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I problemi della scuola – parte quarta – accenni alle soluzioni

16 Febbraio 2009 38 commenti

 

Ora, dopo aver osservato alcuni dei problemi della scuola in cui insegno – e ribadisco che non lo faccio per ledere o sputtanare quella scuola in particolare, ma per partire da una base reale per fare un ragionamento sul mondo della scuola in generale – come propostomi da alcuni commentatori peperini provo a dire la mia sulle soluzioni, sia macro che micro. Penso che chi sta al governo e al ministero avrebbero fatto meglio a calarsi nelle scuole prima di parlare a vanvera come fanno da ormai un anno. Forse anche loro sarebbero stati accusati di lesa maestà come è capitato a me dopo questi post, o di leaking aziendale forse, ma almeno avrebbero un’idea di dov’è la realtà e dove la loro fantasia ideologica.

Partiamo dalle soluzioni micro (che così quelli arrabbiati con me possono confrontarsi su cose concrete), ovvero come risolvere i problemi della scuola Gandhi. Beh, magari non tutti, ma almeno cominciare a metterci mano.
In questo caso il punto io penso che sia recuperare il senso di alcune parole molto semplici: partecipazione, cooperazione, responsabilità. Quella scuola la salviamo se ognuno di noi ci mette del suo in questo senso. Ognuno intendo dal primo all’ultimo, dal primo docente all’ultimo segretario, passando per personale ATA e soprattutto dal dirigente scolastico. Se ognuno di noi inizia ad agire come se il problema della porta di fianco riguardasse direttamente anche lui, se ognuno di noi fa il meglio di sé per aiutare la persona che sta gestendosi il casino nella classe di fianco o nel corridoio adiacente, forse iniziamo ad essere sulla buona strada. Per recuperare terreno alla Gandhi c’è bisogno che tutti lavoriamo e remiamo in un’unica direzione: riconquistare la fiducia in noi stessi e nelle quattro mura che ci circondano, senza farsi scoraggiare e agendo sincronicamente. Sembra banale ma non lo è: ho in mente svariati esempi in cui questo non accade, e alcuni degli episodi che ho citato nei post precedenti ne sono la concreta manifestazione.
Dirò di più: se vogliamo fare un consiglio straordinario, facciamolo per parlare di questo, di come ognuno trascendendo un pochino i suoi ruoli formali possa contribuire a far vivere meglio la scuola. Forse la primavera e la bella stagione ci renderanno meno nervosi ed irritabili e contribuiranno a facilitare la cooperazione anziché lo scazzo continuo (in senso passivo, come depressione, e attivo, come litigio). Se invece ci ostineremo ognuno a fare il suo compitino nell’angolino otterremo un bel 6 a fine anno, ma con i 6 lisci non si va lontano, almeno nella mia esperienza. Questo per quanto riguarda due tags: partecipazione e cooperazione.
Dopodiché buttiamo il cuore oltre l’ostacolo ed entriamo nel merito di due problemi: uno, la convivenza civile a scuola; due, la sopravvivenza l’anno prossimo della scuola. (A questo proposito faccio notare che quello che sta armando sto casino è un precario di terza fascia che l’anno prossimo la scuola la vedrà con il binocolo, grazie a confindustria e alla trimurti del sindacato orizzontale CGIL CISL e UIL).
A scuola ci sono situazione obiettivamente gravi, dal punto di vista disciplinare (e sarebbe il meno) e soprattutto dal punto di vista della vivibilità della scuola. Queste situazioni vanno affrontate con responsabilità. Offriamo alle persone protagoniste di tutto questo due strade: collaborare con noi e con i loro compagni, oppure levarsi dalle palle. Io non sono un buonista, uno è artefice del proprio destino, anche quando è nella merda. Ho avuto compagni di scuola che da situazioni assurde si sono tirati fuori e compagni di scuola che ci hanno sguazzato. Ognuno decide per sé. Se non ce la fa, a quel punto la mano è ben tesa per aiutare. Io penso che alcune situazioni vadano prese di petto e le persone protagoniste messe di fronte alle loro responsabilità (parlo anche di docenti, eh, io nella mia classe l’ho fatto quando ci sono stati dei problemi). Per fare questo però abbiamo bisogno di un punto di riferimento: se non può esserlo il preside perché non ne vuole sapere, inventiamoci un dispositivo qualsiasi, un consiglio disciplinare, dei referenti, decidiamolo insieme. Ma alcune situazioni non possono essere tollerate a lungo, pena il disamore non tanto dei docenti, che alla fine lo stipendio lo portano a casa uguale, quanto degli alunni. Ovviamente non sono per un modello puramente autoritario, tuttaltro, ma uno deve avere una scelta: lavora con noi a quest’altra cosa (ad esempio il progetto che io e altri abbiamo proposto di raccontare il quartiere con video, foto e testi, per ora naufragato tra disinteresse dei ragazzi e ore del progetto consumate dalle supplenze), se invece preferisci continuare a fare il pirla, fallo pure a casa tua fino ai 16 anni e poi vai a fare un lavoro di merda senza licenza media. Affari tuoi. Impara dalla strada se non vuoi essere aiutato.
Questo passaggio è importante, perché al momento alcuni colleghi si fanno prendere dal buon cuore oppure dalla stanchezza di cercare figure di riferimento che possano strigliare i ragazzi (il preside) e vanificano così lo sforzo di altri. Soprattutto per me questo passaggio è importante perché ovviamente lo metto per iscritto per confutare ogni accusa che mi si possa muovere di scegliere le soluzioni solo in base all’ideologia o alla mia impostazione politico/sociale.
Veniamo al terzo punto micro: la sopravvivenza della scuola. Forse dobbiamo anche qui sforzarci di più. Chiediamo e cerchiamo con i genitori e le strutture del quartiere di fare un incontro vero, aperto in cui dirsi tutti i problemi in faccia, in cui coinvolgere anche i genitori nella soluzione dei problemi (di fondi, di strutture, di vivibilità) non solo della scuola ma del quartiere. Inseriamoci nel tessuto del quartiere per provare a migliorare le cose. Durante la protesta per la Gelmini la nostra scuola e il nostro quartiere sono stati abbastanza silenziosi e i miei appelli per una lettera sottoscritta (la mobilitazione minima e non l’unica proposta che ho fatto) sono caduti nel vuoto o addirittura in affermazioni tipo "non possiamo farlo perché ognuno deve lottare nel suo ruolo", e vaccate del genere. Il quartiere è complicato, ovviamente non sarà facile, ma se vogliamo farlo si può farlo. Altrimenti continuiamo a tirare avanti la baracca alla bella e meglio, ma non ci stupiamo che i genitori cerchino una soluzione nella fuga: dobbiamo motivarli noi.

