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Archivio per la categoria ‘spalti e madonne’

Inter in Wonderland: cunscià de sbat via…

22 Novembre 2010 Commenti chiusi

Arriviamo camminando alla chetichella, sperando che nessuno ci noti, in terra straniera e clivense. Benny rispolvera il suo fortunatissimo 4-4-1-1-mascherato-da-4-2-3-1 che i nerazzurri hanno dimostrato di saper interpretare alla perfezione (sempre che capiscano quello di cui parla l’allenatore, cosa di cui ormai è lecito dubitare). La difesa rimaneggiata sapremo che farà quel che può e anche un po’ meno contro lo spauracchio Pellissier e il suo vice, Moscardelli. A centrocampo almeno tornano i titolari, seppur con poca benzina e lucidità nelle gambe. Davanti un fuoriclasse, Eto’o, un giocatore di calcio perso nei profumi della sua dolce metà (o forse di altro, non lo sapremo mai), e due chiaviche.

Il campo è indecoroso anche se ci si dovesse fare del motocross, figuriamoci giocare a calcio, ma per i clivensi dall’altissimo contenuto tattico-tecnico adattarsi non sarà un problema. Viceversa i palati raffinati nerazzurri, ormai abituati al caviale delle grandi occasioni non riescono a ritrovare la loro anima prolet e la capacità di lottare nel fango fino all’ultimo pallone.

Si rivede un’Inter molle e incapace di pungere, ma capacissima di deprimersi e di rendersi inetta alla reazione alle avversità. Dopo 15 minuti decenti, in cui una delle due chiaviche schierate in un ruolo a metà tra un esterno di centrocampo e un’ala riesce a divorarsi un gol già fatto, scompariamo dal campo e al 30esimo Santon marca Pellissier come neanche un bambino di 5 anni saprebbe fare: il clivense d’Aosta plana come un aliante indisturbato e insacca il primo gol della partita. La reazione è furente: tic… toc… tic… toc… Ach, mi sono addormentato. A provarci sono gli unici due fuoriclasse che non hanno bisogno di padre-padrone in panchina per essere in grado di giocare a calcio: Eto’o e Lucio. Con i loro limiti anche Deki, Cambiasso e Zanetti. Eto’o ci prova pure troppo dato che un suo momento di ordinaria follia con testata à la Zidane ci priverà dell’unico attaccante degno di questo nome fino al 2011.

Nel secondo tempo grande è la carica inferta negli spogliatoi agli spenti depositari del titolo italiano ed europeo: la mestizia si impadronisce degli animi nerazzurri vedendo uomini che hanno conquistato tutto solo qualche mese fa giocare come neanche nel peggiore degli oratori. Viene il momento delle sostituzioni: Nwanko per Cambiasso, e va be’; Alibec per Biabiany, che fa in 20 minuti quello che ne’ Pandev ne’ il francese sono riusciti a fare dall’inizio della stagione; Mancini per uno stremato Deki, che ogni interista interpreta come il segno dell’Apocalisse.

A ben vedere l’azione in cui Rigoni: recupera palla; scappa a Santon; lo aspetta sulla linea di fondo per 10 secondi prima che il ragazzo, che ha meno di 20 anni, si decida a fare finta di marcarlo senza riuscirci; crossa con tre difensori dell’Inter che osservano immobili Moscardelli che insacca come se fosse stato teletrasportato in mezzo all’area; beh, forse qualche sentore dell’Apocalisse poteva già rappresentarlo. Ci si mette pure Sorrentino che fa una partita come quelle che Castellazzi faceva contro di noi quando giocava alla Doria e che ormai non fa più satollo di euro e prepensionamento, e che toglie dalla porta due gol fatti di Deki e Eto’o. Il cui gol al 47esimo suona più come una presa in giro che altro.

Come si dice qui a Milano: sem cunscià de sbat via. Ghe nient de fa. Irriconoscibili. Impresentabili. Inaccettabili. Errori su errori fatti dalla società, in primis dal presidente e da Branca, già dal 23 maggio. Errori reiterati dalla scelta di un allenatore evidentemente non adatto a questa rosa e dall’incapacità di conferire una qualsiasi autorità all’allenatore scelto. Un allenatore in balia di sé stesso e delle sue convinzioni. Giocatori incapaci di giocare a calcio senza una balia autoritaria che li prenda a calci in culo. Erano almeno 15 anni che non eravamo messi così in classifica e in prospettiva. E l’epilogo di questa situazione lo conosciamo tutti. E il dramma è che probabilmente non servirà a nulla. Ma forse ritrovarsi fuori dalle fasi finali di CL quest’anno e fuori dalla CL l’anno prossimo farà riflettere più di tante voci che hanno predicato nel deserto dei blog e del tifo interista.

Almeno una certa categoria di interisti che non sopportavano più di essere antipatici e vincere sarà contenta: chissà se sanno che tra di loro c’è quasi tutta la dirigenza interista! Però, volete mettere che goduria questo campionato equilibrato in cui non siamo chiamati a giocare da protagonisti?

Inter in Wonderland: november rain

15 Novembre 2010 11 commenti

In una serata crepuscolare dominata dal tambureggiare di una fastidiosissima e tetra pioggerella di novembre l’Inter tornata sulla Terra si dispone ad affrontare una squadra di cadaveri tenuta insieme con il bostiq e la retorica nazional popolare. Avendo imboccato la via del realismo anche Benny propone finalmente il rombo in campo e sugli spalti si sprecano gli elogi per la scelta finalmente dotata di senso, elogi che si spengono sulla bocca dei tifosi quando ci si accorge che la linea difensiva è composta da 4 centrali: forse l’unica soluzione per bloccare la squadra ancora di più che con fantasiosi 4-2-3-1 con mezzo mediano e 4-4-2 con giovani implumi esterni di centrocampo.

