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Blackswift: arriva il mostro della primavera (in ritardo)

26 Giugno 2008 3 commenti

 

Langue il blog per l’arrivo dell’estate (ma mi riprometto di fare faville dalla cina con furore tra luglio e agosto) e anche Blackswift ha qualche difficoltà nel dare continuità alle proprie potenzialità. Io e il mio socio siamo sempre in mille faccende affaccendati o forse non siamo capaci di decidere cosa fare da grandi e perseguirlo con la serietà con cui ci dedicavamo ad altre cose pro domo altrui (o forse pro domo pubblica, chi lo sa). In ogni caso tra il rusco e il brusco siamo riusciti a concludere la saga dei mostri, proprio mentre Wu Ming pubblica un racconto che è in tutto e per tutto analogo negli intenti e nello stile (tanto che la trama è simile a quella di uno dei tanti mostri abortiti nel corso dello scorso anno per poco tempo o per cialtroneria). Come ho scritto anche a WM1, la convergenza degli spunti manifesta la necessità di alcuni percorsi di azione e iniziativa politica e culturale. Sotto vi incollo la newsletter di Blackswift e vi invito a leggere Campagna, il nuovo mostro della primavera.

 

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BLACKSWIFT – LA REALITY FICTION E’ IN TAVOLA
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Pre Scriptum
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Primavera – Estate
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"Con le tue finestre aperte sulla strada e gli occhi chiusi sulla gente
con la tua tranquillità, lucidità, soddisfazione permanente
la tua coda di ricambio
le tue nuvole in affitto
le tue rondini di guardia sopra il tetto".

Una canzone per l’estate, per un mostro di primavera. Nell’attesa di
ricevere qualche segnale positivo per dare sfogo a due progetti che
abbiamo appena terminato, siamo lieti di annunciare la conclusione della
saga dei mostri. Il mostro della primavera è atipico. Come dire: se
siete di quelli che stanno comodi in poltrona, che quando stanno bene
loro gli altri si fottano, questo mostro è tutto per voi. Con i migliori
auguri che si avveri, tra l’altro.
Del resto l’atmosfera si fa incandescente, il paese sprofonda e con esso
le sue membra e i suoi scheletri. Ad un’estate torrida, seguirà un
autunno tremendo. Ed è sempre più forte il desiderio di fuga.
Mai come ora pensiamo che con il luogo in cui viviamo e in cui siamo nati
lanciato in una folle rincorsa al passato, con la gente che ci circonda
finalmente libera di dare sfogo alla parte più feroce e bestiale della nostra
comune eredità genetica, sia necessario avere coraggio e sfoderare tutta
la fantasia di cui siamo capaci per immaginare un’umanità diversa da quella che
vediamo.
Ci aggiriamo per il mondo ad occhi aperti, cercando di capire cosa ne sarà di
noi e di tutto ciò che ci circonda, divisi tra la speranza di vedere scomparire
tutto per ricominciare da zero grazie a un’apocalittica tabula rasa, e la
volontà di essere noi, tutti noi, i protagonisti di una improbabile inversione
di tendenza.

"E non è colpa mia se esistono carnefici
se esiste l’imbecillità
se le panchine sono piene di gente che sta male.
Up patriots to arms, Engagez-Vous"

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Racconti e Romanzi
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Campagna
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1. Quando poi ferito cade

Guarda te, pensa Lino, se a sessant’anni mi tocca fare queste cose. E dire,
continua, che se aspettavano ancora un po’ trovavo anche il modo di raccattare
qualcosa di fenomenale. Ma hanno deciso di fare tutto in un mese. E lui,
che lo sapeva che sarebbe andata a finire così, aveva avuto meno tempo
di quanto si sarebbe aspettato. In marzo, poi, mica facile. Che piove,
fa spesso brutto tempo. Era stato fortunato, per il clima. Meno per la
fretta con cui aveva dovuto gestire tutto. Non che se ad aprile fosse finita
diversamente, avrebbe cambiato i suoi piani. Da quand’era che non partecipava
a quella cosa lì? Da sempre, aveva sorriso tra sé e sé. Ma quando è troppo
è troppo. Ansima e respira, perché gli ultimi gradini gli hanno spezzato il
fiato e il suo polmone e mezzo. Sbuffa forte e il torace sale e scende con
pesantezza. Però Lino è soddisfatto. Nel frattempo, mentre giastemma pensando
a cosa farebbe se avesse anche solo vent’anni di meno, tira fuori cose da
enormi sacchi di tela appoggiati a terra. Pavimento antica Genova, regalo
dei sovrani, li chiamavano così, che andavano in quei posti a rinfrancarsi
delle loro fatiche cittadine. Ma quali fatiche? Che lui li vedeva in porto,
mentre camallava di tutto, quando arrivavano loro, i nobili, a imbarcarsi
per chissà dove. Non gli sembrava gente che faticava, anzi. Va beh, pensa,
meglio fare in fretta e preparare tutto al meglio.

Campagna, il mostro della primavera è qui:
http://noswift.org/blog/racconti%20dalle%20cripte/campagna.html
Versione pdf: http://noswift.org/data/racconti%20dalle%20cripte/campagna.pdf
Versione rtf: http://noswift.org/data/racconti%20dalle%20cripte/campagna.rtf
Versione txt: http://noswift.org/data/racconti%20dalle%20cripte/campagna.txt

Gli altri mostri:
Luglio col bene che ti voglio (il mostro dell’estate)
http://noswift.org/blog/racconti%20dalle%20cripte/luglio_col_bene_che_ti_voglio.html
Settembre andiamo, è tempo di migrare (il mostro dell’autunno)
http://noswift.org/blog/racconti%20dalle%20cripte/settembre_andiamo.html
Freezer (il mostro dell’inverno)
http://noswift.org/blog/racconti%20dalle%20cripte/freezer.html

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Quanto ci piacciono gli acronimi
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Ci siamo fatti ammaliare e conquistare da alcune cose negli ultimi tempi.
In primo luogo tutta la discussione sorta intorno al saggio di Wu Ming
sulla NIE (New Italian Epic) e su come questa fosse o meno collegata con
la RF (Reality Fiction).
Bando agli acronimi, abbiamo anche scritto alcune cosette, sparse e poco
organiche, ma sulle quali speriamo di tornare non tanto con riflessioni.
Quanto con fatti, parole, libri, progetti.
Tutto parte da qui:
http://www.carmillaonline.com/archives/cat_new_italian_epic.html

