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La Lega dei Citroni: cortine

1 Aprile 2010 Commenti chiusi

 

Mourlino manda in campo come previsto un 4-2-3-1 abbastanza equilibrato: preferisce il Capitano d’Acciaio a sinistra per contrastare l’ottimo Krasic e un Matrix versione Mondiale per annullare Necid, mentre in mezzo da fiducia al vitello del Drago e alle geometrie del Pelato. Davanti dentro tutti e pedalare.
Il CSKA schiera sul campo tre cortine: un muro di gomma in porta, un muro d’acciaio in difesa e un muro di cespugli in grado di allungare a volte rami e spine a centrocampo. Davanti un palo, Necid appunto.

Il primo tempo noi subiamo i soliti dieci minuti di effetto musichetta mortifera: il Capitano si fa irridere più volte da Krasic, mentre il Colosso sgretola il muro d’acciaio che opponiamo alle folate vegetali delle loro ali con troppe iniziative individuali fini a se stesse. E’ più forte di me: mi fa incazzare vedere un giocatore che potrebbe essere il migliore in campo cercare solo highlights e sollucheri personali, anche quando ha un compagno a tre metri in posizione migliore. Il Drago ha il vitello mannaro come al solito e fatica a prendere le misure, ma non soffriamo: se fino ad oggi comunque avevo dei dubbi sul senso del termine Fabbri Medianacci, stasera ho capito tutto. Fine primo tempo: CSKA 15 falli, di cui uno assassino su Wesley, noi 7. Giochiamo un primo tempo modesto con molti errori dovuti a poca concentrazione e pochissima grinta davanti. Non va.

La ripresa vede un Inter priva del famoso vitello, smaltito l’effetto malefico ingegnerizzato dai nostri nemici giurati, e il CSKA scompare dal campo. Le cortine salvano i sovietici da un’imbarcata di gol, insieme alla sfiga che ci contraddistingue in sto periodo e alla scarsa ferocia negli ultimi 16 metri: il Principe ci prova da ogni angolazione fino a trovare il gol, sigillando una grandissima gara; la Pantera – a dire il vero un po’ imprecisa – sfiora due volte il gol, con il primo tiro che viene salvato sulla linea in acrobazia da un maledetto russo; il Leone si fa rimpallare svariati tiri, assiste, crossa, ne combina di tutti i colori, ma non riesce a buttarla dentro, facendosi addirittura parare un tiro incredibilmente dalla schiena del Pelato; l’Olandesina addirittura mette a sedere tutti – dopo aver qualche azione prima addirittura fermato un contropiede avversario con uno stop letteralmente di culo – e poi incredibilmente di destro spara sull’esterno della rete dopo aver spiazzato il portiere; anche il Drago – a grandissimi livelli nei secondi 45 minuti – e il Pelato sfiorano il gol da fuori; addirittura pure Matrix di testa. Allucinante. Il gol di Necid su assist in pallonetto all’80esimo e rotto sarebbe una beffa ingiusta. Infatti ci pensa Julione, stasera finalmente attento. 

Purtroppo finisce solo 1-0 e c’è da mangiarsi le mani, ma c’è anche di che essere orgogliosi per la prova complessiva della squadra. Dopo i primi 30 minuti siamo saliti in cattedra e non siamo scesi più, a conferma che in questo periodo giochiamo bene, anche se raccogliamo meno di quanto meritiamo. Mourlino ha ragione, lo dicono i fatti. La vecchia Inter d’Europa resiste solo i primi dieci minuti di molte partite e a volte rischiamo di pagarli cari, ma i restanti 80 minuti sono un altro mondo. Il tour de force ora continua: non c’è tempo per pascersi di questo risultato. Tra meno di tre giorni c’è di nuovo la Serie di Oz. 

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Blood’s a Rover – Il Sangue è randagio – La Storia è umana

29 Marzo 2010 Commenti chiusi

 

Ho appena finito uno dei miei regali di compleanno, il nuovo romanzo di Ellroy, a detta di tutti il migliore dai tempi di American Tabloid. E in effetti hanno ragione questi tutti, dato che il libro è una bomba atomica in pieno territorio americano, ma non solo. Una fucilata alle ideologie da un lato e all’umanità dall’altro. 