La mestizia si insinua senza soluzione di continuità nei cuori dei tanti supporters nerazzurri presenti al Meazza e confinati al terzo anello pur avendo pagato in anticipo un abbonamento del secondo. Per di più la linea di centrali ultratrentenni viene posizionata da Benny all’altezza del centrocampo, così che dopo soli 3 minuti Ibra parte in contropiede dalla metà campo rossonera: la diagonale perfetta dell’unico giocatore di calcio del reparto difensivo – Lucio – sembra aver spento il pericolo, quando la nostra arma segreta – Matrix – si avventa sul nostro ex regalando un rigore solare. Almeno avesse storpiato per sempre lo svedese avremmo capito il vantaggio concesso alla squadra nemica, ma così sembra solo un favore gratis. C’è anche da dire, e il proseguio della partita lo confermerà, che senza tale stupidaggine la seconda squadra di Milano non avrebbe segnato manco senza il portiere.

La tanto attesa reazione nerazzurra non si fa attendere: dopo 40 minuti di niente infatti, eccezion fatta per l’infortunio muscolare di un ragazzo di 19 anni che non ha fatto il mondiale e non è recidivo, e l’ennesima applicazione del Lodo Gattuso (quello per cui il Gennaro nazionale prende solo un cartellino ogni tre falli da ammonizione), è ammirabile lo scatto dei nostri 11 per raggiungere gli spogliatoi.

Al rientro in campo ci attendiamo la mossa definitiva: e infatti fuori Milito (ennesima ricaduta, che strano!) e dentro un Pandev versione ira d’iddio, con Eto’o punta centrale stritolata da Nesta e Thiago Silva. Così nei tifosi nerazzurri si fa strada la certezza che anche con il sottoscritto in porta la partita non sarebbe potuta cambiare se non in peggio.

Il metro Tagliavento, a noi costato un Inter-Samp in 9, che se applicato avrebbe fatto giocare in 7 la seconda squadra di Milano, almeno ci concede di giocare 10 morti viventi contro 11 per una trentina di minuti: ed ecco il colpo di genio, propiziato da un intervento da rosso diretto di Ibra su Matrix quale noi avremmo voluto vedere a parti inverse, con una fascia destra ribattezzata la fascia della non sovrapposizione e dell’ignoranza tattica animata da Zanetti e Biabiany, e una fascia sinistra con Chivu e Pandev che non riescono a fare un triangolo neanche con un manuale di geometria delle medie stampato sulla parte interna della retina.

In trenta minuti di superiorità numerica non tiriamo manco in porta e perdiamo – dopo due anni e rotti – una partita in casa, il derby, andando al quinto posto e lanciando i nostri più detestati avversari al primo, primato immeritato se non nel campionato del “ciapa no” che va di moda nella Terra dei Cachi. Non solo: nei tre scontri diretti con le “pretendenti” al titolo abbiamo raccimolato l’abbacinante cifra di 1 punto avendo giocato due delle tre partite in casa. E dulcis in fundo abbiamo fatto 20 punti su 36 disponibili. Quasi il 50%, mica pizza e fichi!

Ora, qualsiasi persona di buon senso capirebbe che la pazienza è finita, e che è tempo di puntare il dito. Io non mi tiro indietro e faccio un bell’elenco senza priorità, così che ognuno possa scagliarsi sul bersaglio che preferisce. Il primo imputato è la società, nella persona del suo Presidente e del Direttore Sportivo: un minuto dopo la serata più entusiasmante di questa generazione – e non solo – di tifosi, con le frasi sul FPF e la concessione a Mourinho di scappare sulla macchina di una squadra avversaria, hanno sparato nelle gonadi (palle o ovaie poca differenza in termini di dolore metaforico) di tutti coloro che erano lì per gioire e festeggiare; sempre grazie, dal profondo del cuore, per la capacità unica di rovinare le feste, per poi lasciare l’allenatore che si è scelto da solo nel guado circondato da alligatori, spesso vestiti pure di nerazzurro e senza uno straccio di giocatore nuovo a scuotere gerarchie e zolle di terra.

Il secondo imputato, però, poche cazzate, è proprio l’allenatore e il suo staff: non è credibile che la squadra non sappia fare un movimento offensivo, che la palla circoli sempre in orizzontale con gli uomini nascosti dietro l’avversario, che si scelga di intasare i luoghi del campo dove la palla dovrebbe viaggiare e si svuotino quelli dove gli uomini dovrebbero stazionare; sullo staff non c’è più nulla da dire, ma se la società volesse finalmente cambiare registro senza esonerare l’allenatore (ammettendo la propria stessa incompetenza) dovrebbe almeno silurare il preparatore atletico, senza se e senza ma.

Il terzo imputato sono i giocatori: non è tollerabile vedere gente così molle in campo, giocatori di serie A immobili e incapaci di una verticalizzazione una, dediti più a mettersi in mostra per la propria inettitudine o per la propria isolata classe che a giocare a calcio, nell’assenza assoluta di qualcuno che li richiami all’ordine (a Coutinho qualcuno potrà dire di non fare le veroniche mentre stai perdendo un derby? o qualcuno lo chiama l’uomo a Sneijder e Lucio che cincischiano con la palla tra i piedi? o qualcuno da due calci in culo a Biabiany per spiegarli cosa vuol dire dare profondità?); se anche qui la società e l’allenatore avessero la più pallida voglia di far cambiare le cose, qualcuno scalderebbe la panchina per scelta tecnica almeno per 2-3 match, con un primavera al suo posto nel rettangolo verde. Il risultato non cambierebbe, ma almeno ci sarebbero degli alibi da spendersi.

