Una vittoria, molte preoccupazioni, una chicca

11 Febbraio 2008 5 commenti

 

Una partita piuttosto brutta, come brutte e tignose sono state quasi tutte le partite di questa giornata di campionato, ma che riusciamo a portare a casa, nonostante tutto. Il primo tempo è inguardabile, con un solo tiro in porta, di Izco, al 35esimo. Il secondo tempo è caotico e non bello, ma il Catania abbassa il ritmo e il Mancio punta sul tridente. Il risultato promuove la scelta, con un gol in posizione irregolare di Cambiasso e il raddoppio regolarissimo di Suazo (non me la menate, che non sono certo gli episodi più dubbi della giornata), ma parecchie ombre si scorgono all’orizzonte.

Dietro Julio Cesar è praticamente senza voto, le fasce sono presidiate da quattro terzini e la carenza di spinta si fa sentire: da quando esce Jimenez per Pelé, a destra ci sono Burdisso-Zanetti, a sinistra Maxwell-Chivu. La coppia centrale Cordoba-Matrix al momento è incredibilmente meno determinata e determinante di Samuel+unoqualsiasi, e a centrocampo anche Cambiasso uno e trino non può fare argine da solo. Infatti sulla mediana non esiste né filtro né impostazione e il duo Cruz-Ibra sta davanti ad aspettare spioventi e cercare di fare il miracolo. 

A un certo punto il Mancio decide di provare il tutto per tutto, toglie un Chivu  opaco per un Suazo alla ricerca del gol in un tridente. Complice la riduzione del ritmo degli avversari, iniziamo a giocare un po’ di più e il Catania soffre, fino a che non li infiliamo. Il secondo gol chiude la partita e per giustizia graziamo Polito altre volte. Se non si guardano i tabellini in cui contano come tiri anche quelli sugli spalti, il Catania ha tirato una volta sola, noi almeno 7-8. Fine della discussione.

Le preoccupazioni sono relative allo stato generale della squadra: dopo la pausa si pensava a un richiamo di preparazione e quindi a qualche partita sulle gambe, per poi rodare la formazione tipo in vista della Champions e dello scontro diretto. In realtà delle partite post pausa abbiamo giocato bene solo le due partite con la Juve in Coppa Italia, mentre in campionato abbiamo giocato tra il male e il così-così. La formazione non è mai stata la stessa, tra infortuni, ricadute e cartellini improvvidi, e si vede, perché il gioco non ha nessuna fluidità. Spero in qualche miracolo di società e staff tecnico in questi prossimi dieci giorni, ma ho la sensazione che soffriremo di brutto. Speriamo per il meglio.

La chicca è che devo iniziare a ripensare la mia poca propensione per il Mancio, dato che dopo la stoccata sulle vedove, oggi mi ha dato la più grande soddisfazione degli ultimi anni di media sportivi: dire in diretta a un controcampo infarcito di rossoneri a tessere peana alla squadra del Presidente Silvio, che il motivo per cui si parla sempre in determinati modi del Milan e in altri dell’Inter ha una forte relazione con  chi paga gli stipendi dei collaboratori e redattori della trasmissione. Impagabile, e purtroppo troppo vero non solo nello sport. Grazie Mancio.

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Il cinema classista di woody allen

9 Febbraio 2008 Commenti chiusi

 

Sogni e Delitti è il contrappasso di Match point: tanto il secondo era ben riuscito e interessante dal punto di vista anche "di classe", tanto  il primo è retto solo da due grandi interpretazioni e lascia adito a una logica classista dominante, con grande delusione del sottoscritto.  Il film si impernia tutto sulla buona prova di Ewan McGregor, comunque in continua ascesa, e sulla prova veramente notevole di Colin Farrell (che al sottoscritto e a chi lo conosce ha ricordato una nuova incarnazione sullo schermo di krikap!! :), ma il resto lascia un po’ a desiderare. Il ritmo della prima parte di film è molto scadente, anche se migliora nella seconda, ma a parte il giallo non rimane in bocca nulla di retrogusto. Alla fine della fiera se in Match point a pagare era la high class inglese e a farla da padrona la prolet Scarlett Johansson (che in sé comunque vale sempre il prezzo del biglietto per ragioni puramente estetiche :), in Sogni e Delitti la spunta il più falso e ipocrita, in una storia di soli uomini, in cui le loro donne svolgono un ruolo peggio che comprimario, di un sessismo veramente fastidioso (belle, stupide o sapide, comunque sfruttatrici dell’iniziativa maschile).

