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Archivio per la categoria ‘concrete’

Fascisti carogne, tornate nelle fogne

3 Aprile 2009 21 commenti

 

Devo dire la verità, a me gli slogan old-style, per quanto riguarda le salde (?) basi della democrazia italiana (?), sono quelli che mi suonano meglio. D’altronde che altro si può voler dire a un branco di dementi privi di cervello che nel 2009 vanno ancora in giro a sostenere idee che dovrebbero essere scomparse da tempo dall’albo della storia ufficiale? Bisogna parlare nella loro lingua, quella del vituperio e della violenza, perché se ragionassero non sarebbero fascisti. Purtroppo l’Italia moderna degli anni 00 è molto prona al linguaggio e ai contenuti xenofobi e ignoranti che ci trasformano in una caricatura neanche troppo divertente del ventennio. E responsabili ne siamo tutti, non solo quei quattro mentecatti con il braccio alzato, ma tutti noi che non riusciamo a spiegare ai nostri studenti, ai nostri figli, ai nostri amici e parenti perché alcune cose anche se sembrano delle barzellette fuori dal tempo sono tuttora molto pericolose. Così perdiamo eoni di tempo a cercare di giustificare cose sciocche e che non necessiterebbero neanche di due parole, e non riusciamo a far capire a ragazzini di 8 anni che uno è cretino indipendentemente dal colore della pelle, e che le cose non si risolvono sempre a schiaffi, e che essere forti con i deboli e deboli con i forti non è una qualità chiamata furbizia ma un difetto chiamato viltà. 

Così gente come Roberto Fiore può ancora circolare impunito – così come il suo socio di un tempo Riccardo De Corato – e anzi presentarsi ed essere eletto. Lui è l’ultimo di una schiera di gente immonda che può riciclarsi affidandosi alla voglia della gente di dimenticare anziché combattere. E puntuale come un orologio quando si avvicinano le elezioni, insieme a topi di fogna di tutta europa, si presenta a Milano, pensando che nessuno se ne accorga. E’ anche vero che è stupefacente come qualcuno finalmente inizi a pensare che certa gente non dovrebbe poter circolare in nessuna città del mondo (e non solo), ma forse se questo fosse avvenuto tempo addietro queste merde non ce le ritroveremmo ancora tra le palle. Scusate il francese. 

Questa domenica i pariti nazi-fascisti xenofobi di tutta europa si sono dati appuntamenti a Milano. Tramontata la mossa a sorpresa che li avrebbe visti a Palazzo delle Stelline (uno dei luoghi più paludati di Milano, un po’ come se io facessi un convegno di teologia a Sant’Ambrogio), hanno deciso di ritrovarsi in uno degli hotel di amici e amichetti di cui non mancano dalle parti della Capitale Morale d’Italia, i cui abitanti  un tempo avrebbero bruciato palazzo e abitazione del manager dell’hotel, ma che ora si limitano a stigmatizzarlo  con due mormorii. Ritrovo quindi all’Hotel Cavalieri. Siccome non basta, hanno pensato bene di fare anche due presidi, forti – come al solito altrimenti non avrebbero mosso un dito – dello spalleggiamento di British National Party e altri ceffi che non disdegnano l’uso delle armi e della violenza abbastanza gratuitamente: il primo alle 11 di mattina davanti a Sant’Ambrogio, il secondo vicino a Piazza Affari (non si capisce bene a fare cosa). Nessuno sa se faranno veramente questi ritrovi o se sono mere provocazioni, fatto sta che una volta di più le autorità cittadine non ritengono che questi loschi figuri vadano fermati (se non altro per evitare problemi di ordine pubblico). Uno a volte si ritrova ad avere nostalgia dei wanna-be golpisti turchi che piuttosto di avere un governo religioso erano disposti al colpo di stato: io piuttosto che vedere in giro questi topi di fogna, preferirei vedere la città militarizzata. A mali estremi estremi rimedi: certo il sogno di vedere i vecchietti dell’ANPI sparargli con i fucili dalle finestre mi sembra un po’ troppo ambizioso, e Milano è sempre stata una città un po’ compiacente e che evita il confronto diretto (purtroppo). 

Meno male che almeno questa volta (le altre volte guarda caso durante un governo di sinistra) CGIL, ANPI, e altri hanno deciso di agire con una certa determinazione sui centri di potere della città per chiedere di vietare il raduno, ma non si spingeranno più in là di questo (un reclamo verbale "vibrante") e di un presidio davanti a Palazzo Marino, a cui invito comunque chiunque può ad andare. Certo è che la speranza che qualcuno decida di agire in maniera più concreta e scaltra come è successo prima dell’inaugurazione di Cuore Nero rapprenta il mio miglior auspicio. E sono sicuro che Milano non è ancora così povera di coraggio antifascista. Lo dico prima così non si potrà dire che nessuno lo sapeva: far circolare certa gente porta guai. Trincerare un presunto diritto ad esprimere idee e azioni fasciste dietro la libertà di espressione è un sofismo che con chi ha un minimo di senso e sensibilità storiche non attacca. Questa gentaglia desiste solo quando la bocca gliela si tappa a stivalate. Se così non fosse non sarebbero fascisti, ma persone civili di idee differenti dalla mia: i nostri nonni lo sapevano meglio di noi e forse toccherà pure a noi impararlo a nostre spese.

PS: non si tollererà alcuna provocazione nei commenti di questo post.

I problemi della scuola – parte quinta – eppur si muove!

24 Febbraio 2009 13 commenti

 

Mi piace il volgere di questa serie di post. Partita con la vena più polemica che mi contraddistingue, attraverso il dibattito e la discussione, ha generato – non da sola ci mancherebbe, ma ha sicuramente contribuito – una situazione concreta che ha migliorato, già solo con il suo verificarsi, lo stato della scuola Gandhi, in cui sto lavorando quest’anno… e chi lo sa, magari anche l’anno prossimo.
Dopo le discussioni sul blog, 2/3 del corpo docenti della sede di piazza Gasparri hanno chiesto di incontrare il dirigente e di discutere dei problemi che la scuola sta vivendo. Si voleva fare un collegio docenti straordinario, ma i tempi erano stretti e la prossima settimana ne era già previsto un altro. Si è quindi deciso di puntare su una situazione un po’ atipica, ma certamente necessaria.
Penso che la sensazione di tutti coloro che vi hanno partecipato (ovvero i 2/3 del corpo docenti, chissà che cosa avevano da fare gli altri 8 che non c’erano, ma voglio sperare che per la maggior parte dei casi ci fossero dei motivi di salute a impedirne la presenza) sia che questo incontro andava fatto molto prima del 23 febbraio: ci avrebbe aiutato a conoscerci e a mettere al centro dell’attenzione comune non solo i problemi, ma anche la disponibilità a lavorare insieme per risolverli. Non è mai troppo tardi, ma ovviamente per alcune cose il nostro ritardo ci renderà carenti di tempismo nell’intervento. Per questo ho sostenuto anche ieri che a questo punto, per fare fronte a questa carenza, dovremo compensare con determinazione e incisività in proposte e mobilitazioni. Come in tutti i consessi collettivi non tutti sono proprio sulla mia lunghezza d’onda – si sa che sono un po’ un estremista – ma già ho registrato la volontà di quasi tutti a remare nella stessa direzione.
Devo anche sottolineare che è stata una riunione proficua e in cui tutti – al di là delle discussioni degli scorsi giorni – hanno voluto avere un atteggiamento costruttivo, e per questo mi sento di rigraziarli e ringraziarci 🙂

Venendo al merito dell’assemblea dopo questa sviolinata introduttiva, abbiamo affrontato sostanzialmente due problemi. Lo riporto anche qui sul blog, non per violare l’ambito ristretto dell’assemblea, quanto per dare modo a tutti di seguire la vicenda che in qualche modo su questo blog ha cominciato a muovere i suoi primi passi. Da un lato abbiamo parlato del concreto futuro della scuola Gandhi e dall’altro della situazione disciplinare nella scuola, che ha raggiunto in alcuni casi situazioni limite che di fatto impediscono alla maggior parte degli alunni di seguire serenamente il loro percorso formativo. Senza entrare nei dettagli che fanno parte delle scelte che si prendono a porte chiuse, abbiamo deciso su questo secondo problema, un intervento drastico su alcune situazioni e un intervento che coinvolga tutti – preside incluso – nel far comprendere alle posizioni intermedie che il destino è nelle loro mani e nessuno può scegliere al posto loro se finire sul "libro dei buoni" o sul "libro dei cattivi". Sto semplificando, ma non voglio entrare troppo nel dettaglio di situazioni formativo/disciplinari che esistono ovunque: quello che registro è che tutta la riunione ha cercato soluzioni a tutti i problemi di questa natura improntate alla partecipazione più attiva di tutte le componenti e alla cooperazione. Ed è quello che io speravo.

Più interessante è stata la prima parte dell’assemblea in cui si è affrontato il problema principale della scuola: la sua sopravvivenza fisica. Infatti all’inizio di febbraio i tecnici del Comune si sono incontrati con il Comitato di Quartiere, il Comitato Genitori e il Dirigente Scolastico: la posizione del Comune, che quando aveva trasferito la Gandhi dagli stabili di via Bernardino da Novate temporaneamente nella sede di piazza Gasparri aveva promesso di costruire a breve una nuova sede (parliamo del 2000 o 2001), è che non ci sono i fondi per costruire una nuova scuola in quartiere Comasina, e che la cosa sarebbe avvallabile solo in presenza di almeno 400 utenti. In caso contrario l’investimento del Comune è orientato a ristrutturare lo stabile di via Gabbro e accorpare tutti gli studenti in quella sede. Non mi dilungherò qui su alcune banalità: la tendenza dei recenti governi a disinvestire nella formazione dei cittadini a favore di politiche securitarie e istituzioni private; la chiara volontà di disarticolare le comunità a livello territoriali convinti che anziché di vivibilità questo sia sinonimo di "inutili complicazioni burocratiche"; la non comprensione della funzione che un complesso scolastico può svolgere all’interno di quartieri complicati e in chiara espansione demografica. Tutto questo ovviamente non è tecnica, ma politica e davanti ai tecnici del Comune non sortisce nessun effetto. Altrettanto ovviamente senza un intervento a livello politico pressato dagli abitanti del quartiere, dai genitori e dai professori difficilmente si troverà una soluzione praticabile.
L’assemblea è stata abbastanza viva e ha parlato di molte cose cercando varie soluzioni, dovendole anche incrociare con la necessità di salvare la scuola da una emorragia di iscrizioni che ha origini molteplici: la difficile convivenza prolungata tra struttura primaria e secondaria di primo grado, la carenza di spazi, le difficoltà ambientali, il disinvestimento da parte del Comune. Se su questo ultimo punto siamo riusciti a decidere un intervento congiunto del dirigente con alcuni docenti proprio mercoledì in occasione dell’ultimo giorno a disposizione (help!), sul destino della scuola la situazione è molto più fluida. Sulla mobilitazione politica si è rimasti un po’ tentennanti – anche forse perché non si può pretendere che al primo incontro ci sia coesione e fiducia reciproca sul "modo" di fare politica dei presenti – limitandoci a iniziare un percorso di sondaggio degli organi politici locali (Consiglio di Zona e consiglieri comunali), mentre su possibili alternative tecniche si è stati un po’ più propositivi: al posto della ex scuola media in quartiere Comasina la propaganda dell’amministrazione comunale (che giova ricordarlo è la stessa da 20 anni a Milano e quindi avrà pure qualche responsabilità nel calo della vivibilità di questa cazzo di città) dovrebbero essere costruiti un nuovo Commissariato di Polizia e uno Studentato universitario (anche qui ricordiamo che per arrivare dalla Comasina in Bicocca ci vogliono 90 minuti circa, rispetto ai 60-75 per arrivare agli altri poli universitari). E’ facile capire che quindi i soldi per costruire strutture ci sono, ma si vogliono costruire ALTRE strutture, chissà perché. Sul Commissariato di Polizia non mi pronuncio perché penso che di presidi territoriali delle forze dell’ordine ce ne siano abbastanza, e al massimo dovremmo provare a indagare quanto gli uomini delle forze dell’ordine decidano di conoscere e intervenire in forma PREVENTIVA sul territorio (e sto cercando di vestirmi della mia migliore mise democratica, cosa che mi si addice poco). Sullo studentato mi pare evidente che sia una mazzetta, pura e semplice: posti letto che verranno gestiti non si sa da chi e non certo per offrire agli studenti universitari alloggi a basso prezzo, una politica che da tempo a Milano non esiste (ricordiamo anche qui che una stanza in condivisione a Milano costa tra i 200 e i 500 euro, mentre una stanza da solo in una casa condivisa raramente scende sotto i 400 euro). Strano che l’amministrazione si scopra Robin Hood degli studenti proprio sulle strutture che dovevano finire alla scuola media (che guarda caso ha nella stessa zona una scuola media gestita dalle suore…. a buon intenditor, poche parole).
In ogni caso ieri su questo punto c’è stata la discussione che ha prodotto frutti più interessanti: si è pensato di proporre al Comune soluzioni alternative per non vedersi sbattere la porta in faccia, e nei prossimi giorni dovremo contattare Olinda, Da Vicino Nessuno è Normale e Consiglio di Zona per capire la fattibilità di proporre uno dei padiglioni dell’ex Paolo Pini come sede da ristrutturare (e non ricostruire) per la scuola media Gandhi. E’ da notare che nell’ex Ospedale Psichiatrico esiste già una struttura che è stata per qualche anno un distaccamento di una scuola superiore, quindi la proposta non pare proprio campata per aria. E sicuramente la struttura sarebbe a una distanza più ragionevole dal Quartiere che non la confluenza di tutto il corpo nella sede di via Gabbro (una soluzione che secondo me porterebbe a peggiorare la vita sia della Gandhi che della Rodari per i ristretti spazi che si verrebbero a creare nella sede delle medie della Bovisasca, che a quel punto sarebbe decisamente sovraffollata.
Ora chiudendo questo post "positivo", vorrei chiedere a tutti i lettori di suggerirmi contatti per verificare la praticabilità di questa ipotesi: ganci in consigli di zona, uffici del demanio, ufficio strutture dell’ospedale niguarda, olinda, associazioni legate al Paolo Pini, e via dicendo sono bene accetti e auspicati.
Ovviamente spendere dei soldi della Expo per fare scuole pare una bestemmia, no? D’altronde di cosa stiamo parlando dato che se continua così Milano riuscirà nella più grande figura di merda della storia della città? Ahahahahhahahahahahhah!
 

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I problemi della scuola – parte quarta – accenni alle soluzioni

16 Febbraio 2009 38 commenti

 

Ora, dopo aver osservato alcuni dei problemi della scuola in cui insegno – e ribadisco che non lo faccio per ledere o sputtanare quella scuola in particolare, ma per partire da una base reale per fare un ragionamento sul mondo della scuola in generale – come propostomi da alcuni commentatori peperini provo a dire la mia sulle soluzioni, sia macro che micro. Penso che chi sta al governo e al ministero avrebbero fatto meglio a calarsi nelle scuole prima di parlare a vanvera come fanno da ormai un anno. Forse anche loro sarebbero stati accusati di lesa maestà come è capitato a me dopo questi post, o di leaking aziendale forse, ma almeno avrebbero un’idea di dov’è la realtà e dove la loro fantasia ideologica.

Partiamo dalle soluzioni micro (che così quelli arrabbiati con me possono confrontarsi su cose concrete), ovvero come risolvere i problemi della scuola Gandhi. Beh, magari non tutti, ma almeno cominciare a metterci mano.
In questo caso il punto io penso che sia recuperare il senso di alcune parole molto semplici: partecipazione, cooperazione, responsabilità. Quella scuola la salviamo se ognuno di noi ci mette del suo in questo senso. Ognuno intendo dal primo all’ultimo, dal primo docente all’ultimo segretario, passando per personale ATA e soprattutto dal dirigente scolastico. Se ognuno di noi inizia ad agire come se il problema della porta di fianco riguardasse direttamente anche lui, se ognuno di noi fa il meglio di sé per aiutare la persona che sta gestendosi il casino nella classe di fianco o nel corridoio adiacente, forse iniziamo ad essere sulla buona strada. Per recuperare terreno alla Gandhi c’è bisogno che tutti lavoriamo e remiamo in un’unica direzione: riconquistare la fiducia in noi stessi e nelle quattro mura che ci circondano, senza farsi scoraggiare e agendo sincronicamente. Sembra banale ma non lo è: ho in mente svariati esempi in cui questo non accade, e alcuni degli episodi che ho citato nei post precedenti ne sono la concreta manifestazione.
Dirò di più: se vogliamo fare un consiglio straordinario, facciamolo per parlare di questo, di come ognuno trascendendo un pochino i suoi ruoli formali possa contribuire a far vivere meglio la scuola. Forse la primavera e la bella stagione ci renderanno meno nervosi ed irritabili e contribuiranno a facilitare la cooperazione anziché lo scazzo continuo (in senso passivo, come depressione, e attivo, come litigio). Se invece ci ostineremo ognuno a fare il suo compitino nell’angolino otterremo un bel 6 a fine anno, ma con i 6 lisci non si va lontano, almeno nella mia esperienza. Questo per quanto riguarda due tags: partecipazione e cooperazione.
Dopodiché buttiamo il cuore oltre l’ostacolo ed entriamo nel merito di due problemi: uno, la convivenza civile a scuola; due, la sopravvivenza l’anno prossimo della scuola. (A questo proposito faccio notare che quello che sta armando sto casino è un precario di terza fascia che l’anno prossimo la scuola la vedrà con il binocolo, grazie a confindustria e alla trimurti del sindacato orizzontale CGIL CISL e UIL).
A scuola ci sono situazione obiettivamente gravi, dal punto di vista disciplinare (e sarebbe il meno) e soprattutto dal punto di vista della vivibilità della scuola. Queste situazioni vanno affrontate con responsabilità. Offriamo alle persone protagoniste di tutto questo due strade: collaborare con noi e con i loro compagni, oppure levarsi dalle palle. Io non sono un buonista, uno è artefice del proprio destino, anche quando è nella merda. Ho avuto compagni di scuola che da situazioni assurde si sono tirati fuori e compagni di scuola che ci hanno sguazzato. Ognuno decide per sé. Se non ce la fa, a quel punto la mano è ben tesa per aiutare. Io penso che alcune situazioni vadano prese di petto e le persone protagoniste messe di fronte alle loro responsabilità (parlo anche di docenti, eh, io nella mia classe l’ho fatto quando ci sono stati dei problemi). Per fare questo però abbiamo bisogno di un punto di riferimento: se non può esserlo il preside perché non ne vuole sapere, inventiamoci un dispositivo qualsiasi, un consiglio disciplinare, dei referenti, decidiamolo insieme. Ma alcune situazioni non possono essere tollerate a lungo, pena il disamore non tanto dei docenti, che alla fine lo stipendio lo portano a casa uguale, quanto degli alunni. Ovviamente non sono per un modello puramente autoritario, tuttaltro, ma uno deve avere una scelta: lavora con noi a quest’altra cosa (ad esempio il progetto che io e altri abbiamo proposto di raccontare il quartiere con video, foto e testi, per ora naufragato tra disinteresse dei ragazzi e ore del progetto consumate dalle supplenze), se invece preferisci continuare a fare il pirla, fallo pure a casa tua fino ai 16 anni e poi vai a fare un lavoro di merda senza licenza media. Affari tuoi. Impara dalla strada se non vuoi essere aiutato.
Questo passaggio è importante, perché al momento alcuni colleghi si fanno prendere dal buon cuore oppure dalla stanchezza di cercare figure di riferimento che possano strigliare i ragazzi (il preside) e vanificano così lo sforzo di altri. Soprattutto per me questo passaggio è importante perché ovviamente lo metto per iscritto per confutare ogni accusa che mi si possa muovere di scegliere le soluzioni solo in base all’ideologia o alla mia impostazione politico/sociale.
Veniamo al terzo punto micro: la sopravvivenza della scuola. Forse dobbiamo anche qui sforzarci di più. Chiediamo e cerchiamo con i genitori e le strutture del quartiere di fare un incontro vero, aperto in cui dirsi tutti i problemi in faccia, in cui coinvolgere anche i genitori nella soluzione dei problemi (di fondi, di strutture, di vivibilità) non solo della scuola ma del quartiere. Inseriamoci nel tessuto del quartiere per provare a migliorare le cose. Durante la protesta per la Gelmini la nostra scuola e il nostro quartiere sono stati abbastanza silenziosi e i miei appelli per una lettera sottoscritta (la mobilitazione minima e non l’unica proposta che ho fatto) sono caduti nel vuoto o addirittura in affermazioni tipo "non possiamo farlo perché ognuno deve lottare nel suo ruolo", e vaccate del genere. Il quartiere è complicato, ovviamente non sarà facile, ma se vogliamo farlo si può farlo. Altrimenti continuiamo a tirare avanti la baracca alla bella e meglio, ma non ci stupiamo che i genitori cerchino una soluzione nella fuga: dobbiamo motivarli noi.

Questi punti non sono molti, forse sono anche semplicistici, ma si deve pur partire da qualcosa. Gli altri docenti che hanno scoperto la blogosfera e il preside che si è affacciato pungolato ovviamente da qualche benintenzionato e subito lanciatosi in una controinvettiva sulla forma (le battute sul vecchino e via dicendo) e non sulla sostanza (le critiche dei miei post) che cosa ne pensano? Domani vedrò di portare un po’ di stampate a scuola e vediamo cosa succede.

Passiamo al punto del problema macro, dato che si aggancia all’ultimo punto micro. Il problema della scuola oggi è che chi si è preso l’incarico di una sua riforma negli anni non lo ha mai fatto con un’ottica ad ampio spettro, cercando di proporre a partire dal  momento della formazione un modello di società diverso e migliore di quello in cui viviamo. Soprattutto l’ultimo Ministro non si è minimamente preoccupata di comprendere i problemi veri, magari girando in un po’ di scuole o mandando delle persone a verificare la situazione, ma si è accontentata di fare da sponda ai dettami economico-fiscali di Tremonti (da un lato) e alle sue fonti di ispirazione e appoggi di potere (la chiesa e la scuola privata). L’obiettivo dell’ultima riforma è chiaro, e nella scuola di piazza Gasparri lo è veramente alla sua ennesima potenza: depotenziare al massimo la scuola pubblica, mandarla in rovina, e convincere le famiglie che un’istruzione privata sia meglio, più sicura, più ricca e più competente. Noi sappiamo che non è vero, che un sistema di istruzione principalmente privato non è una soluzione ma l’inizio del declino e della sottrazione di larghe fette della popolazione a una formazione sociale, ma nessuno ha il coraggio di affrontare il problema di petto.
Allora dal punto di vista macro c’è una sola soluzione: battaglia. Dopo i primi mesi di mobilitazione soprattutto alle elementari (le medie sono state in verità molto silenziose sulla riforma) tutto tace. La riforma procede e tutto tace. Se prendiamo l’ultimo punto delle soluzioni micro, possiamo trasformarlo anche in un primo punto delle soluzioni macro. Solo con una opposizione forte di tutte le parti in causa insieme, dai docenti al personale ata, fino al preside e ai genitori, allora potremo pensare di influire sulla bocciatura definitiva di questa riforma. Ogni arma vale: se decideremo di muoverci allora scioperi bianchi e mobilitazioni eclatanti avranno un senso. DIversamente se tutti mi risponderete ancora una volta che "ognuno ha il suo ruolo e non spetta a noi fare certe cose", mi adeguerò, continuerò a fare casino dove e come posso, continuerò a raccontare ai miei alunni perché ci sono dei problemi nella scuola, nella speranza che diventino adulti migliori di noi.

Per ora mi fermo qui e stampo tutto.
 

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I problemi della scuola – parte terza – un po’ di precisione

14 Febbraio 2009 19 commenti

 

Sollecitato dai commenti agli ultimi due post [ parte primaparte seconda ]che raccontano alcune delle disavventure di una scuola secondaria di primo grado della periferia milanese, ho pensato che fosse meglio fare un po’ di chiarezza e raccogliere alcuni suggerimenti. Di certo non raccoglierò i suggerimenti di Anny, una commentatrice che mi pare molto inviperita e in disaccordo con me rispetto a quanto accade alla scuola dove sto insegnando come supplente: con tutti i problemi che ha quella scuola, un consiglio straordinario dovrebbe essere convocato per parlare del mio blog? Mi pare francamente ridicolo. Come ho detto nei commenti: quello che scrivo lo penso e sono stato l’unico a rimbrottare il preside circa la sua scarsa partecipazione alla vita della scuola in un collegio docenti, dopo che nei collegi d’ordine tutti si era d’accordo per farlo senza che nessuno poi avesse il coraggio di prendere la parola. Quindi l’accusa di nascondermi dietro l’anonimato mi pare pretestuosa e anche poco sostenuta dai fatti. Peraltro nei post io ho dato indizi molto chiari su chi io sia, e chi commenta su questo blog ne è perfettamente al corrente, mentre il tuo commento (quello sì) è molto anonimo oltre che animato. Al massimo, Anny, posso concederti che il mio linguaggio si è fatto troppo colorito nel secondo post, cosa a cui ho già rimediato, ma comprendimi, era una giornata no.

Tanto per chiarirsi: l’autore di questi post (e di questo blog) è il supplente di matematica che sta seguendo la prima d della scuola di piazza Gasparri, quello sempre vestito di nero; lo stesso supplente che fuori dai suoi orari di lavoro ha sistemato per due mesi il laboratorio di informatica e aiutato alcuni docenti della Rodari a migliorare il laboratorio informatico di quel plesso; lo stesso che ha sistemato l’armadio della biblioteca di cui si erano perse le chiavi e di cui si voleva far pagare la riparazione ai docenti referenti per la biblioteca anziché usare i fondi della scuola per far intervenire il fabbro; lo stesso che ha messo a posto la stampante e mandato in rete il computer dell’aula insegnanti senza che nessuno (salvo poche eccezioni) si degnassero di dirgli grazie. Posso andare avanti, ma tutti questi episodi mi servono solo a dimostrare che anche se io sono presente nella scuola solo da quest’anno, mi sono messo a disposizione di tutti per rendere la vita nell’istituto migliore, anche al di fuori dei miei orari di lavoro. Forse a te, Anny, è sfuggito. Se poi le mie descrizioni della vita nella scuola non corripondono con la tua percezione sei benvenuta ad aggiungere un altro punto di vista, senza minacciare consigli e altro. Certamente gli anni scorsi sono stati diversi da questi.

Un altro distinguo che mi va di fare rispetto ai commenti di Anny, è che quanto scrivo non vuole essere una generalizzazione. Tra i docenti, tra i bidelli, tra i segretari e le segretarie ci sono persone simpatiche e meno simpatiche, preparate e meno preparate, ma quello che racconto sono fatti accaduti e che vogliono mostrare come i limiti della scuola italiana in questo momento siano molto più complessi di quello che ci vogliono far credere, e sopratutto che le soluzioni della Gelmini e di Tremonti sono antitetiche alla reale natura dei problemi. Con meno fondi andrà tutto certamente peggio, e non viceversa.

Molto più interessante è stato il commento di "doc" che mi esortava a mostrare anche i lati positivi della scuola comasinense. Su questo ha certamente ragione. Come ho anche scritto nel primo post, nella scuola Gandhi ci sono docenti molto dedicati, grazie ai quali e alle quali la scuola sopravvive nonostante tutto. E così ci sono anche parecchie persone del personale ATA senza le quali la vita sarebbe un inferno. E così anche in segreteria (a cui più che altro contesto un certo approccio formalista e non certo le qualità personali del personale che la compone, che conosco troppo poco). Ma la scuola non è solo i suoi lati negativi.

Ad esempio tutte queste persone che lottano per farla sopravvivere hanno un enorme potenziale, che se fosse messo a frutto potrebbe trasformare il brutto anatroccolo della Comasina in un centro propositivo e vivo. Per farlo però non bastano un manipolo di persone, ma abbiamo bisogno di collaborazione e di un po’ di spirito di cooperazione. In questi giorni si è svolta la serata per chiedere alle famiglie del quartiere di iscrivere i loro figli alla media di piazza Gasparri, di fronte a una emorragia di iscrizioni verso la media di Affori e di Bruzzano. Spostare i loro figli non risolverà il problema di come crescono in quel quartiere: anzi se lavorassimo tutti insieme per migliorare la situazione della scuola di piazza Gasparri daremmo impulso a un progetto molto stimolante. Certamente è difficile e a volte scoraggiante il clima nella scuola dove insegno. Ma altre volte vedere tutti insegnanti giovani (tutto sommato! 🙂 e con voglia di fare offre uno stimolo netto a fare di più. Spero che la scuola riesca a raggiungere il quorum di iscrizioni nonostante i bastoni fra le ruote del Comune e delle assenze di quelle figure che dovrebbero più preoccuparsene – come il Dirigente. E anche nonostante le persone che per difendere in maniera un po’ corporativa il plesso di piazza Gasparri (come Anny) vorrebbero tacere i problemi che la scuola  Gandhi esemplifica suo malgrado.

Mi auguro anche che questi miei post, che sono certo scateneranno non pochi litigi al mio arrivo a scuola lunedì, servano a far crescere l’esperienza di quella scuola. Anche se serbo il dubbio che tutto si risolverà in qualche sguardo in tralice, qualche delazione al preside per cercare di farmi avere ingiustificate note disciplinari (fino a prova contraria non c’è il divieto di raccontare quanto avviene a scuola su un blog, se fatto senza diffamare alcuno) e nulla più. Staremo a vedere. Anche se i commenti di altri colleghi non abbastanza abili con il computer per commentare ma avvezzi agli sms mi hanno un po’ confortato sulla natura realistica e non visionaria dei problemi che ho presentato. Alla prossima. Come sempre.

PS: dopo questo post buonista tornerò presto alle cattive maniere, non temete. 🙂

 

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I problemi della scuola – parte seconda

9 Febbraio 2009 13 commenti

 

Continuiamo a narrare i problemi della scuola italiana, visti a partire dalla vita vissuta e non come per il nostro Ministro Gelmini a partire dai pregiudizi che ci hanno inculcato e dalle necessità "politiche" del proprio leader (e forse non solo leader… stando a qualche intercettazione piccante).

E’ tempo di scrutini del primo quadrimestre e di presentazione della scuola alle famiglie per l’iscrizione.
Tanto per cominciare agli scrutini il Dirigente non si presenta. Già vi ho raccontato come il Dirigente della mia scuola pare l’esempio perfetto dello statalismo che attira gli strali di Brunetta e ne sancisce il successo. Per pararsi il culo – come è maestro nel fare – ha però fatto consegnare ai coordinatori di classe una delega scritta, in modo da essere formalmente ineccepibile (visto che all’ultimo Collegio Docenti qualcuno ha fatto notare che può sì delegare alcune funzioni ma deve farlo per iscritto). In ogni caso immaginate voi cosa conosce della sua scuola un Dirigente che non va agli scrutini: come farà a sapere quali sono le situazioni problematiche? Per sentito dire? E a giudicare il rapporto tra colleghi o come procede l’attività didattica? Chi lo sa… D’altronde un Dirigente prende 3000 euro al mese per essere "responsabile" della scuola, ma forse sono pochi per fare qualche pomeriggio al mese a capire che aria tira nelle varie classi.
In compenso le pagelle non potranno essere consegnate alle famiglie, consuetudine di lunga data, perché sono documenti ufficiali e non possono uscire dalla scuola. Bene, dirà qualcuno, allora si facciano delle fotocopie e via, no? No. Costano troppo e la scuola non se le può permettere (1000 fotocopie, a 2 cents l’una fanno 20 euro!). Eccheccazzo! Il mondo al contrario.
Passiamo alla presentazione della scuola. Il tira e molla con il Dirigente è durato per una settimana: lui voleva farla in orario di lezione; i docenti, coscienti del fatto che durante l’orario di lezione le famiglie LAVORANO, volevano farle una sera. Il Dirigente dopo essere stato pregato in cinese ha acconsentito ad autorizzare gli straordinari dei bidelli con il monito minaccioso: se succede qualcosa, pagate voi docenti di tasca vostra, perché tutto ciò è fuori regole! Tradotto: non gliene frega niente di presentare la scuola e cercare di salvarla – dato che la maggior parte delle famiglie vorrebbe iscrivere i figli alla vicina scuola di Affori (strano no? Visto che lì funziona tutto così bene!) – ma non vuole rotture di scatole che lo disturbino dalla sua occupazione preferita: i nipotini!
Ormai io spero vivamente che i suoi nipotini finiscano nelle grinfie dei Latin Kings che fanno il bello e il cattivo tempo nella scuola dove andranno a studiare. Così quando la sua ignavia gli si ritorcerà contro, forse si renderà conto di quanti danni ha fatto nel suo piccolo alla scuola italiana e milanese in particolare. Sarà che in questi giorni ho il dente avvelenato, ma la pazienza volge al termine!

PS Ovviamente sui nipotini ai Latin Kings scherzo, che spero non siano dei pischelli a scontare le antipatie che ispira il proprio nonno. Lo scrivo dato che questo blog è giunto alle orecchie di alcuni colleghi e già intuisco come andrà a finire. Che magicamente sono l’unico a pensare quello che ho scritto e che verrà "ostracizzato" per aver lavato i panni sporchi in pubblico. Same old story…

 

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I problemi della scuola – parte prima

27 Gennaio 2009 12 commenti

 

Oggi vi racconto una storia. E’ una storia vera. Arriva dalla vita di tutti i giorni. Se riesco proverò un po’ a popolare questa categoria, per cercare di offrire anche ad altri scorci di una vita quotidiana che spiega spesso molte più cose di quella virtuale che ci offrono media e opinionisti di varia car(i)atura. La storia che vi racconto è ambientata in un quartiere periferico di Milano, la Comasina, un quartiere difficile, dove ho vissuto per molto tempo, quasi cinque anni. Sono nato ad Affori però a mezzo chilometro di distanza, e cresciuto tra il mio quartiere e il suo gemello "malato" Bruzzano, che insieme alla Comasina, Quarto Oggiaro e Bovisasca completano il pentacolo della morte grigia: ovvero delle zone degradate del nord di milano. In effetti Affori dei cinque è quello messo meglio, storicamente sede della borghesia della periferia e l’unico quartiere di destra in anni migliori (adesso ovviamente non è più l’unico da molto tempo).
In Comasina si aspetta la metropolitana tre da trentanni esatti. La prima volta che ne parlarono avevo tre anni e sembrava fosse imminente. Gli scavi per realizzarla sono iniziati l’anno scorso, ovviamente creando un macello viabilistico che solo gli esperti topografi comunali e i vigili urbani potevano immaginare. Ma questa è un’altra storia, non quella che volevo raccontarvi.
In Comasina ci abitano persone di ogni tipo: dalle famiglie di bravi ragazzi con pochi soldi, alle famiglie di disperati, tossici, ex-carcerati redenti e non, mafiosi, delinquenti, immigrati lavoratori. In generale famiglie umili con un sacco di casini e spesso con pochi soldi per sistemarli, famiglie a volte ignoranti e presuntuose, a volte intelligenti e sfortunate.

Un tempo in Comasina c’erano una scuola elementare, in piazza Gasparri, al numero 6, e una scuola media, in via Bernardino da Novate. La scuola media è stata abbattuta per fare posto alla metropolitana. La scuola elementare è stata accorpata alle medie e alle elementari della Bovisasca, in via Gabbro, con quelle operazioni che in tempi di calo demografico si chiamano Istituti Omnicomprensivi. In Bovisasca almeno le due scuole rimangono separate. In Comasina no: dall’età di 5-6 anni fino a quella di 13 (o anche 16 in alcuni casi disperati) i ragazzi rimangono nelle stesse fatiscenti aule di proprietà del Comune. Quando sono arrivato e ho visto lo stato in cui versava la scuola, ho capito subito che il desiderio di tutti – sottinteso "di tutti quelli che amministrano le cose pubbliche" – è quello di farla chiudere per sfinimento. Solo così si spiega perché lasciare un bene pubblico marcire sotto il peso dei suoi anni, facendo solo gli interventi che altrimenti minaccerebbero di trasformarsi in denunce per gli amminstratori, ma senza muovere un dito di più. Nella scuola di piazza Gasparri, ironicamente intitolata a Gandhi, non c’è un’aula dove far trascorrere agli alunni l’ora di alternativa, o dove svolgere attività con i disabili, e le poche aule in surplus a quelle per le classi sono oggetto di aspro combattimento tra i docenti per le varie idee extra-curricolari. Ma fosse solo questo il problema, si possono insegnare un sacco di cose anche in un corridoio o in un cortile. Infatti io prevedo che farò esattamente così in primavera.

I problemi non sono solo questi. Infatti fino al 30 settembre la scuola non è stata in grado di avere tutti i professori necessari, tra defezioni e rinunce. Un motivo ci sarà, mi sono chiesto quando sono arrivato. Ma la periferia settentrionale di Milano è casa mia e mi ci trovo a mio agio. Sono abituato ai deliri e alle sue complicazioni. Non mi spaventano. Forse anche perché peso 85 chili e sono alto 182 cm e almeno ai ragazzini incuto ancora un discreto timore. Oltre ai prof, fino a dicembre la scuola non ha avuto un preside, ma solo un reggente, che giustamente ha fatto il minimo necessario per far sopravvivere la scuola. L’impasse è stato superato solo grazie alla buona volontà di 11 docenti, che tra le tre scuole si sono fatte in quattro per salvare la baracca. Pensavano di dover gestire una situazione di emergenza che si sarebbe colmata quando fosse arrivato un nuovo preside.
Dovete capire che la scuola del quartiere Comasina è una polveriera. Eccettuate le prime, in cui sono ancora piccoli per costituire un problema serio, le due seconde e le due terze hanno almeno tre casi complicati ciascuna: e nessuno disabile nel senso più nitido della parola. La maggior parte delle situazioni sono ragazzi con famiglie disastrate, con problemi di inserimento e di storie lunghe e terribili alle spalle, troppo vecchi per stare ancora alle medie, senza prospettive già a 15 anni e senza interessi, con la sola voglia di stare a spasso su una panchina a dire stupidate e sentirsi più grandi di quello che sono. Ne ho visti molti quando ero ragazzino io. La maggior parte sono diventati adulti infelici, delinquenti in carcere per spaccio o per omicidio (vi ricordate il barbone ucciso in largo marinai d’italia? Ecco, uno di quegli assassini era compagno di classe di mia soralla, di un anno più piccola di me…) Leggo la disperazione e la ferocia di questa città nelle loro storie, e mi piacerebbe trovare un modo per far capire loro che come sono diventato un adulto io, felice nonostante tutti i miei difetti e i casini in cui mi sono infilato, possono diventarlo anche loro. Che il loro futuro non è già scritto dal loro breve ma complicato passato.
E’ una scuola dura, dove ci sarebbe bisogno di molto più tempo e molte più persone di quelle che ci sono, per inventarsi modi nuovi di sconvolgere la vita degli alunni, di fare amare loro quello che si può imparare, di far trovare loro qualcosa che valga la pena del loro interesse. Ma di questi tempi più tempo e più risorse non sono la priorità nel mondo scolastico, anzi. Meno tempo, meno persone, meno risorse, e possibilmente un bel calcio in culo alla scuola pubblica. Nella scuola privata almeno, tutti questi derelitti pagheranno per essere lasciati stare e continuare ad alimentare la catena di crudeltà che permette ai pochi di vivere sulle spalle dei molti.

Tutto questo per spiegarvi che quando a dicembre abbiamo saputo che arrivava il preside ufficialmente designato, nutrivamo discrete aspettative circa la possibilità di vedere risollevate le nostre speranze per la scuola. Almeno per me era così. Ma forse sono un ingenuo. D’altronde ho sempre pensato che il problema della scuola – e del mondo in generale – non sono certo i pischelli, ma gli adulti. Professori senza voglia di insegnare, persone che dovrebbero stare in un CPS anziché dietro una cattedra, adulti che non hanno trovato di meglio. Non tutti ci mancherebbe, lo dico a scanso di equivoci, ma i pischelli possono ancora crescere, gli adulti difficilmente cambieranno.

Purtroppo all’arrivo del Preside è giunta anche una triste scoperta. Si è presentato un vecchino felicemente nonno che ha l’unica intenzione di godersi in nipoti e di andare serenamente in pensione. La prima cosa che ha fatto è stata rifiutarsi di convocare i Collegi d’Ordine e il Collegio Docenti, rimandandolo di una settimana quando era fissato da mesi. Poi ha preteso che chi fino ad allora aveva gestito la scuola – esaurendo così anche le ore stipendiate per fare le veci di un Dirigente Scolastico – continuasse a farlo come e più di prima. Poi il giorno dei Collegi d’Ordine non si è presentato a presiederli DANDO PER SCONTATO che qualcuno l’avrebbe fatto, trincerandosi poi dietro cavilli e cavillini per giustificare il fatto che non voleva perdere tutto il pomeriggio a scuola.
Dite che non l’ho preso in simpatia? Poco ma sicuro. D’altronde io penso che nella scuola se uno non ha voglia di trasmettere qualcosa agli alunni, è meglio che cerca un altro lavoro. Ma forse il fatto che un Dirigente prenda circa 3000 euro di stipendio è un frutto troppo ghiotto per mettere l’etica di traverso. Tutti abbiamo sperato che fosse solo il recente arrivo a frenarlo dall’essere quello che tutti si aspettavano: una figura di autorità e di stimolo per tutta la scuola. Non era così.
Infatti la seconda cosa che ha fatto è stata quella di mettere un bel cartello fuori dal suo ufficio con scritto: "SI RICEVE SOLO PER APPUNTAMENTO E NEI SEGUENTI ORARI". Ovviamente anche in caso di emergenze la cosa vale. Ma dopo poco tempo ho capito anche il modello che segue questo Dirigente: quello della Pubblica Amministrazione burocratizzata e fancazzista, che tanto lustro garantisce a Brunetta, purtroppo. Molti a scuola ingoiano il rospo, resi mansueti dalla coltre di leggine e leggi che il Preside scaglia loro contro alla prima protesta. Se neanche i docenti capiscono che la formalità, la legge, non conta un cazzo quando un comportamento è sbagliato, come faranno a trasmettere ai loro studenti il senso delle parole libertà, dignità, integrità e intelligenza. Di burattini siamo già pieni abbastanza, ma forse me ne sono accorto solo io.

Dicevo che il Preside ha trovato man forte nel modello che la Segreteria della scuola già incarnava nella rete di relazioni scolastiche. Era stato il mio primo impatto, e ancora non mi hanno convinto a ricredermi sul fatto che la disponibilità generale nella scuola da parte delle persone per rendere migliore una istituzione così importante sia molto bassa. Se volessimo far funzionare meglio la scuola, ognuno di noi dovrebbe impegnarsi a non perdersi in cazzate e sofismi, ma a lavorare insieme agli altri. Nella scuola italiana non funziona così. Sembra di stare nella fabbrica prima dell’era della sindacalizzazione. La segreteria contro gli insegnanti, gli insegnanti contro il ministero, i bidelli contro i genitori, il preside contro gli alunni, ecc ecc. Un disastro. La segreteria di solito è l’emblema della stupidità con cui vengono interpretate le regole e il senso della parola collaborazione in una scuola.
Il primo giorno in cui sono arrivato mi avevano convocato per le 9.00. Mi sono presentato e ho trovato la porta chiusa a chiave. Già, perché gli uffici sono aperti al pubblico e ai docenti solo tra le 8.00 e le 9.00 o tra le 12.30 e le 13.30. Così che io avrei dovuto aspettare lì fino alle 12.30 per firmare il mio contratto, oppure iniziare a lavorare senza contratto. Ovvio no? Ho pensato che fossero un po’ eccentrici e ho insistito, ottenendo quello che chiedevo con qualche occhiataccia e qualche brontolio. Ma io sono un tipo testardo. Una settimana dopo ricevo una chiamata mentre sono in classe. Non rispondo, ovviamente perché non ho il cellulare in tasca. Quando vedo la chiamata persa non capisco da dove arriva. Richiamo e scopro che arriva dalla segreteria. Sono le 9.30. Vado verso la segreteria dicendo loro che sono fuori dalla porta di aprirmi per dirmi quello di cui avevano bisogno, così risparmiavamo soldi. No. Sono rimasto cinque minuti fuori dalla porta a parlare con la persona che stava nella stanza oltre quella barriera. Perché non era orario di ricevimento ovviamente.
L’episodio più assurdo è stato qualche giorno fa. A raccontarlo uno non ci crede, ma purtoppo è successo per davvero. Due ragazzi si sono picchiati in una terza. Per un pacchetto di cracker. La professoressa presente, piccolina e non certo forzuta, li ha fatti smettere. Poi voleva convocare i genitori. Purtroppo erano le 11.10. E’ andata in presidenza, ma il preside le ha detto che non aveva un appuntamento e lui non c’era. E’ andata in segreteria e le hanno detto che se voleva convocare i genitori doveva aspettare l’orario di apertura al pubblico. Che ovviamente era fuori dal suo orario di lavoro. Lei ha aspettato, ha fatto chiamare il padre del ragazzo e si è trattenuta a parlare dell’episodio. Senza la presenza del preside. Senza essere pagata per farlo, dato che era oltre il suo orario di lavoro. A sentirlo così sembra un episodio di Asterix. Quello quando entra nella casa dei permessi romani e deve salire e scendere per il palazzo preda della burocrazia. Invece è la realtà.

Dicevo che il Dirigente ha pensato bene di confermare che le prime avvisaglie della sua assoluta mancanza di voglia nel prendersi responsabilità non erano campate per aria. Due giorni fa la commessa mi ha consegnato una lettera in cui delega ogni coordinatore di classe a presiedere in sua vece gli scrutini. Ovvero: evitare di venire per i pomeriggi di una settimana a fare una delle cose più importanti per un Dirigente: capire cosa succede nella scuola, e indirizzare i propri docenti circa le varie situazioni nelle classi. A me rimane l’impressione che gli unici ragazzini che il Dirigente ha a cuore siano i suoi nipoti. E – stante le cose – gli auguro che trovino una scuola in cui la loro vita venga valorizzata come quella degli alunni della sua scuola.
Intendiamoci, non sto dicendo che tutti i segretari siano delle persone cattive, antipatiche, o di scarsa umanità. Forse per il preside un po’ lo penso, ma lo conosco poco per essere così perentorio – anche se è tipico del mio carattere. Certo è che il modo in cui approcciano la loro vita lavorativa nel mondo della scuola è diametralmente opposto al mio. Non penso che le persone si debbano sacrificare sul luogo di lavoro, ma che partecipare al mondo della scuola significhi approcciare il proprio mestiere con un po’ di passione, un po’ di disponibilità e la voglia di trasmettere qualcosa ai pischelli e alle pischelle, o quantomeno di collaborare perché il posto in cui stai tante ore al giorno funzioni meglio. Se l’unico interesse dei più è farsi gli affari propri e far trascorrere più placidamente possibile le ore che lo separano dalla timbratura del cartellino, bisogna porsi alcune domande, o no?

Ora il problema della scuola è il tempo pieno? Sono i voti in numeri o in giudizi? Sono il grembiule? Sono il numero di maestri? La ministra Gelmini secondo voi è stata in una scuola pubblica? (rispondo io: no, neanche da studente, e quindi che cazzo ne saprà mai?) Il problema sono gli alunni? O sono i presidi svogliati, i professori impreparati psicologicamente prima che didatticamente, gli amministrativi fiscali e burocratizzati? O forse le strutture fatiscenti, la carenza di fondi? O forse la disperazione di questa città? Avremo tempo per parlarne. Per quanto mi riguarda almeno fino al giugno 2009, quando finisce la mia supplenza. E spero anche più in là. Anche se farmi ben volere in un mondo ipocrita è sempre stata una cosa che mi riesce male.

Per ora mi fermo qui. Ma sono sicuro che non saranno le ultime storie che sentirete dalla profonda periferia nord di milano, settore scuola. Altro che no future.
 

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Morte feroce, morte indifferente

15 Settembre 2008 17 commenti

 

Ieri nella prima fredda domenica di autunno milanese vero e proprio, un ragazzino di 19 anni è stato ammazzato a bastonate. Ci è voluto un attimo perché la canea politica prendesse il sopravvento, tra chi faceva notare – giustamente – come questo omicidio sia frutto dell’aizzamento razzista e fascista che ormai riempie il nostro quotidiano e la quotidiana sfera pubblica del comunicare e del sociale, e chi sgattaiola definendo la morte di Abdoul un banale episodio di violenza metropolitana – e ci permettiamo di dissentire sulla definizione che tali persone possono dare di banalità o normalità. 

Io non conoscevo Abdoul, quindi non mi permetto di dire niente sulla sua storia, sulla sua vita e sulla sua morte. Ma vivo nella zona in cui è stato ucciso, vivo Milano da quando sono nato, combatto la parte più orrenda e oscena di questa città da quando sono nato – non la odio, la combatto. Per cui qualcosa da scrivere ce l’ho, soprattutto dato che la canea ha sommerso le affermazioni più vere e più semplici: quello di Abdoul è un omicidio esemplare, un momento che riassume perfettamente e atrocemente la ferocia e l’indifferenza di questa città e non solo, di tutto il Belpaese schifoso. Infatti nessuno si cura di far notare che il luogo dove è avvenuto l’omicidio di un ragazzino di 19 anni per un pacco di biscotti è a 500 metri da dove le unità militari volute dall’esimio La Russa poltriscono tutto il giorno per "garantire la sicurezza dei cittadini" – ma forse Abdoul non è un cittadino, anche se tutto fa pensare il contrario. Nessuno dice che intorno al luogo ci sono tre (3!) commissariati di polizia e una stazione dei carabinieri (che io sappia, ma forse sono di più), e che le strade intorno alla zona sono un pullulare di volanti a tutte le ore del giorno. Ma anche senza scomodare i tutori dell’ordine in pausa pranzo o caffé, quello che qualsiasi persona dotata di un briciolo di cervello e ancora di un briciolo di umanità dovrebbe chiedersi è: ma non passava nessuno in quei minuti, in quei momenti, che potesse alzare una mano o una parola per fermare il pestaggio? E se passava, perché non ha fatto nulla?

La risposta più feroce di Milano è quella a questa domanda. Ve lo dico io: passava sicuramente qualcuno, ma ha tirato dritto. Ha tirato dritto perché non ci si fa mai i cazzi degli altri, soprattutto quando serve, perché la gente ha paura, e piuttosto che fare una cosa che ritiene giusta ma che è pericolosa, preferisce subire qualsiasi umiliazione e qualsiasi violenza. E ognuno di noi dovrebbe guardarsi allo specchio e chiedersi che cosa avrebbe fatto lui: la risposta onesta a questa domanda distingue chi ancora pensa che ci sia una speranza – in un miliardo – per essere umano, e chi ormai ha perso anche questa ultima triste battaglia. 

à la prochaine

La classe non è acqua, è rumore

11 Aprile 2008 4 commenti

Ich warte auf meiner Eisbergspitze
am Ende der Physik
auf Novemberhitze
und auf Dinge dies nicht gibt
Ich warte warte immer weiter
letztendlich auf Musik

Ormai da anni l’unica band che posso usare per rispondere alla domanda "quale musica ascolti" sono gli intramontabili Einstürzende Neubauten che dal 1980 offrono al sottoscritto (o meglio dal 1990 quando li ho scoperti) qualcosa per cui valga la pena di pagare il prezzo di un concerto o di un album registrato. I loro pezzi sono sempre una amalgama magnifica di rumore, suono e parola, che avrebbe molto da insegnare a chi pensa che il tedesco non sia una lingua adatta alla musica moderna o alla poesia: i loro testi sono stupendi e hanno una forza immaginifica imponente, spesso più dell’inglese che è una lingua troppo semplice per veicolare dei concetti articolati senza sembrare ampolloso. 

Ieri sera sono andato per la seconda volta in vita mia a un concerto della band berlinese. Prima di questo avevo visto quello del tour di "Ende Neu" nel 1996/1997 al Tempelhof di Berlino, dove ero capitato praticamente per caso insieme all’intramontabile Ciamma (un talento teatrale che ancora opera in quel di Milano, ma che come molti del giro con cui ho fatto cose nella mia vita ha preferito rimanere ai margini ma fare quello che voleva, che piegarsi alle necessità di produzione). La formazione è ridotta a 3/5 della line-up "originale" anche se questo termine è difficile da usare: tra il 1980 e il 1981 gli EN erano Blixa Bargeld, N.U. Unruh, Alexander Hacke, F.M. Einheit, Marc Chung. Gli ultimi due dal 1996 in poi hanno abbandonato il gruppo (con grande rammarico del sottoscrittosoprattutto per quanto riguarda Einheit che è sempre stato l’anima punk e sonica del gruppo) e sono stati sostituiti da Jochen Arbeit e Rudi Moser (con il contributo nei live del tastierista australiano Ash Wednesday).

I ragazzi terribili degli anni ottanta berlinesi ormai sono degli attempati cinquantenni che si divertono a demolire il suono con strumenti di ogni tipo sfoggiando mise tutto sommato sobrie (se facciamo eccezione per Alex Hacke la cui dignità è stata da lungo tempo riposta su una mensola, almeno per quanto riguarda la questione estetica). La loro performance è meno di impatto di quelle di altri tempi, ma il muro sonoro non ha perso nulla della sua efficacia, anche se qualche pezzo dal vecchio repertorio avrebbe fatto felice tutti i presenti. E non si sono certo risparmiati, dato che hanno suonato per due ore tonde. La cosa che lascia totalmente affascinati non sono tanto gli strumenti magnifici che hanno costruito in 30 anni di carriera a partire da oggetti della deriva industriale e urbana, ma la presenza che i suoni generati riescono ad avere nella composizione complessiva dei loro pezzi, anche dal vivo. Ogni suono appare in primo piano, si perde negli altri, e porta l’occhio e l’orecchio dell’ascoltatore a cercare sul palco la sua provenienza e il suo percorso: nel macello che fanno non è una cosa scontata riuscire a dare il giusto peso a ogni rumore, ed è questa abilità nel dominare il caos e la complessità della loro musica anche dal vivo che li rende un gradino sopra tutti coloro che hanno cercato di imitarli (e che li fa entrare nell’olimpo delle band che si ricorderanno nei secoli dei secoli). 

Senza contare che sono tra i pochi con un nome anche a livello di produzioni internazionali che hanno avuto il coraggio di abbandonare le etichette per provare a produrre i propri album attraverso il supporto e la costruzione di comunità con i propri fans. Un progetto coraggioso che continua ogni concerto che registrano e rendono disponibile immediatamente dopo la performance in un doppio cd. L’Italia e le major discografiche da questo punto di vista sono millenni addietro.  Per chi se il è persi un tentativo a Bologna o Napoli dovrebbe essere una buona idea, oppure il prossimo album e il prossimo tour che tocca sempre la città di Milano (per mia fortuna 🙂

PS: tnx to Rosario per gli accrediti che mi hanno consentito di entrare a free

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L’Esselunga torna al secolo scorso

29 Febbraio 2008 8 commenti

 

Ripubblico un articolo che ho appena postato su precaria.org. Ne approfitto per consigliare a tutti di tenere d’occhio il sito in questione, perché tutta una rete di precari e attivisti sta puntando a farlo diventare una buona fonte di informazione alternativa selezionata, spigliata e aggiornata, o come dice frenchi popolare e sofisticata. Se avete voglia di partecipare, non dovete fare altro che iniziare a pubblicare le cose nella zona OP e poi piano piano costruire una relazione con la rete che vuole essere la protagonista del sito. Un esperimento interessante per rompere il cerchio, vediamo dove va.

L’Esselunga torna al Secolo Scorso

Il 2 febbraio 2008 una cassiera dell’Esselunga di via Papiniano è costretta
a rimanere alla cassa in attesa di un cambio di turno nonostante un
impellente bisogno di andare al bagno, fino a quando, umiliata, non può
fare altro che pisciarsi addosso. Dopo questo episodio, la
cassiera denuncia quanto avvenuto, ma a parte gli articoli di colore,
nessuno si preoccupa. Tranne i suoi datori di lavoro, che il 28 febbraio pomeriggio hanno pensato bene di mandarle un messaggio inequivocabile: un energumeno l’ha aspettata nello spogliatoio del personale, le ha messo un bavaglio in bocca, picchiandola 
e intimandole che "aveva parlato troppo". Sabato 1 marzo duecento
persone hanno manifestato di fronte al supermercato dove lavora la
donna, ma solo due delle novanta colleghe hanno partecipato allo
sciopero indetto dai confederali (fonte: Repubblica). Chi ha aspettato
fino ad ora per preoccuparsi, è bene che cambi idea in fretta.

Che i supermercati Esselunga non fossero un paradiso
si sa da tempo. Che il loro proprietario, il prode e littorio Caprotti
non fosse proprio un libertario anche questo è cosa nota, nonostante le
arie da liberale tradito che ha cercato di darsi pubblicando un libello
contro le Coop (che per carità nessuno vuole difendere, ci
mancherebbe). Ma quello che sta accadendo nel supermercato di via
Papiniano a Milano ha dell’incredibile, e solo un cieco potrebbe fare
finta di non vedere i prodromi di un rigurgito di metodi e pratiche che tutti speravamo appartenere al passato

Il supermercato di via Papiniano è situato giusto di fianco al carcere
milanese di San Vittore, in una zona popolare tuttosommato abbastanza
vicino al centro. E’ una sede abbastanza grande, già presa di mira in
almeno un paio di occasioni durante la mayday del 2004 da iniziative
legate alla campagna "Picchetta una Catena" – che si proponevano alle
grandi catene di tenere chiuso in maniera sensibile il primo maggio,
festa dei lavoratori – e da azioni successive di sensibilizzazione e di
protesta per le condizioni di lavoro.

All’inizio del mese di febbraio le cronache milanesi – che certamente
questo non è argomento da prime pagine, non certo come le parolacce di
Pippo Baudo – hanno riportato un episodio che già in sé avrebbe
meritato di destare preoccupazione: una cassiera ha chiesto ripetutamente un cambio volante per poter andare in bagno; il cambio le è stato negato fino a quando la povera donna ha dovuto pisciarsi sotto,
scoppiando in lacrime per l’umiliazione. Usiamo le parole per quello
che sono: non si è "orinata addosso", non ha "perso il controllo dei
propri organi escretori". Si è pisciata addosso.  A 44 anni. Per non
fare perdere tempo e denaro all’azienda. Vi viene da vomitare? Anche a
noi.

La donna coraggiosamente ha denunciato l’episodio, e si è presa
dieci giorni di malattia perché stava male. E sfiderei chiunque a saper
affrontare una umiliazione simile senza sentirsi male. Al suo ritorno
al supermercato qualcuno deve aver pensato che era necessaria una bella
lezione: altrimenti poi questi dipendenti si montano la testa, no? Il
28 febbraio 2007 la donna si è recata come al solito nello spogliatoio
del personale per cambiarsi a fine turno prima di andare a casa. prendere delle monete per la macchinetta del caffé. Mentre era nello spogliatoio è stata aggredita alle spalle da un uomo, che le ha messo uno straccio in bocca per impedirle di gridare, le ha sbattuto la testa contro l’armadietto e l’ha fatta svenire. Le parole che hanno accompagnato l’aggressione non lasciano dubbi: "hai parlato troppo!"

L’episodio è avvenuto all’interno del supermercato, e quindi
ad opera di qualcuno che non può non essere stato tollerato – e a
pensare male si fa peccato ma ci si azzecca sempre, quindi noi diciamo inviato – dalla direzione del supermercato stesso. Dopo l’episodio i funzionari della Esselunga hanno parlato di "incidente", non hanno avvisato la polizia, né denunciato l’accaduto, e ovviamente hanno ripulito per bene lo spogliatoio, in modo da rendere adeguatamente impunibile il responsabile

I sindacati hanno indetto per il 1 marzo uno sciopero di tutte le Esselunga di Milano,
e davanti al supermercato di via Papiniano si sono radunate nella
giornata di sabato duecento persone, anche se solo due delle novanta
colleghe della vittima hanno partecipato allo sciopero (fonte:
un’articolo su La Repubblica, nella cronaca milanese). Il prossimo appuntamento è un volantinaggio martedì 4 marzo
davanti agli esercizi commerciali della catena. Quando il 31 ottobre
2004 qualcuno si presentò a un’altra Esselunga con uno striscione che
recitava Tutti Santi (i lavoratori) Tutti Stronzi (i proprietari delle catene)
non andava lontano dalla verità: fossero solo stronzi ci consoleremmo.
Il problema è che inizia a respirarsi una brutta aria, come non si
respirava da tempo in territorio italiano, e sembra che prenderne atto
sia molto difficile, o forse solo scomodo per chi crede che la propria
vita sia agiata e priva di complicazioni.

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Strade e storielle sociali a genova

13 Dicembre 2007 Commenti chiusi

 

Segnalo, molto rapidamente che non ho moltissimo tempo, un bel lavoro che il  mio socio sta portando a termine sul suo blog, mentre siamo in sospeso sul resto dei nostro lavori narrativo-editoriali: prendi le vie famose per il g8, conoscine la storia, e raccontala a chi non la sa, con il giusto tocco di ironia che merita la realtà abbruttita che ci circonda fin troppo spesso. I due post [ uno e due ] sono molto divertenti, e forse potremmo impegnarci in due per farne qualcosa di più che una boutade.

I progetti di blackswift (molti) latitano nell’attesa di avere tempo e voglia di scrivere e leggere, cosa che sembra venire difficile a entrambi (me e il mio socio armeno), ma non temete, non cesseremo di stupirvi. Le strade, come già si può intuire dall’approccio di monocromatica, non sono neutre: i luoghi nascondono storie, soprattutto storie che si intrecciano con la cronologia ufficiale delle epoche dando uno spessore diverso a fatti che messi in sequenza riducono drasticamente il senso del processo storico. Forse fermarsi ogni tanto a raccontare come si vivono i luoghi delle proprie città basterebbe a tenere viva la loro anima.