Questi punti non sono molti, forse sono anche semplicistici, ma si deve pur partire da qualcosa. Gli altri docenti che hanno scoperto la blogosfera e il preside che si è affacciato pungolato ovviamente da qualche benintenzionato e subito lanciatosi in una controinvettiva sulla forma (le battute sul vecchino e via dicendo) e non sulla sostanza (le critiche dei miei post) che cosa ne pensano? Domani vedrò di portare un po’ di stampate a scuola e vediamo cosa succede.

Passiamo al punto del problema macro, dato che si aggancia all’ultimo punto micro. Il problema della scuola oggi è che chi si è preso l’incarico di una sua riforma negli anni non lo ha mai fatto con un’ottica ad ampio spettro, cercando di proporre a partire dal  momento della formazione un modello di società diverso e migliore di quello in cui viviamo. Soprattutto l’ultimo Ministro non si è minimamente preoccupata di comprendere i problemi veri, magari girando in un po’ di scuole o mandando delle persone a verificare la situazione, ma si è accontentata di fare da sponda ai dettami economico-fiscali di Tremonti (da un lato) e alle sue fonti di ispirazione e appoggi di potere (la chiesa e la scuola privata). L’obiettivo dell’ultima riforma è chiaro, e nella scuola di piazza Gasparri lo è veramente alla sua ennesima potenza: depotenziare al massimo la scuola pubblica, mandarla in rovina, e convincere le famiglie che un’istruzione privata sia meglio, più sicura, più ricca e più competente. Noi sappiamo che non è vero, che un sistema di istruzione principalmente privato non è una soluzione ma l’inizio del declino e della sottrazione di larghe fette della popolazione a una formazione sociale, ma nessuno ha il coraggio di affrontare il problema di petto.
Allora dal punto di vista macro c’è una sola soluzione: battaglia. Dopo i primi mesi di mobilitazione soprattutto alle elementari (le medie sono state in verità molto silenziose sulla riforma) tutto tace. La riforma procede e tutto tace. Se prendiamo l’ultimo punto delle soluzioni micro, possiamo trasformarlo anche in un primo punto delle soluzioni macro. Solo con una opposizione forte di tutte le parti in causa insieme, dai docenti al personale ata, fino al preside e ai genitori, allora potremo pensare di influire sulla bocciatura definitiva di questa riforma. Ogni arma vale: se decideremo di muoverci allora scioperi bianchi e mobilitazioni eclatanti avranno un senso. DIversamente se tutti mi risponderete ancora una volta che "ognuno ha il suo ruolo e non spetta a noi fare certe cose", mi adeguerò, continuerò a fare casino dove e come posso, continuerò a raccontare ai miei alunni perché ci sono dei problemi nella scuola, nella speranza che diventino adulti migliori di noi.

Per ora mi fermo qui e stampo tutto.
 

