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Archivio per la categoria ‘pagine e parole’

Joe Sacco: Gaza, 1956

27 Settembre 2010 1 commento

Il nuovo volume di Joe Sacco pubblicato da Mondadori (dopo Palestina, Neven e Goradze, tutti veramente splendidi) muove dalla ricerca del giornalista e disegnatore di fumetti americano sul massacro compiuto dall’Esercito Israeliano a Gaza nel 1956 dove più di 200 uomini tra i 15 e i 60 anni furono fucilati nelle strade della Striscia di Gaza.

Il libro è meticoloso e interessante, difficilmente tacciabile di una visione volutamente e pregiudizialmente di parte, sempre che questa categoria sia davvero così disprezzabile come i moderni tempi volti all’assassinio della dialettica vorrebbero indicare. Soprattutto rende molto chiaro il processo che dal dopoguerra in poi si è instaurato in quell’area tormentata.

Se qualcuno volesse capire qualcosa del cosiddetto conflitto israelo palestinese (che forse andrebbe indicato con più precisione come “colonizzazione israeliana e rimozione coatta del popolo palestinese) consiglierei vivamente di prendere e leggere questo libro (e il precendente “Palestina”) con attenzione. Perché alla fine non è molto rilevante chi ci fosse su quella terra 2000 anni fa ormai, ma solo che un intero popolo è stato deportato, umiliato, trucidato sulla base di una presunta precedenza dettata dai propri testi religiosi. E tutto perché vivere nello stesso posto sembrava un’idea troppo democratica per essere messa in pratica.

Oggi come oggi – e lo vediamo ancora in come vengono condotti i presunti negoziati e da come vengono costantemente giustificate e decorate le imprese israeliane – la soluzione è praticamente impossibile, ma certo non passa dall’intransigenza che vorrebbe un popolo di oppressi accettare supinamente la propria condizione senza alcuna riserva. E la volontà di Israele di ottenere tutto non ha fatto nient’altro che spingere l’accelerazione sulla disperazione di chi non ha niente da perdere.

Voto: 9

Zeitoun e gli esseri umani

17 Settembre 2010 Commenti chiusi

Zeitoun racconta la storia vera verissima di Abdulrahman e Kathy Zeitoun, una coppia siro-americana musulmana di New Orleans nei giorni precedenti e successivi all’arrivo di Katrina. Narrano l’odissea di chi è fuggito dalla città lasciandovi tutto e la sospensione di ogni parvenza di democrazia nella città subito dopo l’uragano. Il libro di Dave Eggers è una finestra illuminata sulla labilità di quello che noi pensiamo essere il mondo evoluto in cui viviamo e con cui ci scontriamo tutti i giorni, e penso sia un’ottima lettura per ricordare a tutti che alla fine quello che conta sono gli uomini, il resto è tutto accessorio. Sono gli uomini infatti che possono trasformare la giustizia in violenza, la solidaritetà in prevaricazione; sono gli uomini che fanno la storia, la società, la democrazia; sono gli uomini, infine, che possono cambiare le cose e renderle migliori o peggiori. Zeitoun è la storia di ogni secolo, di ogni decennio, di ogni giorno intorno a noi, che ci racconta di come gli uomini non siano adeguati a diventare migliori, di come gli uomini siano ancora e soprattutto animali, senza  molte speranze. Nonostante le eccezioni.

Voto: 9

Hanno tutti ragione

7 Maggio 2010 Commenti chiusi

 

"La piccola borghesia è come uno di quei film sugli zombie, ne uccidi tre, tiri un sospiro di sollievo, poi si scoperchiano le tombe e ne escono altri quattrocento. Un inferno. Poche storie. Un inferno assoluto."

Tony Pagoda è un italiano un po’ più che medio, è uno di noi, uno di voi, uno di chiunque. E’ la vita che ognuno di noi potrebbe fare, vorrebbe fare, forse fa. Tony Pagoda non lascia scampo all’illusione e contemporaneamente è una selva di storie. Il libro di Sorrentino (il suo primo) è una bella prova, certo non al livello dei suoi film, dato che la regia è certamente l’ambito in cui il suo virtuosismo emerge di più. Ci fa appassionare alle mosse e alle fattezze di questo italiano qualunque, di un italiano qualcuno, ci fa ammazzare dal ridere e alle volte vergognare come cani, ben sapendo che quello che sta succedendo sulle pagine succede ogni giorno intorno a noi. E poi ci trasporta a Manaus, ci offre la speranza che tutto possa cominciare una seconda, una terza, una millesima volta. Fino a ritornare al principio. All’Italia, al moderno, al presente. All’orrore. Altro che inferno assoluto.