Lo stile è immenso: non penso ci sia una frase più lunga di una riga in tutto il testo. Non c’è necessità di orpelli: è tutto trama, è tutto immediatezza, è tutto percezione, emozione, oggetto. Non sono necessarie mille parole per descrivere alcunché riguardi la realtà e gli uomini. Veloce, avvolgente, attorcigliato su sé stesso: il narratore, la storia, il contesto sono tutti vittime degli stessi aggettivi per descriverli. Novecento pagine senza una pausa di riflessione, senza il tempo di pensare, senza il tempo di decidere. 

Ellroy disseziona un quinquennio della storia americana e mondiale in cui lo scontro tra chi credeva ancora in una rivoluzione possibile e chi la osteggiava come l’Apocalisse era senza esclusione di colpi, in cui ogni azione era giustificabile in nome di una Causa o della repressione di un’Idea. Ci trascina nelle vite di bianchi e neri, di rossi e neri, permea lo scontro dell’umanità che lo ha generato e che ci domina, e così facendo lo annulla. Ne esce un affresco totale sull’umanità della Storia e di quanto viviamo, su quanto le nostre vicende altisonanti siano frutto di sentimenti ed emozioni, di calcolo e di avidità, ma sempre alla fine – e fino in fondo – del nostro essere umani. 

Le ideologie sono morte, al momento hanno lasciato il posto alle loro macerie e a uno schermo che ne proietta il riflesso riempiendo la vita della maggior parte delle persone di esistenze fittizie e virtuali. Ma l’umanità è ancora lì che cova, e prima o poi esploderà in tutta la sua terribile bellezza. E noi troveremo nuovi nomi da darle e nuove Idee per catalogarla, ma alla fin fine se non sapremo intuire l’umano – troppo umano – torneremo al punto di partenza. 

Voto: 9

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Inter in Wonderland: destino cinico e Morganti (aka baro)

28 Marzo 2010 3 commenti

 
E’ il giorno del big match. Per l’ennesima volta: burini scenografi da una parte e eroi nerazzurri dall’altra. In gioco c’è la riapertura definitiva del campionato, o meglio del campionato dei burini, dato che in ogni caso alla fine dei 90 minuti i ragazzi di Mourlino sono davanti anche se di misura. Scendono in campo le formazioni titolari, entrambi gli schieramenti non lasciano nulla di intentato.

Il copione della partita era largamente preventivabile, dato che la Roma ha giocato così le ultime 20 partite: 30 minuti di gioco tonico e intenso (soprattutto a centrocampo), poi discesa del ritmo e speranza nel colpo gobbo. Infatti nei primi 30 minuti i burini cercano la rete per poi chiudersi in 15 in difesa come insegna il canuto signore che li guida: i nerazzurri ci mettono del loro, regalando un numero francamente eccessivo di punizioni dal limite, complice uno dei grandi protagonisti della serata, manco a dirlo (nemo profeta in patria fui) l’arbitro Morganti. Ogni fallo interista viene sanzionato con la dovuta severità, ma ciò stranamente non accade con i padroni di casa: alla fine collezioneremo 7 ammoniti (che con le precedenti due partite portano a qualcosa come 17-18 il totale in 270 minuti, uno score allucinante che non può essere solo farina del nostro sacco) contro i 2 della Roma (che Perrotta, Menez e Vucinic abbiano finito il match ha dell’incredibile).

La Roma pesca il jolly grazie a una papera dell’Acchiappasogni con ovvio rimpallo favorevole sulla gamba di Samuel prima e di De Rossi poi. Poi scompare. Sale in cattedra la corazzata nerazzurra: un assedio che porta a una traversa del Muro che non viene ribadita in rete per sfiga (i soliti rimpalli a favore…), un rigore grande come una casa sul Principe che solo Morganti non vede e un altro intervento assassino di Cassetti sull’Olandesina (era rigore e rosso, anche se era allo scadere del recupero). L’Inter c’è, ma non basta a recuperare.

