sodomie, incubi e rimandi ad altre opere (drammi, romanzi e saggi,
film e documentari). Personaggio, autore e libro s’impantanano
nell’asfissiante burocrazia dell’universo concentrazionario, della Endlösung, dell’Olocausto. Che è ormai soprattutto amministrazione: se le spaventose Aktionen,
i massacri di ebrei nell’Ucraina occupata, avevano smosso la coscienza
del protagonista sferzandolo con dubbi e rimorsi, la "soluzione finale"
lo trova desensibilizzato, apaticamente dedito al compito: "adesso
predominava in me una grande indifferenza, non tetra, ma lieve e
precisa". Siamo a poco meno di 2/3 del romanzo: Auschwitz compare solo
adesso, ecco Höss, ecco Mengele… La piena diventa un lago artificiale
di acqua densa, appiccicosa, le minuzie galleggiano e si attaccano alla
pelle. "E poi, se dovessi ancora raccontare in dettaglio tutto il resto
dell’anno 1944, un po’ come ho fatto fin qui, non la finirei più.
Vedete, penso anche a voi, non soltanto a me, un pochino perlomeno,
certo ci sono dei limiti, se mi sobbarco tutte queste fatiche non è per
farvi piacere…" E avanti così, poi la catastrofe, la fuga, la
mimetizzazione borghese.

Questa non è semplice audacia da esordiente: l’impressione è che l’autore sia stato travolto
dai propri studi e dal progetto narrativo, e ne sia rimasto
prigioniero. Littell si è recluso per anni nel mondo che andava
evocando, la Germania del Terzo Reich vista come un unico, grande campo
di concentramento che imprigionava anche i carnefici e i loro complici
(immagine proposta anni fa da Bruno Bettelheim). Siccome "è libero chi è vassallo" (Frei sein ist Knecht sein), ne è derivato un grande arbitrio del raccontare: Littell vuole dire tutto, mostrarci tutto, descrivere ogni meccanismo, indugiare su ogni delitto.
Le benevole è un libro iperrealistico, sembrano davvero le
memorie per troppo tempo procrastinate di un ex-criminale di guerra.
Nel numero di pagine (956 nell’edizione italiana, per giunta fittissime
e quasi prive di a capo), nell’esorbitante numero di divagazioni ed
eccedenze, nell’attenzione pedante per i minimi dettagli, si manifesta
la tipica "incontinenza" dei memoriali di certi anziani.

Le benevole sembra anche la versione narrativa (e capovolta,
poiché dal punto di vista degli assassini) della colossale impresa
storiografica di Saul Friedländer, i due volumi de La Germania nazista e gli ebrei. Friedländer aggiorna le ricerche di Raul Hillberg
e si dedica alla ricostruzione più vasta e minuziosa della "soluzione
finale", attingendo a ogni sorta di fonte, procedendo per accumulo di
migliaia di microstorie, che collega e incastra fino a indurre il
quadro generale. Tuttavia, la narrazione di Friedländer è
moltitudinaria, sono milioni di persone a reggerne il peso e il dolore.
La storia più difficile da raccontare e da ascoltare batte sulle tempie
mentre leggi, e solo un impianto corale può darle fondamenta abbastanza
solide. Le benevole ha invece un solo protagonista, unico
"filtro", un "io" dai piedi d’argilla che sotto il peso della tragedia
sbanda, si incurva, sovente cade, perde consistenza e coerenza. Che
compito ingrato, il soliloquio dell’inenarrabile.

La domanda che si pone il lettore è: perché Aue – nonostante il
disgusto, i conati di vomito, la diarrea psicosomatica che lo
perseguita per quasi mezzo libro – fa quello che fa?
Perché a suo modo è un illuminista, sembra dirci Littell. E’ un giovane
intellettuale dalle buone, anzi ottime, letture, ed è consapevole della
“dialettica negativa” dell’illuminismo, tanto da volere vederla
compiersi.
[Qui sorvolerò sul fatto che il cosiddetto "illuminismo" liquidato da
Adorno e Horkheimer e poi da frotte di pensatori postmoderni non
corrisponde in alcun modo all’illuminismo storicamente, concretamente
esistito. Lo spiega molto bene Robert Darnton nel suo L’età dell’informazione, Adelphi 2007.]
In parole povere: Aue vuole scoprire fin dove potrà spingersi prima di
smettere di provare qualcosa. Vedere se i mille pretesti, le
razionalizzazioni di comodo, i falsi sillogismi riusciranno a prevalere
sulla nausea, la pietà e i sensi di colpa. Man mano che ciò accade, si
trova a rimpiangere
l’orrore e la pena che provava al principio, "quello choc iniziale,
quella sensazione di una frattura, di uno squassarsi infinito di tutto
il mio essere". Aue è la cavia del proprio esperimento sui limiti
dell’umano. Insieme a noi, "fratelli" chiamati in causa fin
dall’incipit, scoprirà che l’umano non ha limiti, che "disumano" e
"inumano" sono epiteti ipocriti. E’ questo ad avere turbato molti
lettori.