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I problemi della scuola – parte terza – un po’ di precisione

14 Febbraio 2009 19 commenti

 

Sollecitato dai commenti agli ultimi due post [ parte primaparte seconda ]che raccontano alcune delle disavventure di una scuola secondaria di primo grado della periferia milanese, ho pensato che fosse meglio fare un po’ di chiarezza e raccogliere alcuni suggerimenti. Di certo non raccoglierò i suggerimenti di Anny, una commentatrice che mi pare molto inviperita e in disaccordo con me rispetto a quanto accade alla scuola dove sto insegnando come supplente: con tutti i problemi che ha quella scuola, un consiglio straordinario dovrebbe essere convocato per parlare del mio blog? Mi pare francamente ridicolo. Come ho detto nei commenti: quello che scrivo lo penso e sono stato l’unico a rimbrottare il preside circa la sua scarsa partecipazione alla vita della scuola in un collegio docenti, dopo che nei collegi d’ordine tutti si era d’accordo per farlo senza che nessuno poi avesse il coraggio di prendere la parola. Quindi l’accusa di nascondermi dietro l’anonimato mi pare pretestuosa e anche poco sostenuta dai fatti. Peraltro nei post io ho dato indizi molto chiari su chi io sia, e chi commenta su questo blog ne è perfettamente al corrente, mentre il tuo commento (quello sì) è molto anonimo oltre che animato. Al massimo, Anny, posso concederti che il mio linguaggio si è fatto troppo colorito nel secondo post, cosa a cui ho già rimediato, ma comprendimi, era una giornata no.

Tanto per chiarirsi: l’autore di questi post (e di questo blog) è il supplente di matematica che sta seguendo la prima d della scuola di piazza Gasparri, quello sempre vestito di nero; lo stesso supplente che fuori dai suoi orari di lavoro ha sistemato per due mesi il laboratorio di informatica e aiutato alcuni docenti della Rodari a migliorare il laboratorio informatico di quel plesso; lo stesso che ha sistemato l’armadio della biblioteca di cui si erano perse le chiavi e di cui si voleva far pagare la riparazione ai docenti referenti per la biblioteca anziché usare i fondi della scuola per far intervenire il fabbro; lo stesso che ha messo a posto la stampante e mandato in rete il computer dell’aula insegnanti senza che nessuno (salvo poche eccezioni) si degnassero di dirgli grazie. Posso andare avanti, ma tutti questi episodi mi servono solo a dimostrare che anche se io sono presente nella scuola solo da quest’anno, mi sono messo a disposizione di tutti per rendere la vita nell’istituto migliore, anche al di fuori dei miei orari di lavoro. Forse a te, Anny, è sfuggito. Se poi le mie descrizioni della vita nella scuola non corripondono con la tua percezione sei benvenuta ad aggiungere un altro punto di vista, senza minacciare consigli e altro. Certamente gli anni scorsi sono stati diversi da questi.

Un altro distinguo che mi va di fare rispetto ai commenti di Anny, è che quanto scrivo non vuole essere una generalizzazione. Tra i docenti, tra i bidelli, tra i segretari e le segretarie ci sono persone simpatiche e meno simpatiche, preparate e meno preparate, ma quello che racconto sono fatti accaduti e che vogliono mostrare come i limiti della scuola italiana in questo momento siano molto più complessi di quello che ci vogliono far credere, e sopratutto che le soluzioni della Gelmini e di Tremonti sono antitetiche alla reale natura dei problemi. Con meno fondi andrà tutto certamente peggio, e non viceversa.

Molto più interessante è stato il commento di "doc" che mi esortava a mostrare anche i lati positivi della scuola comasinense. Su questo ha certamente ragione. Come ho anche scritto nel primo post, nella scuola Gandhi ci sono docenti molto dedicati, grazie ai quali e alle quali la scuola sopravvive nonostante tutto. E così ci sono anche parecchie persone del personale ATA senza le quali la vita sarebbe un inferno. E così anche in segreteria (a cui più che altro contesto un certo approccio formalista e non certo le qualità personali del personale che la compone, che conosco troppo poco). Ma la scuola non è solo i suoi lati negativi.

Ad esempio tutte queste persone che lottano per farla sopravvivere hanno un enorme potenziale, che se fosse messo a frutto potrebbe trasformare il brutto anatroccolo della Comasina in un centro propositivo e vivo. Per farlo però non bastano un manipolo di persone, ma abbiamo bisogno di collaborazione e di un po’ di spirito di cooperazione. In questi giorni si è svolta la serata per chiedere alle famiglie del quartiere di iscrivere i loro figli alla media di piazza Gasparri, di fronte a una emorragia di iscrizioni verso la media di Affori e di Bruzzano. Spostare i loro figli non risolverà il problema di come crescono in quel quartiere: anzi se lavorassimo tutti insieme per migliorare la situazione della scuola di piazza Gasparri daremmo impulso a un progetto molto stimolante. Certamente è difficile e a volte scoraggiante il clima nella scuola dove insegno. Ma altre volte vedere tutti insegnanti giovani (tutto sommato! 🙂 e con voglia di fare offre uno stimolo netto a fare di più. Spero che la scuola riesca a raggiungere il quorum di iscrizioni nonostante i bastoni fra le ruote del Comune e delle assenze di quelle figure che dovrebbero più preoccuparsene – come il Dirigente. E anche nonostante le persone che per difendere in maniera un po’ corporativa il plesso di piazza Gasparri (come Anny) vorrebbero tacere i problemi che la scuola  Gandhi esemplifica suo malgrado.