Non ho mai vissuto una serata con davanti un’Inter così impotente, con la sensazione che avremmo potuto giocare 900 minuti e non buttarla dentro mai. E il peggio è che è una sensazione che si trascina di partita in partita. Ed è incredibile che 80mila persone infreddolite, ricacciate nell’osceno palco del Meazza, nella sporcizia e nella scomodità per cui hanno pagato un cinquantesimo del loro stipendio, debbano assistere allo spettacolo di una tale assenza di dignità e di pudore di gente che guadagna al minimo 100 se non 1000 volte più di loro.

Semplicemente inaccettabile.

Inter in Wonderland: lost in Salento

11 Novembre 2010 Commenti chiusi

I nerazzurri hanno attraversato le lande della Terra dei Cachi e della Serie di Oz, hanno trionfato ovunque e sfatato il mito dei Citroni. Poi hanno preso il largo nel limbo nebbioso di ciò che non si sapeva sarebbe stato o che si temeva sarebbe potuto essere. Sono stati pescatori, pirati, corsari, marinai, uomini di mare nel mare alla deriva. E infine naufraghi che arrivano stremati su una spiaggia sconosciuta, con un cartello con scritto Salento. Nessuno se ne rende conto, ma il viaggio fantastico volge al termine. Anche le fattezze degli eroi che hanno popolato la fantasia di tanti tifosi perdono di intensità e di carattere, riavvicinandosi ai lineamenti di persone che conosciamo ogni giorno: niente più orchi, niente più fate, troll, muraglie, castelli, cavalieri, damigelle e creature mitologiche. Il Salento è la fine dell’errare vagabondo nel limbo, approdando sul lato sbagliato dell’Oceano del Sogno. Quello della vita di tutti i giorni.

E così anche le parole di questo umile narratore di una stagione fantastica devono adeguarsi e tornare a raccontare la cruda realtà, con i suoi nomi e cognomi, come un tempo quando iniziò la Cronaca di ciò che veniva dopo il Cataclisma Purificatore dell’estate del 2006. In quell’agosto ho ricominciato a sognare, ma ritrovare la via della fantasia è stato un percorso tortuoso e impervio, tanto quanto la via del ritorno è drastica e immediata.

Entriamo in campo con un 4-4-2 contro gli ennesimi avversari privi di giocatori di fascia, con almeno metà squadra fuori ruolo: Santon a destra al posto che a sinistra, Chivu terzino invece di centrale, Cordoba centrale sinistro, Obi interno di centrocampo, Biabiany e Coutinho esterni di centrocampo. Questione di scelte obbligate si dirà: ma alla fine altre soluzioni avrebbero potuto mettere almeno un 50% di giocatori in più nel posto dove si trovano più a loro agio. La speranza in una partita diversa dalle ultime dura sì e no 12 minuti. Ci mangiamo due gol clamorosi di cui uno con un Pandev che gioca chiaramente contro l’uomo pacioso che siede scomodo e preoccupato in panchina.

Poi sono 33 minuti di niente conclusi incredibilmente con Coutinho spostato al centro che rende un po’ di più. Rientriamo in campo e la mollezza non vede alternative. Milito per Pandev ci dà qualche speranza, che si infrange contro la sfiga di un palo clamoroso. Passano i minuti e la squadra si spezza, lasciando sempre più spazio a un Lecce che probabilmente dovrebbe ancora militare nella serie cadetta. Finalmente esce Biabiany, il giovane più molle che abbia mai visto in un campo di serie A, per Deki, e magicamente si gioca quasi a pallone. Poi il miracolo: al 30esimo passiamo in vantaggio nonostante un tocco sbagliato (ma un movimento giusto) del bomber argentino su assist di Eto’o. Purtroppo serve solo un minuto per ritornare sulla terra con uno schianto. Il primo calcio d’angolo del secondo tempo e il secondo di tutta la partita (mi pare) e quella cariatide di Olivera può saltare indisturbato e infilarci il pareggio.

Se fossimo una squadra di media classifica come pare ambiamo ad essere quest’anno si potrebbe malignare su qualche magagna a favore di bookies e scommettitori ben introdotti. L’entrata in campo del reietto Mancini è il segnale dell’Apocalisse, la rivelazione della sfiga e dell’abbruttimento che si sono incarnati nei nerazzurri. Siamo l’Anticristo della squadra del triplete. La sua nemesi. E solo noi possiamo sconfiggerci ed esorcizzarci. La domanda è: tra quanto tempo?

Invece la drammatica verità è che non abbiamo idea di che cosa stia succedendo. Viviamo in balia degli eventi e ci ritroviamo quarti, meritatamente, pur nel campionato del “ciapa no”. Non ci siamo con la testa, non abbiamo “garra” e se non stiamo giocando per far saltare l’allenatore forse è pure peggio: vorrebbe dire che 8/11 della squadra hanno smesso di pensare di essere calciatori e si sentono baby pensionati d’oro. Un po’ alla Suazo per intenderci, con la differenza che l’honduregno almeno evita di mostrarsi in giro.

Dimostriamo un po’ di dignità: un bel silenzio stampa, una cappa di silenzio per ritrovare fede e concentrazione e forse anche la via per l’immaginazione al potere che ci ha permesso di fare cose straordinarie l’anno scorso. O al massimo per suonare un silente requiem del sogno: perché se giochiamo così, settimana prossima assisterò dal terzo anello blu al secondo set.