Voto: 5,5

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Milano A. Brandelli

9 Febbraio 2008 1 commento

 

Qualche mese fa ho partecipato insieme al mio socio, biondillo, e un po’ di altri autori milanesi a una serata in quel di xxy, a niguarda, a parlare dei libri che abbiamo scritto, di Milano, delle sue trasformazioni, della necessità di un risveglio culturale e "morale" in senso civico e settecentesco della città. Tra gli autori presenti c’era anche il giovane Andrea Ferrari, con il suo libro Milano A. Brandelli. Io l’ho preso, per curiosità e per cortesia nei confronti di un neoautore alle prime armi esattamente come me, ma poi colpevolmente l’ho lasciato nel mio ripiano dei "libri ancora da leggere", dove è stato seppellito da altre letture. In questo momento di rintanamento post-odontoiatrico ho avuto il tempo e il piacere di leggere il suo libro, ma purtroppo non ho nessuno contatto con lui, quindi il commento che mi accingo a fare, spero gli sia girato da qualche comune conoscenza, invitandolo da subito a prendere con le pinze quello che scrivo, dato che non ho né il titolo, né la competenza per fare il vecchio trombone. E’ da intendere come un commento schietto, di chi comunque si è gustato il libro.

Andrea Ferrari è un ragazzo più o meno della mia età, forse qualche anno in meno, che gira negli stessi luoghi e nello stesso contesto culturale e sociale in cui bazzico io, con la notevole  differenza che è milanista e che lavora in un centro per anziani, e durante i tempi morti scrive. Il protagonista del libro, una sorta di ibrido tra il giallo psicologico e il noir metropolitano, è il suo alter ego, che però di mestiere fa l’investigatore privato da strapazzo e per hobby lo scrittore di un libro che ha per protagonista tale Andrea Ferrari. Carino il gioco ironico di rimandi, parte del viaggetto psichiatrico che penso sia stato uno degli stimoli principali a scrivere il libro, insieme alla voglia di raccontare le sensazioni legate al vivere a Milano.

Onestamente si fa un po’ fatica a entrare in sintonia con il libro e il personaggio, a volte un po’ troppo tratteggiato, nonostante gli ampi monologhi interiori del protagonista. Ci si gusta le atmosfere e i personaggi secondari, ma ho avuto la sensazione che il linguaggio fosse a volte forzatamente scurrile per darsi un che di giovanile, e a volte gergale ai limiti della comprensione. Molte cose non le capivo manco io, probabilmente in quanto modi di dire non tanto di una fascia generazionale, ma di una determinata compagnia, linguaggio in codice esoterico per definizione e che di norma fa parte degli stili di un certo gruppo di persone e del livello di accettazione in tale gruppo. Superato però il primo terzo del libro ci si affeziona al personaggio e al suo socio il Pisa, anch’egli divertente ma vero e proprio side-kick del protagonista. A quel punto si vuole vedere la fine della storia, che in sé è assolutamente e volutamente ordinaria: non ci sono trame shockanti o colpi di scena, e tutto finisce nel più regolare e logico dei modi, perché l’attenzione del lettore si deve fissare, almeno io l’ho interpretata così sul modo di vita e sui valori del protagonista e sulla sua interazione con gli altri e con la città, in un piccolo viaggio all’interno del mondo dell’autore e in una vista della metropoli spesso dimenticata a favore delle sue versioni cronachistico-giornalistiche.

Insomma, il libro si legge piacevolmente, ma come me, penso che anche Andrea sappia che di strada da fare sulla via del diventare uno scrittore ce n’è. [ripeto, vale pure per noi, ma l’importante in fondo è che lui si diverta come ci divertiamo io e il mio socio, e che chi lo legge passi qualche ora piacevole, no?]

Voto: 6

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Rosso italiano blackswiftiano

6 Febbraio 2008 5 commenti

 

Cercando di andare a ritroso e ripescare gli ultimi libri che ho letto per condividerli, ritrovo Rosso Italiano di Massimo Rainer, pseudonimo di un penalista milanese che sospetto di conoscere pur non avendone prove definitive. Il romanzo ha un ottimo ritmo e si legge in un battibaleno, e lo stile di scrittura è affine allo stile che usiamo io e il mio socio su blackswift: diretto, rapido, possibilmente crudo, con personaggi che stanno a cavallo della nostra collettiva vita reale e delle possibilità neanche troppo remote per quanto inverosimili. Intriso vagamente di politica, anche se con il piglio buonista dei più avanti negli anni che finiscono per mettere sinistra e destra un po’ nello stesso calderone, o forse con il punto di vista cinico che cerca di astrarsi dalle facili tipizzazioni. Cade nel tranello del Grande Vecchio di cataldiana memoria che noi non apprezziamo, ma tutto sommato non strania nel libro. Altamente consigliato.