Mi auguro anche che questi miei post, che sono certo scateneranno non pochi litigi al mio arrivo a scuola lunedì, servano a far crescere l’esperienza di quella scuola. Anche se serbo il dubbio che tutto si risolverà in qualche sguardo in tralice, qualche delazione al preside per cercare di farmi avere ingiustificate note disciplinari (fino a prova contraria non c’è il divieto di raccontare quanto avviene a scuola su un blog, se fatto senza diffamare alcuno) e nulla più. Staremo a vedere. Anche se i commenti di altri colleghi non abbastanza abili con il computer per commentare ma avvezzi agli sms mi hanno un po’ confortato sulla natura realistica e non visionaria dei problemi che ho presentato. Alla prossima. Come sempre.

PS: dopo questo post buonista tornerò presto alle cattive maniere, non temete. 🙂

 

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Libertà di coscienza? Libertà di fascismo!

9 Febbraio 2009 14 commenti

 

UPDATE: Se esiste un dio laico, oggi si è manifestato. Eluana è morta, mentre nelle aule di un Parlamento bulgarizzato si cercava di usarla per i propri scopi politici. Adesso da un lato si sprecheranno le frasi di circostanza come quelle di Sacconi in Parlamento che ha avuto il coraggio di dire che "ha sempre rispettato le decisioni del padre di Eluana", dall’altro i dietrofront e le ritirate dalla battaglia contro l’attacco che Berlusconi ha voluto portare alla nostra democrazia. Adesso tutto tornerà sommesso e tutti torneranno a fare finta di niente. Come sempre senza spina dorsale. Come sempre senza pudore e senza dignità.

Riprendo la parola sul caso Eluana e su quello che sta succedendo in Italia. Il mio stomaco è colmo di fiele e l’espressione di Roberto mi ha fatto tornare in gola il sapore acido e amaro di quello che provo e della violenza che mi ispira – e che dovrebbe ispirare molti oggi che invece stanno in silenzio o peggio non riescono a provare neanche questo: rabbia, dolore, odio. Che chiama odio, per certo.

Leggo i giornali, ascolto la radio, guardo il telegiornale e sento la stessa cosa. Odio. Disprezzo. Sgomento. La violenza delle parole e delle opinioni. L’ignavia della volontà. Guardo al paese in cui vivo e mi chiedo come sia possibile buttare in mezzo alla piazza una decisione così privata: se io fossi in punto di morte o in uno stato anche lontanamente paragonabile a quello di Eluana vorrei che fosse chi mi ha amato a decidere di quello che mi deve accadere, e vorrei che decidesse di lasciarmi libera. Questa è l’unica libertà che conta. E’ una verità tanto elementare che i fiumi di parole spesi in questi giorni sono un insulto a questa banalità. 

Ma la rabbia non nasce tanto da questo, quanto da tutto il resto. Da quasi un anno ci barcameniamo in mano a una dittatura formale che ha di fatto annullato la separazione dei poteri che da qualche secolo differenzia la democrazia da altre forme di governo e di vita collettiva dal punto di vista politico. Una dittatura formale che può crescere ed autoalimentarsi grazie alla stupidità e all’inerzia di chi l’ha preceduta. In due anni solo due cazzo di cose doveva fare un governo di sinistra: una legge sul conflitto di interessi e una riforma della legge elettorale per ripristinare le preferenze e consentire alle persone di scegliere chi votare (e se lo devo dire io che non voto praticamente per principio… siamo alle cozze). Invece mesi a parlare del nulla, a scassare le palle ai precari e ai poveracci, a rifarsi la cipria per camuffarsi da persone per bene che con la sinistra come la presentano alla televisione non c’entrano nulla. Un branco di poveracci malati di un grave complesso di inferiorità, bambini troppo cresciuti e con in mano un potere che fa più male che bene, affetti dal disperato bisogno di essere accettati dall’estabilishment come parte in causa, non importa a quale prezzo etico o politico. E grazie a questi mentecatti ci ritroviamo con un Parlamento che non serve a nulla se non a ratificare quello che vuole il Governo, e con un Governo che vuole eliminare la Magistratura (non penso di dover dare dei dati in proposito, no?) e ridurre il resto delle istituzioni a mera funzione di ratifica. Una monarchia elettiva, con a capo un pezzo di merda. Perché poi di questo stiamo parlando. Intorno il silenzio.

Tutti zitti. Tutti lì a fare finta di essere dei bravi cittadini che otterrano tutto con il dialogo con il Mostro. Il Mostro morde, brutti deficienti e non so se vi hanno raccontato le favole da piccoli, ma al Mostro l’Eroe non ha mai detto: senti io capisco le tue ragioni parliamone nella tua tana, lascio qui l’armatura e la spada… Tutti zitti. Tutti zitti e accondiscendenti per non essere tacciati di essere contro. Ma chi se ne frega. Sono contro. Molti sono contro tutto quello che sta accadendo. Non ve ne accorgete? No, perché vivete con i vostri stipendi lautamente immeritati, remoti e alieni alla realtà se non quella ovattata che vi costruite intorno. 

