Google continua l’operazione 1985

25 Marzo 2008 1 commento

Era un po’ che non ne parlavo. D’altronde accadono moltissime cose e ormai è un argomento in cui si dilettano un po’ tutti, quindi risulta meno interessante per me, dato che è invece qualcosa che mi ha incuriosito diverso tempo addietro. Nell’ultimo aggiornamento parlavo di come le mosse di Mountain View confermassero la sensazione di molti, ovvero che il prossimo orizzonte strategico di Google sia la fornitura di servizi non solo di ricerca ma di operatività in senso generico a misura di individuo: la partecipazione all’asta sulla banda precedentemente assegnata alle televisioni analogiche è andata male o forse è andata perfettamente. Google non ha vinto nessuna delle aste, ma ha convinto l’FCC a inserire una clausola che rende le tecnologie che sfrutteranno tali bande accessibile anche a terzi (oltre alle TelCo vincitrici delle relative licenze). Non solo, ma Brin, Page e Schmidt stanno lavorando a tecnologie in grado si usare gli "spazi" elettromagnetici tra una banda e l’altra di questo ampio spettro. Le cose messe insieme non sono difficili da capire: Google dispone del più grande strumento di calcolo del pianeta, quello con maggiore spazio a disposizioni e con maggiori capacità di elaborazione. Non solo, ma dispone anche di un grandissimo credito e di un enorme quantità di ottimi cervelli messi a lavorare sui propri orizzonti. Fornire il miglior sistema di ricerca è stato il primo passo per mettere a disposizione tutta l’informazione del mondo di tutti (come dice la compagnia) oppure di dare forma al modo in cui le informazioni ci rappresentano la realtà (come dicono i maligni); il prossimo passo è quello di convincere milioni di persone a usare un solo computer (quello di Google) per fare tutto in maniera più efficiente, e di comprare solo dei terminali per l’accesso a breve termine dei propri materiali, una sorta di zainetto elettronico a fronte di un enorme studio condiviso da qualche parte (nei sotterranei di proprietà di una singola compagnia… ehm…). Non è male intrinsecamente, ma è un cambiamento di prospettiva notevole, che forse varrebbe la pena considerare con maggiore attenzione che non con un entusiasmo che ne celi i limiti. In ogni caso Google è sicuramente diversi passi avanti rispetto a ogni altra compagnia IT ed è l’unica società ad avere un rapporto paritario con le grandi TelCo nonostante la diversa potenza (forse solo Apple si avvicina a questo tipo di rapporto, e non a caso G e A presto si accoppieranno in una Santa Alleanza difficilmente interpretabile se non come il più importante fenomeno semiotico, sociale, culturale e neurologico prima ancora che economico del nuovo millennio). Qualcuno probabilmente ne sa più di me sulle prossime mosse, ma io azzardo: produzione conginuta di apparecchi Apple e Google per la massima usabilità e funzionalità; appoggio dati sulla "nuvola" informatica di Google; accessibilità 24/7 attraverso strumenti ampiamente diffusi e infrastrutture consolidate come quelle delle frequenze televisive; pervasività assoluta di una facile manipolazione delle informazioni a tutti i livelli della nostra vita. Fico, per alcuni versi, scary, molto scary, per altri. 

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Parola all’America

25 Marzo 2008 Commenti chiusi

 

I fratelli Coen, nella mia mente, si associano immediatamente ad altri autori che sembrano dare la parola direttamente all’America attraverso i loro personaggi, come se le figure che animano le loro opere siano tutte una diversa sfaccettatura antropomorfica di un concetto primordiale di America. I loro film, di cui amo in particolare Il Grande Lebowski e Fargo ovviamente, ti fanno trottare attraverso la trama e l’ironia ma quando aprono bocca e diaframma della ripresa sai che ognuno di essi da voce all’America, non a una America, ma alla stessa caleidoscopica entità. Tanto per citare qualcuno che mi dà la stessa idea riprendo Warren Ellis e soprattutto Garth Ennis: se dovessi capire gli Stati Uniti d’America senza farmi venire l’esaurimento nervoso per l’astio che gli Americani Medi riescono a ispirarmi nella loro interazione quotidiana con il mondo e con gli altri esseri umani non-statunitensi, io partirei dalle opere di questi autori: Preacher, Transmetropolitan, e i film citati dei fratelli.