La consueta trappola dell’io narrante: io cammino con Aue, lo seguo
nell’esperimento, ragiono con lui, in un certo senso sono lui, come lui
è me e chiunque di noi: "Gli uomini comuni di cui è composto lo Stato –
soprattutto in periodi di instabilità -, ecco il vero pericolo. Il vero
pericolo per l’uomo sono io, siete voi. E se non ne siete convinti,
inutile continuare a leggere oltre. Non capirete niente e vi
arrabbierete, senza alcun vantaggio né per voi né per me."

Finché Aue soffre per il dolore che infligge, io soffro insieme a lui, ho gli stessi conati di vomito. La descrizione delle Aktionen
in Ucraina è quasi insostenibile: chi è padre o madre vedrà i propri
figli in ogni bambino fucilato e gettato nudo sul cumulo di morti.
Queste pagine fanno amare la vita disperatamente, ti ci fanno
aggrappare con tutte le forze, perché non c’è nulla di "edificante" nel
modo in cui le vittime vanno a morire, sono decine e decine di pagine
di macelleria a cielo aperto, pagine brutte, perché è la morte
violenta a essere brutta: non c’è tempo per ultime frasi che tocchino
il cuore; non c’è spazio per pose plastiche nella calca della fossa
comune; la morte subita in mucchio è ancor più misera e priva di
redenzione.

Gradualmente, però, la quantità mi prevarica, fa scattare le mie
difese, distanzia l’esperienza e annulla la compassione. Un morto è
omicidio, un milione di morti è statistica, ipse dixit. Di
massacro in massacro, mi desensibilizzo insieme ad Aue, conseguo il suo
medesimo distacco. Il romanzo coglie nel segno (se questo era il segno
a cui mirava) e arriva a dimostrare che chiunque può abituarsi
all’orrore. Al limite la pagherà con disturbi psicosomatici, cacarella,
bruxismo… Poca roba. Del resto, non muoiono di fame e stenti ogni
giorno migliaia di bambini senza che io ci perda il sonno? Il fatto che
io non sia lì a guardarli morire, bensì distante migliaia di miglia, mi
rende poi tanto diverso da Maximilien Aue, mi rende forse più innocente
di lui? Aue è mio fratello, è contro me stesso che devo vigilare,
nessuno di noi è immune dal diventare "nazista".

Littell, per dirla in una delle sue lingue native, has got a point,
eppure il suo successo è un fallimento, perché mi anestetizza, toglie
calore alle dita che reggono il libro. L’inflazione della valuta-morte
mi fa davvero sembrare uno sterminio poco più di una statistica, e il
rischio è che diventiamo più cinici anziché più vigili nei confronti di
noi stessi. Eterogenesi dei fini. Per metterla giù in modo chiaro:
finiamo la lettura più stronzi di quando l’avevamo iniziata.

Detto questo, è un romanzo importante, epocale, che non si può né si
deve ignorare, che va letto e affrontato. E’ anche un romanzo impervio,
con centinaia di nomi e cognomi che non è possibile tenere a mente,
parole tedesche che mettono soggezione, scartoffie infilate nel flusso
senza alcuna mediazione. Sovente Littell va oltre il nozionismo e si
produce in tirate piene di riferimenti criptici, come se si stesse
rivolgendo – e forse è davvero così – alla corporazione degli storici
anziché ai lettori comuni.

Durante un viaggio a Parigi, Aue si imbatte in un libro di Maurice Blanchot, Passi falsi, il quale contiene un saggio su Moby Dick,
"libro impossibile" che "si rivela solo attraverso l’interrogativo che
pone". Fin troppo scoperta, la dichiarazione di poetica: Littell è
melvilliano dallo sfintere al nervo ottico. E se Melville – come fa notare Henry Jenkins – scriveva così perché era un fan, un appassionato della navigazione che voleva sviscerarne ogni aspetto, allora Littell di cosa è fan? Littell è un fan
del Novecento, inteso come "secolo di ferro e fuoco". Coglierne
l’essenza è stato per anni la sua ossessione, la balena bruna a cui
dare la caccia.

Ma non è forse l’ossessione di noi tutti? Quel mondo è sempre con
noi: la seconda guerra mondiale è l’evento storico più raccontato e
rappresentato di tutti i tempi, e il Führer ci tiene compagnia
continuando a sbucare come monito, icona pop, pietra di paragone.
Qualunque sterminio e genocidio è implicitamente o esplicitamente
valutato in confronto alla Shoah, a cui ci riferiamo per metonimia:
"Auschwitz". Qualunque nemico, anche occasionale, viene paragonato
all’imbianchino. L’avvocato americano Mike Godwin ha coniato una "regola" (Godwin’s Law)
secondo cui "più una discussione on line si protrae nel tempo, più
aumentano le probabilità che uno dei partecipanti venga paragonato a
Hitler."

Le benevole non sarà il romanzo definitivo su nazismo e
dintorni. Continueremo a raccontare quella storia, perché non possiamo
farne a meno. Ci viviamo ancora dentro e chissà quando ne usciremo. Il
nazismo ha perso eppure ha vinto, condicio sine qua non del nostro immaginario.

– Jonathan Littell, Le benevole, traduzione di Margherita Botto, Supercoralli Einaudi, Torino 2007, pp. 956, € 24