E di fronte all’attacco frontale al modo in cui la nostra claudicante democrazia ha finora funzionato (peggio di quanto vorrei, meglio di quanto sarebbe se lasciassimo mano libera a chi governa in questo momento), che cosa fanno tutti? Non parlano del passaggio a una dittatura sostanziale, del fatto che la riforma di cui ora non si parla ma che verrà votata un minuto dopo la legge sul caso Englaro impone alla Magistratura di sottostare alle bizze della Polizia che diventa l’unica depositaria delle decisioni in merito alle indagini, oppure del fatto che il DDL sul caso è senza precedenti perché vuole essere una legge che blocca una decisione del potere giudiziario (come succedeva quando il Parlamento non esisteva e esistevano solo i Re e le Regine). No. Parlano di libertà di coscienza.

Ma quale libertà di coscienza, brutti imbecilli. Quale libertà. Mostrate un po’ di spina dorsale, o levatevi di mezzo e lasciate che sia un governo di un partito unico. Così nessuno potrà fare finta che ci sia qualcosa di diverso tra quanto stiamo vivendo oggi e quanto l’Italia ha già vissuto novanta anni fa. Chi non ha memoria non ha futuro. Brutti maledetti imbecilli privi di coraggio e di intelligenza. 

 

I problemi della scuola – parte seconda

9 Febbraio 2009 13 commenti

 

Continuiamo a narrare i problemi della scuola italiana, visti a partire dalla vita vissuta e non come per il nostro Ministro Gelmini a partire dai pregiudizi che ci hanno inculcato e dalle necessità "politiche" del proprio leader (e forse non solo leader… stando a qualche intercettazione piccante).

E’ tempo di scrutini del primo quadrimestre e di presentazione della scuola alle famiglie per l’iscrizione.
Tanto per cominciare agli scrutini il Dirigente non si presenta. Già vi ho raccontato come il Dirigente della mia scuola pare l’esempio perfetto dello statalismo che attira gli strali di Brunetta e ne sancisce il successo. Per pararsi il culo – come è maestro nel fare – ha però fatto consegnare ai coordinatori di classe una delega scritta, in modo da essere formalmente ineccepibile (visto che all’ultimo Collegio Docenti qualcuno ha fatto notare che può sì delegare alcune funzioni ma deve farlo per iscritto). In ogni caso immaginate voi cosa conosce della sua scuola un Dirigente che non va agli scrutini: come farà a sapere quali sono le situazioni problematiche? Per sentito dire? E a giudicare il rapporto tra colleghi o come procede l’attività didattica? Chi lo sa… D’altronde un Dirigente prende 3000 euro al mese per essere "responsabile" della scuola, ma forse sono pochi per fare qualche pomeriggio al mese a capire che aria tira nelle varie classi.
In compenso le pagelle non potranno essere consegnate alle famiglie, consuetudine di lunga data, perché sono documenti ufficiali e non possono uscire dalla scuola. Bene, dirà qualcuno, allora si facciano delle fotocopie e via, no? No. Costano troppo e la scuola non se le può permettere (1000 fotocopie, a 2 cents l’una fanno 20 euro!). Eccheccazzo! Il mondo al contrario.
Passiamo alla presentazione della scuola. Il tira e molla con il Dirigente è durato per una settimana: lui voleva farla in orario di lezione; i docenti, coscienti del fatto che durante l’orario di lezione le famiglie LAVORANO, volevano farle una sera. Il Dirigente dopo essere stato pregato in cinese ha acconsentito ad autorizzare gli straordinari dei bidelli con il monito minaccioso: se succede qualcosa, pagate voi docenti di tasca vostra, perché tutto ciò è fuori regole! Tradotto: non gliene frega niente di presentare la scuola e cercare di salvarla – dato che la maggior parte delle famiglie vorrebbe iscrivere i figli alla vicina scuola di Affori (strano no? Visto che lì funziona tutto così bene!) – ma non vuole rotture di scatole che lo disturbino dalla sua occupazione preferita: i nipotini!
Ormai io spero vivamente che i suoi nipotini finiscano nelle grinfie dei Latin Kings che fanno il bello e il cattivo tempo nella scuola dove andranno a studiare. Così quando la sua ignavia gli si ritorcerà contro, forse si renderà conto di quanti danni ha fatto nel suo piccolo alla scuola italiana e milanese in particolare. Sarà che in questi giorni ho il dente avvelenato, ma la pazienza volge al termine!