Inter in Wonderland: ritorno al passato

7 Novembre 2010 2 commenti

E’ sabato sera. A Milano non c’è niente di interessante da fare. A parte andare a vedere la recente trionfatrice di Europa e Italia desiderosa di riscatto contro una neopromossa. Eppure sugli spalti umidi del Meazza ci sono sì e no 30mila persone, indice di una tifoseria, prima che una squadra, con la pancia piena e la testa completamente svuotata di motivazioni. Sul rettangolo di gioco in campo aperto scendono i nostri pirati da due soldi, sul cui corpo i cerotti coprono un’area maggiore che non la divisa nerazzurra.

Nel cielo volteggiano delle spente Rondinelle, reduci da cinque sconfitte consecutive, tra le quali si cela mesto e con le ali ripiegate un airone cinerino sul finir della carriera. L’ultima volta che l’ho visto spiegare le ali era proprio qui a San Siro, con una maglia da ciclista, un paio di anni e rotti fa, prima che si ributtasse nell’anonimato della categoria a cui appartiene, la serie B. I primi dieci minuti fanno ben sperare, nonostante il 4-4-1-1 strettissimo che usa praticamente solo la fascia centrale del campo (una volta che il 4-2-3-1 si poteva usare, ovviamente si preferisce mettere il Mozzo Totò e Darko il Macedone come centrocampisti di fascia). Ma da un contropiede incredibile sbagliato all’ultimo passaggio tra il redivivo Principe Corsaro e un sempiterno Leone degli Oceani, pigliamo un gol con rimpallo favorevole. Il Meazza rivede le ali del maledetto airone cinerino dispiegarsi.

Quello che accade dopo è incomprensibile: i marinai nerazzurri cominciano a vagare sul campo senza una metà, in preda alle idee più stravaganti. Ognuno gioca un po’ dove cazzo gli pare, impervio alle parole dell’allenatore, dei compagni e pure del pubblico. Uno spettacolo di mezz’ora troppo brutto per essere vero, che evoca cupamente ai pochi presenti i fantasmi di un passato che credevamo sepolto per sempre: il Bucaniere e talvolta difensore Polu sembra essere in campo per sbaglio, forse ossessionato dai troppi milioni che percepisce all’anno; l’Olandese Volante finalmente spostato in mediana fa una delle migliori partite di questo scorcio, ma poi sviene negli spogliatoi inspiegabilmente, forse un calo di dignità (più che di pressione); e dulcis in fundo Quattropinte, il nostro difensore più aggressivo schierato nonostante fosse mezzo infortunato (ma il Bambino Pirata ha la lebbra? a giudicare da come claudica nel secondo tempo dopo due scatti forse sì, ndr) completa l’infortunio (muscolare, tanto per confermare che qualche problemino nella preparazione c’è).

Negli spogliatoi siamo certi che Benny abbia strigliato a dovere i suoi che però forse non lo hanno ascoltato neanche per un minuto, tutti presi dalla contemplazione delle icone del Vate-che-fu. D’altronde se anche in società si struggono nel rimpianto e nel ricordo, non si capisce perché non dovrebbero farlo i giocatori. Allo svenevole Olandese Volante subentra uno che per tanti anni ho considerato solo un dribblomane e che invece nel campo aperto tempestato dalla merda di rondine e airone si dimostra uno dei migliori in campo: l’arpionista Obi ce la mette tutta, non tira mai indietro la gamba e a lui vanno tutti gli onori per aver combattutto fino all’ultimo. Intanto anche il Capitano d’Acciaio zoppica ma resta in campo dato che il fottuto volatile cinerino stronca probabilmente la carriera del miglior difensore che abbia mai visto all’inter dai tempi di Giacinto Facchetti. Che le sue ali si possano spezzare e possano essere inchiodate sulle assi di legno per il resto dell’anno: il movimento del ginocchio di Walter Samuel (non merita soprannomi oggi) è una pietra tombale sulla stagione e temo sulla vita sportiva del nostro favoloso centrale.

Solo il Leone degli Oceani continua a combattere, nonostante la sorte avversa e il discreto culo nel rimpallo dei bresciani, nonostante un Principe Corsaro allo stremo delle forze e un Darko il Macedone che non ci mette mai la gamba. Nel suo sporco lavoro è aiutato solo dagli spunti individuali: un indemoniato Orco Marino a tutto campo; il Bambino Pirata che fa quello che può con una gamba sola; il redivivo Bucaniere che svaria sulla fascia sinistra insieme al Capitano e all’arpionista Obi; e l’unico dotato del potere del sogno, il Mozzo Totò. E da solo il Leone trova il rigore che vale il pareggio. E per poco se il Principe fosse quello di una volta, troveremmo anche una incredibile vittoria.

Invece restiamo con la sensazione di un anno maledetto dalla sorte e incancrenito dalla assenza di volontà di una società che ha scelto di crogiolarsi nella sua pancia piena, nell’impossibilità di ripetere quanto fatto l’anno scorso, nel lamento per la sindrome di abbandono, e di lasciare alla deriva dei mari in tempesta un modesto allenatore, sul quale però è troppo facile fare il tiro a segno (anche se lui fa di tutto per aiutare il compito dei cecchini, anziché mettersi al riparo). E’ un ritorno al passato: forse per questo nelle partite casalinghe è tornato anche a suonare ogni volta “Solo Inter”, l’inno di anni in cui la società non esisteva e se esisteva, esisteva male; l’inno di anni in cui gli allenatori si cambiavano come pannolini, dopo averli usati per cagarci dentro; l’inno di un’Inter che pensavamo scomparsa per sempre e che invece era solo mascherata dall’ingombrante presenza di un messia. Presidente, dirigenti, giocatori, staff: fateci un favore, archiviate quell’inno per quando potremo festeggiare di nuovo, ma nel frattempo ricordatevi che state indossando una divisa che merita amore e dedizione, non la mesta sensazione di un crepuscolo di appagamento e delusioni. Abbiate il coraggio di fare delle scelte, di difenderle e di sognare un futuro – e non il passato – della Beneamata. Dimostrateci di essere degni dell’amore che riversiamo ogni giorno su questi colori. O abbandonate la nave senza fare tante manfrine.

