L’Inter non è pronta per l’Europa: non lo è fisicamente, non lo è psicologicamente, non lo è politicamente (a buon intenditor poche parole). I nerazzurri escono di nuovo agli ottavi di finale di Champions League, almeno meritatamente questa volta di fronte a una squadra di gran carattere come il Liverpool. Usciamo a testa tutto sommato alta, anche se vuota in alcuni casi. In campo i tifosi volevano 11 leoni e hanno visto 10 uomini – con i loro pregi e difetti – e un solo leone, il Capitano, Javier Zanetti. Lo stadio per una volta è davvero una bolgia e i ragazzi non possono certo lamentarsi del fatto che il popolo nerazzurro non abbia risposto all’appello, ma questo non basta a trasformarli in quelli che abbiamo visto fino a dicembre. Il tono fisico è abbastanza preoccupante, e la maledizione degli infortuni che Mancini attribuisce a Combi – responsabile di sicuro dei tempi di recupero tripli dei nerazzurri rispetto alle altre squadre, ma non certo del tono fisico generale dei giocatori. Forse di questo Mancini deve incolpare i preparatori atletici, che però fanno parte del suo clan: il richiamo a Dubai ha fatto più danni che altro, e l’aver giocato 9 partite in 10 uomini non può essere un alibi. Anche quest’anno arriviamo a marzo decisamente spompi, e questo problema deve essere una priorità da risolvere per la società se vuole puntare a restare in alto a lungo.
Nonostante i proclami iniziali Benitez gioca coperto e si affida alle ripartenze e al piede caldo di Fernando Torres. Mancini saggiamente non sbilancia troppo la squadra, ma neanche troppo poco: quando attacchiamo siamo praticamente un 3-5-2, quando difendiamo un 4-1-3-2. La scelta funziona e per tutto il primo tempo noi avanziamo e loro proteggono la loro metà campo, ripartono e vengono intercettati dalla nostra difesa. Cruz e Ibra però non la riescono a mettere dentro, in alcuni casi per pura sfiga (il cross di Maicon che batte sul tacco di Cruz e rimane incastrato sotto l’ascella di Reyna) in altri per grossolani errori che non ci si aspetta dalle due punte nerazzurre (il tiro di Cruz fuori di un metro da solo davanti al portiere e con di fianco l’accorrente Stankovic). A metà del primo tempo Mancini avrebbe dovuto già individuare un errorino tattico che poteva essere importante: la difesa del Liverpool fa acqua, sia quando scendiamo sulle fasce, ma soprattutto al centro. Doveva imporre un gioco più verticale ed evitare di tagliare il campo da destra a sinistra e viceversa tre volte prima di affondare. E poi, uno mi deve spiegare perché cazzo non tiriamo mai da fuori area. Il primo tempo si chiude sullo 0-0 e i giochi per noi si fanno più difficili, ma il gioco della squadra tutto sommato lascia fiduciosi di potersela almeno giocare.
E qui Mancini commette il suo secondo peccato (per nulla veniale), un errore strategico che a mio avviso ci costa buona parte della partita: Vieira è in apnea e Stankovic è un cadavere che cammina privo di fantasia e non in grado di aprire il gioco per Ibra e Cruz come servirebbe. Luis Figo un tempo nelle gambe ce l’ha, e l’esperienza pure: anche a Valencia l’allenatore aspettò troppo a buttarlo nella mischia e non riuscimmo a sbloccare la situazione. Questa volta fa di peggio, perché aspetta il gol di Torres prima di chiedere a Figo di entrare, che lo manda a cagare seduta stante, sbagliando, ma è facile capire perché lo abbia fatto. Uno dei due centrocampisti spompi doveva uscire nell’intervallo per giocarsi il tutto per tutto. A questo errore manciniano (quando imparerai?) si somma l’asineria burdissiana: dopo un primo intervento assassino a centrocampo costatogli il giallo (fin troppo generoso), ne fa un secondo e si fa espellere. Nascondersi dietro l’alibi della asimmetria di giudizio degli arbitri durante le partite dell’Inter sarebbe troppo comodo: non è possibile che a farsi cacciare fuori siano sempre gli stessi (Burdisso, Vieira, Matrix), anche concedendo un metro un po’ stretto degli arbitri nei loro confronti evidentemente hanno un problema a limitare la propria irruenza, e questa cosa non può essere tollerata a lungo in una squadra che vuole ambire a determinati traguardi.
