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Archivio per la categoria ‘cinema’

Leonida, l’epica e il colore

24 Marzo 2007 Commenti chiusi

 

L'epica inneggia eventi e valori tutto sommato universali, in un mondo relativo e di relativi particolari. Un racconto epico è tale perché può fare appello a qualcosa che risiede nel profondo della nostra natura umana, della nostra natura sociale, psicologica, individuale, costruisce il mito, si appella alla nostra risonanza con esso.

La battaglia delle Termopili è un epica di guerra, di coraggio, di follia e di speranza disperata. I buoni autori sono in grado di sfumare l'epica con il colore della propria convinzione, di trasformarla in influenza culturale. I cattivi autori sono solo in grado di cacciarti in gola la loro visione del mondo, rendendotela più indigesta di quello che già potrebbe essere.

Il fumetto di Frank Miller è l'esempio dell'opera di un buon autore. Il film che ne viene tratto punta tutto sulle scene di battaglia per fare uno spottone neocon veramente stomachevole (non solo per la posizione politica indigeribile, ma soprattutto per la violenza con cui ti viene forzata negli occhi e nelle orecchie mentre sei in sala). L'omofobia d'accatto, il maschilismo e il patriottismo becero, gli inserti fantasy appoggiati a caso sulla tela del racconto, le aggiunte antistoriche necessarie solo a rappresentare più fedelmente un leonida-bush e un congresso di pacifisti pusillanimi e traditori dell'onore, giustificano la bocciatura di un film in cui non c'è nulla che tecnicamente valga la minima menzione cinematografica.

Peccato perché la storia del conflitto alle termopili è drammaticamente umana, racconta un coraggio che non ha a che fare con il colore dell'ideologia, ma solo con la dignità di essere umani e di combattere per le proprie idee e per ciò che si ama, fino in fondo.

Voto Complessivo: 5

 

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Categorie:cinema Tag:

I fratelli Coen meglio dei veggenti

22 Gennaio 2007 Commenti chiusi

L'ho trovato su virtualeconomics, ma mi ha fatto talmente pisciare addosso dal ridere che non sarebbe giusto non condividerlo, pensando al titolo del Time di quest'anno ("You.")

 

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Categorie:cinema, jet tech Tag:

Il vento che scuote il grano

19 Gennaio 2007 Commenti chiusi

 

Visto in lingua originale già gli merita un punto bonus nella mia personale classifica. Negli ultimi film Loach si lascia sempre andare troppo al dramma proletario, a volte perdendo di mordente. Non in questo: lucido, cattivo e spietato. Senza buonismi e senza facili giustificazioni di una cosa complicata come una guerra civile. Il parere di un mio anonimo amico irlandese spiega meglio di me perché mi è piaciuto questo film 🙂

" ….we were discussing it again last night. Very good, only depiction of the independence movement between 1919-1923 to have some credibility. Loach says that he was thinking of what's going on Iraq while making it, but separatist irish republicans see in it a story of betrayal currently being repeated by Sinn Fein. I think it works because of the fact that it's set in the countryside and this gives more space to the relations between the people rather than focussing on the urban guerilla etc. Thus we're shown the contradictions very simply, the complicity of the Irish soldier in the British army with the rebels (whom he helps to escape), the execution of a boy forced to inform on his comrades (one of the most common themes of Irish historical fiction), the cyclical character of the oppression (the British irregular army at the cottage at the beginning of the film, the free state army at the end). The movie was clearly influenced by a writer called Ernie O'Malley, who was military organizer of the IRA and then fought against the treaty. His "On Another Man's Wound" is the great account of the war of Independence.