I nostri interventi:
http://nero.noblogs.org/post/2008/05/08/new-italian-epic-stella-del-mattino
http://beirut.noblogs.org/post/2008/05/10/rf-e-nie-i-miti-passati.-i-miti-presenti.
http://beirut.noblogs.org/post/2008/06/25/la-stella-del-mattino-in-china
Il blog di Stella del Mattino
http://www.wumingfoundation.com/italiano/stelladelmattino/index.php
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Newsletter aperiodica di Blackswift – Numero 04 – Estate 2008
http://noswift.org – info@noswift.org – http://black-swift.org
Per essere disiscritti, insultateci via mail (non troppo 🙂
Se invece non vedete l’ora di riceverne altre, fate lo stesso
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L’Inattesa Piega degli Eventi

27 Maggio 2008 Commenti chiusi

 

Quando ho preso il libro sono stato attirato da due cose: lo si presentava come un romanzo di fantastoria, ovvero ambientato in uno sviluppo alternativo alla storia ufficiale, in cui il fascismo aveva rotto con Hitler e l’Italia aveva vinto la guerra rimanendo sotto il fascio littorio però; e poi in copertina c’erano figurine di giocatori di calcio di squadre inventate. Il connubio storia alternativa e calcio mi ha convinto a ritentare la sorte con Enrico Brizzi. Non che mi sia antipatico, tutt’altro, ma i libri che avevo letto suoi (Jack Frusciante e Bastogne) non mi avevano convinto: erano divertenti, ma mi sembravano un po’ "giovanilistici", non so come dire. Poi forse li ho letti nella fase sbagliata della mia vita. Nella sua biografia poi ho ritrovato che dopo gli esordi (in effetti fatti da giovanissimo) ha fatto sue bellissime esperienze di viaggio narrato, che vorrei leggere a questo punto.

Il libro è molto interessante, e per quanto mi riguarda si inserisce anche se di straforo nel ragionamento dela NIE di Wu Ming e soci: la trama è tutta centrata sull’epica di una squadra di calcio mista africana che riesce prima a vincere il proprio campionato contro ogni pronostico e contro gli squadristi, per poi approdare in Italia e rischiare di vincere anche il torneo che vede protagonisti i campioni di tutte le "repubbliche associate". Il racconto scorre bene e i protagonisti sono divertenti e ben caratterizzati, senza esagerare con la psicologia. Io mi sono divertito, sarà che sono malato di calcio e di politica. Eh sì, perché mentre la storia scorre ci si accorge che il punto del romanzo è politico: è raccontare il fascismo anche senza fare un pippone storico, i soprusi e le violenze, il nazionalismo populista, e scoprire che molte cose non sono poi così diverse dall’Italia che abbiamo intorno oggi. Soprattutto è divertente notare quanto possa essere sottile il velo di totalitarismo culturale che ci fanno credere impenetrabile, e come sotto la calma apparente qualcosa si muova sempre, in attesa di poter esplodere e cambiare il mondo che ci circonda. E’ un bel romanzo, dedicato a chi ama il calcio, si diverte a giocare con la storia, e gode dei movimenti che hanno rischiato in prima persona per cambiare lo stato di cose presente. Non a caso è dedicato ai partigiani, alla Resistenza, e alle inattese pieghe che gli eventi a volte possono prendere per portarci in posti migliori. Vivamente consigliato.

Voto: 7

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L’Italia di nuovo al tempo del fascismo

15 Maggio 2008 31 commenti

E’ qualche giorno che cerco di riordinare le idee per esprimere appieno quello che serpeggia nella mia testa in questo momento. Il paese in cui vivo per molti anni è stato la barzelletta economica, sociale e culturale del resto d’Europa, per non parlare del Mondo, ma ancora alcuni argini in alcuni casi più ideologici che etici ancora tenevano a freno i peggiori istinti degli italiani. Le ultime elezioni sembrano aver stappato il vaso di Pandora dell’odio e della ferocia. E i media improvvisamente sembrano accorgersi che il clima che hanno contribuito a creare non è passeggero. Il vero dramma è che non si riesce a dare il giusto peso a quanto avviene. Io non ricordo un periodo così buio per quanto riguarda la capacità di filtrare gli istinti animaleschi dell’homo sapiens italianensis almeno dal 1922. E non è un eufemismo. Succede di tutto, e nessuno sente di dover commentare, di dover prendere la parola. E presto tutta questa ferocia non toccherà solo i reietti.  Anzi, in realtà è già così: dopo mesi e mesi di fanfare sull’aborto e sul diritto del feto, nessuno prende parola su tre ragazzi minorenni che via sms si mettono d’accordo per soffocare, buttare in un pozzo e bruciare una ragazza di 14 anni. Avete mai provato a strangolare una persona? Sapete quanta crudeltà o disperazione è necessario per non fermarsi. Due settimane fa cinque ragazzi di buona famiglia ammazzano a calci e pugni un ragazzo di sinistra solo perché di parte avversa: forse se fossero stati dei rom allora "la gente farebbe quello che la politica non fa", come dice Bossi, ovvero avrebbe preso i ragazzi, le loro famiglie e i beni di famiglia e avrebbero dato fuoco a tutto. Invece no. Tutto rimane nei limiti del civile. A Napoli invece la camorra si trasforma in paladina dei cittadini affamati di tranquillità e si mette a fare il braccio armato della politica bruciando campi rom a destra e a manca che manco le SS. Poi lo SCO (il cui capo era il Francesco Gratteri del processo Diaz, mentre quello attuale è il Gilberto Calderozzi anch’egli imputato nel medesimo processo) si risente e decide di dimostrare che il vero braccio armato della legge sono loro: operazione congiunta in decine di campi e 400 arresti. E via così in un susseguirsi di ferocia e di liberazione di bassi istinti che non ha precedenti in Italia. Forse ha ragione ppn, bisogna andare al poligono e a fare corsi di speleologia. Il punto poi è che bisogna scegliere i bersagli. E avere il coraggio di sposare la ferocia convinti che se ne possa uscire limpidi dopo un po’. Ma non è così. Ma era nell’aria da tempo, questo tempo di nuovi fascismi, o questo nuovo tempo di vecchi fascismi, e attraversarlo ci sporcherà la coscienza, ci renderà brutali e orribili, e ci cambierà per sempre. E solo l’uomo è la speranza dell’uomo, anche se in questo momento fatico a vederla per lo schifo che mi domina.