No Country for Old Men è esattamente questo: una narrazione per interposte dramatis personae di che cosa è l’America oggi, di cosa prova, di cosa ha paura, di cosa non capisce. Questo in sé vale il film, ma c’è altro: la fotografia è obiettivamente di qualità superiore e quelli che tanto hanno tessuto le lodi della buona ma non eccelsa fotografia di Into the Wild dovrebbero andare a guardare la pellicola per capire la differenza. Grande recitazione al solito dei protagonisti, su tutti Javier Bardem (Oscar) e Tommy Lee Jones (il quale di fatto incarna l’archetipo dell’Americano), e grandissima trama e dialoghi, con ogni finale scontato che viene demolito nei cinque minuti successivi a quelli che ti aspetti. Notevole sotto tutti i punti di vista, e Oscar per una volta meritati (d’altronde se essi rappresentato il Premio Americano per antonomasia, non potevano non cogliere i propri riferimenti in questo film).

Voto: 8

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Ladri e parameci

23 Marzo 2008 16 commenti

 

L’Inter subisce una tutto sommato immeritata prima sconfitta casalinga proprio con i tanto odiati gobbi. Come tifoso sentire i loro supporter (che non ci dovevano essere ma come per magia si sono materializzati nel settore ospiti, miracoli dell’Osservatorio) che cantano "vincete senza la juve" mi ha fatto ribollire il sangue. Soprattutto dopo che la partita è stata viziata dai tanti errori sottoporta dell’Inter che con quattro punte su cinque a turno in campo non hanno saputo far gonfiare la rete se non con un centrocampista (Maniche) e soprattutto da un gol in fuorigioco di Camoranesi che anche Ceccarini avrebbe visto. Ladri d’altronde si nasce, non si diventa, direbbe Totò. La partita è tutta qui: primo tempo misurato che l’Inter potrebbe chiudre in vantaggio se non fosse per i milioni di errori sottoporta, un secondo tempo all’arrembaggio della Juve contro una Beneamata poco tonica e con la volontà di reazione di un paramecio bollito.

Veniamo alle pagelline: Julio Cesar fa la sua solita gran partita e nulla può sui due gol; Maicon è evidentemente spompo, ma generosamente ci prova, con scarsi risultati in verità; la coppia centrale dell’Inter è praticamente la Casa degli Orrori, con Materazzi ombra del giocatore che fu e Burdisso psicolabile (affetto oggi dalla sindorme "Inter 100 e lode" che vuole il giocatore intervistato a sky autore di una prova orrida) ci costa il raddoppio e per poco anche qualcosa di più, forse Mancini potrebbe far giocare Rivas che almeno dimostra di crederci; Maxwell è recuperato e si becca un bel sei. A centrocampo siamo sotto schiaffo da mesi, quindi non ci facciamo più caso: Chivu fa un’altra prova maiuscola, Zanetti ci mette tutto il cuore che ha, però Stankovic è un cadavere che non si capisce perché giochi, e Jimenez fa quello che può. Davanti Ibra non sta bene e si vede, e contro la Juve non combina mai un cazzo, e Cruz non è in forma: uno si chiede perché non far giocare Balotelli piuttosto che questi cadaveri. Poi qualcuno ci spiegherà perché siamo così spompi.

L’Inter nel girone di ritorno ha collezionato due sconfitte e tre pareggi, uno score non proprio entusiasmante. La forma fisica è scarsa ma in lieve crescita, la tattica è in balia dei giocatori, il morale e la determinazione tutta da verificare. Ora la Roma è a quattro punti e ci sono ancora otto partite, e come si dice dall’inizio dell’anno questo Campionato lo possiamo perdere solo per nostra volontà. Adesso è il momento in cui dimostrare se siamo una squadra di parameci o di uomini: noi tifosi non possiamo che urlare e crederci, ma sono i giocatori che devono fare andare la palla e buttarla oltre la linea di porta. Poi a fine anno si faranno i conti, con tutto e tutti.