So I liked it. And it's popular, also with less politicized people, and the comment you frequently hear is that 'it's a disgrace that it took an englishman to make a film like that about irish history…' ;)"

Voto complessivo: 7,5

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Categorie:cinema Tag:

L’arroganza, una virtù per pochi

6 Gennaio 2007 3 commenti

 

Ogni volta che esco da un film di Von Trier penso sempre la stessa cosa: il danese è una delle persone più arroganti del mondo del cinema di qualità (ovvero non hollywoodiano, tanto per sgrossare con l'accetta). La chiosa del pensiero è di solito che l'arroganza è una virtù che pochi si possono meritare, e il regista fondatore di Dogma 95 è sicuramente da annoverari tra questi. La consapevolezza della sua maestria nel maneggiare la sottilissima o meno distinzione tra finzione e realtà, tra morale ed etica, tra chi racconta e chi vede/legge/sente è l'origine della sua supponenza, che non ammette repliche.

Il Grande Capo è una lama di rasoio a volte un po' tirata per i capelli, omaggio a mille geni e in fondo in fondo soltanto a uno, il suo megalomane regista (d'altronde uno che si fa aggiungere Von al cognome non ha bisogno di altri biglietti da visita): Ionesco, Chaplin i più immediati, ma non mancano i ganci a mille dialoghi sentiti e risentiti in mille film, telefilm, canzoni pop di successo. Von Trier dispiega tutto il suo snobbismo senza darti la possibilità di sentirti alieno almeno a una parte di tutto ciò che stai disprezzando sullo schermo. Perfetto.

Il personaggio migliore? Ovviamente l'islandese che insulta praticamente per tutto il film i danesi… Come non essere d'accordo? Al limite LE danesi si possono concupire, ma senza mai dimenticare di odiarle un po'. Non li salva neanche il Lego 🙂

Voto complessivo: 8

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Categorie:cinema Tag:

I figli degli uomini

10 Dicembre 2006 4 commenti

Il soggetto (ovvero il libro originale di PD James) è ottimo, e Cuaron riesce bene a rendere l'idea di un futuro non troppo lontano e fin troppo simile al nostro presente.  Come nella fantascienza migliore degli ultimi anni (e anche degli anni passati se pensiamo ad alcuni libri di PK Dick) non è necessario sciorinare astronavi e teletrasporto per parlare del presente attraverso il futuro (che è poi un po' il sale della fantascienza e il suo compito più difficile).

Il film è ben realizzato, i colpi di scena reggono bene, e Clive Owen è un perfetto emulo di Deckard (chi non sa chi è non è degno di questo post :). Tra l'altro gli invidio molto l'impermeabile…

Quello che mi lascia un po' perplesso di questo film, è l'esatto opposto di quello che mi è piaciuto del Labirinto del Fauno (anche se parlare del presente è più difficile che parlare del passato e della historia magistrae vitae): la maggior parte dei film riesce molto bene a criticare l'estabilshment e i governi, anche perché di questi tempi è un po' come sparare sulla croce rossa, ma quasi tutti i registi e gli autori vanno in catalessi nel momento in cui devono parlare dell'uso della violenza e delle possibilità di rivolta. 

Mi pare di ravvisare in questo trend un'afasia terribile delle sinistre mondiali, che hanno gioco facile nel criticare le destre e i governi lontani, ma che dimostrano una totale incapacità di proporre un qualsiasi modello o di difendere una qualsiasi posizione leggermente conflittuale. Il film di Cuàron soffre della medesima sindrome: l'uso di ogni forma di violenza è sbagliato e porta al tradimento e allo sviluppo di tutto ciò che rappresenta il peggio dell'essere umano (e fin qui potremmo pure cinicamente essere d'accordo, dato che non pensiamo che esistano uomini buoni), l'unica possibilità di salvezza (inteso in senso stretto, cosiderata la conclusione con Madonna nera e pseudo bambin gesù) è l'amore e la pace che sconfiggerà il male.

Il moralismo di questa posizione pseudo politica è talmente rivoltante da non meritare commenti, ma soprattutto pecca di ciò che rende più inefficace ogni progetto: l'assenza di realismo e di una sana dose di cinismo. La soluzione è un po' troppo semplice per essere vera, e soprattutto è buona solo per un film o per un melodramma, non certo per chi è costretto a strappare ogni centimetro di sopravvivenza a calci, sputi e morsi.

L'idea che mi sono fatto è che l'afasia sinistroide nasconda molto semplicemente una visione troppo comoda della vita, e il segno di una sconfitta già consumata e senza alcuna prospettiva.