Rientriamo in campo con grande furia che si abbatte sulle barricate giallorosse: il Principe prende l’incrocio con una grandissima girata che viene deviata per puro caso da un difensore; ogni volta che arriviamo in area avversaria ci tocca tirare almeno tre volte per sperare che la palla non venga ammazzata di rimbalzi sul flipper della difesa giallorossa; poi finalmente il Principe scarica in rete l’ennesimo rimpallo (cominciato con un fuorigioco di Pandev per essere onesti). Pochi minuti e il Principe ha sul piede il 1-2, ma cerca di stoppare la palla anziché tirare. Sul rovesciamento di fronte Taddei appena entrato ciabatta il tiro che sarebbe destinato a uscire dalla linea laterale (neanche dalla linea di fondo), ma il rimpallo arriva dritto sui piedi di quel cadavere di Toni inspiegabilmente solo in mezzo all’area: 2-1 e ricomincia l’assedio.

La Roma gioca come il Siena in contropiede, e l’Inter schiaccia l’avversario nella sua metà campo. Tanto che il Leone ha una gran palla sui piedi ma non centra la porta, poi il Principe a tempo scaduto stampa l’ennesimo tiro sul palo grazie all’ennesima deviazione millimetrica del difensore. Finisce con la vittoria immeritata dei burini, che fanno giri di campo insieme al telecronista e all’Italia intera, che ovviamente ha vinto il Campionato del Mondo grazie alla sconfitta della capolista. Che capolista ancora è, giusto per ricordarlo.

Onestamente non ho nulla da rimproverare ai ragazzi se non qualche errore individuale (JC sul primo gol e Muro-Orco sul secondo), ma l’Inter c’è e gioca a calcio. Un ottimo calcio. Da un punto di vista del calcio giocato il pari a Napoli, a Parma o in casa con il Genoa sono stati molto più deludenti. Rimane l’amaro in bocca di non portare a casa punti e di ringalluzzire gli avversari. Soprattutto avversari con un calendario tipo almanacco dei puffi.
"Il destino è quel che è, non c’è scampo più per me" diceva un grande attore in un grandissimo film; peccato sia un destino cinico e baro. Baro che ha un nome e un cognome, Morganti: non traggano in inganno la mancata espulsione di Chivu (sarebbe stata meritatissima per il pestone) e il gol in fuorigioco, perché una partita in cui noi abbiamo 7 ammoniti e la Roma 2 non rispecchia quello che si è visto in campo, senza contare i rigori negati e le decine di decisioni con metro ad essere generosi casalingo prese dall’arbitro. Se la capolista ha il 50% in più di gialli, rossi e rigori contro rispetto alle sue dirette inseguitrici nessuno può credere che non ci sia del marcio. La soluzione è una sola: essere due volte più forti degli altri. D’altronde è il concetto di libera concorrenza e di fair play che c’è nel Paese dei Cachi. Altrimenti saremmo una democrazia, no?

 

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Inter in Wonderland: la riscossa contro il nulla che avanza

25 Marzo 2010 Commenti chiusi

 

Il Nulla avanzava ingoiando tutto ciò che incontrava lungo il suo cammino. La nube scura avvolgeva Appiano Gentile, Milano, l’Italia. Non provocava danni, semplicemente faceva sparire punti, vittorie, buonumore e – dettaglio non trascurabile – la civiltà. Il Mago Mourlino e i suoi eroi non potevano certo sottrarsi a questa epica impresa: ricacciare indietro il Nulla e riconquistare il Mondo alla Primavera. Nonostante l’affaticamento dell’Olandesina Volante e del Principe, nonostante la squalifica dell’appannato Drago, nonostante la mononeurite galoppante di PessiMario. Come al solito, nonostante tutto.