L’ultima parte del libro l’ho trovata molto faticosa, così combinata con due immensi e infiniti monologhi per giustificare l’atto finale. Ma il resto del libro scorre via molto più che liscio. E la parte conclusiva pur essendo un po’ viscosa è fondamentale per dare una chiave di lettura che mi sento di condividere fortemente dell’opera: hanno ragione tutti, il problema del mondo che ci circonda, del nostro presente, del paese dei cachi che non c’è e quando c’è sarebbe meglio che non ci fosse, è proprio questo. Hanno tutti ragione. E se hanno tutti ragione, vuol dire che la ragione non esiste e che esiste solo l’opinione, che esiste solo la prospettiva dei cazzi miei, sempre più importanti di tutto e tutti. E allora che senso ha cercare ancora una via verso il cambiamento complessivo di ciò che ci circonda? 

Forse il libro è un po’ disperato. Forse. O forse dovremmo essere meno ottimisti noi.

Voto: 7,5 

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Una vita straordinaria ha solo bisogno di verità

16 Aprile 2010 Commenti chiusi

 
Il nuovo libro di Maurizio Maggiani penso sia il più bello che l’autore ha scritto dai tempi dell’inarrivabile "La Regina Disadorna". "Meccanica Celeste" racconta del mondo che ci circonda, anche se non lo vediamo, anche se con pervicacia e sadismo cerchiamo di ignorarlo, di cancellarlo, se lo lasciamo trasformare dai molteplici lavaggi del cervello a cui ci sottopone la comune e pubblica (troppo pubblica) opinione.
Il narratore del libro, quasi un desiderata autobiografico di Maggiani, attraversa la gravidanza della propria compagna facendoci conoscere il suo mondo, il mondo degli umili, per una volta non utili idioti, né buoni selvaggi, né crudeli e feroci homo sapiens, ma solo umani troppo umani. E il narratore parla con la voce di Maggiani quando ci dice che uno dei tanti uomini che costellano il "distretto" "i suoi acquerelli li dipinge per la stessa ragione per cui io sto parlando: perché nulla vada perduto di ciò che ancora resta. Perché ciò che è rimasto è troppo poco per perderne anche solo una foglia." Perché resta troppo poco del mondo reale, della vita, della nostra stessa umanità, dopo che lo abbiamo lasciato violentare dai messaggi deformanti e meschini di chi opiniona troppo per il proprio interesse e per plasmare una diversa realtà, una verità che diventi carne nonostante tutto e tutti.
E le parole Maggiani le sceglie con cura maniacale, per cercare di immergere il lettore nella vita dei suoi personaggi, del "distretto" tra le panie, i monti duri e la durezza semplice ed eterna dell’esistenza.

"Non colleziono cimeli di mio padre, e quel ritaglio non neppure più dove è andato a finire, ma mi ha fatto piacere venire a sapere anche in quella circostanza che è tutto vero. Che una vita straordinaria ha solo bisogno di verità."
Una vita straordinaria ha solo bisogno di verità. Le nostre vite hanno solo bisogno di verità, di quel briciolo di coraggio che serve per abbandonare la rappresentazione, l’apparenza, il simbolo, e concentrarsi sull’umano, su ciò che possiamo percepire, assaporare, comprendere senza bisogno di mediazioni del cervello o di altri organi tecnologici preposti a sostituirlo.
Il narratore di Maggiani si lascia accompagnare nel suo viaggio, nel suo racconto semplice ma mai banale, di come un bambino diventa ragazzo e poi uomo, di come le cose non si possano capire con la fretta, ma come si possano comprendere rapidamente, se ci si tiene lontano dalle complicazioni artefatte della nostra esistenza moderna e futile.