Poiesis in origine indica il fare

8 Maggio 2008 8 commenti

 

Poiesis in origine indica il fare

Una riflessione sul saggio New Italian Epic, sul libro Stella del Mattino, su Blackswift e la Reality Fiction; insomma una riflessione su quello che vogliamo fare con i miti.

Quando ho preso in mano Stella del Mattino avevo appena finito di leggere il breve saggio di Wu Ming 1 "New Italian Epic", ma non solo. Avevo in testa anche le due brevi mail scambiate con lo stesso WM1 e due chiacchiere fatte con il mio socio circa il concetto contenuto in New Italian Epic. Già perché con il mio socio in parole e pagine come Blackswift non riusciamo a prenderci sul serio come scrittori, ma prendiamo molto sul serio la necessità di impegnarsi a scrivere del nostro presente. Non riusciamo a dedicare il giusto tempo a scrivere, forse perché saremmo costretti ad ammettere che la cosa necessita di un impegno quanto e più faticoso della militanza a cui ci siamo già fin troppo disabituati – nonostante la nostra professione di intenti come uomini di azione.
Quando ho preso in mano Stella del Mattino dopo le prime pagine mi sono chiesto se era necessario parlare del passato per poter trasfigurare il presente in un’epica. Ovvero, se fosse strettamente necessario narrare epicamente uno scorcio di storia, per poter ispirare un’epica nel presente disastrato in cui viviamo.
Mi sono chiesto se non fosse altrettanto utile narrare epicamente il presente, trasfigurandolo in qualcosa che al tempo stesso parla di noi e parla di quello che vorremmo essere o che vorremmo che fosse.
In pratica, mi sono fatto la seguente domanda: quando io e il mio socio parliamo di Reality Fiction, cercando di descrivere la robaccia di genere che insistiamo ad amare e scrivere, stiamo parlando della New Italian Epic di cui parla WM1, oppure no?
Come si potrà facilmente desumere da questa introduzione in parte la risposta è sì, in parte è no. Io penso che ci siano molti punti di contatto su come scriviamo noi e come scrivono gli autori che WM1 cita nel suo breve saggio. Ovviamente non penso che scriviamo altrettanto bene, ma sono sicuro che proviamo a fare del nostro meglio, e tanto mi basta. Come sostiene Lucarelli nel suo intervento sulla Nuova Epica Italiana su L’Unità, "chiunque, dal più intimo minimalista al giallista più classico, se scrive con sincerità, è altrettanto utile e importante". Senza per questo implicare che chiunque scriva fa qualcosa di utile alla causa di intervento culturale che mi sembra sempre più necessaria e prioritaria.
Peraltro, aggiungo, sono poche le persone in Italia che sommano a una tecnica ottima, un forte talento narrativo. WM1 credo sia uno di questi, per cui non oserei mai compararmi su un piano paritetico.

Quando abbiamo iniziato a ragionare sul nocciolo del progetto Blackswift il desiderio principale, a parte quello di scrivere, era quello di investire il campo di una battaglia culturale rimandata – per quanto riguardava noi e le nostre intelligenze – da troppo tempo. In un certo senso il lavoro di Wu Ming e Luther Blissett era l’esempio da seguire, ma non volevamo appiattirci sul loro modo di scrivere. D’altronde avere dei cloni sbiaditi di qualcosa che già esisteva era poco interessante, mentre era molto più utile cercare nuove vie convergenti sull’obiettivo di ribaltare il paradigma culturale becero e gretto che si andava delineando.
WM1 con parole più consone parla della necessità di una nuova epica italiana, di qualcosa che ispiri le persone che leggono ciò che scriviamo a interpretare la realtà in maniera diversa e ad agire in maniera diversa.
In altri tempi si sarebbe detto a lottare e su questo tornerò nella seconda parte di questo intervento che parla di Stella del Mattino, non pensate che me ne sia dimenticato.
Il nostro modo di scrivere ha risposto per noi a un interrogativo tutto intellettuale, e solo a posteriori – come già per molto altro che ci ha visto protagonisti – consente un minimo di sistematizzazione.
Penso che il saggio di WM1, in questo senso, ci aiuti: noi parliamo da tempo di immaginari, di necessaria costruzione di una proiezione di quello che siamo e che vogliamo essere nella sfera della fantasia, di una narrazione che poi trascini dietro di sé la realtà, come una specie di magia in cui si modella dell’energia, per poi vederla incarnarsi nel proprio futuro e presente materiale.
WM1 ha parlato di epica, ovvero di come questa magia dell’immaginario, questa tessitura del possibile, si chiami narrazione. Una storia è una cornice immaginaria che viene riempita in un momento con i personaggi creati dalle parole di un libro e il momento successivo con la proiezione di noi stessi nel nostro reale. E’ la risonanza tra la narrazione e la realtà che crea l’epica, che crea la possibilità di trasformare ciò che siamo e viviamo. Per dirla con una delle pagine cruciali di Stella del Mattino che ritraduce il sottotitolo della Poetica di Aristotele: "qui tratteremo del fare nel suo insieme e nelle sue forme, quale finalità abbia ciascuna di esse, e come si debbano comporre i miti affinché il fare vada a buon fine". La New Italian Epic sta tutta qui. E anche la nostra Reality Fiction.
E forse non sono neanche così distinte.
D’altronde, tornando alla domanda originaria, non è detto che parlare di uno scorcio di storia e parlare di uno scorcio del presente (o di un passato molto recente) sia così diverso. Su una pagina la collocazione storica di una storia non cambia sostanzialmente il suo potere in termini di immaginario. Per questo NIE (o forse io in questo senso mi riferisco solo alla NIE di Wu Ming che è prettamente legata a una trasformazione del romanzo storico in senso epico) e RF non sono diverse. Semplicemente scelgono un campo diverso di applicazione del medesimo processo di influenza culturale. I libri più riusciti di Wu Ming (a mio avviso, non tutti saranno d’accordo ma tant’è, Q e Manituana) prendono un pezzo di storia, o alcune storie nella storia e le traducono in un’epica che echeggia il presente, che vorrebbe ispirare chi legge a interpretare la realtà – sia in senso letterale che in senso fattuale – in un nuovo modo. La nostra Reality Fiction prende il presente che abbiamo vissuto insieme a molti altri, e lo trasfigura in una dimensione solo lievemente fantastica, lo ricombina come se fosse un pezzettino di pongo o un modellino di codice genetico, trasformando la nostra esperienza in una narrazione, e una narrazione in una epica del presente, del quotidiano, a misura d’uomo. In questo senso attraverso le differenze le due proposizioni convergono, forse anche compatibilmente con il talento di ognuno.
Non mi sento all’altezza della narrazione di un’epica storica come Wu Ming, ma mi sento un po’ più all’altezza di un’epica del presente. E se su un libro presente e passato storico sono solo due contesti cronologici differenti, allora le nostre intelligenze possono convergere senza rendersi ridicole.
Arrivo alla conclusione della prima parte di questo intervento per sottolineare che l’interrogativo circa NIE e RF non è lana caprina, le definizioni non sono importanti, ma è una scusa per indagare se il nostro approccio alla scrittura e alla necessità di un’epica quotidiana nuova converga con quello che propone WM1 nel suo saggio, anche considerato il fatto che date le forze esigue sarebbe una buona idea se gli sforzi di tutti puntassero nella stessa direzione.