La Lega dei Citroni: buio pesto

3 Novembre 2010 11 commenti

In campo, in una terribile notte tempestosa di inizio novembre, non entrano i nostri eroi, non entrano pirati e corsari, fiabe e mostri mitologici, ma solo deprimenti primati, quadrumani degni del giorno in cui si festeggiano i morti. Le immagini scorrono sui televisori e sotto gli occhi attoniti di chi ha seguito la squadra fino alle desolate lande di Albione.

Gli ominidi nerazzurri sembrano nani di fronte alle cavalcate dell’elementare 4-4-2 della bianca squadra inglese. E’ solo questione di tempo prima che arrivi il primo affondo. E solo la scarsità dei nostri avversari non rende peggiore il passivo al termine di 45 minuti di orrore. Il bombardamento degli speroni ai danni delle speranze e della fiducia dei tifosi nerazzurri è accentuato dall’apparente incapacità di reagire dei non più bipedi in campo.

C’è solo il tempo per uno squillo di un primate olandese per il resto dei minuti completamente assente dal campo, prima di assaggiare l’amaro sapore di un secondo colpo al cuore. A cui segue l’ennesima uscita dal campo in barella e l’ennesimo esordio di un giovane primavera. Purtroppo questa volta non porterà fortuna. Il tempo scorre, e gli ominidi non si trasformano in Homo sapiens, né tantomeno le cavalcate degli avversari rallentano o ci danno tregua.

Nemmeno il momento di grazia di uno dei pochi a onorare la nostra storia recente e passata e futura, un lampo con cui ci regala l’illusione di poter sopravvivere all’incrinamento del nostro cuore di cristallo, rischiara l’orizzonte. E’ buio pesto. E’ notte fonda. Senza stelle. E quando a pochi istanti dalla fine arriva anche la terza coltellata c’è solo voglia di gridare e di picchiare i pugni sulla tastiera mentre lo streaming avanza inesorabile, bit dopo bit, verso la sentenza finale di disfatta.

E’ la sconfitta più amara della stagione, forse solo pari come modalità e come sensazioni a quella di Montecarlo, quando ancora si potevano accampare scuse sulla fase primorde della stagione. E’ la disfatta sul palcoscenico dove pensavi di aver trovato energie mentali e stimoli che altrove ti mancavano, quello su cui ti scopri umano meno che umano, ominide e quadrumane, anziché eroe. E’ la recita che ti riporta alla realtà. E al fatto che qualcuno deve assumersi la responsabilità di quello che sta succedendo a una squadra che a novembre sembra già arrivata a fine aprile: vuota di energie, di luce, di volontà e soprattutto di speranza. E gli infortuni sono un indizio di colpevolezza, non un alibi.

Il credito è finito. Per me da oggi la strada è tutta in salita: il mio tifo sempre seguirà i colori del cielo e della notte, ma c’è chi da oggi dovrà subire lo scrutinio di ogni paia di occhi genuinamente e per sempre nerazzurri, senza il beneficio del dubbio. Il tradimento del sogno e la mistica della dura realtà no pasaran!

Inter in Wonderland: venerdì di magra (consolazione)

30 Ottobre 2010 Commenti chiusi

Chiunque sa che agli uomini di mare non deve essere dato da mangiare pesce. Chiunque. Tranne evidentemente il cuoco e il dietologo dell’Inter, che in un impeto di ortodossia religiosa decidono nel giorno di un match tanto importante per i nostri corsari spompati di fornire solo di pagasio e altre amenità di carne bianca ai nostri eroi. I risultati si vedono subito: la carenza di ferro, emoglobina e proteine rende i nostri arrembanti pirati confusi e privi di lucidità, malinconici in un certo senso. L’unico che – da buon musulmano – si spiana un intero rotolo di carne tritata e compattata di quelli che si usano nei kebabari di ogni città che si rispetti, condito di cipolle intere, patatine, salsa yogurt e salsa piccante è il nostro disprezzatissimo Calimero. Nessuno si rende conto di quanto questa sua diversità religiosa sarà determinante nella serata di Marassi.

Il buon Calimero è infatti obbligato a prendere posizione sul ponte di comando già al ventesimo minuto al posto di un Pelato Mastrolindo a cui la carenza di fibre muscolari di animali non nuotanti nella pancia causa l’ennesima ricaduta muscolare. Nella confusione generale di una battaglia marina che si preannuncia amara per i nostri colori, Calimero spara un bolide centrale e di facile presa, ma o’Animalo, il portiere dei grifoni al posto degli artigli sfodera una delle zampe palmate, lasciando scivolare la palla in rete.

Il resto dei novanta minuti prosegue tra conati di vomito dei nostri novelli pirati con il mal di mare e quelli dei solidali rossoblù: i nostri eroi non riescono a raggiungere il castello di poppa avversario manco se avessero a disposizione 270 minuti; i nemici affonderebbero la nave della beneamata neanche con l’ausilio di una decina di catapulte. Facciamo in tempo a perdere anche Julio Manolesta per l’ulteriore postumo dell’assenza di carne rossa nella dieta del giorno e a concludere la partita assediati con una difesa a cinque come neanche il peggior Castel di Sangro.