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Bolzaneto, la coscienza sporca e il cinismo

21 Marzo 2008 1 commento

 Riprendo brevemente un intervento del mio socio, secondo me perfettamente centrato, tanto che avrei voluto scriverne io prima, su Bolzaneto e la campagna sulla sentenza del processo che sta occupando la sinistra (o cosiddetta tale) e i suoi media, in particolare La Repubblica e L’Unità. Sintetizzo l’intervento del mio socio: dopo anni in cui tutti se ne sono fottuti del processo Diaz e del processo Bolzaneto, promuovendo tutti i protagonisti e ignorando le vittime, lasciando pm e magistratura nel marasma più completo, e cercando di non far coinvolgere la fazione della PS più vicina o più lontana al politico in voga al momento, il PD e i media ad esso collegati in piena campagna elettorale scoprono che Bolzaneto è stato un atto gravissimo. Questo perché porta voti da sinistra, ma anche perché prepara bene il terreno alla "necessaria" conclusione del processo Diaz, ben più grave considerato che coinvolge tutti gli apici della Polizia italiana: condannare gli esecutori materiali dei pestaggi e non toccare i Super Sbirri. Perché le mele marce, si sa, ci sono dappertutto, tra i manifestanti come tra i poliziotti, e questa è la loro verità su Genova, quella che vorrebbero sancire definitivamente con la famosa Commissione Parlamentare, quella che deve passare nei libri di storia (sempre che ci arrivi al posto di Berlusconi come statista di fine millennio): non sia mai che nei libri di storia Genova passi come il momento in cui la foglia di fico sulla natura delle forze dell’ordine italiane come agenti dei poteri forti e tutt’altro che limpidi è caduta, o come il momento in cui diverse migliaia di persone si sono rotte le palle di accettare passivamente i palazzi. No, Genova è la storia di una grande manifestazione e delle mele marce che rovinano la politica con i loro "estremismi", con la loro "irragionevolezza". Per cementare questa operazione oggi Repubblica è riuscita a riesumare dal sarcofago addirittura Amato, sì proprio il Dottor Sottile, che non le manda a dire e spiega per filo e per segno la strategia. C’è molto da imparare su come si concludono i pezzi di storia, ma noi italiani siamo abituati a non imparare mai.  

Contro tutto e tutti

20 Marzo 2008 14 commenti

 

La partita la decide l’arbitro Rocchi, guardando con sagacia alla nostra prossima sfida con i mai puliti gobbi: ai primi due falli di Pelé caccia il ragazzino portoghese e ci lascia in dieci per 60 minuti, sfiancandoci per bene in vista della sfida di sabato. Non è altrettanto rigoroso con Sculli e Juric che meritavano tanto quanto di finire anzitempo la partita. Il Genoa ci attacca per 60 minuti e merita il goal, ma noi non avremmo mai meritato di perdere questa partita se l’arbitraggio fosse stato onesto. In ogni caso, ci pensa Behrami e mi fa concludere la serata sorridendo dopo aver progettato diversi attentati alla sede dell’AIA. Di tecnica e tattica e rendimento dei singoli giocatori non si può parlare dopo una serata così. Giochiamo contro tutto e contro tutti, spesso anche contro noi stessi, ma per ora siamo ancora primi.  

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Coming Soon: un’analisi delle motivazioni della sentenza dei 25

19 Marzo 2008 3 commenti

Il 14 marzo sono state pubblicate le motivazioni della sentenza di condanna per 24 dei 25 manifestanti accusati di devastazione e saccheggio per gli scontri accaduti durante le manifestazioni contro il g8 nel luglio 2001 a Genova. Il tomo sono quasi 700 pagine e la sua lettura non è banale, per cui serve un po’ di tempo per rifletterci. A occhio e croce quello che risulta più evidente è una volontà di ricostruzione dei fatti molto approfondita (pericoloso considerato che un processo non conosce tutto quanto è avvenuto nelle strade di Genova di quei giorni, ma da questa parzialità ne trae delle conclusioni) e l’appoggio a un concetto di concorso sinceramente spaventoso (e analogo a quello usato per condannare 15 persone per i fatti dell’11 marzo 2006 a Milano). Datemi qualche giorno e spero di poter andare più nei dettagli: intanto se volete fare da voi, le motivazioni le trovate su supportolegale.org (ripulite dai nomi degli imputati ovviamente, ma non servono per capire di cosa si parla). 