Voto: 7

PS: post super rapido in dirittura di arrivo per l’estrazione del dente del giudizio, compatitemi. 🙂 

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Immanuel Kant protagonista occulto di due libri

5 Febbraio 2008 Commenti chiusi

Continuando nella giornata di recensioni, recupero terreno parlando dell’ultimo libro che ho letto e del suo antecedente: I giorni dell’Espiazione e Critica della Ragion Criminale di Michael Gregorio, pseudonimo dietro il quale si celano una coppia di professori di Spoleto (lui tedesco, lei originaria della cittadina). Del loro esordio, ho apprezzato l’intuizione geniale e il titolo, la possibilità che una intelligenza come quella del pensatore tedesco si fosse confrontata con i meandri più torbidi dell’animo umano, con l’origine della violenza e del crimine. Ho apprezzato molto, in entrambi i libri, il fatto che il protagonista – il procuratore Hanno Stiffeniis – fosse in realtà una guida alla lettura, un punto di incontro dei veri personaggi principali dei romanzi, nel primo decisamente il filosofo e nel secondo il colonnello Lavedrine, insieme alla moglie del procuratore Helena (anche qui le citazioni classiche si sprecano e sono gradevoli camei). 

La trama di entrambi i libri scorre molto bene, direi meglio nel primo che nel secondo in cui intorno alla metà del libro è fin troppo evidente dove si va a parare (anche se ciò non toglie nulla alla voglia di finire il libro), e lo stile di scrittura è forse un po’ piano (nel senso senza eccessi e trasporti particolari), ma penso che questo non sia un limite per la leggibilità del libro, anzi tuttaltro. Quando trovo libri molto ben scritti, con uno stile ricco, ho la tendenza dannata a perdermi nelle parole, e spesso a dimenticarmi dell’intreccio, cosa che in un giallo storico sarebbe un vero peccato. Lo stile del duo spoletano (si dice così?) aiuta a godersi il libro e la trama. In alcuni passaggi sono rimasto stupito dalla precisione teutonica di alcune descrizioni: ad esempio io mica so che tipo di fiori crescono nei prati dietro casa mia, figurati se posso essere certo che nelle pianure settentrionali della Germania crescono le calendule… Diciamo che mi fido, ma ammiro l’attenzione al dettaglio! 🙂

Anche nel secondo libro la guida all’interpretazione del libro è costituita da Immanuel Kant – e anche l’esca per attrarre il lettore – che guida i rapporti tra il procuratore prussiano e il colonnello francese, le loro diatribe sulla libertà, sui diritti dell’uomo e sulla interpretazione della realtà. In entrambi i libri lo sfondo del giallo è la condizione dell’uomo, del suo spirito, delle sue pulsioni, come affacciare Kant e la letteratura sulla psicologia. Piacevole senza dubbio.

Nel secondo libro, più che nel primo, la faccenda si fa più politica che psicologica, e infatti il duo si spinge su terreni scivolosi, ma che sembra dominare. Forse per un limite mio, il comparire della tematica antisemitica mi mette sempre sul chi va là, proprio per l’uso specioso e strumentale che troppo spesso viene fatto di questo argomento delicato e importantissimo per la nostra storia moderna (soprattutto da parte degli ebrei di Israele e dei loro sostenitori). Tutto sommato mi pare che i due professori dominino bene l’argomento e anzi penso che offrano qualche assist a una lettura meno convenzionale del dramma del popolo ebraico (forse facendo un po’ il verso, o almeno l’ho letto io così) proprio a quelle persone che strumentalizzano in maniera totalmente irrazionale e scorretta la tragedia della Shoah (io ho interpretato così il delirio di Aaron Jacob sulle particolarità frenologiche della popolazione ebraica e sulla loro connessione con il loro fato di vittime).