E forse per me Stella del Mattino è la conferma di questo ragionamento, ma considerata la mail che ho scambiato con WM1 proprio appena prima di iniziare la lettura del romanzo di WM4, non solo per me. La prima cosa che mi è balzata agli occhi mentre leggevo le pagine di Stella del Mattino sono i nodi della narrazione: quando si inizia a scrivere un romanzo o un racconto tutto comincia da alcune scene, da alcuni dialoghi, da alcune immagini sulle quali intavolare tutta la narrazione. In alcuni casi un libro è la scusa per poter scrivere quelle poche righe, una sorta di scheletro su cui modellare corpo che ne evidenzi tutta la bellezza: è la densità della tessitura di questo corpo che costituisce uno dei meriti e dei talenti di uno scrittore. Più la campitura è uniforme, più il talento di chi scrive ha saputo dare una pienezza alle proprie intuizioni. Forse perché è successo anche a me sto diventando più bravo – o almeno così mi pare – nell’individuare i nodi di questo scheletro, le giunture fondamentali. Ed è stato divertente cercare di farlo anche con Stella del Mattino.
Devo anche dire che la mia lettura del libro è stata fortemente influenzata da un’imbeccata che ho avuto da WM1 proprio prima di aprire la pagina del libro di WM4. In uno scambio di mail WM1 mi ha detto: "il Lawrence del 1919 siamo noi che facciamo autocritica sulla mitopoiesi del periodo 2000-2001". La mia testa ha incastrato questo dato con lo scritto di WM1 sulla New Italian Epic, e con il secondo romanzo di Blackswift su cui sto lavorando (e che per pigrizia mia è fermo in un cassetto da qualche mese) che tratta del tema del Ritorno.
Stella del Mattino è certamente l’esemplificazione perfetta di quello che concretamente intende dire WM1 nel saggio sulla New Italian Epic: ne ha tutti gli elementi, e forse in un certo senso è la sperimentazione sulla pelle degli autori di quella riflessione dello stesso concetto. Stella del Mattino parla di T.E. Lawrence, parla di una rivolta romantica e impossibile, del ruolo degli uomini nella storia e nel cambiamento, parla di una guerra combattuta e di come questa cambi le carte in tavola, parla di noi, delle guerre che abbiamo combattuto, dei miti che abbiamo creato e di come li abbiamo traditi, di come abbiamo vissuto il tradimento e di come cerchiamo di tornare alla speranza, a noi stessi, a Itaca, a Genova.
La lettura del libro è racchiusa da due frasi cruciali, che non possono che costituire una sorta di epigrafe per il senso profondo della narrazione in relazione alla storia degli autori, che è poi la storia di una generazione (o forse più) e delle sue battaglie: C.S. Lewis rappresenta la coscienza sporca – e forse un po’ infantile – di questa riflessione, siamo noi incaponiti nella mitizzazione e sordi all’epica, induriti dalle nostre paure e dal timore di non essere all’altezza, è la nostra debolezza. Eroi di cartone, più nel nostro ipocrita immaginario che nella realtà. E all’inizio del libro è proprio lui che ascolta un suo professore di lettere classiche parafrasare l’incipit della Poetica di Aristotele (che da il titolo a questo pezzo non a caso) e che riassume in una frase l’obiettivo e il senso della New Italian Epic (ma anche del nostro progetto narrativo blackswiftiano): "Qui tratteremo del fare nel suo insieme e nelle sue forme, quale finalità abbia ciascuna di esse, e come si debbano comporre i miti affinché il fare vada a buon fine". E C.S. Lewis, all’inizio del suo omerico viaggio (come il personaggio del romanzo che dovrei stare scrivendo e le cui assonanze più che infastidirmi confermano una necessità condivisa), confessa all’amico di essere cieco rispetto alla semplice verità dell’interpretazione del suo professore: "Non vedo cosa i miti abbiano a che vedere con i fatti". Alla fine del libro lo capirà.
Inizia qui la mia interpretazione di Stella del Mattino. Il viaggio dei personaggi, o meglio del lettore e dell’autore, di tutti noi, attraverso la poesia, la narrazione, come azione, come fare, per creare e raccontare miti che servano a costruire un orizzonte condiviso, a ispirare azioni e cambiamenti. E’ qui che inizia il viaggio di Lawrence d’Arabia, già famoso per una versione romantica ed epica di ciò che ha fatto, della rivoluzione araba impossibile che ha guidato, ma che egli stesso percepisce come lontana, come falsa, come una rappresentazione strumentale di qualcosa di ancora incompiuto. Lawrence siamo noi, ma non solo Lawrence, anche gli altri personaggi, che seguono l’eroe in un viaggio parallelo, alla ricerca di un meccanismo per superare i propri limiti e cercare di "decidere come spendere la piccola forza creatrice che ci è stata consegnata", perché "la storia non è lettera morta, noi stessi ne facciamo parte" e perché "le parole danno significato alle cose, usare un linguaggio è costruire un mondo". Queste frasi sono un percorso che viene tracciato parallelamente nella vita dei diversi personaggi, e che accompagnano e risuoano come frequenze armoniche con l’epica dell’eroe principale del romanzo: una è dedicata a un giovane Lawrence dal suo mentore, una a un giovane J.R.R. Tolkien che non ha ancora capito quanta influenza avrà la sua capacità di immaginare mondi e parole sul mondo a venire.