Eroine

19 Marzo 2008 1 commento

 

Dopo Un Lavoro Sporco il libro di Eileen Favorite, Il Bosco delle Storie Perdute, era l’altro titolo della Elliotedizioni che mi intrigava: decisamente meno interessante del libro di Christopher Moore, il libro dell’esordiente che si pavoneggia in quarta di copertina come partecipante e insegnante di corsi di scrittura creativa (sic!) parte da uno spunto estremamente interessante: un bed and breakfast in un bosco dell’Illinois dove compaiono eroine di opere letterarie nel bel mezzo delle loro avventure. La relazione di queste creature fantastiche incarnate con la tenutaria e sua figlia sono il centro della trama, che spazia da momenti veramente ben scritti a passaggi troppo sorvolati. Devo dire che ho apprezzato molto la parte centrale sull’istituzione psichiatrica e il sistema sanitario statunitense che in una cinquantina di pagine spiega meglio di qualunque campagna perché entrambe le questioni siano una schifezza che le società moderne si sono inventate per motivi tuttaltro collegati che risolve il problema delle malattie mentali o della necessità di cure delle persone. Alcune vicende a cavallo tra letteratura e realtà sono molto belle, soprattutto quella di Madame Bovary devo dire, e il personaggio principale del libro, la figlia della tenutaria Penny, è ben descritto e con tratti evidentemente autobiografici. Lascia un po’ con l’amaro in bocca la conclusione affrettata e poco comprensibile: il libro scorreva bene e 50-100 pagine in più non avrebbero ucciso nessuno. Adesso seguo questo trend e mi cimento con gli investigatori letterari di Jasper Fforde come consigliato dal prode ppn. 

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Scacciapensieri

16 Marzo 2008 6 commenti

L’Inter vince meritatamente la sfida con un Palermo senza carattere e senza grandi qualità. Il primo tempo vede una buona Inter, non al massimo fisicamente e con molta anarchia tattica, ma in grado di chiudere in vantaggio. Il secondo tempo entriamo un po’ molli e in attesa di colpire il Palermo che deve pareggiare, ma ci manca il cinismo giusto sotto porta. Questo complice la stanchezza e una difesa totalmente fuori fase ci fanno rischiare di buttare via dei punti inutilmente proprio nel finale di gara.

Quello che salta agli occhi dell’Inter in questo momento è: fisicamente stiamo meglio di febbraio, ma peggio che nella prima parte del campionato, soprattutto il centrocampo sembra stare molto meglio di prima, e in una fase come questo è fondamentale; la difesa è rinunciataria e rattoppata, e afflitta da alcune scelte manciniane un po’ discutibili (Burdisso peggiore in campo con il Liverpool confermato, e Rivas tra i migliori in campo panchinato); i giocatori sembrano concentrati a sprazzi e la squadra è tatticamente indisciplinata (Maicon che vaga a centrocampo, Chivu che non si allarga mai, Cruz che gioca a centrocampo e non in profondità, e via dicendo); poco cinismo sotto porta (valanghe di occasioni sprecate).

Dietro Julio Cesar ha gravi responsabilità sul gol, ma per il resto si comporta bene come al solito, Maicon sembra avere la sindrome di Adriano con poco fiato e scarsa voglia, mentre Matrix e Burdisso sono la coppia centrale degli orrori, che ti fanno temere di finire in 9 la partita ogni momento. Chivu a sinistra non è a suo agio e sta anche sotto per la spalla, ma gli svarioni sono molti. Il centrocampo è il luogo dove stiamo meglio, Vieira gioca la sua miglior partita della stagione e rischia di fare una doppietta (che avrebbe meritato), Cambiasso e Zanetti danno tutto quello che hanno, mentre Jimenez è ancora troppo troppo lento nelle giocate. Davanti Cruz e Ibra sprecano troppo e soprattutto lo svedese gioca con una fasciatura sospetta al ginocchio sinistro che non fa presagire nulla di buono. Crespo entra troppo tardi per lasciare il segno ma ne avrebbe tutte le possibilità. Lo salviamo con la condizionale sperando che torni il killer letale che conosciamo. Intanto tiriamo il fiato e guardiamo avanti.

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A Dirty Job (but someone’s gotta do it!)