 

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Categorie:cinema, movimenti tellurici Tag:

Modern fantasy e storia

8 Dicembre 2006 1 commento

La pellicola di Guillermo Del Toro manifesta due influenze molto forti: il fantasy moderno della generazione di Neil Gaiman (il mostro della seconda prova di Ofelia è una citazione lapalissiana del Corinzio di sanmaniana memoria, e tutti i personaggi fantastici del film sembrano usciti da The Dreaming o da Fables della DC Vertigo) e la storia spagnola (e messicana, che per alcuni versi sono molto simili (almeno in alcune fasi della guerra civile che ha dilaniato di due paesi in periodi storici molto differenti).

Il Labirinto del Fauno è un ottimo film, ben girato e con ottimi attori; la sceneggiatura tiene alta la tensione se si eccettua qualche caduta in corrispondenza della parti più smaccatamente fantasy che risultano un po' calate dall'alto (la scena finale e un po' il c'era una volta iniziale). Il contorno storico è molto accattivante (per lo meno per chi ama la storia dei movimenti di liberazione e di resistenza) e alla faccia di Pansa e soci che tanto spadroneggiano sui media di questi tempi, mette al posto giusto partigiani e fascisti, e i loro reciproci modi di agire. Il colonnello pur nella sua esagerazione grottesca del finale è un personaggio che calza a pennello tutto ciò per cui il fascismo è stato spazzato via, e i personaggi partigiani (in particolare Mercedes) hanno dei guizzi molto umani.

Tutto il soggetto lo sento molto vicino (sia per il meccanismo misto di fantasy, noir e realtà storica che mi ha preso la mano in Rapsodia Monocromatica, sia perché il prossimo romanzo che volevo mettermi a scrivere ha un meccanismo narrativo molto simile), e soprattutto la predisposizione ad avversare ogni forma di potere e di cieca obbedienza mi ha dato molta soddisfazione (soprattutto per l'effetto sui tamarri paradestroidi che frequentano le sale del centro nei giorni di festa).

Ho concluso la serata con un ottima conferma della tesi del film su soldati e gente in divisa, intervendo per placare un controllore ATM che stava quasi mettendo le mani addosso a un ragazzino che non voleva dargli il documento. Appena sono intervenuto sono comparsi tre simpatici finanzieri che hanno pensato di intimorirmi chiedendomi i documenti. Vedendo che non funzionava sono passati a minacciarmi di farmi restare per 24 ore in caserma in attesa di accertamenti, e vedendo che neanche questo funzionava hanno cercato di intavolare una polemica dialettica che ha portato me a scompisciarmi dal ridere, e loro a rosicare amaro fino a quando, dopo aver visto la mia sfilza di precedenti ma l'assenza di motivi per trattenermi, hanno dovuto mollarmi. Il momento migliore è stato potergli dire, in risposta alla domanda "con tutti quei precedenti contro di noi, avevo ragione a voler fare accertamenti….": "maresciallo, quei precedenti sono tutti ampiamente giustificati. Arrivederci". La faccia intesita del maresciallo è stata impagabile, e sarebbe bello che Della Porta e soci interessati alla percezione di sé delle forze dell'ordine ammettessero le turbe psichiche e la voglia di esercizio arbitrario del potere che anima indistintamente chi porta una divisa.

Voto complessivo: 7,5

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Categorie:cinema, oscuro scrutare Tag:

You need an I

30 Novembre 2006 3 commenti

 

Tre giorni fa è arrivato a Milano Andres, un videomaker (in realtà fa montaggio e audio, ma non è rilevante questo dettaglio) argentino che ha realizzato insieme all'allampanato dj/regista Raphael il film/documentario I the film, che parla di argentina, indymedia, e movimenti. In realtà questo è quello che c'è scritto nella sintesi per attirare le persone, ma il film, le cui riprese sono state girate nello stesso periodo in cui io ero a Buenos Aires, parla di tutt'altro.