Il libro inizia qui e finisce con i personaggi sulla via del ritorno. Che cosa significa ritorno? Io me lo sono chiesto quando ho iniziato a scrivere il mio secondo romanzo come Blackswift, e la risposta mi è venuta da Calvino: il ritorno è memoria, la memoria serve per agire. E questo libro di WM4, come il saggio di WM1 e le riflessioni che abbiamo fatto con il mio socio, sono la chiosa del pensiero di Calvino a proposito di Ulisse: la poesia, la narrazione, l’epica sono gli strumenti di questa memoria, per agire, per cambiare il mondo. I personaggi del libro di WM4 intraprendono un percorso, illuminato dalla Stella del Mattino, da "Lucifero messaggero dell’Alba" – come Graves apostrofa Lawrence involontariamente intervenendo in una discussione su Meleagro – che guida con la sua luce attraverso il viaggio di ritorno. Il ritorno e il viaggio coincidono, non sono distinti: ogni percorso è un ritorno. Lo ritroviamo nei capitoli finali del libro, che come sempre sono la poetica epigrafe a una narrazione, quando Graves è giunto al termine del suo personale percorso, attraverso la guerra, il dolore, fino a comprendere che è necessario tornare a vivere, per immaginare ancora una storia possibile: "Puntò lo sguardo sopra l’orizzonte e la vide. Era là, a lanciare gli ultimi bagliori, ad annunciare la morte della notte e l’arrivo del sole. […] Le avevano dato molti nomi, senza riuscire a ridurla al potere dell’oscurità, né a quello del giorno. Solitaria, senza genere, unica favilla di una divinità indecisa. La sua virtù era ciò che possedeva: una luce tenue, un coraggio duraturo. Quello che sarebbe servito per attraversare la Terra di Nessuno, vasta quanto il secolo che si estendeva davanti. E per trovare la strada del ritorno." Ed è proprio la poesia intitolata Ritorno della raccolta di Graves che Lawrence sceglie come sua preferita.
Lawrence e i personaggi del libro siamo noi. Siamo noi nel vuoto in cui siamo piombati. La nostra guerra, la nostra rivolta è Genova 2001. Molti non ne sono usciti. Qualcuno ha sepolto quegli anni e il tentativo di creare un mito all’altezza dei nostri tempi in quintali di bugie, di sotterfugi, di ipocrisie, alla ricerca di una assoluzione per sé stesso prima che di una ragione per cui lo abbiamo fatto. E siamo noi che seguiamo l’epica del libro per cercare di ritrovare una strada. Siamo noi C.S. Lewis furente con sé stesso e con i suoi limiti che aggredisce la Stella del Mattino, e che allo stesso tempo vi trova la forza per superare sé stesso: "Questo posto è vuoto. Non c’è più nessuno, solo fantasmi. Solo vedove e orfani di cui prendesi cura. Non sarà il tuo Lawrence a farlo. Lui vienne a offrici oasi e principi in cambio della realtà. Un baratto conveniente, tutto sommato. Solo dio è più a buon mercato. E’ qui il deserto, Charlie. Ed è buio pesto. Non servono favole o prefhiere per venirne fuori, ma il lume della ragione." Siamo noi in balia della nostra rabbia, della nostra debolezza, della nostra incapacità di essere all’altezza dell’epica che abbiamo noi stessi creato.
Il viaggio di ritorno del libro, della storia, della nostra personale epica attraversa quegli anni, li deve rivivere, li deve comprendere, e solo così superarli. La guerra è finita. Il mito non finisce. Perchè "in guerra le cose cambiano" – dice Lawrence al giornalista che non gli crede quando ignora il patto Sykes-Picot – e dopo la guerra cambiano ancora. Ma il mito non finisce. Il mito persiste. Gli eroi persistono. Le persone persistono. E devono vivere, devono sognare, devono continuare a lottare.
Lawrence è "il ritratto della nostra parte oscura" – dice Vaughan quando deve descrivere come lo ritrarebbe, e come lo ha già ritratto anche se il suo interlocutore non lo sa. Ogni personaggio della storia è una parte di noi, un pezzo di specchio a ritroso di Lawrence/Noi, una possibilità di attraversare la storia, e di ritornare a noi, a quello che abbiamo voluto e desiderato, e che ancora non è spento. Perché "del resto gli eroi non sono che invenzioni di poeti. E i poeti sono uomini, a volte sciamani, che in mezzo ad antichi cerchi di pietre si accingono a evocare gli spiriti. […] Riportare in vita i morti non è poi una gran magia. Pochi muoiono del tutto, basta soffiare sulle ceneri, per scoprire le braci ancora calde e far rivivere la fiamma. E chissà che un giorno, tra cent’anni, qualcuno non pronunci l’incantesimo anche per noi, reduci guerrieri dalla corazza ammaccata. […] Alla fine ho fatto la mia scelta. Come direbbe Siegfried, gli amici uccisi sono dovunque vada e non brucio più per redimere i loro peccati. Non sono pentito della mia vecchia, sciocca dolcezza e c’è assoluzione nelle mie canzoni". E gli eroi siamo noi, i guerrieri ammaccati siamo tutti noi, e anche i loro narratori.