"Un uomo sogna quando è più grande di quello che fa, questo mi ha voluto insegnare. Il sogno di un uomo è tutto quello che potrà essere se riuscirà a non essere più schiavo delle circostanze. […] Secondo la Duse mio padre è stato schiavo soltanto del proprio sogno. E quella non si chiama schiavitù, si chiama passione."
E il pensiero, i sentimenti, l’umanità di ogni individuo è tutto ciò che conta per una vita straordinaria. E’ quello che ci obbliga a essere quello che siamo, senza sconti, quando alla fine del giorno devi fare i conti con te stesso e con quello che hai deciso di fare, con quello che hai scelto di tenere e quello che hai scelto di abbandonare, con le strade che hai percorso e con le parole che hai detto.
E Maggiani sa bene che un libro non basta, che quello che conta non è quello che raccontiamo, ma quello che viviamo, perché "scrivere è una comodità. Ma alla lunga la carta se ne va, e l’unica cosa che davvero rimane è il pensiero che hai avuto di metterci sopra. Ciò che sai. […] Il punto è che un patto, una promessa, già a metterli nero su bianco si lasciano dietro la parte del nocciolo […]: l’intenzione. La carta è troppo povera per contenerla; la carta ha poco prezzo e chiunque la può prendere per due lire. Un’intenzione non si dà via neanche volendo. L’intenzione del giusto non sarà mai del fedifrago, l’intenzione di un libero non sarà mai di un tiranno. […] Un patto scritto può diventare carta straccia, una promessa del cuore no. A meno che non si stracci il cuore."

I protagonisti della storia di Maggiani sono fantastici e ti rapiscono senza bisogno di grandi avventure, grazie alla mera semplicità della loro vita troppo vera, troppo politica nel senso più alto del termine, troppo straordinaria per essere dimenticata, come le mille storie che ci circondano sin da quando siamo bambini e che giorno dopo giorno scompaiono sotto il maglio di una realtà semplificata, di una vita ordinaria perché vissuta troppo poco, perché abbandonata alle finzioni e agli specchi deformanti attraverso cui sopportiamo di guardarla, come se non ci riguardasse. Fino alla fine del mondo.
I protagonisti del libro sono avidi lettori, come noi, come Maggiani stesso, rivendono le pagine che leggono attraverso le pagine che scrivono, coscienti che contino meno di nulla di fronte alla vita. Ma quando la gravidanza giunge al suo culmine, decidono che è il momento di abbandonare le parole, di riconciliarsi solo con l’esistenza, con le foglie, gli alberi, il fiume, le pietre della casa, la carne degli umani. E si fermano di fronte ad un libro che è anche un’eredità, un simbolo, The Purple Cloud di Oscar Wilde (in realtà è di Schiel, mi hanno fatto notare, ma per i protagonisti del libro è di Wilde, se volete sapere perché leggete Maggiani!!!). Una scelta non casuale.

"Ora noi sappiamo che la nube purpurea è già passata da un pezzo, che tutto quello che poteva essere fatto deserto è stato già raso al suolo. E non per esercizio di orgoglio, ma per pratica di umiltà, abbiamo la chiara coscienza che l’unica cosa di buono che i sopravvissuti possono fare per ravvivare ciò che è rimasto della Terra, è confidare nell’innocenza dei figli che sapranno generare. Non c’è nulla di eroico in questo, e nessuna segreta cabala; niente di romanzesco che non si sappia già scrivere per conto nostro. Abbiamo solo bisogno di farlo, e nel farlo avremo bisogno che ci siano lasciati lo stupore e la sorpresa che un romanzo prenderebbe per sé. Per una volta, che ci lascino noi a provare a scrivere il Gran Finale."

E qui e ora. Dove siamo noi adesso. E’ ancora possibile non tanto scrivere il Gran Finale, quanto vivere ciò che non è stato ancora raso al suolo? E quello che stiamo facendo basterà a salvare il poco che ancora rimane quando tutto il mondo è deserto? Maggiani ci crede. Per questo ha scritto un libro. Un altro libro. Perché un libro è un viatico di speranza. Ma non tutti riescono a permettersela.

