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Archivio per la categoria ‘concrete’

Ecco quando Milano deve esplodere

11 Dicembre 2007 5 commenti

 

Sotto pressione del vice sindaco De Corato e del consigliere leghista Salvini, due elementi la cui caratura intellettuale non varrebbe neanche la pena di discutere, il sindaco Moratti si appresta ad approvare un’ordinanza sulla linea di quelle dei comuni veneti: ordinanze razziste che cercano di sancire a livello formale oltre che sostanziale l’equazione povero = criminale. Se Milano non esplode adesso, non vi è alcuna speranza di credere nel buon senso delle persone che vi abitano. Se Milano non esplode adesso tutti diventiamo giustamente dei nemici, non più persone da convincere. 

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Una giornata con la sanità pubblica

10 Dicembre 2007 4 commenti

 

A scanso di equivoci premetto che io sono e sarò un perenne sostenitore della sanità pubblica, che ogni suo taglio o modifica dagli anni 70 ad oggi sono stati solo dei peggioramenti per le classi meno abbienti, in particolare negli ultimi anni, e che estendo questo mio approccio a ogni servizio che dovrebbe essere pubblico per definizione. Questo per evitare che questa mia frustrazione con la burocrazia italiana faccia trarre le conseguenze sbagliate. Andiamo a cominciare…

Ore 8.30: come indicato dal mio dentista, un argentino esule molto simpatico, mi reco allo stomatologico che riceve per prendere appuntamenti come assistenza sanitaria pubblica dalle otto e mezza alle nove e mezza, e dalle dodici alle tredici. Arrivo e sbaglio portone. Aspetto dieci minuti il portinaio che sta fumando una sigaretta con il parcheggiatore, e solo allora mi può comunicare che devo andare 50 metri più avanti. La giornata è lunga e sono ancora troppo rincoglionito per sbraitare. Arrivo al portone giusto, entro e inaspettatamente non c’è nessuno allo sportello: zero fila zero. Arrivo subito e chiedo alla signora bionda dietro il verto: "dovrei estrarre un dente del giudizio con la mutua…". "Ce l’ha l’impegnativa?" "No, ho chiamato due giorni fa e non mi hanno detto nulla dell’impegnativa, mi hanno solo detto di venire qui…" "No, serve l’impegnativa del suo medico della mutua. Anzi due impegnative, una per la visita e una per l’estrazione vera e propria, se le faccia fare entrambe". "Ok".

Mi allontano sentendomi preso per il culo. Controllo online al volo e scopro che la mia ASL è in via Farini 9. So qual è! Ci ho fatto le analisi del sangue 4 anni fa, l’ultima volta che sono stato dal medico. Perché nel frattempo ho cambiato residenza e non ho mai più scelto il mio nuovo dottore, quindi adesso devo pure fare questo. Prendo il tram, scendo in porta venezia, prendo il passante, i cui tabelloni sono indicati al contrario, per cui mi trovo su un treno a Dateo. Scendo bestemmiando silenziosamente e salgo sul treno opposto che mi porta in Farini.

Entro nella struttura di via Farini 9 e non trovo neanche mezzo sportello informazioni. Allora vado in fondo alle  sale degli ambulatori e vedo gli sportelli della prenotazione delle visite. Prendo il mio numerino, sono solo una decina di persone, manco tanto. Non è il posto giusto dove chiedere informazioni ma qualcosa dovrò pur fare… Dopo una ventina di minuti arriva il mio turno: "Scusi, sono un po’ in imbarazzo a non sapere come fare, ma devo scegliere il mio medico della mutua…" "Non deve farlo qui, ma all’ASL! Vada in via Livigno al 3, non il 2 eh! che è un altro poliambulatorio…" "Ok"

Scendo e decido che vado a piedi, tanto se prendo i mezzi ci metto lo stesso tempo che ne devo cambiare due per fare un chilometro di strada. Salgo il ponte di Farini, via Valtellina, giro in via Jenner e arrivo all’alba delle 10 e 20 all’ASL. Nello stanzino i quattro sportelli lavorano a pieno regime, ma ci sono 60 persone davanti a me. E alle 11.00 devo andare dal dentista per fare il resto del lavoro. Cazzo. Non farò mai in tempo.

Esco e mi fiondo dall’argentino odontoiatra: sta in corso Como e nel giro di mezzoretta sono lì. Sto altri 30 minuti sotto i ferri, e poi torno a casa. Comunque mi da appuntamento a mercoledì per finire il lavoro. Cazzo. Speravo di svoltare oggi, invece nisba.