In dieci comunque l’Inter se la gioca ancora, sacrificandosi, e incitata da tutto lo stadio. Ibra fallisce un gol clamoroso, e la dura legge del gol ci punisce: abbiamo sbagliato troppe occasioni limpide perché Torres non ci punisca con un destro imparabile. Sotto di un gol, è finita. Riusciamo a non prendere 7 gol come hanno fatto altri, per chiudere dignitosamente la partita, ma di fronte alla sconfitta le gambe non ci provano neanche più. Il Liverpool merita di passare il turno, più per demerito nostro che non per qualità eccelsa del suo gioco, ma almeno quest’anno potremo consolarci pensando di non essere usciti meritando invece di passare il turno come gli scorsi due anni.
Veniamo all’analisi dei giocatori: Julio Cesar si conferma uno dei migliori al mondo, e ci mette le pezze quando può, con un paio di interventi strepitosi e una uscita kamikaze da brividi; dietro il migliore è Rivas, che non trema e nei suoi limiti riesce sempre a chiudere sugli attaccanti inglesi; è pure vero che il gol è sua responsabilità dato che non esce sull’uomo prima che questo sia al limite, ma non gli si può chiedere di colmare il gap di classe che c’è tra lui e Torres. Chivu difende con grinta (ricordiamo che gioca con una spalla lussata) e imposta con autorità, dimostrando che dovremmo scendere in verticale più spesso, e nel secondo tempo corre come un disperato a chiudere quanto il Liverpool parte in contropiede. Burdisso ha sulle spalle una buona partita, ma se l’anno scorso gli dobbiamo una mega rissa, quest’anno gli dobbiamo il dubbio primato di giocare anche metà del ritorno in dieci uomini, proprio quando c’era più bisogno di spingere. Da sanzionare. Maicon è un uomo: scopriamo che il colosso può avere anche lui la cacarella. Infatti non spinge come potrebbe, anche se almeno in difesa non svariona. E’ pur vero che dal suo piede partono le migliori azioni del primo tempo che se le punte avessero concretizzato avrebbero garantito un secco 2-0.
A centrocampo Vieira ormai è da pensionare con ricerca di un valido sostituto: lento e in apnea dopo dieci minuti di partita, non riesce più a smistare i palloni come un tempo. Stankovic è l’ombra del suo cadavere: solo l’amore sconfinato di Mancini consente che giochi ancora titolare. Cambiasso ha sbagliato i tacchetti, ma non li ha cambiati all’intervallo. Prova di quantità e generosità del cuchu, che però con le sue scivolate vanifica alcuni sforzi offensivi e in un paio di casi fa cagare addosso i tifosi spalancando il contropiede avversario. Zanetti è immenso: si sa che non ha caratteristiche tecniche eccelse, ma è l’unico che ci mette l’anima, fino in fondo, e che parte diretto verso la porta avversaria seminando il panico, con Ibra che gli resta accanto o arretrato vanificando i suoi sforzi. L’unico leone visto in campo è lui, e forse è questo il motivo per cui porta la fascia di capitano nonostante la sua mitezza: se gli altri dieci avessero giocato con il suo cuore avremmo vinto 10-1.