Voto: 9

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La pattuglia dell’alba

8 Aprile 2010 Commenti chiusi

 

Don Winslow è sicuramente uno degli autori esplosi in Italia quest’anno. Già, perché è al romanzo numero undici, ma nessuno se n’era accorto prima che "L’Inverno di Frankie Machine" diventasse un film con De Niro pronto ad uscire anche in Italia. La Pattuglia dell’Alba è il terzo romanzo che leggo e ognuno è una perla del genere: noir ovviamente, americano ovviamente, imperdibilmente travolgente, come le onde che la fanno da padrone in tutto il libro, che lo attraversano, che lo dominano.
Se ancora non avete letto niente di suo, è un ottimo inizio per entrare nel suo mondo. Anche se la potenza dell’affresco de "Il Potere del Cane" o l’intreccio assoluto e i personaggi di Frankie Machine sono un altro livello narrativo. Però direi che è il punto di partenza ideale per affezionarvi a un autore e non mollarlo più.

Voto: 8,5

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La bellezza è un malinteso

5 Aprile 2010 1 commento

 

Ho preso e finito in un giorno uggioso e con un po’ di tempo libero l’ultimo libro di Sandrone (Dazieri). Con questa, è la seconda volta che cerca di uccidere il Gorilla, il personaggio  chiave dei suoi successi come scrittore. Già con lo scorso "Il Karma del Gorilla" aveva dichiarato di voler chiudere la saga del fortunato character, ma evidentemente si è ricreduto. E questo capitolo ha il sapore di un addio, con meno personaggi ispirati alla vita che in parte ho condiviso con lui e più personaggi tratti dalla vita che svolge adesso, molto distante dalla mia. Io spero ci ripensi, perché sono convinto che sia un personaggio di cui non ci si stanca mai come lettore. Staremo a vedere.

Il libro è ben costruito, negli anni Sandrone ha ormai imparato alla perfezione il mestiere dello scrittore. E’ piacevole e si lascia attraversare senza opporre resistenza. Me lo sono goduto e mi sono divertito. Penso che a un noir dazieriano non si possa chiedere di più. 

Voto: 7,5

PS: mezzo punto in più per lo splendido titolo

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Blood’s a Rover – Il Sangue è randagio – La Storia è umana

29 Marzo 2010 Commenti chiusi

 

Ho appena finito uno dei miei regali di compleanno, il nuovo romanzo di Ellroy, a detta di tutti il migliore dai tempi di American Tabloid. E in effetti hanno ragione questi tutti, dato che il libro è una bomba atomica in pieno territorio americano, ma non solo. Una fucilata alle ideologie da un lato e all’umanità dall’altro. 

Lo stile è immenso: non penso ci sia una frase più lunga di una riga in tutto il testo. Non c’è necessità di orpelli: è tutto trama, è tutto immediatezza, è tutto percezione, emozione, oggetto. Non sono necessarie mille parole per descrivere alcunché riguardi la realtà e gli uomini. Veloce, avvolgente, attorcigliato su sé stesso: il narratore, la storia, il contesto sono tutti vittime degli stessi aggettivi per descriverli. Novecento pagine senza una pausa di riflessione, senza il tempo di pensare, senza il tempo di decidere. 

Ellroy disseziona un quinquennio della storia americana e mondiale in cui lo scontro tra chi credeva ancora in una rivoluzione possibile e chi la osteggiava come l’Apocalisse era senza esclusione di colpi, in cui ogni azione era giustificabile in nome di una Causa o della repressione di un’Idea. Ci trascina nelle vite di bianchi e neri, di rossi e neri, permea lo scontro dell’umanità che lo ha generato e che ci domina, e così facendo lo annulla. Ne esce un affresco totale sull’umanità della Storia e di quanto viviamo, su quanto le nostre vicende altisonanti siano frutto di sentimenti ed emozioni, di calcolo e di avidità, ma sempre alla fine – e fino in fondo – del nostro essere umani. 

Le ideologie sono morte, al momento hanno lasciato il posto alle loro macerie e a uno schermo che ne proietta il riflesso riempiendo la vita della maggior parte delle persone di esistenze fittizie e virtuali. Ma l’umanità è ancora lì che cova, e prima o poi esploderà in tutta la sua terribile bellezza. E noi troveremo nuovi nomi da darle e nuove Idee per catalogarla, ma alla fin fine se non sapremo intuire l’umano – troppo umano – torneremo al punto di partenza. 