Torno a casa, guardo due mail al pc, e devo riuscire per tornare alla ASL di via Livigno, i sui sportelli riaprono alle 13:30. Sono lì alle 13:45 pronto a tutto, dopo aver perso l’82 clamorosamente sfilata a un palmo dal mio naso. Entro e non c’è nessuno. Lo sapevo che il mondo mi odia. Mi siedo e parlo con la signora dietro il vetro: "Ecco la mia card sanitaria, devo scegliere il medico della mutua, vorrei il dr. xxxx" – mi ero premunito leggendo l’elenco dei medici e scegliendolo in anticipo. "Lei dove abita?" "via xxxx" "ma è afferente alla ASL di via Doria 52 quarto piano!" "senta devo solo scegliere il medico della mutua, sono in ballo dalle 8.30, potrei diventare idrofobo, anche se non ce l’ho con lei in particolare." "Va beh, per questa volta facciamo qui" – allora è tutto centralizzato perché mi stressate le palle? – "però si ricordi che deve andare all’altra ASL…. E poi, lei è emigrato nel 2004?" "Scusi?" "Eh qui dice che è emigrato e che non ha più scelto il medico" "Ho cambiato casa, ma che ve ne frega a voi di dove sono andato?" "Eh, magari ha preso la residenza all’estero" "Eh no, comunque devo solo scegliere il medico, così oggi ci posso andare, riceve alle 16:00" "Autocertifichi che non ha preso residenza e che la sua attuale residenza è in via xxxx". Lo faccio. Finalmente ho il mio medico della mutua. Sono le 14:30. "Ok, grazie".

Mentre vado a fare il resto delle cose che avrei dovuto fare oggi, provo a chiamare il mio nuovo medico curante, che ovviamente siccome riceve alle 16:00, fino alle 15:59:59 non risponde. Quando mi risponde spiego il mio problema: "Salve, ho scelto oggi il dr. xxxx come medico della mutua, e ho bisogno di una impegnativa, anzi due, per estrarre il dente del giudizio…" "Eh ma la mutua non le passa più le visite odontoiatriche" "In che senso scusi?" "Eh, ho qua davanti una circolare della ASL che mi dice che le visite odontoiatriche non vengono più passate dalla mutua" "Beh, ma oggi allo stomatologico mi hanno detto che serviva l’impegnativa!" "Eh, non so cosa dirle, venga qua." "Ok, lei mi faccia ste due impegnative, poi al limite le butto via, ma almeno domani posso litigare con loro e non con lei" "Ok, era solo per spiegarle" "Ok, anche io, però capisce che per prendere un appuntamento per togliermi un dente ci ho messo un giorno" "Eh, e io cosa c’entro?" "Nulla, però mi faccia le impegnative che tanto a lei non costa nulla no?" "No, però non le servono" "Ho capito, ma me lo faccia dire dallo stomatologico" "Va bene, contento lei… venga qui che gliele faccio" "ok"

Vado dal dr. xxxx, mi faccio fare le impegnative dopo mezz’ora di anticamera tra vecchietti in pensione che cercano di farsi prescrivere cose impossibili e insensate. La signora segretaria del dottore mi ripete tutta la tiritera, e io le rispiego quello che mi serve. Alla fine alle 17:20 esco con le mie due impegnative. Domani ore 8.30 si torna allo stomatologico, sperando di non ricominciare tutto da capo e di avere un appuntamento per una visita prima del 2009. Uff… che fatica…

 

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Milano torna agli anni 80. Qualcuno aveva nostalgia?

10 Ottobre 2007 1 commento

 

Ieri a Milano un banchetto di studenti di destra spalleggiati da naziskin dell'area di Cuore Nero in Università Statale, di fronte alle contestazioni verbali di altri studenti di sinistra,  ha menato i contestatori facendone finire uno all'ospedale. All'uscita dall'ospedale, di fronte alla non disponibilità dell'aggredito di sporgere denuncia gli uomini delle volanti hanno pensato bene di pestare i quattro malcapitati, insultandoli. Il solito approccio democratico delle forze dell'ordine.

A Milano è solo l'ultimo episodio che ripiomba la città nella atmosfera gretta e cruda dei suoi anni 80, pieni di eroina, cocaina, socialisti, e rapporti per nulla mediati tra i soggetti di conflitti sociali. Forse qualcuno ne sentiva la mancanza, soprattutto in questura. Io personalmente stavo bene così, senza averli conosciuti come adolescente ma solo come ragazzino. 