PS Ovviamente sui nipotini ai Latin Kings scherzo, che spero non siano dei pischelli a scontare le antipatie che ispira il proprio nonno. Lo scrivo dato che questo blog è giunto alle orecchie di alcuni colleghi e già intuisco come andrà a finire. Che magicamente sono l’unico a pensare quello che ho scritto e che verrà "ostracizzato" per aver lavato i panni sporchi in pubblico. Same old story…

 

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I problemi della scuola – parte prima

27 Gennaio 2009 12 commenti

 

Oggi vi racconto una storia. E’ una storia vera. Arriva dalla vita di tutti i giorni. Se riesco proverò un po’ a popolare questa categoria, per cercare di offrire anche ad altri scorci di una vita quotidiana che spiega spesso molte più cose di quella virtuale che ci offrono media e opinionisti di varia car(i)atura. La storia che vi racconto è ambientata in un quartiere periferico di Milano, la Comasina, un quartiere difficile, dove ho vissuto per molto tempo, quasi cinque anni. Sono nato ad Affori però a mezzo chilometro di distanza, e cresciuto tra il mio quartiere e il suo gemello "malato" Bruzzano, che insieme alla Comasina, Quarto Oggiaro e Bovisasca completano il pentacolo della morte grigia: ovvero delle zone degradate del nord di milano. In effetti Affori dei cinque è quello messo meglio, storicamente sede della borghesia della periferia e l’unico quartiere di destra in anni migliori (adesso ovviamente non è più l’unico da molto tempo).
In Comasina si aspetta la metropolitana tre da trentanni esatti. La prima volta che ne parlarono avevo tre anni e sembrava fosse imminente. Gli scavi per realizzarla sono iniziati l’anno scorso, ovviamente creando un macello viabilistico che solo gli esperti topografi comunali e i vigili urbani potevano immaginare. Ma questa è un’altra storia, non quella che volevo raccontarvi.
In Comasina ci abitano persone di ogni tipo: dalle famiglie di bravi ragazzi con pochi soldi, alle famiglie di disperati, tossici, ex-carcerati redenti e non, mafiosi, delinquenti, immigrati lavoratori. In generale famiglie umili con un sacco di casini e spesso con pochi soldi per sistemarli, famiglie a volte ignoranti e presuntuose, a volte intelligenti e sfortunate.

Un tempo in Comasina c’erano una scuola elementare, in piazza Gasparri, al numero 6, e una scuola media, in via Bernardino da Novate. La scuola media è stata abbattuta per fare posto alla metropolitana. La scuola elementare è stata accorpata alle medie e alle elementari della Bovisasca, in via Gabbro, con quelle operazioni che in tempi di calo demografico si chiamano Istituti Omnicomprensivi. In Bovisasca almeno le due scuole rimangono separate. In Comasina no: dall’età di 5-6 anni fino a quella di 13 (o anche 16 in alcuni casi disperati) i ragazzi rimangono nelle stesse fatiscenti aule di proprietà del Comune. Quando sono arrivato e ho visto lo stato in cui versava la scuola, ho capito subito che il desiderio di tutti – sottinteso "di tutti quelli che amministrano le cose pubbliche" – è quello di farla chiudere per sfinimento. Solo così si spiega perché lasciare un bene pubblico marcire sotto il peso dei suoi anni, facendo solo gli interventi che altrimenti minaccerebbero di trasformarsi in denunce per gli amminstratori, ma senza muovere un dito di più. Nella scuola di piazza Gasparri, ironicamente intitolata a Gandhi, non c’è un’aula dove far trascorrere agli alunni l’ora di alternativa, o dove svolgere attività con i disabili, e le poche aule in surplus a quelle per le classi sono oggetto di aspro combattimento tra i docenti per le varie idee extra-curricolari. Ma fosse solo questo il problema, si possono insegnare un sacco di cose anche in un corridoio o in un cortile. Infatti io prevedo che farò esattamente così in primavera.

I problemi non sono solo questi. Infatti fino al 30 settembre la scuola non è stata in grado di avere tutti i professori necessari, tra defezioni e rinunce. Un motivo ci sarà, mi sono chiesto quando sono arrivato. Ma la periferia settentrionale di Milano è casa mia e mi ci trovo a mio agio. Sono abituato ai deliri e alle sue complicazioni. Non mi spaventano. Forse anche perché peso 85 chili e sono alto 182 cm e almeno ai ragazzini incuto ancora un discreto timore. Oltre ai prof, fino a dicembre la scuola non ha avuto un preside, ma solo un reggente, che giustamente ha fatto il minimo necessario per far sopravvivere la scuola. L’impasse è stato superato solo grazie alla buona volontà di 11 docenti, che tra le tre scuole si sono fatte in quattro per salvare la baracca. Pensavano di dover gestire una situazione di emergenza che si sarebbe colmata quando fosse arrivato un nuovo preside.
Dovete capire che la scuola del quartiere Comasina è una polveriera. Eccettuate le prime, in cui sono ancora piccoli per costituire un problema serio, le due seconde e le due terze hanno almeno tre casi complicati ciascuna: e nessuno disabile nel senso più nitido della parola. La maggior parte delle situazioni sono ragazzi con famiglie disastrate, con problemi di inserimento e di storie lunghe e terribili alle spalle, troppo vecchi per stare ancora alle medie, senza prospettive già a 15 anni e senza interessi, con la sola voglia di stare a spasso su una panchina a dire stupidate e sentirsi più grandi di quello che sono. Ne ho visti molti quando ero ragazzino io. La maggior parte sono diventati adulti infelici, delinquenti in carcere per spaccio o per omicidio (vi ricordate il barbone ucciso in largo marinai d’italia? Ecco, uno di quegli assassini era compagno di classe di mia soralla, di un anno più piccola di me…) Leggo la disperazione e la ferocia di questa città nelle loro storie, e mi piacerebbe trovare un modo per far capire loro che come sono diventato un adulto io, felice nonostante tutti i miei difetti e i casini in cui mi sono infilato, possono diventarlo anche loro. Che il loro futuro non è già scritto dal loro breve ma complicato passato.
E’ una scuola dura, dove ci sarebbe bisogno di molto più tempo e molte più persone di quelle che ci sono, per inventarsi modi nuovi di sconvolgere la vita degli alunni, di fare amare loro quello che si può imparare, di far trovare loro qualcosa che valga la pena del loro interesse. Ma di questi tempi più tempo e più risorse non sono la priorità nel mondo scolastico, anzi. Meno tempo, meno persone, meno risorse, e possibilmente un bel calcio in culo alla scuola pubblica. Nella scuola privata almeno, tutti questi derelitti pagheranno per essere lasciati stare e continuare ad alimentare la catena di crudeltà che permette ai pochi di vivere sulle spalle dei molti.