14 Marzo 2008 Commenti chiusi

 

Non conoscevo né Christopher Moore né la Elliot Edizioni, ma ultimamente notavo i libri di questa casa editrice nata nel 2007 sul banco delle novità: le copertine sono ben curate e non troppo costosi i libri (la rilegatura incollata non è il massimo, ma d’altronde da qualche parte bisogna risparmiare). Un Lavoro Sporco e Il Bosco delle Storie Perdute mi hanno incuriosito e ho deciso di vedere che cosa propone la Elliot nel catalogo: poche cose per ora ma buone, altamente raccomandabile.
Christopher Moore invece ho scoperto essere un autore molto sapido (come direbbe qualcuno di mia conoscenza che fa l’avvocato di professione e il finto sportivo di hobby), con un grande gusto per la battuta pronta e per gli accostamenti irriverenti. HO dato un’occhiata ad altri titoli della sua bibliografia e penso che leggerò anche altre cose a sua firma. La quarta di copertina nel dare una definizione dell’autore ci prende abbastanza: un incontro tra Stephen King e i Monty Python. E scusate se è poco.
A Dirty Job è un horror/fantasy di grande godibilità che parte da un’idea estremamente interessante e non banale, anche se costituisce un classico del genere: che forma ha la Morte, con la M maiuscola? Come funziona? C’è da dire che di horror decenti in giro se ne vedono veramente pochi e io quando ho voglia di un brivido mi devo rassegnare a riprendere cose con minimo 20 anni sulle spalle, ma devo dire che Chris Moore ha grande talento. La trama scorre via veloce (forse un po’ compressa dalla metà del libro in poi, lasciandoti la voglia che l’autore si fosse preso più tempo), ma forse è meglio così, perché un horror sarcastico di 1200 pagine potrebbe essere indigesto, mentre le 400 del libro si reggono bene. Chris mi dà l’idea di un tipo con mille idee, che a un certo punto deve per forza passare da una all’altra, e quindi chiudere quello che sta scrivendo per pensare alla prossima cosa. Forse sarebbe valsa la pena di farne una mini serie per dare più spazio ai fenomenali personaggi del libro: il mio preferito manco a dirlo è Verde Menta 🙂
Moore ha talento per trasferirti le emozioni dei personaggi, per strutturarli e renderteli familiari, qualcosa che a me devo dire non riesce granché bene, e i dialoghi nel testo sono fantastici. Devo dire che l’ho apprezzato molto e che lo consiglierei a tutti. Adesso vedrò di trovare qualcos’altro di suo e di leggiucchiare un po’ meglio. Unica pecca: la traduzione è buona ma la redazione meno, dato che ci sono tre-quattro frasi che proprio sembrano essere sfuggite (sono praticamente prive di senso o un modo di dire è tradotto male), ma è un peccato veniale facilmente perdonabile.

Voto: 7,5

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Bolzaneto: la normalità del male

13 Marzo 2008 4 commenti

Martedì 11 marzo 2008 i pubblici ministeri Petruzziello e Ranieri
Miniati hanno letto le loro richieste di pena per i 45 imputati per i
fatti di Bolzaneto: le condanne ammontano a qualcosa come 76 anni
complessivi
, ma solo per 15 degli imputati la pena supera la soglia
della condizionale
(ventiquattro mesi) e solo per 8 di questi quella
dell’indulto
(tre anni). Per i restanti trenta le condanne sono di
circa un anno (o meno) a testa, anche considerata la peculiarità delle
condizioni che si sono verificate a Bolzaneto – hanno detto i pm. Il
problema è che non c’è nulla di straordinario in Bolzaneto, se non il
fatto che ciò che è accaduto sia sostanzialmente di dominio pubblico.