Voto: 9

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Si può dare di più

6 Marzo 2010 Commenti chiusi

 

Ho preso il libro scritto a quattro mani da Biondillo e Monina con discrete aspettative, purtroppo deluse. Un libro su Milano scritto dall’autore di Quarto Oggiaro mi evocava la speranza di racconti che traccino una biografia apocrifa del presente urbano e metropolitano. Invece mi sono trovato di fronte a un piccolo (piccolissimo) diario di viaggio, con qualche elucubrazione interessante di Gianni e il cinismo ostentato e insistito di Monina (bello il sarcasmo, eh, ma 150 pagine di diario sarcastico veramente non si regge, ndr). Abbastanza noioso, anche per uno che Milano la conosce e quindi si orienta nel libro. Il voto nei pressi della quasi sufficienza è dovuto soprattutto alla mia stima per Gianni. E a un paragrafo dove racconta l’esperienza di un professore che insegnava nella scuola dove insegno io a Quarto Oggiaro quest’anno: commovente e vero. Sarebbe bastato estendere questo a tutto il resto del libro per renderlo preziosissimo. Storie di vita e scorci di città.
Attendo con fervore un altro giallo quartoggiarese, vero must della sua produzione libresca.


Voto: 5/6

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Jasper Fforde è un bastardo geniale

23 Febbraio 2010 2 commenti

 

Jasper Fforde è pubblicato in Italia da Marcos y Marcos, ma purtroppo c’è chi non riesce ad aspettare quando scopre un grande autore. Io sono uno di questi, e soprattutto in inglese, quando becco qualcuno che vale la pena seguire, prediligo leggermelo in lingua originale. Al momento il ragazzo è noto ai lettori italiani per la saga di Thursday Next (ormai giunta a cinque libri, di cui quattro già tradotti a partire da Il Caso Jane Eyre), incredibile fantasy fantascientifico dove una detective letteraria scopre un intero mondo popolato solo da libri e personaggi di fantasia ben più influenti sulla realtà di quanto si vorrebbe lasciar intendere. Recentemente da questa serie è nato uno spin-off: la serie della Nursery Crime. Questa è meno originale e comunque divertente. L’anno scorso l’autore ha mancato il suo annuale appuntamento (i libri di Jasper Fforde escono sempre ogni luglio) e si è scoperto che stava per uscire una nuova serie, completamente non correlata a Thursday Next. La nuova serie si chiama: Shades of Grey (lo tradurrei Ombre di Grigio, ma in Italiano i doppi sensi così tipici di Fforde non reggono minimamente nonostante lo sforzo di encomiabili traduttori). Ed è una bomba.
Ho letto il libro tutto di un fiato. E alla fine ho odiato Jasper, perché ha scritto un nuovo capitolo geniale della fantascienza, e perché mi ha agganciato e mi contringerà a fremere in attesa dei prossimi volumi della saga. Bastardo maledetto. Genio maledetto.

La serie è ambientata in un lontano futuro (almeno 500 anni della Nuova Era che è certamente partita almeno dopo il 2150, considerato i dati disseminati qua e là nel libro) in cui l’umanità è cambiata in creature che vedono solo parte dello spettro visivo (artificialmente o naturalmente è tutto da decidere) e che vivono in una società estremamente gerarchica ed estremamente ordinata su base cromatica, la cui massima aspettativa è una vita ordinata, ordinaria, priva di eventi inconsulti e di incidenti. Vi sembra familiare. Anche a me. Ed è per questo che Fforde è l’incrocio perfetto e moderno tra Swift e Carroll. E merita di essere l’erede di entrambi. Nella storia accompagnamo Edward Russett alla scoperta della sua maturità e della sua vita, di ciò che si nasconde dietro la società in cui vive, e di quello in cui vuole credere e per cui vuole combattere. La tecnica di costruzione della realtà distopica presentata è molto raffinata e le risonanze con il mondo che ci circonda puntuali e sarcastiche. Absolutamente fantastico. Se masticate l’inglese, non perdetelo. Altrimenti attendete con trepidazione la traduzione.

 

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Distopie

20 Gennaio 2010 7 commenti

 

Con tutto quello che succede in questo paese, in cui sembra di vivere in una versione fantascientifica de Il Male, ho trovato un fumetto che mette a confronto le due principali distopie della narrativa contemporanea: Brave New World di Aldous Huxley e 1984 di George Orwell. Spesso noi ci siamo concentrati sul terrore che prevalesse un futuro come quello del secondo autore, mentre siamo piombati in un presente come quello che non avrebbe mai voluto il visionario con la H. E’ terribile, ma è tutto vero. Siamo il Paese dell’Amore dopotutto, no?