Ci sarebbero molte cose da dire, e non è mai una buona idea parlare di due libri in una recensione sola, ma posso certamente dire di consigliare entrambi a chi ama il genere storico e il genere giallo: non porteranno via molto tempo (io li ho letti in un paio di giorni a tomo) e vi lasceranno un buon sapore nel cervello 🙂 

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American Gangster

5 Febbraio 2008 1 commento

 


American Gangster
è un film come tanti o poco più tra le migliaia di mega produzioni americane. L’unica sua vera funzione è confermare che il meglio di sé Ridley Scott lo ha già dato a cavallo tra gli anni 70 e gli anni 80, con pellicole memorabili e che rimangono pietre miliari (imho) della storia del cinema. Dal 1992 in poi ci ha offerto solo kolossal di spessore molto modesto e ai quali è stato garantito successo più dal suo nome e dal suo talento che non dal loro valore effettivo (anche come holliwoodianate volendo).

La storia è interessante e il taglio che gli viene dato dimostra che il buon Ridely non è certo un regista qualunque, ma è troppo poco per goderselo: nessun accenno razzista, e puntini sulle i spostati opportunamente sul rapporto tra modello americano (economico e sociale) e dualità legalità/illegalità. Da questo punto di vista la regia è interessante, perché non oppone i nergi spacciatori ai bianchi salvatori, ma un mix più complesso di soggetti che interpretano le porzioni più oscure del sogno americano: l’autista che diventa boss grazie alla determinazione e allo spirito di iniziativa, ma che conserva quel bigottismo usa nonostante sia il principale rifornitore di droga sul suolo statunitense, droga che fa arrivare con ampio cinismo grazie alle coperture dei militari in vietnam pagati a suon di migliaia di dollari (l’ultimo carico è veramente una chicca di crudeltà nei confronti di chi ancora ci crede al sogno americano); il poliziotto violento ma incorruttibile che ripulisce il marcio non tanto dalle strade quanto dalle istituzioni di polizia americane; gli agenti federali corrotti e che mettono l’immagine davanti alla lotta al crimine; i boss italiani che odiano un altro boss non tanto perché fa più soldi quanto perché mette in crisi il loro consolidato modello sociale. Questo aspetto registico sottolineato come di consueto nei film di Ridley dalle battute finali dei protagonisti, che didascalicamente impongono una certa lettura del film, è comunque ciò che porta il film sopra la media.

Frank Lucas: "why should they [the other bosses] witness against me?"  
Richie: "because aside from the fact they hate you personally, they hate what you represent"
Frank: "I don’t represent anybody but Frank Lucas"
Richie: "exactly, you represent progress, the kind of thing they won’t be able to survive to"

La citazione è a memoria quindi non sarà proprio letterale, ma dà l’idea. 

Il resto del film tiene bene la tensione e si lascia gustare. Tutto dignitoso, sopra la media il montaggio e ovviamente la regia. Forse la conclusione poteva essere più sviluppata, ma poi si andava oltre le due ore e mezza di film e la sintesi è sempre un valore aggiunto nel cinema di massa. Tutto sommato me lo sono goduto, anche se l’estasi di pellicole come Blade Runner e Alien rimangono lontane ere geologiche.

Voto: 6/7

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Into the wild

5 Febbraio 2008 1 commento

Riprendo la sana abitudine di postare delle pseudo recensioni di libri che leggo e film che guardo, vediamo quanto mi regge (dipende soprattutto da cosa accade al contorno :).


Into the Wild
è un film che si fa guardare con piacere, anche se mi aspettavo molto di più. Gran parte dei meriti del film stanno nella sceneggiatura che non è originale, e quindi di fatto non stanno nel film, ma in cosa l’ha ispirato: una storia molto americana e molto umana, nel senso di atavica, la ricerca dei limiti dell’essere umano in una società che questi limiti li ha nascosti e li nasconde quotidianamente per illudersi di essere immortale. Tutto il resto del film, che dovrebbe fare la differenza con il libro da cui è tratto, e che è altamente consigliabile, non spicca il salto necessario.

