I problemi della scuola – parte quarta – accenni alle soluzioni
Ora, dopo aver osservato alcuni dei problemi della scuola in cui insegno – e ribadisco che non lo faccio per ledere o sputtanare quella scuola in particolare, ma per partire da una base reale per fare un ragionamento sul mondo della scuola in generale – come propostomi da alcuni commentatori peperini provo a dire la mia sulle soluzioni, sia macro che micro. Penso che chi sta al governo e al ministero avrebbero fatto meglio a calarsi nelle scuole prima di parlare a vanvera come fanno da ormai un anno. Forse anche loro sarebbero stati accusati di lesa maestà come è capitato a me dopo questi post, o di leaking aziendale forse, ma almeno avrebbero un’idea di dov’è la realtà e dove la loro fantasia ideologica.
Partiamo dalle soluzioni micro (che così quelli arrabbiati con me possono confrontarsi su cose concrete), ovvero come risolvere i problemi della scuola Gandhi. Beh, magari non tutti, ma almeno cominciare a metterci mano.
In questo caso il punto io penso che sia recuperare il senso di alcune parole molto semplici: partecipazione, cooperazione, responsabilità. Quella scuola la salviamo se ognuno di noi ci mette del suo in questo senso. Ognuno intendo dal primo all’ultimo, dal primo docente all’ultimo segretario, passando per personale ATA e soprattutto dal dirigente scolastico. Se ognuno di noi inizia ad agire come se il problema della porta di fianco riguardasse direttamente anche lui, se ognuno di noi fa il meglio di sé per aiutare la persona che sta gestendosi il casino nella classe di fianco o nel corridoio adiacente, forse iniziamo ad essere sulla buona strada. Per recuperare terreno alla Gandhi c’è bisogno che tutti lavoriamo e remiamo in un’unica direzione: riconquistare la fiducia in noi stessi e nelle quattro mura che ci circondano, senza farsi scoraggiare e agendo sincronicamente. Sembra banale ma non lo è: ho in mente svariati esempi in cui questo non accade, e alcuni degli episodi che ho citato nei post precedenti ne sono la concreta manifestazione.
Dirò di più: se vogliamo fare un consiglio straordinario, facciamolo per parlare di questo, di come ognuno trascendendo un pochino i suoi ruoli formali possa contribuire a far vivere meglio la scuola. Forse la primavera e la bella stagione ci renderanno meno nervosi ed irritabili e contribuiranno a facilitare la cooperazione anziché lo scazzo continuo (in senso passivo, come depressione, e attivo, come litigio). Se invece ci ostineremo ognuno a fare il suo compitino nell’angolino otterremo un bel 6 a fine anno, ma con i 6 lisci non si va lontano, almeno nella mia esperienza. Questo per quanto riguarda due tags: partecipazione e cooperazione.
Dopodiché buttiamo il cuore oltre l’ostacolo ed entriamo nel merito di due problemi: uno, la convivenza civile a scuola; due, la sopravvivenza l’anno prossimo della scuola. (A questo proposito faccio notare che quello che sta armando sto casino è un precario di terza fascia che l’anno prossimo la scuola la vedrà con il binocolo, grazie a confindustria e alla trimurti del sindacato orizzontale CGIL CISL e UIL).
A scuola ci sono situazione obiettivamente gravi, dal punto di vista disciplinare (e sarebbe il meno) e soprattutto dal punto di vista della vivibilità della scuola. Queste situazioni vanno affrontate con responsabilità. Offriamo alle persone protagoniste di tutto questo due strade: collaborare con noi e con i loro compagni, oppure levarsi dalle palle. Io non sono un buonista, uno è artefice del proprio destino, anche quando è nella merda. Ho avuto compagni di scuola che da situazioni assurde si sono tirati fuori e compagni di scuola che ci hanno sguazzato. Ognuno decide per sé. Se non ce la fa, a quel punto la mano è ben tesa per aiutare. Io penso che alcune situazioni vadano prese di petto e le persone protagoniste messe di fronte alle loro responsabilità (parlo anche di docenti, eh, io nella mia classe l’ho fatto quando ci sono stati dei problemi). Per fare questo però abbiamo bisogno di un punto di riferimento: se non può esserlo il preside perché non ne vuole sapere, inventiamoci un dispositivo qualsiasi, un consiglio disciplinare, dei referenti, decidiamolo insieme. Ma alcune situazioni non possono essere tollerate a lungo, pena il disamore non tanto dei docenti, che alla fine lo stipendio lo portano a casa uguale, quanto degli alunni. Ovviamente non sono per un modello puramente autoritario, tuttaltro, ma uno deve avere una scelta: lavora con noi a quest’altra cosa (ad esempio il progetto che io e altri abbiamo proposto di raccontare il quartiere con video, foto e testi, per ora naufragato tra disinteresse dei ragazzi e ore del progetto consumate dalle supplenze), se invece preferisci continuare a fare il pirla, fallo pure a casa tua fino ai 16 anni e poi vai a fare un lavoro di merda senza licenza media. Affari tuoi. Impara dalla strada se non vuoi essere aiutato.