Adesso l'eroina e la cocaina la usano insieme i pischelli più danarosi, mentre per i poveracci ci sono ketamina tagliata male e crack. I fasci sono in salute e governano la città insieme agli imprenditori, cancellando pezzi storici dell'immaginario della città e pretendendo sedi ufficiali. Intanto i posti vengono sgomberati a ruota e nulla si muove, manco per lamentarsi. La gente si accontenta delle panzane su sicurezza e violenza, e quando c'è di mezzo un motivo politico i reati usati si aggravano di un paio di ordini di grandezza (vedasi la devastazione e saccheggio per i fatti dell'11 marzo, o la violenza privata per un picchetto). Ma anche quando le faccende giuridiche riguardano la marginalità meno "pulita", come rom, migranti, e via dicendo (l'ultima è il GIP Panassiti che ha condannato una rom a 2 anni per rapina di shampoo e bagnoschiuma motivandola con la "chiara esasperazione dei commercianti": di fronte ai bottegai come non comprendere il dovere morale di punire con severità?). I ragazzini si trovano in corso Como, si riempiono di bamba e poi tirano a sorte una persona dall'aspetto "di sinistra" da gonfiare di botte, mentre i loro fratelli minori si litigano le sigarette mentre sono ancora all'elementari. La città è devastata di parcheggi e lavori abusivi, ma gli unici problemi sono due murales in croce (tra l'altro pure belli e ben fatti). Ci ritroviamo con Vittorio Sgarbi unico protettore della libertà di espressione, vedete un po' come siamo messi. Qualcuno veramente aveva nostalgia di tutto questo? 

Materiali: report di asso | report del mio socio

 

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Mercoledì 3 ottobre: Milano Giallonera a XXY

1 Ottobre 2007 2 commenti

 

Mercoledì 3 ottobre blackswift partecipa insieme ad altri autori milanesi di noir e letteratura di genere a un incontro presso XXY, in via Bianchi d'Espinosa, nella profonda Niguarda. Tutti invitati a partecipare, ricchi premi e cotillons. Ovviamente post incontro cercheremo di ragionare anche qui sugli spunti interessanti che ne sortiranno.

 

 

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Lo sgombero della stecca: una vicenda emblematica nel cuore di Milano

17 Aprile 2007 16 commenti

 

La Stecca degli Artigiani è una struttura di oltre cento anni fa nel cuore di Milano, in quartiere Isola, a un passo dal centro, un tempo uno degli epicentri della ligera milanese (la piccola criminalità che sbarcava il lunario in maniera non esattamente legale :), più recentemente luogo simbolo delle trasformazioni della città in piena gentrification.  Stamattina i locali della Stecca sono stati sgomberati dalle forze dell'ordine e sono in corso la demolizione della struttura. Al momento in cui scrivo si salva solo la porzione dove ha sede la locale sezione del Partito della Rifondazione Comunista, ma neanche loro erano molto certi di sopravvivere all'operazione (e in ogni caso la loro permanenza cambierebbe poco rispetto alla riflessione che sto scrivendo).

All'interno della Stecca dagli anni Ottanta in poi si sono insediati artisti e artigiani, che vi svolgevano i lavori più diversi. Negli ultimi anni molti degli artigiani hanno abbandonato lo stabile in cambio di luoghi più decentrati e meno pregiati in una non-trattativa con il Comune di Milano. A loro sono subentrate associazioni che si occupano del sociale (dall'aggregazione all'insegnamento per stranieri, passando per molto altro), gruppi informali, e singoli. 

Negli ultimi pochi anni la vicenda della Stecca ha subito un'improvvisa accelerazione, dovuta alle mire speculative nei confronti di un'area molto appetibile di un quartiere ancora popolare, inopinatamente (secondo il Comune) dedicata a un giardino e a un non-luogo come la Stecca "occupata abusivamente". Tutta l'area infatti è interessata dal progetto relativo al nuovo centro direzionale amministrativo in cui la Regione si trasferirà lasciando il Pirellone vuoto e privo di utilizzo (uno si chiederà legittimamente perché non rimangono lì, ma le sue domande sono destinate a non ottenere risposta). Più in generale il quartiere Isola è interessato da un processo di trasformazione nel complemento al nuovo settore moda che sorgerà nell'adiacente Garibaldi-Repubblica. Tutto questo firmato Comune di Milano e Hines Italia (il buon Manfredi-Catella…..).

La vicenda degli ultimi anni della Stecca degli Artigiani e delle lotte per salvarla o/e per spartirsela sono emblematiche delle trasformazioni di Milano, della sua lenta ma inesorabile discesa nella terra dei senza anima, nel luogo in cui chi vive una strada preferisce vendersene i marciapiedi che continuare a viverci dignitosamente.

In un primo tempo si sono costituite diverse associazioni, ognuna con la propria agenda circa il significato della frase "salviamo la Stecca e il quartiere": dal Comitato dei Mille che voleva trasformare l'area in una zona per benpensanti e bambini, all'Isola Art Center che voleva aggiungere a quel progetto un museo d'arte moderna ovviamente gestito da loro, fino ad arrivare a soggetti più o meno autorganizzati che non hanno mai saputo esprimere una progettualità politica su quell'area ma un generico sostegno a questa o quella associazione, e al Rifondazione Comunista, che cercava di essere eletto dagli altri occupanti rappresentante delle istanze in sede politica, poco interessato tutto sommato a cosa poi effettivamente serviva o meno al quartiere, o a realizzare un proprio progetto.