Nel dettaglio, un po’ tutto sembra all’insegna dell’ostentazione di qualche tocco di pseudo sperimentalismo, abbandonato nel deserto dell’ordinarietà. La regia è modesta, e solo qualche accorgimento fa sorridere più che altro per la sua pretenziosità nel credere che risolleverà l’intero film e per la sua ingenuità: gli aerei che ci accompagnano tutto il film e che continuano a sottolineare la distanza tra quello che il protagonista cerca e la sua reale condizione. La fotografia è interessante per le parti dinamiche (discesa nelle rapide, movimenti della camera e via dicendo) ma la parte paesaggistica, che dovrebbe essere la forza di metà del film, rimane un po’ appannata e priva di energia, almeno dal mio punto di vista, ma forse è una scelta di Sean Penn. La recitazione è ostentata e per nulla convincente: il protagonista sembra mettersi in mostra per diventare il nuovo River Phoenix, sorriso Durbans a denti bianchissimi e tre vestiti diversi al giorno anche quando è due anni che gira senza soldi per mezza America: un po’ inverosimile no? Ok, gli sponsor, ok, l’estetica americana, ma mi pare un po’ tirato. Il montaggio è interessante anche questo nella parte dinamica, ma per il resto non dice molto: anche gli inserti à la Tarantino 70s dei tagli verticali con diverse scene sembra più qualcosa che serva a dire "vedete anche noi possiamo fare le cose strane" che non una scelta stilistica. Che dire poi delle due volte in cui il protagonista guarda attivamente in camera, completamente estemporanee considerata la scelta del resto del film? Solo bah.

Come detto del film salvo decisamente solo la sceneggiatura (che ci evita la storpiatura del finale come accade in molti film targati USA) e la musica, il resto si aggira nei dintorni dell’appena sufficiente. Il film si fa guardare, e nel panorama delle schifezze che il cinema ci propina è ancora entro la soglia di dignità, ma si poteva fare certamente di meglio.

Voto: 6

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Rigore regalato, vittoria meritata.

3 Febbraio 2008 4 commenti

 