Davanti Mancini schiera Cruz che non gioca da un mese una partita, si suppone per avere uno che torna e che copre, al contrario di Crespo che è una palma al centro dell’area piccola. Il jardinero che nella prima parte della stagione non ha mai perdonato, pecca di egoismo due volte nel primo tempo, mancando un gol che sarebbe stato decisivo. Ibra invece si trova sul piedone la palla dell’1-0 in 10 contro 11, pur non avendo brillato, ma la spreca tirando a lato anziché servire Cruz da solo al centro dell’area piccola: un peccato di egoismo anche questo che però segna la partita. Se all’andata diceva di chiedere a Matrix come fosse andato il match, oggi tocca a lui sentirsi rivolgere la sarcastica domanda. A 27 anni inizio a pensare che non sia in grado di decidere le partite vere, ma solo di offrire grandissime prestazioni quando psicologicamente tutto il collettivo è una macchina da guerra. Dovremo trovare qualcun altro che lo affianchi quando c’è da non avere paura di niente.
Ora comincerà il fuoco incrociato: quando domini da due anni in Italia e fai un passo falso, le iene sono tutte lì. D’altronde tutti sognamo di cagare in testa al primo della classe, è un istinto umano (bieco ma quanto mai concreto). I ragazzi devono stamparsi in testa una scena che non ho mai visto a San Siro: il pubblico che fischia gli ultimi minuti e i cambi, mugugnando, ma che quando la partita sta per finire intona un coro a pieni polmoni; i giocatori sotto gli sguardi incazzati come caimani di 80.000 persone vanno sotto la curva ad applaudire, e tutto lo stadio li abbraccia. I ragazzi devono farsi una bella dormita, domani mattina sciacquarsi la faccia con l’acqua gelida, evitare di leggere i giornali, guardarsi tutti negli occhi e guardare avanti. Ci sono un campionato da giocare fino in fondo e una coppa Italia (terzo obiettivo stagionale, seppur vituperato da tutti quando a vincerlo siamo noi). Lo sfregio più grande a quell’abbraccio a fine partita sarebbe non concentrarsi su quanto di buono si è fatto e si può ancora fare. Con l’Europa l’appuntamento è l’anno prossimo.
Update: leggo solo ora le dichiarazioni che avrebbe rilasciato Mancini. La cosa era nell’aria, ma di teste vuote e ossa rotte avevamo già fatto il pieno. Non mi pareva necessario dirlo dopo questa partita e con la necessità di sostenere psicologicamente la squadra per le ultime giornate di campionato. Finalmente – molti penseranno – il masochismo interista è tornato a galla. Tutto il terreno che aveva conquistato in tre anni dalle mie parti (ci ho messo molto ad apprezzarlo) è vanificato da questa uscita da vera e propria testa di cazzo. Grazie per pensare sempre prima alla squadra…
Update a mente fredda: breve analisi delle dichiarazioni di Mancini
Ci sono varie ipotesi sul loro senso. Potrebbero essere una semplice vigliaccata: io me ne vado, e quindi me ne lavo le mani, la patata bollente la passo a qualcun altro. Nonostante tutto, fatico a credere che sia questo il senso delle parole del tecnico. Mi pare più verosimile che siano una delle due cose: un modo per scuotere i giocatori (se lo spogliatoio crede in lui farà di tutto per vincere e per convincerlo a restare), o un modo per mettere alle strette la società e concerdergli almeno parte di quello che lui vuole in termini di management della squadra (i nodi principali sono chiaramente la programmazione del mercato sia sul fronte cessioni che sul fronte acquisti). Non so come finirà, ma a me come tifoso lascia il senso che quello che ho fatto la notte dell’11 marzo 2008 non sia vissuto come importante, in una società che ancora fatica a capire come si lavora nel calcio moderno. E ho il timore che i vantaggi di un allenatore più forte con la stessa dirigenza, non valgano la candela di dover ricominciare a costruire un ciclo quando eravamo a metà del guado. Ma d’altronde, se non facessimo qualche follia, non saremmo l’Inter. Saremmo qualcos’altro e io non l’amerei così tanto 🙂