La caserma del VI Reparto Mobile di Genova a Bolzaneto nel
luglio 2001 era uno dei due luoghi adibiti a ricevere i fermati e gli
arrestati per poi trasferirli ai carceri di destinazione (o rilasciarli
nel caso dei primi). L’altro luogo era Forte San Giuliano, una caserma
dei Carabinieri. A Bolzaneto per l’occasione si costruì una palazzina
in cui le forze dell’ordine operanti in ordine pubblico dovevano
portare i fermati, consegnarli agli uomini della Digos e della squadra
mobile presenti, con i quali dovevano redigere gli atti relativi al
fermo o all’arresto. Gli arrestati poi dovevano essere "passati" alla
polizia penitenziaria, immatricolati, visitati e trasportati (o
tradotti come si dice in gergo) nei carceri di Alessandria, Pavia,
Voghera, Vercelli.
In realtà – come ormai tutti sanno – a
Bolzaneto sin dall’arrivo le persone venivano sottoposte a una sorta di
contrappasso violento e umiliante, una specie di vendetta, in cui le
forze dell’ordine si autoqualificavano di fatto come avversari dei
manifestanti
. Questa è la prima inversione che spesso si cerca di
fomentare per sminuire i fatti della caserma: nessuno delle persone in
stato di "ristretta libertà" ha dato luogo a episodi di resistenza o di
violenza, e quindi la decisione vigliacca e vile di esercitare la
violenza anziché di svolgere il proprio compito ha una sola origine ben
definita. Le persone venivano accerchiate, insultate, minacciate e picchiate nel cortile, poi venivano minacciate e percosse negli uffici della Digos e della squadra mobile, al fine di far loro firmare dei verbali redatti in italiano anche per gli stranieri.
Ogni volta che le persone venivano spostate dalle celle di sicurezza
all’ufficio trattazione atti e viceversa, dovevano passare in mezzo a
due ali di agenti che continuavano a menare calci, pugni, sgambetti, insulti, sputi. Nelle celle di sicurezza le persone non potevano stare sedute, ma dovevano stare in piedi con la faccia al muro, le braccia alzate e le gambe divaricate,
tanto che molti hanno avuto malori e conseguenze anche a medio-lungo
termine per la posizioen imposta. Senza contare gli episodi di violenza
fisica e verbale gratuiti. A questo punto i fermati venivano
rilasciati, non dopo essere stati fotosegnalati dalla scientifica (dove
però non avviene nessun episodio di violenza), mentre gli arrestati
passavano nelle mani della Polizia Penitenziaria, dove il trattamento nelle celle continuava: divieto di andare in bagno o l’accompagnamento con pestaggi e umiliazioni; violenze gratuite; minacce e intimidazioni continue. Dalle celle gli arrestati venivano immatricolati senza consentire loro di avvisare i familiari o i propri consolati,
poi vengono perquisiti e visitati nella stessa stanza, dove agenti e
medici li trattano con violenza e scherno. Poi tornano alle celle e
infine tradotti ai carceri, alcuni dopo oltre 30 ore di permanenza nella struttura temporanea senza cibo e acqua. Per molti l’arrivo in carcere è praticamente una liberazione.

Per tutto questo i pm avrebbero voluto usare il reato di tortura, che però in Italia non esiste,
nonostante il nostro paese sia firmatario della convenzione delle
Nazioni Unite sulla tortura del 1989, che impegna i paesi firmatari a
tradurre in disposizioni di legge il contenuto della convenzione: a
venti anni di distanza nessuna legislatura è stata in grado di portare
a termine questo compito. Al di là di questa carenza i pm hanno deciso
di individuare e punire con pene più severe il cosiddetto livello
apicale, ovverosia i capi dell’ufficio trattazione atti, i capi del
sito di bolzaneto, dell’infermeria, del servizio di traduzione, dei
servizi di vigilanza alle celle: in pratica hanno ritenuto che il loro
ruolo di responsabilità e garanzia fosse più importante e quindi da
punire con più fermezza. Da questo livello hanno deciso di escludere il
responsabile formale del sito, il magistrato Alfonso Sabella che pure
vi era passato e che aveva a maggior ragione un ruolo di garanzia nei
confronti di chi transitava in quei siti. Ma la solidarietà di casta
non conosce confini. Viceversa hanno ritenuto che i livelli intermedi e
gli agenti che effettivamente sono stati i protagonisti dei trattamenti
fossero responsabili solo di episodi da inserire in un clima di
impunità da attribuire ai loro dirigenti. Eccezioni sono ovviamente gli
agenti individuati e riconosciuti con chiarezza come protagonisti di
singoli atti di particolare crudeltà: ad esempio Pigozzi che prende a
due a due le dita della mano di un arrestato, AG, e le divarica fino a
strappargli la mano. Il risultato finale sono una richiesta di pene (da notare che spesso i tribunali comminano pene inferiori alle richieste del pm) di circa 76 anni,
una sola assoluzione, ventinove posizioni in vista di prescrizione e
comunque entro i termini della condizionale, quindici posizioni con
pene un po’ più cospicue.