Tutte queste idee divergenti hanno fatto finto di convivere fino a che i tempi non si sono fatti stretti, facendo finta di non vedere come la struttura veniva sempre più lasciata a sé stessa, e in particolare alle varie comunità di migranti che ne hanno fatto il loro fortino (in buona parte non con fini edificanti, ma come ben difendibile ghetto autocratico e insofferente alla vita del quartiere che non fosse quella dei propri clienti affezionati). In buona sostanza anche i gruppi di senegalesi, rumeni, latinoamericani e arabi che si sono in diversi tempi insediati nel luogo non hanno pensato nient'altro che a farsi i propri giri, noncuranti di quanto sarebbe durata la situazione e perché. I soggetti autogestiti hanno fatto finta di non vedere la situazione che degenerava, anche perché parte di quel parco clienti che tanto vituperavano e soprattutto perché figli di una generazione del pensiero debole che prima di prendere in mano la situazione ci pensa sempre un paio di volte di troppo. I soggetti "istituzionali" o "compatibili" hanno semplicemente dato le chiavi alla DIGOS per fare un paio di interventi che hanno solo contribuito ad avvelenare gli animi.

A ridosso del momento dello sgombero ognuno poi ha giocato per sé: i migranti si sono barricati, un po' di folklore atavico non guasta mai; i soggetti autogestiti e le associazioni più giovani hanno creato una associazione di associazioni e hanno messo sul piatto un accordo con Manfredi-Catella per degli spazi pulitini-pulitini post delenda Stecca; PRC e Isola Art Center (sicuri che dopo la Stecca a soggetti così affermati uno spazio non sarà certo negato) hanno scelto la linea dei pasdaran, non si capisce se per mettersi a posto la coscienza o per convenienza di immagine. 

A questo punto mi odieranno tutti, ma una volta tanto cerchiamo di vedere le cose come stanno e di capire che questo sgombero è una sconfitta per tutti, che segna l'inizio della fine del quartiere per come l'abbiamo conosciuto, molto più che i reiterati sgomberi di Reload, dello sgombero di Metropolix, di quello di Garigliano per pochi soldi, e della trasformazione del tessuto sociale del quartiere in un luogo privilegiato da fighetti (si spera che la gente che vive in Isola sia più resiliente dei suoi luoghi simbolici). Questo sgombero è una sconfitta ed era ormai inevitabile: la gente del quartiere aveva abbandonato la Stecca vinta dagli scazzetti per interessi particolari dei vari soggetti coinvolti, vinta dalle sensazioni di degrado della propria pancia, dalla logica culturale monotematica con cui i media l'avevano imbastita e che chi vive il quartiere in maniera politicamente vivace non aveva saputo destrutturare. E il Comune non deve essere certo stimolato negli interventi manu militari.

La fine della Stecca è emblematica delle trasformazioni nel cuore di Milano, sempre più città vetrina, spossata e spogliata della propria anima a favore di soldi effimeri e progetti ancora meno credibili di magnifiche sorti e progressive, sempre più vessata dall'incapacità politica e materiale di chi crede che il mondo possa funzionare secondo logiche di cooperazione e di solidarietà, e non secondo logiche di conquista e di violenza.
La Stecca degli Artigiani l'abbiamo persa noi, chi ha fatto troppo poco, e chi non ci ha pensato abbastanza, chi ha aspettato che qualcuno trovasse una soluzione per lui, e chi ha cercato soluzioni solo per sé stesso o poco più. L'inesorabile mortificazione di un quartiere vivo e splendidamente contraddittorio lascerà un vuoto che sarà difficile colmare e di cui nessuno di noi si preoccuperà seriamente fino a che non si sarà spalancato sotto i nostri piedi. 

Quando camminando per via Borsieri troveremo solo vetrine fredde e lucide, e non vedremo più la gente che attraversa la strada sorridendo e chiacchierando, ci accorgeremo di quanto amavamo quei luoghi e ci sentiremo solo un po' più stupidi del solito, continuando nella nostra incanalata e scialba vita quotidiana. A meno che ogni giorno non ricominciamo a  pensare come convincere tutte le persone con cui viviamo quelle strade che il posto in cui camminiamo non è di nessun altro se non nostro, che la risoluzione dei problemi di un luogo sta nella capacità di assumersene la vita, e che l'intervento di chi gestisce già malissimo l'intera città e il complesso della nostra vita, non potrà che peggiorare la situazione.  