In campo la difesa di quattro scudetti fa quasi integralmente: l’Imperatore JC, il Colosso smunto (prima sgroppata oltre la linea di centrocampo al trentesimo del primo tempo), Matrix e Speedy Gonzales, il redivivo Crystal Caschetto-mio-non-ti-conosco Chivu. In 90 minuti un paio di azioni sulla sinistra finite tra le braccia di JC e le gambe dei centrali: gli amanti del Caciucco agenti del Nulla che avanza è tutto quello che valgono.
In medio campus: il Gattone di Marmo più amato dai nerazzurri, il geometra Pelato e il Capitano d’Acciaio alla tremilionesima partita consecutiva in Serie A.
Davanti: finalmente il Leone libero di azzannare chiunque in area di rigore, assistito da uno strapazzato Panterone e dal Figliol Prodigo della Quaresima, a cui finalmente sono entrati in circolo gli anticorpi anti-trivela, guarendolo quasi definitivamente dal male incurabile. Addirittura sarà applaudito e ricambierà i tifosi del primo anello: segno che l’Amore regna sovrano pur non essendo a Milanello.

Per trenta minuti di partita il Nulla sembra destinato a inghiottirci per l’ennesima volta, ma sono gli artigli del Leone aizzati dal Felino Marmoreo a squarciare il Velo di Maya: palla sul sinistro, rientro sul destro e palla sul palo più lontano. Uno. Passano pochi minuti e ci riprova su assist del Figliol Prodigo. Rubinho si supera. Poi è il turno della miglior sortita della Pantera sulla sinistra: il cross dal fondo sembra fuori misura, ma dalla nube oscura del Nulla sbuca il Leone a testa in giù e con una rovesciata di rara bellezza buca di nuovo la porta sotto la Nord. Due. Fine dei giochi.

Le due squadre si accordano per terminare la gara: il Nulla si ritira in buon ordine e lascia spazio allo scintillio delle armature nerazzurre. C’è spazio anche per Calimero che come al solito prima ancora di toccare la palla prende un giallo inutile, per Marika che fa il compitino senza strafare e per il Muro in versione cavallo pazzo sulla fascia contro il Male.  C’è spazio anche per un forse immeritato gol – considerata l’accidia – del Colosso, che quasi non esulta considerato il Gentlemen Agreement con gli amaranto.

L’importante era vincere. Vincere contro il Nulla e contro tutti gli altri. Prima del novantesimo un boato scuote lo stadio al gol dei crociati parmensi contro l’Amore e tutti i suoi derivati, con i giocatori che si guardano intorno sbigottiti mentre fanno melina a centrocampo. Finalmente rompiamo l’incantesimo della pareggite che ci aveva narcotizzato consentendo al Nulla di avvolgere il Mondo – e forse se fosse stato solo per la Terra dei Cachi non sarebbe stato neanche male. Ora guardiamo avanti. Ni un paso atras!

NDR: in un giorno come quello di oggi, anche se i media se ne dimenticano, uno slogan come questo non è per nulla secondario; chi non lo sa consulti qualche sito argentino su che cosa sia il 24 marzo.
 

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Inter in Wonderland: la terza guerra mondiale

21 Marzo 2010 Commenti chiusi

 

I nerazzurri scendono in campo stanchi per la grande prova di Stamford Bridge e tutto sommato consapevoli di non poter più sbagliare. Il Mago Mourlino giustamente non si fida dei roboanti messaggi a mezzo stampa di giocatori e allenatori rosanero e schiera una formazione equilibrata (forse troppo). Infatti gli aquilotti siculi giocano praticamente tutta la partita in 12 dietro il pallone in pieno stile serie C: altro che bel gioco arioso e aggressivo, catenaccio della peggior specie, ma alla fine quelli che giocano male siamo solo noi, per definizione.

Dietro la difesa titolare, in mezzo un Drago spompato, un’Olandesina in serata non europea e il Pelato. Qui il primo limite: su ogni pallone troppo molli, e come al solito la grande legge del rimpallo contro che ai nerazzurri è sempre stata cara. Nonostante tutto i ragazzi spingono e dopo dieci minuti arriva il primo rigore per l’Inter da un mese e mezzo a questa parte: il Principe insacca e si respira. Purtroppo come già successo in passato anziché affondare il colpo decidiamo di controllare la gara: non raddoppiamo, sprechiamo e al primo tiro in porta i rosanero pareggiano.