Lo striscione della curva che inaugura la partita "Dopo anni di stampa asservita, silenzio stampa tutta la vita" risulta profetico: infatti domani riprenderanno i caroselli che cercheranno di dare un’idea falsa di questa partita. Leggeremo migliaia di battute sul rigore inesistente dato all’Inter al 33esimo del primo tempo e nulla sul resto dell’operato di arbitro e guardalinee (soprattutto) che definire scandaloso è un complimento al termine scandalo. Tagliavento andrebbe sicuramente fermato, ma non tanto per il rigore a nostro favore, sulla cui azione è lontano e ingannato dal movimento a braccia larghe di Vannucchi, quanto per il resto della direzione di gara con cartellini buttati lì un po’ a caso, si ha l’impressione più per compensare l’errore che non per dirigere correttamente la partita. Lo stesso fallo di Vieira ho molti dubbi che ci fosse, tantomeno che fosse da punire con l’ammonizione, anche se il francese non si ricorda di non giocare più nella juve e quindi di non potersi permettere di mandare a cagare l’arbitro. Sicuramente nel finale un tocco di mano volontario e un pestone a gioco fermo su Julio Cesar varrebbero l’espulsione di Pozzi, ma anche in questo caso Tagliavento tiene i cartellini nel taschino. Ma il vero danno della partita è il guardalinne lato Sud (non so chi fosse) che non vede che sul rigore Vannucchi prende la palla con il lato della testa, e segnala decine e decine di fuorigioco inesistenti contro l’Inter, di cui uno clamoroso a centrocampo in cui Cruz è tenuto in gioco da due giocatori lontani almeno dieci metri. Di tutto questo si dovrebbe parlare, e non del rigore in sé, certamente inesistente. Una partita giocata per l’ennesima volta in dieci che testimonia che la vittoria è meritata, nonostante l’errore arbitrale che dà ragione dell’1-0.
Mancini certamente ci mette del suo schierando la squadra a caso: parte con il rombo, poi non funziona e dopo dieci minuti sposta Jimenez ala destra (che ha sempre fatto cagare in quel ruolo) e Vieira ala sinistra (!!!!!!), un ruolo in cui in quindici anni di carriera non ha mia e dico mai giocato. Dietro prima mette Matrix e Burdisso centrali, poi arretra Zanetti terzino, poi mette Rivas terzino destro, poi lo sposta centrale, un vero delirio. La squadra macina male e portiamo a casa il risultato grazie a uno strepitoso Julio Cesar (migliore in campo e non solo per aver parato il rigore che poteva dare il pareggio alla squadra di brocchi gobbi e rossoneri di Malesani) e a un Ibra generoso quanto deciso a non andare in porta da solo. Partite così adombrano il buon ritmo che si stava prendendo, e speriamo che sia l’ultima, perché uscendo dallo stadio rimane solo l’amaro in bocca di non mettere a tacere i nostri detrattori.
Veniamo ai giocatori: di Julio abbiamo già detto, oltre al rigore, para due conclusioni di Pozzi e Buscé veramente velenose su cui è coperto, esce bene e con tempismo e non si fa mai sorprendere. La vera sorpresa del reparto è Tyson Rivas, che è molto meno brocco di quello che sembra, con due piedi molto migliori di Cordoba che mette in evidenza con un paio di lanci millimetrici per Ibra. Come terzino non vale niente, ma come centrale sembra dare i suoi frutti. Zanetti come terzino fa il suo ma ormai pare completamente addestrato al centrocampo, da cui fa anche un paio di discese con le quali potrebbe segnare se non avesse fatto voto di non tirare mai in porta penso dalla sera della finale di coppa Uefa. A sinistra Chivu come terzino mi piace, e Maxwell dimostra uno stato di forma decente, anche se dovrebbe imparare a passare la palla prima e non farci cagare addosso con quel tocco in più che può regalare all’avversario una ripartenza. Matrix sembra essere tornato sui suoi livelli e questo è una grande conquista.
A centrocampo Vieira è il fantasma di sé stesso, quando poi è spostato come ala sinistra scompare dal campo per riapparire nell’azione dell’espulsione: l’azione per me non è fallosa e tantomeno da giallo, ma il francese non capisce che dopo un giallo si sta muti e si riprende a giocare, regalandoci la terza partita su quattro in dieci uomini. Cambiasso gioca per quindici persone e se Julio non meritasse di essere l’uomo partita, lui sarebbe il successivo candidato. Fino a che resta in campo Stankovic fa vedere il meglio di sé con aperture di gran classe e tiri che ci fanno rimpiagere la sua presenza. Esce dopo meno di 50 minuti per un problema alla coscia: speriamo non sia grave, perché sarebbe una brutta tegola perderlo di nuovo. Jimenez è impalpabile e quando viene spostato laterale di destra se ne sancisce la definitiva scomparsa dal campo: è come Burdisso a centrocampo, Mancini non la vuole capire, ma Jimenez è un giocatore da una sola posizione: dietro le punte.
Davanti Ibra gioca per tre, anche se come sempre anziché tirare indugia cercando il compagno. Fino a che c’è Cruz la cosa funziona e nessuno teme nulla davanti. L’ingresso di Suazo al rientro da un lungo infortunio muscolare dovrebbe essere la mossa giusta: dare profondità alla squadra in inferiorità numerica con lanci lunghi e galoppate. In realtà l’honduregno non scatta mai, non fa salire la squadra e sbaglia delle palle gol incredibili: partite come queste fanno pendere il bilancio del suo acquisto verso il bidone anziché verso l’affare. Speriamo si rifaccia.
In questa giornata in cui ci conquistiamo con i denti e con il culo una vittoria, la Roma perde a Siena, come ogni volta che ha giocato fuori casa dopo aver accorciato il distacco dall’Inter (v. Empoli-Roma 2-2): forse la boria fa peggio alla Roma che non la stampa all’Inter. Chiudo con la previsione di un meritato e gaudente nuovo silenzio stampa, e con la speranza di un buon lavoro in settimana dei nerazzurri per prepararsi alle prossime partite: non siamo sicuramente al massimo e dobbiamo esserlo entro il 19 febbraio.

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Barbarie o civiltà?

3 Febbraio 2008 3 commenti

Ieri a Cosenza, nonostante sia il luogo meno raggiungibile d’Italia dopo il Gennargentu e nonostante la scarsa disponibilità alla mobilitazione delle persone in media, c’erano 15-20 mila persone a manifestare la propria solidarietà per un processo assurdo e costruito sul nulla cosmico. Un buon risultato, di cui chi si è sbattuto per organizzare il corteo può andare orgoglioso. Come nel caso del 17 novembre a Genova dal punto di vista giudiziario sposterà poco, ma dal punto di vista politico – se non fossimo in piena emergenza democratica –  conterebbe qualcosa.

Approfittando del tour irlandese del mio socio, lo precedo nel pubblicare un suo articolo su Il Manifesto, che fa un po’ il punto sui processi e cerca di riproporre un ragionamento che insieme avevamo già sviluppato nei periodi migliori dal punto di vista della riflessione dell’esperienza di Reload, ormai conclusa. Infatti potete leggere i prodromi di questi ragionamenti nel reader di Chainworkers – una cui versione aggiornata e ragionata dovrebbe uscire tra marzo e aprile per Agenzia X con il titolo "Il Libro di San Precario" – e in alcuni dei folder che costituiscono una delle parti più interessanti della vita collettiva di Reload, in cui si spargeva ai quattro venti e distribuiva online e in tutto il quartiere briciole di ragionamento con cui risvegliare le persone che ci incrociavano. Valgono la pena di un occhiata.