Tutto questo per spiegarvi che quando a dicembre abbiamo saputo che arrivava il preside ufficialmente designato, nutrivamo discrete aspettative circa la possibilità di vedere risollevate le nostre speranze per la scuola. Almeno per me era così. Ma forse sono un ingenuo. D’altronde ho sempre pensato che il problema della scuola – e del mondo in generale – non sono certo i pischelli, ma gli adulti. Professori senza voglia di insegnare, persone che dovrebbero stare in un CPS anziché dietro una cattedra, adulti che non hanno trovato di meglio. Non tutti ci mancherebbe, lo dico a scanso di equivoci, ma i pischelli possono ancora crescere, gli adulti difficilmente cambieranno.

Purtroppo all’arrivo del Preside è giunta anche una triste scoperta. Si è presentato un vecchino felicemente nonno che ha l’unica intenzione di godersi in nipoti e di andare serenamente in pensione. La prima cosa che ha fatto è stata rifiutarsi di convocare i Collegi d’Ordine e il Collegio Docenti, rimandandolo di una settimana quando era fissato da mesi. Poi ha preteso che chi fino ad allora aveva gestito la scuola – esaurendo così anche le ore stipendiate per fare le veci di un Dirigente Scolastico – continuasse a farlo come e più di prima. Poi il giorno dei Collegi d’Ordine non si è presentato a presiederli DANDO PER SCONTATO che qualcuno l’avrebbe fatto, trincerandosi poi dietro cavilli e cavillini per giustificare il fatto che non voleva perdere tutto il pomeriggio a scuola.
Dite che non l’ho preso in simpatia? Poco ma sicuro. D’altronde io penso che nella scuola se uno non ha voglia di trasmettere qualcosa agli alunni, è meglio che cerca un altro lavoro. Ma forse il fatto che un Dirigente prenda circa 3000 euro di stipendio è un frutto troppo ghiotto per mettere l’etica di traverso. Tutti abbiamo sperato che fosse solo il recente arrivo a frenarlo dall’essere quello che tutti si aspettavano: una figura di autorità e di stimolo per tutta la scuola. Non era così.
Infatti la seconda cosa che ha fatto è stata quella di mettere un bel cartello fuori dal suo ufficio con scritto: "SI RICEVE SOLO PER APPUNTAMENTO E NEI SEGUENTI ORARI". Ovviamente anche in caso di emergenze la cosa vale. Ma dopo poco tempo ho capito anche il modello che segue questo Dirigente: quello della Pubblica Amministrazione burocratizzata e fancazzista, che tanto lustro garantisce a Brunetta, purtroppo. Molti a scuola ingoiano il rospo, resi mansueti dalla coltre di leggine e leggi che il Preside scaglia loro contro alla prima protesta. Se neanche i docenti capiscono che la formalità, la legge, non conta un cazzo quando un comportamento è sbagliato, come faranno a trasmettere ai loro studenti il senso delle parole libertà, dignità, integrità e intelligenza. Di burattini siamo già pieni abbastanza, ma forse me ne sono accorto solo io.