Il tema principale del film secondo Andres/Raphael è il meccanismo reticolare con cui indy ha segnato un passaggio incontrovertibile delle forme di organizzazione politica. Secondo me invece questo è semplicemente uno dei quadri che dipinge il documentario, ma non è per nulla l'aspetto più rilevante.  Su indymedia ho visto produrre molte cose, alcune belle, altre delle ciofeche incredibili. Il film di Andres e Raphael ha il pregio di essere stato costruito con calma in 4 anni, e quindi di avere un punto di vista un filo più distaccato e meno agiografico di altri lavori che ho visto. Mi piace il modo in cui segnala le cose belle, e in cui non nasconde le cose che non sono riuscite o che potenzialmente non riusciranno. Un progetto è fatto dei suoi orizzonti e anche dei suoi limiti.

Ho rivisto moltissime persone che conosco nelle immagini, e mi sono ricordato delle scommesse che facevano i pibe di Lanus su quanto tempo ci avrei messo a tornare per una seconda visita. Io avrei scommesso sui due anni, ma intanto ne sono passati 4, e ancora non vedo alla distanza i soldi o l'occasione per tornare in un posto che per me è come una seconda casa. Ho riascoltato persone incredibili, che senza nascondersi hanno sempre cercato di dare il meglio di cui erano capaci per un sogno, quello di essere la voce dei senza voce. 

Il testo di Sebastian che ascoltate alla fine è un documento che si mandò alle liste internazionali di indymedia, al tempo in cui c'era una fronda italo-greco-latinoamericana contro i nordamericani che volevano prendere un finanziamento da Ford per non si sapeva bene quale fantomatica necessità economica. Il testo di Sebastian, che è il fondatore di indymedia argentina e uno dei migliori giornalisti e scrittori che io conosca, è uno dei testi più belli scritti su una delle due componenti fondamentali del sogno che c'era dietro il progetto di indymedia: essere uno strumento per amplificare la voce di chiunque combatta lo stato di cose presenti. Per un testo che inizi a rivelare anche l'altro pezzo del sogno potete provare a incrociare in un ibrido medio raro il film di Andres e Raphael e il mio post su indy di qualche giorno fa'.

Nel frattempo l'attuale collettivo di indymedia è andato avanti con il progetto che avevano delineato dieci giorni fa': una chiusura temporanea in attesa di spostare il sito altrove e di ridefinirne le funzioni (più che altro tecnicamente). Sulle liste si sono improvvisamente accorti che esiste un aspetto tecnico di manutenzione e finanziamento che non pensavano esistesse, e contemporaneamente si sono accorti di quanto l'attuale uso e abuso di indymedia sia lontano dal sogno che avevamo quando abbiamo cominciato. Il punto però non è una critica nostalgica di quello che mi sarebbe piaciuto, ma una visione un po' sarcastica del ritardo con cui si notano le dinamiche rispetto ai progetti che ci circondano. La sensazione che mi rimane addosso è che nessuno abbia un idea chiara di cosa vuole, e che anche la chiusura per quasi tutti sia più un atto di assoluzione indotta (se si lamenta qualcuno si riapre e si scarica la responsabilità di una scelta su chi si è lamentato; se non si lamenta nessuno allora ecco non valeva la pena continuare), facendomi pensare lontana la capacità di scegliere che è l'atto politico per eccellenza. Senza prendersi responsabilità non esiste dimensione né politica né progettuale.

Forse un giorno qualcuno andrà avanti con il lavoro che avevo iniziato a fare tre anni fa di raccolta e sistematizzazione di una storia delle liste, delle feature e del newswire, che rendesse merito di come il progetto di indymedia si andava evolvendo nelle sue dimensioni organizzative, ma anche nell'uso che se ne faceva o che non se ne faceva. Indymedia come bacheca non è un dramma, ma solo la rappresentazione della soggettività che la sta usando in questo momento. Certo se oltre a essere una mera bacheca, è pure una bacheca che funziona male, allora non ci siamo. Ma sistemare una bacheca rotta ha più senso che chiuderla per riflettere su come farla diventare una farfalla, senza la minima nozione di biologia.