Tutti soddisfatti? Direi di no, per almeno due motivi importanti (e una miriade di motivi più triviali): in primo luogo queste
condanne equivalgono a meno della metà degli anni di carcere chiesti ed
ottenuti per le 25 persone accusate di aver partecipato agli scontri
della giornata
, e l’atteggiamento dei pm nei confronti degli
imputati è stato improntato a un garantismo e una prudenza esasperati,
tali che se non vi era prova certa del fatto e dell’identificazione di
un imputato come autore di quel fatto, si sono pronunciati sempre e
comunque per l’assoluzione (fermo restando l’ottimo lavoro svolto dai
pm nel clima di difficoltà che un processo contro le forze dell’ordine
rappresenta sempre). Non che nessuno sia interessato al fatto che
queste persone passino mille anni in carcere, ma una condanna più dura
in un caso come questo dove siamo alle porte della prescrizione sarebbe
stato un segnale più forte da parte della procura rispetto a quanto è
avvenuto e quanto avviene tutti i giorni (vedi sotto). E’ facile capire
come chiunque sia passato da Bolzaneto e non abbia denunciato quello
che vi avveniva lo faccia in malafede e si renda corresponsabile di ciò
che è accaduto. Mettete nell’equazione i campi dove tenevano i
desaparecidos in Argentina al posto di Bolzaneto e vedrete che i conti
tornano. Ma la giustizia si fa garante dell’onere della prova della
commissione di un reato solo quando questo reato è esercitato da chi
sta tra i ranghi del potere: infatti per le 25 persone accusate degli
scontri di piazza, non vi è stato alcuno scrupolo né nell’individuare i
singoli reati commessi, né nello scegliere un capo d’accusa che avesse
senso: servivano pene esemplari, e si è usato il reato necessario,
anche a dispetto della realtà. La conclusione amara a cui uno deve
giungere è che è meglio torturare come sottoposto centinaia di persone,
che non spaccare due vetrine o lanciare quattro sassi
: nel primo caso prendi 10 mesi e sei libero, nel secondo prendi 10 anni di galera.

Il secondo punto problematico è la motivazione per le pene contenute
richieste per gli esecutori materiali: secondo i pm le condizioni della
caserma di Bolzaneto sono state eccezionali, nella commistione di
diverse forze dell’ordine, nella poca chiarezza degli ordini, nella
concitazione di quei giorni. Questa straordinarietà ha convinto i
procuratori a non chiedere la recidività delle condotte e a chiedere in
prima persona l’applicazione della sospensione con la condizionale
della pena. Il problema è che quanto
è avvenuto a Bolzaneto non è per nulla eccezionale, ma è la prova
vivente di quanto avviene tutti i giorni in moltissimi luoghi del
paese, nelle caserme, nei centri di permanenza temporanea, nei carceri
e alle volte (si vedano i casi recenti di Aldrovandri e di Sandri per
citarne due) anche nelle strade.
Bolzaneto è la rappresentazione
dell’anima nera di una buona parte delle forze dell’ordine, della
sensazione di chi veste una divisa di essere al di sopra della legge e
di poter esercitare arbitrariamente il proprio potere su tutto e su
tutti, in particolare su coloro che sono detenuti (o comunque
"ristretti" nella loro libertà come i migranti in un CPT o i fermati in
una cella di sicurezza della questura). L’arroganza e la prepotenza di
moltissimi (non tutti, ci mancherebbe, non facciamo della facile
demagogia) membri delle forze dell’ordine è un dato di fatto, e
qualificare Bolzaneto come eccezione forse non rende un grande servizio
alla possibilità che tutto questo cambi. Ma la strada perché le persone
si interessino veramente di come funziona il mondo che le circonda e di
come si esercitano il potere del controllo e della repressione è ancora
molto lunga. Bolzaneto in questo senso è un’occasione persa, alla
ricerca di infilare tutto sotto il tappeto considerandolo come un
episodio terribile ma isolato.
Il male è molto più ordinario di quello che piace pensare.

Maggiori Informazioni: supportolegale.org

Questo articolo è stato pubblicato originariamente su carmillaonline   e precaria.org