Inter in Wonderland: ritorno al passato
E’ sabato sera. A Milano non c’è niente di interessante da fare. A parte andare a vedere la recente trionfatrice di Europa e Italia desiderosa di riscatto contro una neopromossa. Eppure sugli spalti umidi del Meazza ci sono sì e no 30mila persone, indice di una tifoseria, prima che una squadra, con la pancia piena e la testa completamente svuotata di motivazioni. Sul rettangolo di gioco in campo aperto scendono i nostri pirati da due soldi, sul cui corpo i cerotti coprono un’area maggiore che non la divisa nerazzurra.
Nel cielo volteggiano delle spente Rondinelle, reduci da cinque sconfitte consecutive, tra le quali si cela mesto e con le ali ripiegate un airone cinerino sul finir della carriera. L’ultima volta che l’ho visto spiegare le ali era proprio qui a San Siro, con una maglia da ciclista, un paio di anni e rotti fa, prima che si ributtasse nell’anonimato della categoria a cui appartiene, la serie B. I primi dieci minuti fanno ben sperare, nonostante il 4-4-1-1 strettissimo che usa praticamente solo la fascia centrale del campo (una volta che il 4-2-3-1 si poteva usare, ovviamente si preferisce mettere il Mozzo Totò e Darko il Macedone come centrocampisti di fascia). Ma da un contropiede incredibile sbagliato all’ultimo passaggio tra il redivivo Principe Corsaro e un sempiterno Leone degli Oceani, pigliamo un gol con rimpallo favorevole. Il Meazza rivede le ali del maledetto airone cinerino dispiegarsi.
Quello che accade dopo è incomprensibile: i marinai nerazzurri cominciano a vagare sul campo senza una metà, in preda alle idee più stravaganti. Ognuno gioca un po’ dove cazzo gli pare, impervio alle parole dell’allenatore, dei compagni e pure del pubblico. Uno spettacolo di mezz’ora troppo brutto per essere vero, che evoca cupamente ai pochi presenti i fantasmi di un passato che credevamo sepolto per sempre: il Bucaniere e talvolta difensore Polu sembra essere in campo per sbaglio, forse ossessionato dai troppi milioni che percepisce all’anno; l’Olandese Volante finalmente spostato in mediana fa una delle migliori partite di questo scorcio, ma poi sviene negli spogliatoi inspiegabilmente, forse un calo di dignità (più che di pressione); e dulcis in fundo Quattropinte, il nostro difensore più aggressivo schierato nonostante fosse mezzo infortunato (ma il Bambino Pirata ha la lebbra? a giudicare da come claudica nel secondo tempo dopo due scatti forse sì, ndr) completa l’infortunio (muscolare, tanto per confermare che qualche problemino nella preparazione c’è).
Negli spogliatoi siamo certi che Benny abbia strigliato a dovere i suoi che però forse non lo hanno ascoltato neanche per un minuto, tutti presi dalla contemplazione delle icone del Vate-che-fu. D’altronde se anche in società si struggono nel rimpianto e nel ricordo, non si capisce perché non dovrebbero farlo i giocatori. Allo svenevole Olandese Volante subentra uno che per tanti anni ho considerato solo un dribblomane e che invece nel campo aperto tempestato dalla merda di rondine e airone si dimostra uno dei migliori in campo: l’arpionista Obi ce la mette tutta, non tira mai indietro la gamba e a lui vanno tutti gli onori per aver combattutto fino all’ultimo. Intanto anche il Capitano d’Acciaio zoppica ma resta in campo dato che il fottuto volatile cinerino stronca probabilmente la carriera del miglior difensore che abbia mai visto all’inter dai tempi di Giacinto Facchetti. Che le sue ali si possano spezzare e possano essere inchiodate sulle assi di legno per il resto dell’anno: il movimento del ginocchio di Walter Samuel (non merita soprannomi oggi) è una pietra tombale sulla stagione e temo sulla vita sportiva del nostro favoloso centrale.
Solo il Leone degli Oceani continua a combattere, nonostante la sorte avversa e il discreto culo nel rimpallo dei bresciani, nonostante un Principe Corsaro allo stremo delle forze e un Darko il Macedone che non ci mette mai la gamba. Nel suo sporco lavoro è aiutato solo dagli spunti individuali: un indemoniato Orco Marino a tutto campo; il Bambino Pirata che fa quello che può con una gamba sola; il redivivo Bucaniere che svaria sulla fascia sinistra insieme al Capitano e all’arpionista Obi; e l’unico dotato del potere del sogno, il Mozzo Totò. E da solo il Leone trova il rigore che vale il pareggio. E per poco se il Principe fosse quello di una volta, troveremmo anche una incredibile vittoria.
Invece restiamo con la sensazione di un anno maledetto dalla sorte e incancrenito dalla assenza di volontà di una società che ha scelto di crogiolarsi nella sua pancia piena, nell’impossibilità di ripetere quanto fatto l’anno scorso, nel lamento per la sindrome di abbandono, e di lasciare alla deriva dei mari in tempesta un modesto allenatore, sul quale però è troppo facile fare il tiro a segno (anche se lui fa di tutto per aiutare il compito dei cecchini, anziché mettersi al riparo). E’ un ritorno al passato: forse per questo nelle partite casalinghe è tornato anche a suonare ogni volta “Solo Inter”, l’inno di anni in cui la società non esisteva e se esisteva, esisteva male; l’inno di anni in cui gli allenatori si cambiavano come pannolini, dopo averli usati per cagarci dentro; l’inno di un’Inter che pensavamo scomparsa per sempre e che invece era solo mascherata dall’ingombrante presenza di un messia. Presidente, dirigenti, giocatori, staff: fateci un favore, archiviate quell’inno per quando potremo festeggiare di nuovo, ma nel frattempo ricordatevi che state indossando una divisa che merita amore e dedizione, non la mesta sensazione di un crepuscolo di appagamento e delusioni. Abbiate il coraggio di fare delle scelte, di difenderle e di sognare un futuro – e non il passato – della Beneamata. Dimostrateci di essere degni dell’amore che riversiamo ogni giorno su questi colori. O abbandonate la nave senza fare tante manfrine.