WM1 mi dice che "Lawrence siamo noi che facciamo autocritica sulla mitopoiesi del 2001", e questo è evidente nel romanzo: Lawrence che cerca di redimere la propria figura eroica, di rendere la verità, di attraversare lo specchio del suo mito, per costruirne uno nuovo, per saldare il conto con quello che voleva fare. Perchè "la merce più a buon mercato in Arcadia è l’ipocrisia" – come dice Vaughan all’ipocrita C.S. Lewis – e ogni epica è una bugia, ma è anche una verità. Ogni racconto ci da una faccia di quello che accade, è uno strumento per agire, uno strumento per agire in una direzione. Scrivere la storia della nostra rivolta è ancora combattere (Graves a Lawrence), è ancora memoria, è ancora vita, è cercare di "restituire un po’ di colpi".
Il problema è che le epiche, la nostra storia, la nostra vita non è un’equazione, è complicata, e a volte i racconti cercano di farla più semplice di quello che è. Genova 2001 è stata il nostro mito, la nostra piccola derelitta guerra, una guerra che ci è valsa un’immaginario potente e una speranza. Ci abbiamo creduto e abbiamo combattuto, e alcuni ne hanno fatto le spese anche al posto nostro. E poi abbiamo continuato il viaggio. Ma l’unica strada per redimere ogni rivolta è quella di proseguirla, di non mollare, di crederci fino in fondo. E cercare di fare capire a tutti che ogni battaglia non è una strada a senso unico, che ogni epica cela dietro di sé la vita reale, che non si può ignorare. Siamo umani e non possiamo credere di rendere tutto più semplice con un artifizio retorico. Ma essere umani significa anche essere capaci di superare sé stessi.
Lawrence siamo noi quando ci accorgiamo che "Per due anni abbiamo portato un anello come questi. Ce ne siamo serviti per condurre le persone che si fidavano di noi a un trionfo vano. Abbiamo imbrogliato loro e noi stessi. E’ questo che dovremmo scrivere, di quanto ci è costato. Difficile conciliarlo con l’epos della rivolta". Stella del Mattino scrive di questo. Scrive di quello che succede dopo.
"Alla fine mi accorgo che il libro è l’argomentazione di uno che non ha mai visto le cose con chiarezza. Ma adesso penso che forse non è poi cos’ importante. Vedere con chiarezza è un’illusione, un effetto ottico. Perlopiù facciamo quello che facciamo in modo inconscio, alla cieca. Pretendere di decifrare a mente fredda ciò che siamo serve a illuderci di dominare la strada percorsa. E’ un esercizio di vanità. Le cose accadono. Noi possiamo solo fare del nostro meglio per restare in sella". Lawrence lascia questa lettera a Graves consegnandoli il manoscritto. Il suo ritorno è completo: comprende che noi continuiamo oltre l’epica, noi sogniamo oltre noi stessi e i nostri limiti. Ed è per questo che Lawrence è ancora la Stella del Mattino: perché lo comprende prima degli altri. Perchè illumina il ritorno degli altri personaggi che giungono attraverso le selve della propria storia e del proprio dolore, delle proprie guerre e delle proprie paure. E che sanno che una volta finita la notte, c’è ancora un giorno. E che ogni uomo tradisce sé stesso e coloro che lo circondano, che la differenza sta nel cercare di cambiare, nel comprendere quello che lo rende umano, quello che una storia può ancora ispirare e che rende immortale la nostra battaglia. Genova non è finita, perché la storia siamo noi. E noi siamo parte della storia, non possiamo fare finta che non sia così. Come Nancy, la coscienza critica dell’autore, di Lawrence e della nostra epica troppo maschile: "-Non pensa che la responsabilità di quanto accade spetta ai popoli?" E la risposta di Noi/Lawrence: "-Immagino di sì. Tuttavia non posso fingere di non avere avuto un ruolo in quegli eventi."
Le parole hanno il potere di cambiare molte cose, di dare forma alla forza creatrice che ci è stata consegnata, la poesia è il fare affinché i miti possano ispirare un fare che vada a buon fine. Il viaggio termina, ha attraversato gli uomini, e giunge di nuovo a noi. E siamo noi che dobbiamo "usare la poesia per trasmettere la verità, non quella fredda delle cronache, ma la realtà di chi vede spegnersi la vita negli occhi di un compagno", di quello che accade dopo, del dolore, del furore, della crudeltà, della violenza, del nuovo dolore, e della Stella del Mattino che torna a splendere alla fine, quando tutto sembra essere silenzioso. Usare la parola per costruire nuove storie, nuovi mondi: "Non un altro mondo, ma il suo, la gloria e la miseria degli uomini. L’atmosfera, la guerra, il tradimento e la redenzione. […] La coerenza stessa di quel mondo lo avrebbe reso vero agli occhi di chi avesse scelto di esplorarlo. Come un viaggiatore che percorresse terre sconosciute, alla scoperta di qualcosa che aveva preceduto la storia dei comuni mortali e lasciato una traccia di sé nelle saghe scampate all’oblio del tempo." Una Nuova Epica Italiana, le nostre storie, la nostra storia, i nostri eroi. Sapendo che ogni storia, ogni epica, ogni eroe è un uomo, è dolore, è speranza, è un sogno e una battaglia.