 

Un movimento alla sbarra
Dal G8 del 2001 a oggi sono numerosi i casi
in cui la magistratura ha cercato di trasformare le lotte politiche in
azioni puramente delinquenziali

Simone Pieranni

Milano, Roma, Bologna, Firenze, Genova e
Torino. Ma anche Nuoro, Benevento, Brescia, Caserta, Lecce, Catania,
Cosenza, Rovereto, Cecina. Precariato, G8, antifascismo, anarchici,
blocchi stradali. Metropoli e provincia, lotte sociali e iniziative.
Dal 2001 quasi tutto è unito da un unico elemento: il tentativo e la
necessità di difendersi nei molti processi che – dal G8 genovese in
avanti, fino ad oggi – hanno tenuto occupato gran parte del movimento,
così ampio e composito, fino al luglio 2001. Per questo forte,
attraente e portatore di novità. L’esatta collocazione storica del G8
genovese – così come le sue conseguenze – deve ancora essere inquadrata
in modo organico e storico. Sicuramente, nella vita quotidiana di spazi
sociali, militanti, attivisti, ha segnato uno spartiacque, un decisivo
momento di passaggio, sia per quanto riguarda le mobilitazioni di
massa, e la loro eterogeneità, sia per la criminalizzazione, via via
crescente, delle lotte sociali e dei suoi protagonisti.
L’impatto
emotivo e giudiziario seguito a Genova ha dato vita a numeri da
capogiro, una sfilza di nuovi reati prodromici al blocco totale circa
la possibilità di contestazione dello status quo, un impegno costante e
stancante per gli attivisti e le organizzazioni: difendersi, mantenere
intatta la memoria storica e rilanciare le grandi battaglie sociali. Un
compito arduo, con numeri di partecipanti via via in diminuzione, con
la fine dell’esistenza di molti spazi sociali (a Milano il dato è
macroscopico) e la progressiva atomizzazione dell’attivismo (basti
pensare alla crisi di Indymedia e al trionfo dei blog di movimento):
impegni continui su più fronti giudiziari, a confondersi e insistere
con le nuove tecnologie di controllo sociale, sempre più distribuito,
unitamente alla militarizzazione del territorio e alla riduzione delle
lotte sociali a mero e semplice gestione dell’ordine pubblico. La
repressione è soprattutto questo: processi, accuse, reati, che mirano a
criminalizzare ogni tentativo di opposizione, rilancio e memoria
storica o difesa dei propri diritti, vedi Acerra, le lotte No Tav e le
recenti gestioni dell’emergenza rifiuti. Non contano i colori politici,
le appartenenze: a Genova, e da Genova, nasce una nuova strategia
repressiva. Viene tirato fuori, dopo molto tempo, il delitto di
devastazione e saccheggio. Dal 2001 è stato utilizzato oltre che a
Genova, a Milano e a Torino. Un reato che prevede pene altissime e che
riduce le lotte sociali ad azioni delinquenziali fuori tempo massimo e
soprattutto, quasi, comuni. Un passaggio ideologico decisamente
interessante, dopo anni e anni di reati associativi appioppati, e
accade ancora, come niente fosse. Un reato che segna un cambiamento
generale in tema di controllo sociale: chi si oppone allo status quo, è
un devastatore, un saccheggiatore, un delinquente, un barbaro, un
incivile, un corpo non da estirpare in quanto antitetico, ma da isolare
in quanto aberrante. Un reato fortemente ideologico. Devastazione e
saccheggio, ma non solo, basti pensare alla difese dai fascisti che
diventano, per le procure, rapine, violenze private, resistenze. I
filoni, si parla di circa novemila persone sotto processo solo nella
stagione berlusconianafino al 2005, cui poi si sono aggiunti i sindaci
sceriffi e legalisti di sinistra, interessano tutti i gangli attraverso
i quali il movimento tentò di esprimersi nel luglio 2001:
contrapposizione alle politiche liberiste, lotte sociali riguardanti il
tema della precarietà (e con esso il diritto alla casa, ai servizi, al
reddito), le lotte anti repressive degli anarchici, le lotte dei
migranti.
Per gli anarchici, sempre bastonati, non si è trattato di
un’inversione di tendenza: da sempre l’intelligence italiana, prima
della prima repubblica, durante e dopo, ha mirato a loro in ogni
situazione di difficoltà. Per loro il trattamento è sempre lo stesso.
L’operazione più vistosa è stata la cosiddetta Operazione Cervantes: il
27 luglio 2004 furono perquisite un centinaio di persone, di cui 34
indagate per «associazione sovversiva, terrorismo ed eversione
dell’ordine democratico» (270/270bis), mentre 4 furono gli arresti.
L’indagine era finalizzata all’individuazione degli autori degli
attentati all’istituto scolastico Cervantes e a una caserma di Roma nel
2003 e al tribunale di Viterbo nel gennaio 2004.
Nel filone
repressivo post G8, non manca la criminalizzazione di chiunque si
occupi di precarietà (lavorativa, sociale, di esistenza): ecco i
processi contro gli attivisti della MayDay del 2004 a Milano, il
processo per l’esproprio proletario del 6 novembre a Roma, gli
innumerevoli processi per azioni contro la guerra, il reddito, i
migranti e la casa (Bologna, Roma e Firenze ultimamente con le condanne
a 7 anni per chi manifestò al consolato Usa del 13 maggio 1999). Anche
in questo caso le mosse delle varie procure, sembrano inserirsi nel
solco ideologico delle nuove tecniche repressive: disconoscere il
primato politico delle varie forme di opposizione, per sancirne la resa
giudiziaria delinquenziale e tramutare ogni affaire politico in ordine
pubblico, il controllo in militarizzazione, la quiete sociale con la
delazione, per favorire forme sperimentali – basti pensare alla
prossima introduzione degli steward negli stadi – in cui ciascuno è
controllore degli altri e via via di sé stesso, consentendo il trionfo
dell’atomizzazione e della morte sociale.