Diciamocela tutta: una partita di merda, vinta immeritatamente, con interpreti veramente al di sotto delle loro possibilità, tranne poche sufficienze e nulla più. I tre punti erano fondamentali, ma siamo inguardabili. E l’impossibilità da parte di Benny di imporre all’Olandese Volante di scendere sulla linea dei centrocampisti e di non piazzarsi a sbagliare assist e palloni in serie a ridosso delle punte sta diventando imbarazzante e non aiuta. Per non parlare di un Bambino d’Oro che non riesce a recuperare palloni che vengono spazzati da Totò che corre di gran carriera lungo tutta la fascia. Difficile non ammettere che le perplessità iniziano a superare il credito accordato a Benny e alla squadra tutta. Ma come tifoso posso solo arrivare a fine serata senza voce. Il resto non dipende da me

Inter in Wonderland: il Re Pescatore e la maledizione della Luna Blucerchiata

25 Ottobre 2010 Commenti chiusi

I tri(3)plettati eroi nerazzurri ormai veleggiano di mondo in mondo, di dimensione in dimensione, alla ricerca della Serie di Oz e della Terra dei Cachi. E’ infatti dal giorno in cui sono usciti vittoriosi da uno stadio lontano da casa in una notte di pura gloria che hanno smarrito la via del continuum spazio-temporale originale, proiettati in mille avventure una più assurda dell’altra, risolvendo ogni tappa del loro viaggio come una specie di videogame fin troppo reale. Così, dopo la puntata corsara appena vissuta, i nostri beneamati si sono ritrovati a galleggiare sulla propria nave in acque meno tormentate e più famigliari. Per un attimo hanno pensato di essere finalmente riusciti a tornare a casa, novelli Ulisse sulle rive di un Itaca nerazzurra. Purtroppo per loro si è rivelata l’ennesima illusione, l’ombra di un mondo a loro assimilabile, irradiata dalla malefica e maledetta Luna Blucerchiata.

Ai nostri eroi lo stadio di San Siro, immerso in una fitta pioggerellina autunnale, non sembra neanche casa loro: si sentono solo i doriani maledetti che non la smettono un attimo di cantare. I proteiformi corsari nerazzurri sanno riconoscere l’odore della fregatura quando la vedono e per questo dismettono i panni arrembanti appena indossati per trasformarsi in semplici e miti pescatori. Lanciano le loro reti nel mare verde del Meazza e le issano a bordo con movimenti regolari: a ogni tornata, raccolgono messi di creature marine di ogni tipo, che si spartiscono secondo il proprio gusto. Mastro Lindo, subentrato in squadra al posto del troppo pugnace Tredita, e Capitan Corto Maltese frangono i flutti al centro del campo, mentre per il resto è tutto come sempre, con un Orco Marino fuori dall’ordinario insieme a un nanetto riccioluto che in una sera così sembra un sosia di San Pietro, soprattutto se paragonato all’Olandese che con la pioggia si dimentica di come volare tra le folate di vento di una tempesta.

Draghiamo per 45 minuti il quadrante marino avversario, ma in sottofondo si sente sempre lo stesso rumore: titic, titoc, titic, titoc. Tutto lo stadio comincia a guardarsi il polso per capire chi è che ha un orologio tanto rumoroso. Non si rendono conto che tale frastuono è semplicemente l’eco delle decine di passaggi ripetuti fino alla nausea, il fruscio continuo delle reti che vengono lanciate, issate, riparate e rilanciate. Poi all’improvviso, da una maglia non ben cucita, la maledizione della Luna Blucerchiata fa il suo corso e la squadra si ritrova sott’acqua.

La reazione è rabbiosa e l’identità corsara dei nostri eroi, il loro orgoglio, riesce difficilmente ad essere contenuto dagli umili vestiti che hanno indosso in una giornata come questa. Fino a che il più determinante dei nostri beneamati non capisce che a superstizione si può reagire solo con superstizione. Sul campo compare il Re Pescatore e dopo messi di reti bucate, di pesci sfuggiti, e di raccolte di conchiglie dal dubbio valore, riporta la chiatta nerazzurra sopra il livello del mare. E consente ai compagni di continuare a navigare alla ricerca del portale che riporterà tutti a casa.

Serata non difficile da interpretare: la maledizione della Luna Blucerchiata ci impedisce da anni di fare i tre punti con i maledetti ciclisti travestiti da giocatori di calcio e in alternativa da pesci. In una sera in cui le nostre stelle brillano meno del solito ci manca solo l’errore marchiano del solito Buco con il Difensore intorno per mandarci sotto. Per fortuna ci pensa il Re Pescatore, altrimenti sarebbe buio come solo una notte in mezzo all’oceano può essere. Rimane la domanda del perché il Bambino d’Oro non giochi un po’ prima delle colonne d’Ercole del triplice fischio e perché l’Iguana Terrestre della Banlieues non possa imparare a fare i movimenti giusti, tanto da apparire troppo simile al peggior Fulmine di Teguchigalpa, ora pensionato dorato nel campi di Appiano Gentile.

Benny merita fiducia, anche se sta scontando la sua retorica del bel gioco, che quando non è accompagnato dai tiri in porta diventa un semplice esercizio di stile. E l’Inter è una squadra e un popolo che punta alla sostanza. Quattro partite e cinque punti non è un bello score. Ma è tutto quello che abbiamo saputo raccimolare. Purtroppo. Si poteva e doveva fare meglio. Tiremm Innanz.

La Lega dei Citroni: impressive, innit?