"Avanti, vieni avanti. Se questo fosse un dipinto, pensa, avrei una lancia. Se questa fosse una leggenda avrei una fionda o un palo acuminato. La prima ruota arriva sul ponte. Invece ho soltanto questa leva e questo innesco. Adesso. La terra esplode con un ruggito assordante".

Intriganti coincidenze

21 Aprile 2008 5 commenti

A volte nella vita si incrociano le esperienze più inaspettate, ed è giusto rendere merito a queste fauste occasioni. Tra i vari blog porno ed erotici che ho nella mia lista di feed ce n’è uno che ultimamente mi ha intrigato parecchio per l’approccio open diciamo e per le qualità della protagonista, che edita amatorialmente le proprie clip e ha messo su il proprio piccolo spaccio di dvd fai-da-te. Al sito sono arrivato a sua volta da una specie di portale di pornografia ed arte che ospita diverse cose interessanti, ma non sempre poi le pornsaints o i pornbishops si rivelano all’altezza delle prime aspettative. Mandy Morbid – questo il nome della nostra eroina – invece si diverte e con una ammirevole costanza ogni sabato pubblica un nuovo video, imparando nel processo a editare, tagliare e montare (non con risultati eccelsi in effetti ma non si può avere tutto dalla vita 🙂

Se fosse solo per questo non so se varrebbe la pena suggerirvi di fare un giro sul suo sito, ma la sua ultima fatica è degna di nota, dato che è il primo (forse non proprio, ma sicuramente non ne ho visti tanti di una qualità dignitosa) porno amatoriale del genere "stupro alieno con tentacoli" fatto in casa dall’inizio alla fine. Una pacchia per chi ama lo stile diy e che ricorda ai cultori di alcuni generi i primi tentativi di quello che adesso tutti venerano come un maestro: Peter Jackson. Non fraintendetemi, Mandy non è una regista di questo calibro, ma ha voglia di sperimentare e lo fa con risultati di discreta e divertente qualità. E anche il buon Peter avrebbe scambiato un po’ del suo talento con i talenti di Mandy! 🙂

Ma anche questo non sarebbe bastato, perché leggendo qua e là scopro che Mandy è fidanzata  con Zak Smith, che l’aiuta anche nelle sue avventure video amatoriali – lui non è molto performante in effetti – e che di "professione" fa l’artista visuale e il pittore. Il nome non mi suonava nuovo e quindi sono andato a spulciarmi le sue cose e ho scoperto che Zak è l’autore dell’opera di pittura più intensa legata al mio libro preferito, Gravity’s Rainbow di Thomas Pynchon: è proprio lui ad aver realizzato un’opera per ogni pagina del libro come potete vedere su the modern word. A questo punto la coppia Zak e Mandy è diventata per me qualcosa a metà tra un mito e una famiglia. Godeteveli anche voi

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Jack Spratt never eat fatt

2 Aprile 2008 Commenti chiusi

 

La serie della Nursery Crime Division di Jasper Fforde (The Big Over Easy e The Fourth Bear) è molto diversa dalla serie di Thursday Next: si tratta di gialli fantasy molto divertenti, nati come spin off della prima saga fforderiana. I tratti sono gli stessi: il fantastico come motore centrale, l’ispirazione di Johanatan Swift e una predilezione per la letteratura popolare quasi sconfinata. Si leggono con piacere e rapidamente, con la voglia di vedere come andrà a finire tutto bene, nonostante qualche piccolo buco autodenunciato anche dall’autore (nel secondo tomo la risoluzione del conflitto con Madeleine e della vicenda Allegro-Dorian Gray). Ormai sto diventando un esperto dell’autore inglese, ma fortunatamente mi manca solo il primo libro della nuova serie di Thursaday e poi mi toccherà aspettare come tutti ogni luglio una nuova uscita della sua produzione. Post breve ma intenso, no? 🙂 Comunque consigliati per una lettura senza preoccupazioni e senza troppo impegno. Sono contento che Fforde l’abbia piantata con il cinema e abbia preso sul serio il suo mestiere di scrittore. Davvero. Altri forse farebbero bene a prendersi sul serio, è che proprio non ce la fanno. Ogni riferimento a me e il mio socio è puramente casuale.
 

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Il Metaverso delle Parole

28 Marzo 2008 1 commento


Jasper Fforde
sostiene che l’ultima idea originale sia stata usata per un libro nel 1884 – Flatland di Abbot – ma forse bisogna intendersi sul significato della parola ultima e della parola Ultima. Suppongo che lui volesse usare il termine con la minuscola, quello che lascia spazio alla "prossima" parola, dato che la sua serie incentrata su Thursday Next è certamente una delle idee più originali che la narrativa abbia visto negli ultimi anni (forse decenni). Pensavo che Gibson e Stephenson avessero messo la parola fine alla possibilità di trovare fantascienza di un certo livello, ma il ragazzo britannico figlio dell’ex capo della Banca d’Inghilterra mi ha smentito. E se a questo uniamo che ormai ho deciso che l’Ironia ha natali inglesi, potete ben immaginare quanto sia spassoso leggersi i quattro libri della saga. Tra l’altro, siccome non vi penso invasati come me che li ho fatti fuori al ritmo di uno al giorno, dovreste avere il tempo di comprare i primi tre editi da Marcos y Marcos in italiano e di aspettare la traduzione del quarto prevista per quest’anno: Il Caso Jane Eyre, Persi in un Buon Libro, Il Pozzo delle Trame Perdute, Qualcosa di Marcio.

La serie è un mix di ottime idee già balenate in vari luoghi mixate con una singola trovata geniale: l’ambientazione è Swindon, Inghilterra, negli anni tra il 1985 e il 1988 (non è un caso che siano gli anni successivi al 1984, spero che lo capiate da soli perché), in uno spazio-tempo diverso in cui la seconda guerra mondiale non è mai avvenuta, la guerra di crimea va avanti da 132 anni, il galles è una repubblica socialista, ed esistono gli hamburger di carne di cucciolo di foca. Forse questo è un dettaglio ma dovevo trovare un altro elemento per l’elenco. La protagonista della serie, Thursday Next, è un agente dei Detective Letterari che si occupano di dare la caccia a contraffazioni e intrusioni nella letteratura, ma lungo la serie si trasformerà in molto di più che questo. Infatti viaggerà nel tempo insieme a suo padre e suo figlio, membri di un’altra sezione delle Operazioni Speciali di cui i Detective Letterari sono solo un livello, la CronoGuardia, che viaggia avanti e indietro nel tempo per aggiustare il flusso dei mille piani paralleli di realtà ognuna con la loro timeline. Se qualcuno è abbastanza sveglio troverà in questa idea molto di uno dei fumetti di fantascienza più belli che siano mai stati pubblicati: Le Avventure di Luther Arkwright di Bryan Talbot. Guarda caso anche se Talbot è canadese il setting principale di Luther Arkwright è una Gran Bretagna dominata dai Cromwelliani. I libri della serie di Thursday Next si dipanano in una serie densissima di sottotrame nel tempo e nello spazio, con grande godimento da parte di chi le legge. Ma la trovata geniale è quella che costituisce il nucleo centrale dei due libri di mezzo: la protagonista a un certo punto infatti entra nel Mondo dei Libri, in cui tutte le trame vengono mantenute e alimentate, e in cui vivono tutti i personaggi, gli scenari e le trame che costituiscono i testi pubblicati di tutto il mondo e di tutti i tempi. Il Mondo dei Libri ha le sue regole, e Fforde lo costruisce in maniera estremamente precisa, rendendolo una dimensione parallela quanto e più importante di molta realtà. L’idea geniale è questa: alle dimensioni incrociate dello spazio e del tempo che vengono continuamente rimestate nella storia (come in molta parte della fantascienza) si aggiungono le dimensioni dell’irrealtà e dell’immaginazione che però costituiscono un mondo concreto a sé.