Questo passaggio è importante, perché al momento alcuni colleghi si fanno prendere dal buon cuore oppure dalla stanchezza di cercare figure di riferimento che possano strigliare i ragazzi (il preside) e vanificano così lo sforzo di altri. Soprattutto per me questo passaggio è importante perché ovviamente lo metto per iscritto per confutare ogni accusa che mi si possa muovere di scegliere le soluzioni solo in base all’ideologia o alla mia impostazione politico/sociale.
Veniamo al terzo punto micro: la sopravvivenza della scuola. Forse dobbiamo anche qui sforzarci di più. Chiediamo e cerchiamo con i genitori e le strutture del quartiere di fare un incontro vero, aperto in cui dirsi tutti i problemi in faccia, in cui coinvolgere anche i genitori nella soluzione dei problemi (di fondi, di strutture, di vivibilità) non solo della scuola ma del quartiere. Inseriamoci nel tessuto del quartiere per provare a migliorare le cose. Durante la protesta per la Gelmini la nostra scuola e il nostro quartiere sono stati abbastanza silenziosi e i miei appelli per una lettera sottoscritta (la mobilitazione minima e non l’unica proposta che ho fatto) sono caduti nel vuoto o addirittura in affermazioni tipo "non possiamo farlo perché ognuno deve lottare nel suo ruolo", e vaccate del genere. Il quartiere è complicato, ovviamente non sarà facile, ma se vogliamo farlo si può farlo. Altrimenti continuiamo a tirare avanti la baracca alla bella e meglio, ma non ci stupiamo che i genitori cerchino una soluzione nella fuga: dobbiamo motivarli noi.
Questi punti non sono molti, forse sono anche semplicistici, ma si deve pur partire da qualcosa. Gli altri docenti che hanno scoperto la blogosfera e il preside che si è affacciato pungolato ovviamente da qualche benintenzionato e subito lanciatosi in una controinvettiva sulla forma (le battute sul vecchino e via dicendo) e non sulla sostanza (le critiche dei miei post) che cosa ne pensano? Domani vedrò di portare un po’ di stampate a scuola e vediamo cosa succede.
Passiamo al punto del problema macro, dato che si aggancia all’ultimo punto micro. Il problema della scuola oggi è che chi si è preso l’incarico di una sua riforma negli anni non lo ha mai fatto con un’ottica ad ampio spettro, cercando di proporre a partire dal momento della formazione un modello di società diverso e migliore di quello in cui viviamo. Soprattutto l’ultimo Ministro non si è minimamente preoccupata di comprendere i problemi veri, magari girando in un po’ di scuole o mandando delle persone a verificare la situazione, ma si è accontentata di fare da sponda ai dettami economico-fiscali di Tremonti (da un lato) e alle sue fonti di ispirazione e appoggi di potere (la chiesa e la scuola privata). L’obiettivo dell’ultima riforma è chiaro, e nella scuola di piazza Gasparri lo è veramente alla sua ennesima potenza: depotenziare al massimo la scuola pubblica, mandarla in rovina, e convincere le famiglie che un’istruzione privata sia meglio, più sicura, più ricca e più competente. Noi sappiamo che non è vero, che un sistema di istruzione principalmente privato non è una soluzione ma l’inizio del declino e della sottrazione di larghe fette della popolazione a una formazione sociale, ma nessuno ha il coraggio di affrontare il problema di petto.
Allora dal punto di vista macro c’è una sola soluzione: battaglia. Dopo i primi mesi di mobilitazione soprattutto alle elementari (le medie sono state in verità molto silenziose sulla riforma) tutto tace. La riforma procede e tutto tace. Se prendiamo l’ultimo punto delle soluzioni micro, possiamo trasformarlo anche in un primo punto delle soluzioni macro. Solo con una opposizione forte di tutte le parti in causa insieme, dai docenti al personale ata, fino al preside e ai genitori, allora potremo pensare di influire sulla bocciatura definitiva di questa riforma. Ogni arma vale: se decideremo di muoverci allora scioperi bianchi e mobilitazioni eclatanti avranno un senso. DIversamente se tutti mi risponderete ancora una volta che "ognuno ha il suo ruolo e non spetta a noi fare certe cose", mi adeguerò, continuerò a fare casino dove e come posso, continuerò a raccontare ai miei alunni perché ci sono dei problemi nella scuola, nella speranza che diventino adulti migliori di noi.
Per ora mi fermo qui e stampo tutto.