Dicevo che il Preside ha trovato man forte nel modello che la Segreteria della scuola già incarnava nella rete di relazioni scolastiche. Era stato il mio primo impatto, e ancora non mi hanno convinto a ricredermi sul fatto che la disponibilità generale nella scuola da parte delle persone per rendere migliore una istituzione così importante sia molto bassa. Se volessimo far funzionare meglio la scuola, ognuno di noi dovrebbe impegnarsi a non perdersi in cazzate e sofismi, ma a lavorare insieme agli altri. Nella scuola italiana non funziona così. Sembra di stare nella fabbrica prima dell’era della sindacalizzazione. La segreteria contro gli insegnanti, gli insegnanti contro il ministero, i bidelli contro i genitori, il preside contro gli alunni, ecc ecc. Un disastro. La segreteria di solito è l’emblema della stupidità con cui vengono interpretate le regole e il senso della parola collaborazione in una scuola.
Il primo giorno in cui sono arrivato mi avevano convocato per le 9.00. Mi sono presentato e ho trovato la porta chiusa a chiave. Già, perché gli uffici sono aperti al pubblico e ai docenti solo tra le 8.00 e le 9.00 o tra le 12.30 e le 13.30. Così che io avrei dovuto aspettare lì fino alle 12.30 per firmare il mio contratto, oppure iniziare a lavorare senza contratto. Ovvio no? Ho pensato che fossero un po’ eccentrici e ho insistito, ottenendo quello che chiedevo con qualche occhiataccia e qualche brontolio. Ma io sono un tipo testardo. Una settimana dopo ricevo una chiamata mentre sono in classe. Non rispondo, ovviamente perché non ho il cellulare in tasca. Quando vedo la chiamata persa non capisco da dove arriva. Richiamo e scopro che arriva dalla segreteria. Sono le 9.30. Vado verso la segreteria dicendo loro che sono fuori dalla porta di aprirmi per dirmi quello di cui avevano bisogno, così risparmiavamo soldi. No. Sono rimasto cinque minuti fuori dalla porta a parlare con la persona che stava nella stanza oltre quella barriera. Perché non era orario di ricevimento ovviamente.
L’episodio più assurdo è stato qualche giorno fa. A raccontarlo uno non ci crede, ma purtoppo è successo per davvero. Due ragazzi si sono picchiati in una terza. Per un pacchetto di cracker. La professoressa presente, piccolina e non certo forzuta, li ha fatti smettere. Poi voleva convocare i genitori. Purtroppo erano le 11.10. E’ andata in presidenza, ma il preside le ha detto che non aveva un appuntamento e lui non c’era. E’ andata in segreteria e le hanno detto che se voleva convocare i genitori doveva aspettare l’orario di apertura al pubblico. Che ovviamente era fuori dal suo orario di lavoro. Lei ha aspettato, ha fatto chiamare il padre del ragazzo e si è trattenuta a parlare dell’episodio. Senza la presenza del preside. Senza essere pagata per farlo, dato che era oltre il suo orario di lavoro. A sentirlo così sembra un episodio di Asterix. Quello quando entra nella casa dei permessi romani e deve salire e scendere per il palazzo preda della burocrazia. Invece è la realtà.

Dicevo che il Dirigente ha pensato bene di confermare che le prime avvisaglie della sua assoluta mancanza di voglia nel prendersi responsabilità non erano campate per aria. Due giorni fa la commessa mi ha consegnato una lettera in cui delega ogni coordinatore di classe a presiedere in sua vece gli scrutini. Ovvero: evitare di venire per i pomeriggi di una settimana a fare una delle cose più importanti per un Dirigente: capire cosa succede nella scuola, e indirizzare i propri docenti circa le varie situazioni nelle classi. A me rimane l’impressione che gli unici ragazzini che il Dirigente ha a cuore siano i suoi nipoti. E – stante le cose – gli auguro che trovino una scuola in cui la loro vita venga valorizzata come quella degli alunni della sua scuola.
Intendiamoci, non sto dicendo che tutti i segretari siano delle persone cattive, antipatiche, o di scarsa umanità. Forse per il preside un po’ lo penso, ma lo conosco poco per essere così perentorio – anche se è tipico del mio carattere. Certo è che il modo in cui approcciano la loro vita lavorativa nel mondo della scuola è diametralmente opposto al mio. Non penso che le persone si debbano sacrificare sul luogo di lavoro, ma che partecipare al mondo della scuola significhi approcciare il proprio mestiere con un po’ di passione, un po’ di disponibilità e la voglia di trasmettere qualcosa ai pischelli e alle pischelle, o quantomeno di collaborare perché il posto in cui stai tante ore al giorno funzioni meglio. Se l’unico interesse dei più è farsi gli affari propri e far trascorrere più placidamente possibile le ore che lo separano dalla timbratura del cartellino, bisogna porsi alcune domande, o no?

Ora il problema della scuola è il tempo pieno? Sono i voti in numeri o in giudizi? Sono il grembiule? Sono il numero di maestri? La ministra Gelmini secondo voi è stata in una scuola pubblica? (rispondo io: no, neanche da studente, e quindi che cazzo ne saprà mai?) Il problema sono gli alunni? O sono i presidi svogliati, i professori impreparati psicologicamente prima che didatticamente, gli amministrativi fiscali e burocratizzati? O forse le strutture fatiscenti, la carenza di fondi? O forse la disperazione di questa città? Avremo tempo per parlarne. Per quanto mi riguarda almeno fino al giugno 2009, quando finisce la mia supplenza. E spero anche più in là. Anche se farmi ben volere in un mondo ipocrita è sempre stata una cosa che mi riesce male.

Per ora mi fermo qui. Ma sono sicuro che non saranno le ultime storie che sentirete dalla profonda periferia nord di milano, settore scuola. Altro che no future.
 

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