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我喜欢中国人 : Milano e la psicosi delle bandiere rosse

13 Aprile 2007 11 commenti

 

Come volevasi dimostrare le trasmissioni televisive e i quotidiani di oggi sono un rullo compressore a senso unico: gli scontri nella Chinatown milanese di giovedì 12 aprile sono un aggressione premeditata all'ordine costituito da parte di immigrati illegali che vogliono sovvertire l'ordine costituito della magnificente capitale economica del paese. Quando Milano ha un problema, quando viene segnata dai conflitti che storicamente le appartengono, dalle frizioni tipiche di un luogo in cui la pressione economica per la sopravvivenza è sempre alta, la scena che gli opinion-wannabe-maker dipingono è sempre la stessa: l'apocalisse, la crisi dell'ordine costituito, l'attacco al senso di ineluttabilità del modo in cui le cose funzionano qui da noi, in Italia

Basta ovviamente spostare leggermente gli occhi dal pensiero unico propagandato con prosopopea di tromboni ovunque per farsi venire più che qualche legittimo dubbio. Con una importante nota: non stiamo parlando di una rivolta proletaria, nonostante il terrore che l'esposizione delle bandiere della Repubblica Popolare Cinese ha evocato in tutti i benpensanti milanesi, ma dell'esplosione della frustrazione di una comunità fortemente conservatrice, fortemente "borghese", anche se vorrebbero farci credere il contrario per accorpare il mostro immigrato al mostro economicamente subalterno e "rivoluzionario".

I cinesi si sono iniziati a stabilire a milano sin dai lontani anni Venti, e la zona di Paolo Sarpi è stato sempre l'epicentro di questa comunità. In quella zona i cittadini cinesi si sono comprati a suon di centinaia di migliaia di euro i negozi e gli appartamenti della zona, hanno pagato le loro licenze (anche per la vendita all'ingrosso), hanno pagato le loro mazzette ai vigili urbani. Ora, in assenza di cose più utili da fare, Letizia Moratti (che traghetta la destra nel suo quattordicesimo anno di governo nella metropoli) ha ben pensato di invocare "la legge uguale per tutti" e di decidere arbitrariamente che via Paolo Sarpi è l'unico posto a Milano dove il trasporto su carrello delle merci è proibito. La legittimità di una misura discriminante di questo tipo è più che dubbia, il fatto che si inserisca nella battaglia per misure legali uguale per tutti è assolutamente escluso. 

Ma non basta: non solo la Moratti predica uguaglianza di fronte alla legalità e poi pratica il contrario, ma ovviamente l'applicazione della cosa è totalmente a senso unico. Gli italiani continuano a scaricare le bibite per i bar della zona con il loro carrellino, mentre i cinesi non possono farlo. Vorrei capire dove sta la differenza tra uno e l'altro, e vorrei capire perché in corso Vittorio Emanuele posso girare con un carrellino e in via Paolo Sarpi no. 

Come se non bastasse, il Fuhrer cittadino ha deciso bene di proporre Paolo Sarpi come prossima zona pedonale. I motivi di questa scelta sono quanto meno nebulosi, dato che Paolo Sarpi non è una zona ricca di attrazioni turistiche o di altro. Se è per facilitare lo shopping, allora dovrebbe proporre la stessa cosa anche in corso Buenos Aires, ma ho il sospetto che non se lo possa permettere (proprio in termini di viabilità, prima ancora che di "economie locali"). 

Se confrontiamo tutte queste misure alle proteste che le hanno generate ("non riesco a camminare sui marciapiedi che sono troppo stretti" [come se non bastasse allargare i marciapiedi]; "non ci sono più negozi italiani" [come se i negozi si fossero venduti da soli]) ci risulta un po' fuori misura il tutto. Se poi sommiamo l'ultima illuminante proposta della destra i dubbi diventano anche peggiori: perché la proposta formale della Moratti è  "delocalizzare i cinesi", tradotto in parole povere deportare le persone che hanno comprato a caro prezzo case e negozi, alimentando i nuovi borghesucci milanesi, in periferia.

Pensare che io credevo che la Moratti fosse liberista, ma deve essere un vizio dei liberisti nostrani quello di invocare il libero mercato e poi gettarsi nel protezionismo più becero e nel controllo della produzione e del territorio come neanche la fu Unione Sovietica si sarebbe azzardata a fare.  Quello che mi chiedo è perché nessuno noti questa lievissima idiosincrasia.

Ieri sera alle 18.30 via Paolo Sarpi era ancora completamente militarizzata, con gli elementi più grossi, pelati e violenti del III Reparto Mobile schierati a guardare in cagnesco i cinesi che ancora tenevano chiuse tutte le saracinesche. Verso le 21.30 sono andato nel mio ristorante di fiducia, il Long Chang, (a pari merito con il Ju Bin che da vero ras del quartiere non ha neanche lontanamente pensato di tenere chiuso sfidando gli sguardi dei solerti tutori dell'ordine), e poi più tardi sono passato dal mio bar di cinesi di fiducia in quartiere Isola. Alla mia curiosità mi hanno risposto nello stesso modo (faccio una compilation): "la gente ha fatto debiti per duecento mila euro, ha una famiglia da mantenere, perché non può lavorare?"; "se non volevano i cinesi, non accettavano i soldi e non ci vendevano il negozio"; "la legge è uguale per tutti, e allora perché gli italiani possono scaricare come vogliono e io invece no?"

Molte domande per i cinesi di Milano, ma se le traduciamo sono le stesse domande che un po' tutti dovrebbero farsi sulla morale e la giustizia a corrente alternata che caratterizza da sempre il governo destro cittadino, la logica del double standard che protegge i cazzi miei a scapito dei cazzi degli altri, senza soluzione di continuità e dietro il paravento del mostro che mette in pericolo l'ordine sociale, la legalità e la sicurezza. Con la collezione di danni e scontri che in 15 anni ha raccolto la destra a Milano, chiunque con un po' di dignità si sarebbe ritirato, mentre nella illuminata metropoli gli specchietti per le allodole della necessità di 500 poliziotti, di maggiori controlli, di maggiore rigore, di maggiore questo e quello, funzionano perfettametne nel distrarre menti troppo poco allenate a ragionare e troppo spesso abituate ad obbedire.

 

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Milano gothic-punk: vento, fuoco, terra

7 Febbraio 2007 1 commento

 

Milano, nonostante qualcuno non lo noti, è una città capace di evocare sensazioni magiche e misteriose, in alcuni casi addirittura poetiche. Ad esempio in via Settembrini, angolo via Boscovich, da quando esisto c'è un palazzo fantastico, che mi è sempre più facile immaginare nella gotham scura e gotica di Batman o di qualche ambientazione di gioco di ruolo che non nel posto in cui sono nato. E' un luogo che gode di un aura un po' inquietante, soprattutto nei giorni cupi dell'inverno milanese o nelle sue notti in cui non si riesce mai a capire se le luci all'interno siano accese o spente.

 

Quando ero pischello è stata fonte di fascino incredibile, tanto che più di una volta abbiamo cercato di accedervi o di capire chi o cosa vi abitasse. La cosa si è sempre rivelata più difficile del dovuto, come se una specie di forza preternaturale proteggesse la privacy del luogo, o forse come se la nostra parte meno razionale non volesse trasformare un mistero un po' magico in una banale famiglia eccentrica.    

Il terribile, l'immaginario vive tutto in questa contraddizione, tra ciò che potrebbe essere e ciò che è, tra ciò che la nostra fantasia aggiunge alla realtà e ciò che la realtà sottrae alla nostra fantasia.

Anche l'altro giorno mentre facevo queste foto, si è accostata in contromano una macchina sporca, dai vetri appannati dalla terra e dal fango. Dentro un tizio con i capelli corti e brizzolati mi ha guardato di sottecchi, i pantaloni militari e la felpa grigia a tinta unita. Ha portato all'orecchio un telefono molto moderno, uno di quei Nokia che sembrano essere delle ricetrasmittenti satellitari di film vecchi solo di tre-quattro anni, e ha continuato a parlare fino a che non mi sono allontanato. Poi ha ingranato la retro e si è allontanato verso i bastioni.

La realtà mi racconta di una coincidenza, sottrae a questo incontro il fascino misterioso che ha suscitato nelle mie ghiandole. Le sensazioni che ho provato mi riportano a pensare perché sul citofono di questa casa compaiono tre elementi alchemici, come se in realtà questa specie di piccolo castello fosse la sede di una nuova Golden Dawn o di un'altrettanto misteriosa setta. 

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Il cielo di piazzale Loreto

29 Gennaio 2007 Commenti chiusi

Milano è una città a pianta circolare, come molte città che hanno attraversato il medioevo. Orientarsi a Milano non è difficile, basta capire quali sono gli anelli che la circondano dividendola in strati, e quali le direttrici di fuga dal centro verso la periferia, omonime ai cunei che riversano nella città tutto ciò che le circola attorno.

Corso Buenos Aires è una di queste direttrici: taglia la città a partire da piazza San Babila dritto fino a Sesto San Giovanni, una specie di lama che collega ironicamento la ex Stalingrado d'Italia, le sue fabbriche vuote da decenni, i suoi stabilimenti che sono stati fonte di tubi innocenti per decine di occupazioni e di nascondiglio per centinaia di persone e migranti, con il centro nevralgico del pensiero economico italiano, nei pressi del quale si aggira anche la giustamente vituperata sede di Confindustria.

La storia di corso Buenos Aires (un tempo Corso Loreto) è abbastanza lunga, e data almeno dall'inizio dell'800, quando era il viale di arrivo delle personalità dalle zone orientali italiane, che entravano a Milano attraverso la Porta Orientale (già Porta Venezia). Piazzale Loreto fino alla metà dell'Ottocento non è niente di più di uno svincolo autostradale (fatte le debite proporzioni) e si chiamerà Rondò Loreto fino al 1904 (identificando più che altro le poche case intorno allo svincolo stesso). Nel 1904 assume il nome che porta tuttora (nonostante le simpaticissime proposte di Zecchi di rinominarlo Piazza della Concordia, con dubbio gusto storico), ed è per il primo novecento il teatro di partenza della manifestazione sportiva più importante d'Italia, il Giro d'Italia. L'evento per cui è più noto è l'esposizione al pubblico ludibrio del cadavere di Benito Mussolini e di Claretta Petacci, insultato e deriso dalla folla per giorni prima al suolo e poi a testa in giù da un traliccio di una pompa di benzina dopo la sua morte fino alla sepoltura. Un evento barbaro che ha risposto alla barbarie che il Duce ha prodotto e coltivato nel nostro paese, per il quale non si vede la necessità né di pentimento nè di riappacificazione, con buona pace dell'esteta Zecchi e della sua concordia. Ovviamente nessuno ricorda che il suo cadavere fu esposto lì dal colonnello Valerio o chi per lui in ricordo della strage di Piazzale Loreto, una rappresaglia contro i partigiani per cui nessuno è mai stato né punito né particolarmente biasimato.

Milano è una città difficile, ma al contrario di molte altre capitali europee non perdi mai di vista il cielo, una distesa che più spesso ti ricorda tutto ciò che è accaduto sotto di essa, piuttosto che darti quella sensazione di libertà che l'atmosfera terrestre è abituata a garantirti in luoghi meno feroci della metropoli.

Il cielo sopra piazzale Loreto è una specie di indicatore della vita quotidiana della città: non è il cielo del centro, o quello abbandonato durante il giorno e nascosto durante la notte dei quartieri dormitorio, ma il cielo che osserva l'affannarsi quotidiano di una città sempre troppo indaffarata per cogliersi, o a volte talmente concentrata nel pensare da non riuscire a muoversi.

 


 

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Enter Fernando

Piazzale Loreto.
La parola di Milano è grigio.
Il cielo è una distesa non uniforme: dal pallore del cielo quasi bianco verso via Costa, in direzione nord-nordest, fino al grigio scuro delle nubi cariche di pioggia che evaporerà o si trasformerà in pasta grigiastra prima di toccare il suolo nella zona centrale, in lontananza verso sud.
Il piazzale è teatro di un costante carosello di macchine, clacson, insulti, infrazioni.

Doveva essere un luogo più divertente cinquanta o sessanta anni fa, quando al posto delle macchine c’era una ressa di persone che finalmente si gettava alle
spalle vent’anni di merda e violenza.
Milano sembra non cambiare mai: ti accorgi che è estate da un lieve mutamento della temperatura. Appena la conosci pensi che sia una città piatta nel suo grigiore umano, oltre che visivo, uditivo, sensitivo. Poi ti rendi conto che Milano può raccontarti qualcosa a ogni angolo, a ogni svolta del tuo senso di marcia, e spesso anche indipendentemente dalla tua voglia di restare fermo e immobile, in pace con il resto del mondo che ti circonda.

È solo dopo questa fase che capisci che Milano è come una specie di magma che continua a travolgerti.