21 Ottobre 2010 5 commenti

Di fronte a 50mila spettatori di cui almeno 10mila inglesi gli eroi nerazzurri mostrano quanto le fiabe male si prestino a trasformarsi in narrazioni piratesche: anziché i sanguinari marinai senza pietà e rispetto per niente e per nessuno, i nostri soffrono la loro indole sostanzialmente generosa, interpretando il ruolo dei corsari dal cuore d’oro.

In campo la formazione standard con coppia di centrocampo Tredita-Duracell e come esterni Totò il Mozzo e l’Iguana delle Polene. Pronti? Via: discesa fulminante del Capitano, scambio con Totò il Mozzo ed il Leone dei Mari, destro a giro e gol. Due minuti e siamo già sopra. Passano cinque minuti in cui gli Spurs non vedono mai il ponte avversario e l’Olandese Volante scodella una palombella su cui si fionda l’Iguana delle Polene, che viene abbattuta dal portiere avversario: rigore ed espulsione come da regolamento. Le già scarse schiere avversarie si indeboliscono in 10 e senza il più talentuoso tra le loro fila, Modric. Il Leone degli Oceani realizza senza alcun dubbio.

L’arrembaggio si mette al meglio: Totò e l’Iguana fanno i tagli giusti, Tredita con Duracell e l’Olandese seminano il panico a centrocampo, il Leone distrugge i centrali difensivi avversari diffondendo sangue e budella sul legname della nave nemica. Altri quattro minuti e Tredita sfoggia la fiammata del Drago infilando gli Spurs per la terza volta. Seguono combattimenti corpo a corpo a non più di 20 metri dalla porta inglese, fino al 35esimo quando il Leone di Mare segna anche senza volerlo. Partita finita, ma messe di occasioni da gol per i restanti 10 minuti. Impressive, innit?

Nel tunnel durante l’intervallo gli inglesi chiedono pietà e i nostri corsari dal cuore di pastafrolla si fanno abbindolare. I nostri eroi non riconoscono la viscida manovra avversaria anche quando approfittando del momentaneo panico scatenato dall’uscita dal campo di Tredita, Bale segna il 4-1. Per dimostrare la propria superiorità i nostri eroi presidiano il campo avversario, rischiando anche di segnare in scioltezza. E quando pensano che sia tutto finito, ecco la coltellata nella schiena: Bale ne fa altri due tra il 90esimo e il 92esimo, quasi realizzando i sogni dei tifosi inglesi che cantano da mezz’ora “We’ll win 5-4”. Parafrasando Julio Cesar: “Hai rotto il cazzo, brutto infamello figlio di Albione!” Impressive as well, innit? Impressionante l’incazzatura sugli spalti, con immediata proposta di mandare a quel paese questa versione buonista del fair play, e fermarsi solo dal 10 a 0 in avanti, se mai dovesse ripresentarsi una simile occasione.

Per fortuna si è scoperto presto che era semplicemente una delle astute mosse di mercato del nostro Direttore: non potendo permettersi l’esterno sinistro, una tripletta farà schizzare talmente in alto la sua valutazione da non valere neanche il rimpianto. Diavolo di un Direttore! E noi che pensavamo a un brutto episodio di sufficienza e deconcentrazione, per fortuna senza conseguenze dato che portiamo a casa i tre punti e il primo posto nel girone, ostentando, a parte gli ultimi folli, pazzi, generosi (verso gli Spurs) cinque minuti, grandi giocate e grandissima personalità. Dopo anni in cui la musichetta ci causava scossoni intestinali senza soluzione di continuità, già questa novità non può non essere fonte di entusiasmo per ogni tifoso interista.

Inter in Wonderland: il narco-castello

18 Ottobre 2010 1 commento

Arriviamo sull’isola inondata di luce e di pace. Tutto è silente nei dintorni dello stadio e le due squadre si affrontano su una piana sgombra di vento e di passioni. Sembra di assistere a una foto più che a un evento dotato anche di figure in movimento. Tra le fila nerazzurre tornano a calcare il campo il Capitano Duracell e la coppia difensiva Muro-Orco, mentre davanti il Leone è affiancato dai soliti giovani virgulti. Il Castello è sorvegliato dagli unidici titolari rossoblù, con qualche qualità, ma non troppe, giusto per non esagerare.

La partita si snoda senza sussulti, mentre i nerazzurri lentamente avvolgono le mura medievali e i merli degli spalti in una fitta ragnatela: dopo aver bloccato il castello, passano agli spalti, ai tifosi, allo stadio intero, all’isola. Anche il mare sembra essere diventato una lenta e piatta superficie oleosa. Lentamente, ogni cosa si assopisce, e quando meno chiunque se lo aspetti, ecco il colpo ferale: il Leone con una finta di corpo che anche al rallentatore sembra velocissima manda a stendere mezza difesa – Astori penso avrà gli incubi con il nostro puntero come protagonista ancora per qualche giorno – e la piazza nell’angolino di precisione e potenza.

Il tempo scorre inesorabilmente. Passano 45 minuti, poi 60. Non succede nulla se non una fortuita traversa di Chivu nella nostra porta (se non ci pensiamo noi a scaldare il match, si potrebbe giocare per altri due mila minuti senza scorgere un’accelerazione significativa di alcun tipo) e una doppia parata di Giulione Manolesta, giù proiettato verso la svolta corsara della nostra saga. Entra il nostro Homo Dribling al posto di Totò che ha fatto una buona partita; entra il Sindaco finalmente di nuovo su un campo di calcio e per scaldare un po’ gli animi anestetizzati dal Narcocastello finge di farsi male dopo appena 5 minuti; entra anche Calimero al posto dell’Olandesina, la notte e il giorno a confronto sulla riga del fallo laterale, praticamente.