I sessanta minuti restanti vedono un solo copione: Inter che spinge, Inter che sbaglia, Inter che prima di arrivare al tiro deve fare 800 passaggi. Non abbiamo problemi di gioco, ma paradossalmente di finalizzazione. Assurdo con un trio di attacco come il Principe, la Pantera e il Leone. Nei sessanta minuti restanti il Palermo si attacca come una cozza al contropiede, sfruttando per ben tre volte il rinvio dopo un nostro calcio d’angolo e per altre tre volte un fallo sul nostro portatore di palla non rilevato dal solerte Damato. Ma anche così i tiri in porta restano pochi e i pericoli altrettanti.

Finisce 1-1 con l’arbitro che per non rischiare che l’Olandesina scodelli l’ennesimo pallone in mezzo all’area fischia con 10 secondi di anticipo la fine della partita. Proprio solerte. Un po’ alla De Santis dei tempi d’oro: il match finisce con 5 ammoniti tra i nerazzurri, dando l’idea di una gara violenta e scorretta, una specie di Terza Guerra Mondiale che però non ha lasciato morti e feriti come dovrebbe invece essere. Forse perché è frutto della fantasia della terna. Soprattutto vista solo da un punto di vista dato che Bovo – già ammonito per il fallo da rigore – rifila impunemente una gomitata in faccia al Principe senza manco vederla sanzionata con una punizione.

Capiamoci: se si fanno 10 punti in 8 gare c’è poco da recriminare e non sono certo i due punti di stasera a mancare dal computo, ma quelli di cui ci si è accontentati a Parma, o quelli non guadagnati con uno squallido 0-0 casalingo contro il Genoa. Dopodiché si possono fare mille ragionamenti, ma vedere domani la Squadra dell’Amore davanti a noi, nella settimana delle Elezioni dell’Amore e nel giorno della Manifestazione dell’Amore contro l’Odio e l’Invidia, è un insulto alla razionalità del mondo e della storia. Già digerire l’ingiustizia nella vita è difficile, se questa invade anche il mondo della passione e del divertimento l’amarezza raggiunge il colmo. E la rabbia sale.

In ogni caso sono serviti quelli che davano per scontato il primo posto in campionato. Sono serviti quelli che ritenevano il campionato già vinto. Io non ci ho mai creduto e tuttora penso che sia più facile perderlo che vincerlo il torneo.
Domani è finalmente il giorno dell’Apocalisse. Mi auguro che abbiate tutti la coscienza a posto. Io più che altro sono incazzato come un caimano. E non so quando mi passerà.

PS: l’Apocalisse è stata rimandata per decreto interpretativo.

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Absolutamente fantastico

19 Marzo 2010 1 commento

 

Questi sono pazzi veri. Absolutamente fantastico.

 

http://www.youtube.com/watch?v=ekleAf52q80

 

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La Lega dei Citroni: ne resterà soltanto uno’o

17 Marzo 2010 2 commenti

 

Mourlino armeggia con i controlli della sua astronave, guarda negli occhi i suoi astronauti e legge loro la formazione. Serrata, offensiva, accorta, determinata. Poi dice solo poche parole: "miei navigatori dello spazio nerazzurro, facciamogli un culo così!" (francesismo più, francesismo meno). Per la prima volta si accorge di una delle necessità fondamentali della squadra nerazzurra: non cagarsi in mano, giocare la palla. Quindi fuori il vitello perenne del Drago-di-Latte-in-Europa (e lo dice uno che lo ama alla follia e che ha apprezzato il suo ruolo nel secondo tempo) e dentro la capacità di muovere la biglia dell’emiplettica Statua di Sale.

Diciamoci la verità: il massimo in cui ognuno sperava all’inizio della partita era tenere lo 0-0 fino in fondo. Infatti al primo minuto mi giro verso i compagni di visione e esulto: sessanta secondi e siamo ancora qualificati!

L’Inter entra in campo né troppo bassa né troppo alta ed è il Chelsea a giocare con meno foga di quanto ci si aspettasse. Infatti dopo una decina di minuti di studio prendiamo in mano la partita. Non si tira molto in porta, e quando i giocatori vestiti di blu arrivano dalle parti della nostra area l’Orco, il Muro, il Colosso e addirittura la Statua di Sale in corsa si immolano come razzi lanciati dalla plancia del Mago Mourlino. Drogba e Anelka sentono degli strani straaaap dietro la schiena e non si accorgono che i nostri difensori si sono muniti di velcro anti-chelsea incollandosi alle loro schiene. Solo negli ultimi dieci minuti della partita rinculiamo. Nessuno lo dice, ma dopo il primo tempo c’è molta più fiducia.

Il secondo tempo inizia e noi siamo molli come fichi sui primi palloni. Poi saliamo in cattedra: l’Olandesina non marcato da settanta persone come in Italia, ma aiutato dalla Statua di Sale e dal Pelato (in grande spolvero), scodella quattro volte l’uomo solo davanti al portiere: la Pantera incespica (e fa una prestazione così-così), il Principe perde il rimpallo giusto (ma corre per tutta la partita come un ossesso), la Statua di Sale alza incredibilmente di testa sopra la traversa. Sono passati settantacinque minuti.

Nella testa adesso scorre il solito film: adesso teniamo lo 0-0 fino al novantesimo e poi prendiamo la pera della sfiga atomica. Invece l’Olandesina serve di nuovo in profondita il Leone, che nel primo tempo aveva sbagliato un tiro a incrociare decisamente accessibile, e Bumaye corre, corre, corre, e poi con l’esterno fotte il portiere blu sul suo palo. 0-1. Non ci credo. Sgomento dei cronisti, in lutto come se fosse morta tutta la loro famiglia. Siamo ai quarti. Il restante quarto d’ora è accademia dominata dall’inossidabile Capitano d’Acciaio, nervosismo blu e un quasi 0-2 del Leone d’Africa, dedicato a chi non aveva capito che quando il gioco’o si fa duro’o ne resterà soltanto uno’o.

Mourlino ha due palle tetraedroniche, sbordano abbondantemente nella quarta dimensione. E un culo misurabile solo in parsec. Se la gioca e se la porta a casa. Fa quello che da anni l’Inter non era mai riuscita a fare: vincere due volte contro una big europea e passare gli ottavi con merito e comandando i match. Lo fa grazie ai giocatori che lo seguono e che si compattano intorno al loro condottiero, a dispetto di chi pensa di essere sempre meglio di tutti gli altri, delle regole, della competizione equa. Mourlino sa che cosa succede qui da noi, lo sa bene, come lo sappiamo noi. Da questa partita tiriamo fuori la determinazione per fare il culo a tutti. In-cre-di-bi-le.

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Inter in Wonderland: cemento disarmato

13 Marzo 2010 4 commenti

 

Catania è la prima di tre trasferte decisive per la stagione. Tutti i tifosi sono convinti di dover cominciare con il piede giusto. Anche Mago Mourlino lo è, e ispirato da un dirigente sportivo noto per la sua propensione ad “abbassare i toni” e a mostrare il lato migliore della trinacria (quello dell’avvertimento mafioso), decide di trasformare gli eroi della tavola nerazzurra in gargoyle di cemento. Purtroppo l’incantesimo gli riesce a metà, forse complice la distanza dal campo forzata da tre giornate, e i nostri eroi sono fatti si di cemento, ma friabile e scarsamente adeguato a reggere una struttura di qualsiasi tipo, un cemento disarmato e disarmante.

La formazione schierata all’inizio si avvicina a quella che qualsiasi allenatore della domenica (o forse in questo caso si dice del giovedì?) avrebbe messo in campo: dopo il forfait di Gatto di Marmo Motta (imbarazzante il suo ruolino di marcia quest’anno, peggio di quello che anche i più pessimisti temevano), del Bambino (idem con patate) e di Supermario le scelte erano abbastanza obbligate. Forse qualcuno avrebbe azzardato la Trivella dal primo minuto e il Leone punta centrale per far riposare il Principe. Ma questa è accademia.