 

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Categorie:cinema, movimenti tellurici Tag:

All tomorrow’s departed

15 Novembre 2006 Commenti chiusi

I defunti del titolo sono certamente i consulenti tecnici del buon Scorsese, che andrebbero mandati in siberia a spaccare il ghiaccio: tutto l'intreccio rimpinzato di infiltrati, controinfiltrati, pseudoinfiltrati, doppiogiochisti e via dicendo si regge via messaggi sms. Domanda: dobbiamo proprio essere italiani e aver seguito con passione il dibattito estivo sulle intercettazioni per sapere che gli sms sono probabilmente l'oggetto più intercettabile del mondo dopo le mail di hotmail? Risposta: no

A parte questa incongruenza che rende il film poco credibile, il resto funziona: la sceneggiatura e gli attori non sono male (Di Caprio e Nicholson uber alles, che pero' la vincono facile sul monoespressivo Matt Damon e sulla gatta morta Vera Farmiga), e l'azione regge. Fino a un certo punto regge anche la morale: la società moderna è composta di ratti senza dignità che cercano di fregarsi l'un l'altro in ogni momento. Se non fosse che l'unico a salvarsi è il comandante della polizia che muore martire ma onesto, e il suo collaboratore che lascia la polizia piuttosto che cedere i nomi dei propri informatori alla potenziale talpa nella divisione investigazioni. Insomma, sarà pur vero che gli sbirri sono tutti corrotti e imbecilli, ma alla fine sono meglio dei "delinquenti". Da parte nostra salviamo solo Mr French che si fa saltare in aria per non entrare nel mondo dei rats

Certo se non fossimo costretti a rigirarci nella sedia ad ogni messaggio via cellulare che regge il doppiogioco dei personaggi, o alla scena pietosa in cui una Vera piatta come una asse da stiro che mostra una ecografia con tanto di riconoscimento dei caratteri genitali del feto a Matt Damon, saremmo più contenti e crederemmo di più all'intreccio che stiamo seguendo. D'altronde non tutte le ciambelle escono col buco, e Scorsese poteva pagare qualcuno di meglio per spiegargli come funzionano gli apparecchi di telecomunicazione.

Voto complessivo: 6,5

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Categorie:cinema Tag:

Babel

31 Ottobre 2006 1 commento

Babel è il terzo film di Iñárritu (El Timbre non conta), dopo il superlativo Amores Perros e il buon 21 Grammi: la regia è eccellente, gli attori bravi, la fotografia precisa, la musica molto ben pesata, il montaggio senza pecche, la trama funziona, ma tutto sommato non convince. I temi sono lì, appaiono e scompaiono nel giro di un baleno, senza mai venire approfonditi: è come se Kubrick si fosse messo a girare filmini in casa anziché fare un film. Ha la decenza di non sbrodolare in un lieto fine a tutto tondo, ma il suo realismo accanito, la sua impietosa voglia di raccontare le cose come finiscono veramente e non come le si vorrebbe far finire nei sogni di Hollywood e dell'America tutta, non sono ai livelli che conosciamo. 

Provaci ancora, Alejandro. 

Voto complessivo: 6,5

 

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Categorie:cinema Tag:

In Italia ha sempre vinto la sinistra

29 Ottobre 2006 Commenti chiusi

Il film di Fascisti su Marte è quello che vi aspettate: una riedizione dei vecchi episodi, una parte centrale un po' tirata per le lunghe, un finale frizzante, e un sacco di risate. Non è consigliato per chi ha già visto Il Caso Scafroglia e non gli è piaciuto. E' consigliato a tutti gli altri. Il finale didattico ci sta tutto in un periodo in cui le persone che vivono intorno a noi (ben rappresentate dai MIMIMMI) non sono in grado di articolare un pensiero critico neanche a mutarli geneticamente. La battuta migliore: "è giusto rivedere la storia che è stata falsata dato che in Italia ha sempre vinto la sinistra [con una carrellata di Andreotti, Fanfani, e Licio Gelli che regge in mano il libro La Verità]". Un must.

Voto complessivo: 6+

 

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Categorie:cinema, storia e memoria Tag: