William Gibson parla del presente attraverso la SF
William Gibson è stato senza dubbio uno degli autori più importanti nel panorama della letteratura di genere e non degli anni ottanta e novanta: negli ottanta quando scriveva e nei novanta per l'eco dei suoi libri degli anni ottanta. Negli anni novanta si è perso, uccidendo la stima che ognuno di noi provava per il suo talento con libri indignitosi (Idoru o Virtual Light andrebbero cancellati dagli annali delle pubblicazioni). Il nuovo millennio ha portato all'autore di stanza Vancouver nuova linfa e ispirazione: dopo un decollo modesto in American Acropolis, il suo penultimo libro Pattern Recognition è un capolavoro sui livelli di Neuromancer. Ogni volta che vado in Inghilterra mi porto indietro una nuova pubblicazione che in Italia si vedrà tra mesi: l'anno scorso ho potuto gustarmi Anansi Boys di Neil Gaiman (molto modesto a dire il vero), e quest'anno ho messo in saccoccia Spook Country.
Gibson con il precedente libro è tornato a scrivere Science Fiction nel senso più profondo del termine: libri che descrivono paradigmi per interpretare la realtà, chiavi di lettura per decifrare quello che ci sta accadendo intorno, con l'alibi vagamente tranquillizzante della collocazione in un futuro più o meno remoto. In una recente intervista l'autore adottato da Vancouver ha spiegato perché la sua Science Fiction non è più ambientata nel futuro ma nel presente. Oltre a confermare il carattere di modulo interpretativo del presente che la fantascienza ha da sempre avuto, Gibson sintetizza molto bene l'immediatismo a cui i nostri tempi ci hanno destinato: "There's a character in my previous novel, Pattern Recognition ,
who argues that we can't culturally have futures the way that we used
to have futures because we don't have a present in the sense that we
used to have a present. Things are moving too quickly […]"
Spook Country è sicuramente un lavoro meno intenso da un punto di vista delle potenzialità e della profondità delle sue implicazioni cognitive e culturali, rispetto a Pattern Recognition, ma segna un ritorno a molte delle cose che hanno reso William Gibson unico nel panorama letterario, senza per questo imboccare la strada suicida della monotonia: il romanzo usa il classico stile di montaggio a mosaico senza sbavature, e inserisce la tecnologia nella quotidianità, rendendola al tempo stesso un perno della storia e una scusa per parlare di altro. Come al solito lo scrittore nordamericano risulta sempre un po' artefatto quando parla di tecnologia in senso stretto, ma questo è un limite che all'epoca dei suoi primi romanzi (nell'1982) era diventato un suo punto di forza, traducendo le prospettive tecnologiche in qualcosa di verosimile ma non scontato, accennato, sfumato nella sua possibilità.
Il libro e l'autore si crucciano su un nodo culturale su cui anche io mi incastro da tempo: le tecnologie, in particolare alcune tecnologie, modificano in maniera sostanziale la nostra percezione della realtà, definiscono il nostro contesto cognitivo e di fatto alterano la nostra visione di ciò che siamo, di ciò che sono gli altri e il mondo in cui ci muoviamo. Le tecnologie sono un fattore di pesante influenza antropologica e culturale in altre parole.
Il problema, adesso come negli anni ottanta e novanta (e come anche nell'800, basti pensare allo scontro ideologico tra Tesla e Edison), è che le tecnologie non sono di tutti, ma appartengono a persone ben precise, alla sfera dell'economia, a soggetti che attraverso il controllo di queste tecnologie possono esercitare un controllo profondo sulla nostra evoluzione come esseri umani (individualmente e collettivamente, socialmente).
"The original only exists on the server, when I'm done, in virtual dimensions of depth, width, height. Sometimes I think that even if the server went down, and took my model with it, that that space would still exist, at least as a mathematical possibility, and that the space we live in…" He frowned.
"Yes?"
"Might work the same way." He shrugged, and picked up his burger.
You, she thought, are seriously creeping me out.
[…]
"Right now, if you hadn't been told it was here, there'd be no way for you to find it, unless you had its URL and its GPS coordinates, and if you have those, you know it's here. You know something's here, anyway. That's changing, though, because there are an increasing number of sites to post this sort of work on. If you're logged into one of those, have an interface device" – he pointed to the helmet – "a laptop and wifi, you're cruising."
She thought about it. "But each one of those sites, or servers, or… portals…?"
He nodded. "Each one shows you a different world. Alberto's shows me River Phoenix dead on a sidewalk. Somebody else's shows me, I don't know, only good things. Only kittens, say. The world we walk around in would be channels."
She cocked her head at him. "Channels?"
"Yes. And given what broadcast television wound up being, that doesn't sound so good. But think about blogs, how each one is actually trying to describe reality."
"They are?"
"In theory."
"Okay."
"But when you look at blogs, where you're most likely to find the real info is in the links. It's contextual, and not only who the blog's is linked to, but who's linked to the blog."
[…]
"Then why aren't more people dooing it? How's different from virtual reality? remember when we were all going to be doing that?" The yellow rectangle was made of die-cast yellow metal, covered with glossy paint. Part of a toy.
",We're all doing VR, every time we look at a screen. We have been for decades now. We just do it. We didn't need the goggles, the gloves. It just happened. VR was an even more specific way we had of telling us where we were going. Without scaring us too much, right? The locative, though, lots of us are already doing it. But you can't just do the locative with your nervous system. One day, you will. We'll have internalized the interface. It'll have evolved to the point where we forget about it. Then you'll just walk down the street…" He spread his arms, and grinned at her.
"In Bobbyland," she said.
Ma nel libro di Gibson, come nella realtà esistono meccanismi che sfuggono tra le pieghe di una maglia non così fitta come la si vorrebbe di controllo della definizione della realtà. Nei libri dell'autore di Vancouver (ed è questo l'altro tema che ritorna con prepotenza negli ultimi due libri e che non si viveva con intensità dai tempi di Neuromancer e Count Zero) la linea di fuga dell'uomo è rappresentata dalla coscienza, dalla consapevolezza dei processi in atto, anche solo intuitiva: il personaggio più enigmatico del libro si fa guidare nelle sue missioni dagli spiriti, fondendo e fondando la sua percezione della realtà su un curioso miscuglio di dati reali e di intuizioni a livello irrazionale e intimo. Gli spiriti entrano tanto quanto la tecnologia nella definizione della sua realtà, la modificano, la costruiscono: i loa cubani di Tito (in questo libro al Voodoo haitiano Gibson sostituisce la Santeria cubana) rappresentano nella letteratura di Gibson il sincretismo delle vie di fuga dell'uomo con una realtà definita nei suoi paradigmi interpretativi da un presente tecnologico, l'irrazionale che costituisce un elemento cruciale della percezione del sé e del mondo interpolandosi con il razionale. Per non renderlo tutto troppo mistico ovviamente Gibson inserisce altri personaggi che incarnano l'uomo che attraversa la tecnologia integrandola nella propria percezione della realtà, ma i loa rimangono la dimensione più evocativa di questo scontro tra imposizione di realtà e costruzione di realtà.
In fondo in fondo i loa sono agenti culturali, come uno scrittore, come un giornalista, o come anche qualcuno che cerca di portare il proprio modo di fare politica e di percepire il mondo soprattutto all'interno del mondo reale e non nel proprio idilliaco ghetto in cui tutti (e in maniera abbastanza scontata) la pensano più o meno in maniera simile (alla fine il paradigma imposto della compagnitudine non è molto meglio del paradigma imposto da Google… ci sembra solo più ideologically correct, ma non è detto che questo sia meglio del politically correct del colosso di Mountain View e del suo don't be evil…)