Chi si aspettava di mettere subito la partita sul binario giusto è presto deluso: il rombo dei nerazzurri a centrocampo tiene una distanza massima tra ognuno dei suoi componenti di metri 2,5 lasciando il campo interamente al Catania; in particolare il Drago sembra avere il pannolone già pieno al solo pensiero di prendere l’aereo per la perfida Albione, e costringe Marika a un doppio lavoro che merita un encomio. L’Olandesina è marcato a tripla X e il Pelato un po’ meglio degli ultimi tempi – e dopo due giornate di riposo ci mancherebbe pure. Dietro Matrix sbava spessissimo e il Colosso pare un paraplegico (su ogni angolo del Catania è il suo uomo a bucarci e rischiare il gol). Totale: Inter zero tiri in porta, Catania due volte con l’uomo solo sul dischetto del rigore. Non prendiamo due pere solo grazie allo spirito kamikaze dell’Orco che si immola due volte.

Nel secondo tempo rientriamo e giochiamo finalmente 15 minuti a calcio, grazie incredibilmente alla Trivella e al suo dinamismo. Primo errore del Mago Mourlino: fuori il migliore in campo Marika, anziché uno spento Dragone. In ogni caso il pressing paga: combinazione Leone-Principe e ci portiamo in vantaggio. E nuovo errore: riarretriamo il baricentro della squadra, accontentandoci e preparandoci a 30 minuti di sofferenza, ma pigliamo gol con un redivivo – sempre noi specialisti in zombi – Maxi Lopez.

Secondo errore Mourliniano: fuori il Pelato per un Calimero ormai completamente avulso dalla squadra, un vero e proprio disadattato calcistico, che riesce a battere il suo stesso record. In due minuti: due gialli, uno più imbecille dell’altro, e rigore per il Catania, che si porta in vantaggio. Altro cambio ad minchiam: fuori il Drago per una Pantera semovente – nel senso di quasi immobile. In contropiede prendiamo la terza pera. Game over.

Chi si aspettava una settimana trionfale dimentica che siamo una squadra votata all’autolesionismo e alla sofferenza. Ora sì che i punti lasciati per strada – penso a quelli con il Parma e con il Genoa prima di tutto – si fanno sentire e ti martellano le tempie. Ora con la prospettiva concreta di trovarsi secondi in classifica alla fine di questo miniciclo, molti rivaluteranno le proprie affermazioni delle ultime settimane (sia chi dava per scontato lo scudetto, che chi inneggia alla CL a prescindere da tutto). Mourlino ha sbagliato tanto stasera, ma il problema è che i giocatori vivono nell’ossessione di martedì, che a questo punto è un terno al lotto in termini di cosa potrebbe succedere e di quali potrebbero essere le conseguenze, in ogni direzione. Una vera ruolette proprio nel momento cruciale della stagione, quando gli errori diventano più difficili da recuperare.

La mia impressione è che si sia guardato con troppa sufficienza all’interno dei nostri confini, lasciando la sicura strada vecchia per la nuova (e come dice il detto sappiamo cosa abbiamo lasciato ma non cosa troveremo). Un po’ di determinazione e saremmo ancora a +4 se non di più. Invece domenica sera saremo quasi certamente a +1 con una trasferta proibitiva – considerate le nostre ultime prestazioni – come Palermo. Inoltre vedo i nostri in una condizione fisica penosa e la cosa non mi lascia presagire nulla di buono.

Possiamo sempre inventarci un bicchiere mezzo pieno: Mourlino sull’1-1 ha deciso di giocarsi il tutto per tutto, nella speranza che una eventuale – e puntualmente verificatasi – sconfitta potesse trasformarsi nella leva per scardinare l’accidia della squadra e la sua afasia psicologica in questo momento.