Finisce con l’anestetica vittoria nerazzurra. E fin qui tutto bene. Però uno si sarebbe anche stufato di ripetere che “contano i tre punti”. Quando in tempi non sospetti ho sostenuto che il “bel gioco” alla Barça è in realtà una gran rottura di palle, sono stato sbeffeggiato, ma spero che la partita di oggi mi renda merito. Per fortuna che Ciccio punta sullo spettacolo: se fosse stato uno che cercava il risultato a tutti i costi, in una partita come quella di oggi avrebbe potuto solo sfoderare l’araldo dell’eutanasia e farla finita al minuto numero cinque.

Zzzzzzzzzzzzzzzz

Inter in Wonderland: beneamata caritas

4 Ottobre 2010 3 commenti

Sul pascolo di San Siro arrivano i grufolanti ladri di sempre a strisce bianconere, accolti dal pubblico milanese delle grandi occasioni: più gobbi che interisti sugli spalti, ma i peggiori almeno confinati al terzo blu. Se non si considera il campo ovviamente. Benny schiera la stessa squadra di mercoledì, tutto lo stadio è basito ma apprezza il coraggio. Con il senno di poi capiamo che era l’unica possibilità che aveva: quindi il coraggio della necessità è la tragedia della speranza.

La partita dura 15 minuti, con i nostri eroi da veri condottieri che chiudono la squadra colorblind nella sua area. Le occasioni non sono eclatanti, ma la squadra c’è. Poi tutti paiono pensare che la pausa delle nazionali sia già cominciata. Tutti quelli della squadra che tifo io per lo meno. Polu va sotto Krasic come un tir e subiamo tre azioni da brividi. Anche per i grufolatori impuniti finisce la gara. Ma siccome la fortuna è cieca, ma la sfiga ci vede benissimo, l’Iguana delle Banlieues si infortuna e tocca vedere in campo il Principe Ranocchio Zoppo. Il Leone, felice come un gatto in una vasca da bagno di acqua bollente, si sposta a sinistra, e magicamente comincia a bersi Grygera in ogni forma e dimensione. Peccato che poi appena alzi la testa per metterla in mezzo nell’area piccola ci sia il vuoto pneumatico, con il Principe ormai nella lista ufficiale dei desaparecidos.

Finisce il primo tempo e tutti pensano lo stesso: ok, bravo elio, bravi tutti, bella squadra, ma segnare, no? A metà dell’intervallo si scalda il Bambino d’Oro: Speedy si è infortunato, Polu va al centro nel suo ruolo (e si vede), e il baby dimostra di essere in rampa per un rientro da titolare a sinistra. Da notare come la presenza di un terzino a sinistra abbia di fatto scaraventato nell’oblio il maradona biondo dei ladri di polli, come già si vide nella doppia sfida con il CSKA l’anno scorso.

Benny nell’intervallo fa un discorso chiaro e senza fronzoli ai suoi uomini: ricordate che noi siamo belli, buoni, bravi, senza macchia e senza paura; più che una squadra di calcio con gli attributi, dobbiamo sembrare una fiera di beneficienza della Caritas; giochiamo a calcio come se fosse uno sport, per vincere c’è sempre tempo. I giocatori lo hanno guardato tutti un po’ basiti, ma il richiamo degli aerei per le proprie case durante la pausa delle nazionali ha tolto lucidità ai draconici protagonisti della scorsa stagione.

Il secondo tempo nonostante la nostra versione Beneamata Caritas vede le due più grandi occasioni nerazzurre: una viene sparata di testa dal Colosso sul portiere, l’altra il Principe Ranocchio Zoppo, dopo un aggancio perfetto, la piazza sul fotografo che staziona al posto dell’arbitro di linea. I venti minuti finali sono uno spot contro il calcio: il Drago che sputacchia fumo e catarro viene lasciato in campo a perdere palloni che rischiano di trasformarsi in contropiedi e a nascondersi dietro i mediocampisti bianconeri per non ricevere il pallone; il Leone si sfava e decide che non si torna oltre la metà campo; Totò abbandonato sulla fascia non sa bene che cazzo fare; il Principe Ranocchio fa venire da piangere come i grandi guerrieri quando li vai a trovare all’ospizio. In panchina il nulla cosmico, o così sembra pensarla Benny. Non succede niente e la beneficienza è fatta: un punto in due gare con due squadre da parte destra della classifica; un punto al posto dei minimo quattro che avremmo dovuto raccogliere a tutti i costi. E il Milan a pari punti. Che merda.

Non facciamo drammi, ancora una volta, però io inizio un po’ a rompermi le gonadi dell’atteggiamento supponente e molle con cui la squadra si presenta in campo, soprattutto contro le avversarie più blasonate. Non vedo la furia e la fame che ho tanto amato dei miei eroi. Benny ancora non ha capito come convincere i suoi giocatori a fare quello che dice lui e non viceversa. E questo, se permettete è un bel problema. Non avevamo un numero così alto di infortunati dai tempi dei sei mesi horribilis del secondo anno di Mancini, dopo Tribai per intenderci. Perché con la squadra spompa a centrocampo non si faccia il terzo cambio è uno dei misteri di fatima. Ricordo a tutti che il calcio non è uno sport: conta vincere; per l’estetica c’è Mediaset; per l’amore per la giustizia c’è Trigoria; noi interisti siamo abituati ad altro. Ora pausa nazionali. Ovviamente, ci sono anche le note positive: il Bambino d’Oro, Totò che fa vedere cose egregie, la conferma di un grande momento di forma del Leone. Ma è un po’ poco. Decisamente troppo poco all’inizio di ottobre.