Cosenza: domani altra prova di memoria

1 Febbraio 2008 Commenti chiusi

 

Domani, 2 febbraio, a Cosenza si terrà un corteo per rispondere a uno dei vari tentativi di seppellire la nostra memoria collettiva in una marea di fango e di verità giudiziarie improntate alla falsità e alla voglia di condannare molta gente per dissuaderne altra dal fare le stesse cose (ad es: ribellarsi 🙂 Lo so, lo so, è difficile raggiungere Cosenza, e dal Nord è una vera odissea, più o meno lo stesso motivo per cui nei cortei fatti nel Nord dell’Italia, di gente dal Sud più Sud ce n’è sempre troppo poca. E’ uno dei tanti riflessi di una questione italiana che non accenna ad essere risolta nonostante le decine di anni passati: quella meridionale. Nonostante questo, se avete un po’ di tempo e un po’ di energia da spendere andare a Cosenza dovrebbe essere tra le vostre priorità: provateci.

A Cosenza un pm ha accolta la richiesta di sbirri e canazzi che per mesi si sono aggirati per l’Italia cercando un padrone per un fascicolo così schifoso da non essere accettato da nessun pm. A Cosenza Fiordalisi ha trasformato un cumulo di suggestioni, mezze parole, accuse e pregiudizi in un teorema cospiratorio più o meno a livello di pericolosità pari ad Al Qaeda, portando a processo 13 persone ree (nel caso, ma per alcuni manco quello) di aver organizzato delle manifestazioni al Sud e di aver convinto le persone a partecipare a Genova, un momento fondamentale nella storia della fine della democrazia nel nostro civilissimo paese. Convincere le persone a protestare per la magistratura cosentina si chiama associazione sovversiva con la finalità dell’eversione dell’ordine democratico: un po’ forte letto così no? Figuratevi se poteste leggere le fandonie su cui si basa l’accusa, le mezze telefonate scherzando, le mail con scritte stupidaggini su cui gli autori avranno riso per ore, prima di ritrovarsele nel fascicolo come prova di una attempata associazione. Il corteo di Cosenza serve per ricordare a un po’ di persone che non tutti si bevono i litri di stronzate che ci raccontano ogni giorno. Forse Caruso, uno degli imputati, doveva riuscire a far passare in parlamento una revisione del reato di resistenza, per cui quando resisti a qualcuno che ti sta sulle palle allora non è reato. Mezzo movimento sarebbe assolto e gli sarebbe stato grato. 🙂 

Leggete tutte le informazioni necessarie sul sito: http://www.cosenza2febbraio.org

 

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