Dai, su, autoconvinciamoci: non è crisi inter, è colpo di genio Mou. Anche perché altrimenti sono volatili per diabetici. 2010 di merda.

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Inter in Wonderland: questione di rispetto

8 Marzo 2010 3 commenti

 

Diciamocelo: i segnali c’erano tutti.

Motta che fa il malato immaginario; la divisa del centenario che ormai ha sinceramente fatto il suo tempo; Preziosi che fa il nostro addetto stampa. Le ultime epifanie sono clamorose: Mourlino in skybox è adagiato su un cuscino e ben al calduccio sotto una copertina nerazzurra; e le nostre due concorrenti per il titolo non vanno oltre lo 0-0 dandoci un’ottima scusa per pareggiare senza remore.

Per ottanta minuti in campo ci sono solo delle figurine: da un lato il Genoa più orrendo che si sia visto negli ultimi cinque anni; dall’altro un Colosso smunto, un Calimero che sembra un paraplegico, un’Olandesina a corrente alternata, un Leone miciesco, un principe mezzo ranocchio, una Pantera con le coliche e un Supermario tornato nell’alveo della propria gemma, scomparso insieme alla Primavera che aveva fatto capolino nelle lande innevate del nord italia.

In tutto si e no due tiri in porta (uno per parte) e un paio fuori dallo specchio. Uno scandalo. In panchina c’è Beppe Barbapapà Baresi e non il Mago, in campo ci sono 11 mozzarelle crociate, cosa che non cambia al momento delle sostituzioni. Il fatto che si cominci a giocare praticamente in concomitanza con l’ingresso in campo della Trivella non deve trarre in inganno: lui non c’entra nulla, anche perché dovremmo altrimenti dedurre anche una funzione cruciale a Speedy Gonzales terzino sinistro.

E’ una mera questione di rispetto: sugli spalti ci sono 40-50mila sfigati che stanno prendendo un freddo della madonna, per vedere giocare a calcio i propri beniamini. Giocare a calcio. Non fare finta.

Se avevano tutti deciso per un pareggino che ai nerazzurri non costava nulla – mantenendo imbattutto il record casalingo di Mourlino, senza farsi recuperare alcun punto dalle dirette inseguitrici – e che ai genoani faceva gran comodo per alimentare i sogni europei, forse bastava avvisare della torta anche i tifosi e risparmiare loro il supplizio di novanta minuti di niente.

I dieci minuti finali un po’ più vivi li possiamo archiviare sotto la voce "antisgamo" nei confronti dell’Ufficio Indagini della Figc. Parliamoci chiaro: sono due punti buttati; senza alcuna giustificazione che sia atletica, nervosa o di altro tipo. Speriamo di non doverli rimpiangere. E qui diamoci tutti una bella grattata di palle per chi può (oppure di tette sinistre per chi non può).

Avrei preferito una partita di curling tra pinguini.

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Si può dare di più

6 Marzo 2010 Commenti chiusi

 

Ho preso il libro scritto a quattro mani da Biondillo e Monina con discrete aspettative, purtroppo deluse. Un libro su Milano scritto dall’autore di Quarto Oggiaro mi evocava la speranza di racconti che traccino una biografia apocrifa del presente urbano e metropolitano. Invece mi sono trovato di fronte a un piccolo (piccolissimo) diario di viaggio, con qualche elucubrazione interessante di Gianni e il cinismo ostentato e insistito di Monina (bello il sarcasmo, eh, ma 150 pagine di diario sarcastico veramente non si regge, ndr). Abbastanza noioso, anche per uno che Milano la conosce e quindi si orienta nel libro. Il voto nei pressi della quasi sufficienza è dovuto soprattutto alla mia stima per Gianni. E a un paragrafo dove racconta l’esperienza di un professore che insegnava nella scuola dove insegno io a Quarto Oggiaro quest’anno: commovente e vero. Sarebbe bastato estendere questo a tutto il resto del libro per renderlo preziosissimo. Storie di vita e scorci di città.
Attendo con fervore un altro giallo quartoggiarese, vero must della sua produzione libresca.


Voto: 5/6

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