Fernando cammina lentamente e senza fretta lungo il marciapiede di via Porpora. La giacca scura ordinata e pulita, la camicia bianca dal taglio anomalo, simile a una T-shirt, il pantalone elegante e le scarpe lucidate di fino. Dalle maniche della giacca spuntano due mani che non vanno per il sottile: le dita corte e arrotondate sulla punta, ruvide, si inseriscono su palmi ampi e solidi, segnati dal tempo e dalla fatica. Delle mani che riducono rapidamente a zero ogni discussione.
Il collo largo e muscoloso è proporzionato al suo fisico massiccio, non troppo alto, e sostiene una testa squadrata e accuratamente sbarbata. Fino ad arrivare ai capelli grigi ben tenuti e corti, e al cappello a tesa larga scuro calato in testa nei periodi più freddi dell’anno. Ogni particolare di Fernando parla
di un uomo che tende a non tergiversare e a concludere in fretta ogni questione.
Oggi non fa freddo. Il viso rugoso e invecchiato di Fernando cerca di raccogliere nei canyon della pelle ogni alito di vento che allevi la caligine milanese.Arriva fino al piazzale e si ferma a osservare le nubi che si addensano su Isola e sulla Centrale, rendendosi conto, grugnendo, che non ha né ombrello né impermeabile, e che se piove sarà costretto a comprare un trabiccolo da dieci euro da qualche cazzo di immigrato che magicamente comparirà al primo angolo di strada dopo dieci gocce.
Qualche volta gli è venuto il sospetto che si nascondano in ogni tombino pronti a scattare con i loro ombrelli e le loro facce allenate a ispirare compassione nelle vecchiette e in una manica di rincoglioniti. Altre volte che siano proprio loro a evocare la pioggia con una qualche cazzo di stregoneria sciamanica
ereditata dal paese d’origine. Quasi sempre, quando si sofferma a pensarci, si rende conto che, con tutta probabilità, alla prima nuvola questo esercito di disperati si scapicolla su e giù per Milano per farsi strozzinare una fornitura di ombrelli che non riuscirà a vendere e che gli renderà la vita solo più miserabile. Non riesce proprio a capire perché lo facciano.
D’altronde, un motivo c’è se lui fa il lavoro che fa e loro fanno i vu cumprà o i lavavetri, si ritrova a concludere, mentre guarda le macchine attraversare
il piazzale.
Scosta leggermente la giacca dalle tasche dei pantaloni e ci infila le grosse mani per tirarne fuori una sigaretta senza estrarre il pacchetto. L’accende aspirando a lungo.
“In questa città del cazzo non si ammazzano mai” pensa quasi ad alta voce. Scazzano, trafficano, spacciano, si menano, sbraitano, ma non si ammazzano se non
per una coltellata o un colpo di fucile partito quasi per sbaglio. Nessuno cerca mai qualcuno per ammazzare qualcun altro.
Non lo fanno i delinquenti della periferia, non lo fanno i ricchi annoiati, non lo fanno neanche gli sbirri.
Che città di merda per fare il sicario…
L’unica città in cui con un mestiere così sei praticamente un disoccupato in pianta stabile. “Le mie solite idee del cazzo.”
Fernando prende un’altra boccata dalla sigaretta e si avvia lungo corso Buenos Aires senza una meta precisa. È ancora all’altezza della Feltrinelli, che lui
si ostina a chiamare Ricordi, come tutti l’hanno chiamata per almeno una decina d’anni prima che diventasse una libreria con un’immagine di sinistra, quando
squilla il cellulare.
Lavoro, spera. E per una volta tanto il suo intuito non lo delude.

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La luce di Milano prima della pioggia

24 Gennaio 2007 4 commenti

In previsione dell'uscita di Monocromatica, settimana prossima, e dei post che vorrei fare su questo blog di "orientamento" all'interno del romanzo, oggi volevo dilettarmi nel fare alcune foto. Purtroppo il clima mi è ostile e ha deciso di piovere cinque minuti sì e cinque minuti no, con il caso affermativo corrispondente a quando metto il naso fuori di casa. Sono stato costretto a rivoluzionare il mio programma per la giornata, ma non mi sono voluto negare la soddisfazione di fotografare Milano appena prima della pioggia, una luce strana che è difficile definire, a metà tra l'oscurità che precede un temporale e il taglio innaturale che le giornate di Milano hanno perpetuamente, come una specie di filtro fisso davanti all'obiettivo della macchina fotografica. La foto è solo appena ritoccata perché oggi è una pioggerellina più fastidiosa che degna del proprio nome, e di conseguenza anche l'effetto sulla luce è relativamente limitato.


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Categorie:concrete, imago Tag:

Cartografie milanesi (1300-1860)

10 Dicembre 2006 1 commento

 

In una delle librerie del centro dove affluiscono le rese di mezzo mondo, una sorta di remainder che non usa il nome remainder perché la sua reputazione ne risentirebbe, si possono trovare oltre ai peggiori libri di narrativa, molti libri di immagini: le collezioni fotografiche, i libri d'arte, i libri di ricette, e a volte qualche libro un po' curioso. Nel mio caso: un libro di mappe storiche di Milano. 

Non è sicuramente il più completo che ci sia in circolazione, ma ne ospita alcune ben fatte anche se il livello di riproduzione e la qualità della carta è abbastanza infima. Il vantaggio che ha è quello di non costare molto e quindi di poter essere felicemente storpiato per poter scansionare un po' di materiali.

Molte di queste cartine vi saranno d'aiuto nel navigare Rapsodia Monocromatica 🙂

Il tour comincia da una mappa dello sviluppo di Milano tra il III secolo a.C. e il XIII d.C.: il grosso vantaggio di questa mappa è la presenza di tutte le successive cinte murarie e quindi una visione abbastanza chiara di quelli che sono stati i confini ufficiali della città almeno fino all'incorporazione dei Corpi Santi nel 1873.

carta_IIIac_XIIIdc.pdf

 

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