Una buona parte del libro ruota attorno all’importanza della percezione della parola, della capacità di ogni lettore di rendere vivo ciò che legge e di renderlo diverso ogni volta che viene ripercorso alla luce di un nuovo pezzo della propria vita. Quando ci divertivamo con un po’ di gente a ragionare su queste cose e a pubblicare una fanzine, o suonare free form, il punto era tutto qui: dimostrare come le parole, i lemmi per essere più precisi (dato che possiamo applicare la cosa alle parole per qualcosa di scritto ma anche ai suoni per qualcosa di ascoltato) fossero mattoncini che possono essere composti in milioni di modi, anche casuali a volte, ma che attraverso la coscienza di chi li cerca, li ascolta, li vede, li legge essi diventino vivi. Devo dire che con l’età sono diventato un po’ meno radicale e sono disposto ad accettare che prendere i mattoncini che compongono la nostra espressività e buttarli a caso raramente genera qualcosa di immediatamente godibile, e che il contributo che alcuni sanno dare all’espressione di ciò che di più complesso si cela negli esseri umani possa essere molto rilevante nella scelta di come disporre questi mattoncini. Nonostante questo i libri di Fforde spiegano l’importanza della percezione delle cose, la sua importanza anche superiore all’intenzione di chi ha disposto una cosa perché fosse percepita, in maniera semplice e diretta, riportando al centro di tutta l’esperienza di ciò che viviamo e di ciò che esprimiamo/rappresentiamo l’essere umano, l’individuo che percepisce/esperisce la realtà e la sua rappresentazione (che è poi una realtà a sé stante e parallela a quella "vera").

Vi ho già svelato troppo e non mi addentrerò nei mille episodi che costellano i libri e che li rendono veramente spassosi, ma vorrei cercare di spiegarvi perché oltre ad essere costruiti su un’idea estremamente geniale, i libri di Thursday Next sono anche dei capolavori della fantascienza di questi anni, da mettere sullo stesso scaffale di Snow Crash o Neuromante. I libri di Fforde come tutta la fantascienza migliore non parla del futuro, ma parla del presente, e in termini neanche troppo velati e difficili da intuire: lo fa con ironia e con intelligenza, senza fare sconti, ma andando a fondo di quello che ci accade intorno, di quello che significa per la natura umana e quanto quest’ultima vi sia coinvolta. I libri di Fforde quando li finisci dopo aver finito di sorridere e di invidiare la sua capacità di far quadrare così tante sottotrame e così tanti spunti fantastici, ti costringono a pensare, a tradurre quello che hai letto in quello che vedi e a non ignorarlo. Un esempio che vi ho fatto proprio in questi giorni è il link del mio post su google che richiama la multinazionale che nella serie cerca di impadronirsi del mondo intero per ricostruirlo a propria immagine e somiglianza (per chi ha familiarità con i giochi di ruolo della White Wolf una buona approssimazione è la Tecnocrazia di Mage The Awakening). Le parole di Fforde scavano in profondità nella corteccia del nostro cervello disabituato a ragionare, ed è forse per questo che amo così tanto lo strumento dell’Ironia (anche se non è mai stato il mio forte in effetti): dopo i Monty Pyton, dopo Douglas Adams, l’Inghilterra ci regala anche Fforde. Altri luoghi possono accaparrarsi altre qualità. E non potete non prendere in considerazione che i libri di Thursday Next trasudano l’amore sviscerato per la parola scritta, e capirete bene che chi legge queste mie stupidaggini sui ciò che leggo non potrà fare a meno di tuffarsi nella serie. Non temete, dopo le prime pagine, non vorrete che arrivare in fondo.

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Eroine

19 Marzo 2008 1 commento

 

Dopo Un Lavoro Sporco il libro di Eileen Favorite, Il Bosco delle Storie Perdute, era l’altro titolo della Elliotedizioni che mi intrigava: decisamente meno interessante del libro di Christopher Moore, il libro dell’esordiente che si pavoneggia in quarta di copertina come partecipante e insegnante di corsi di scrittura creativa (sic!) parte da uno spunto estremamente interessante: un bed and breakfast in un bosco dell’Illinois dove compaiono eroine di opere letterarie nel bel mezzo delle loro avventure. La relazione di queste creature fantastiche incarnate con la tenutaria e sua figlia sono il centro della trama, che spazia da momenti veramente ben scritti a passaggi troppo sorvolati. Devo dire che ho apprezzato molto la parte centrale sull’istituzione psichiatrica e il sistema sanitario statunitense che in una cinquantina di pagine spiega meglio di qualunque campagna perché entrambe le questioni siano una schifezza che le società moderne si sono inventate per motivi tuttaltro collegati che risolve il problema delle malattie mentali o della necessità di cure delle persone. Alcune vicende a cavallo tra letteratura e realtà sono molto belle, soprattutto quella di Madame Bovary devo dire, e il personaggio principale del libro, la figlia della tenutaria Penny, è ben descritto e con tratti evidentemente autobiografici. Lascia un po’ con l’amaro in bocca la conclusione affrettata e poco comprensibile: il libro scorreva bene e 50-100 pagine in più non avrebbero ucciso nessuno. Adesso seguo questo trend e mi cimento con gli investigatori letterari di Jasper Fforde come consigliato dal prode ppn. 

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A Dirty Job (but someone’s gotta do it!)

14 Marzo 2008 Commenti chiusi

 

Non conoscevo né Christopher Moore né la Elliot Edizioni, ma ultimamente notavo i libri di questa casa editrice nata nel 2007 sul banco delle novità: le copertine sono ben curate e non troppo costosi i libri (la rilegatura incollata non è il massimo, ma d’altronde da qualche parte bisogna risparmiare). Un Lavoro Sporco e Il Bosco delle Storie Perdute mi hanno incuriosito e ho deciso di vedere che cosa propone la Elliot nel catalogo: poche cose per ora ma buone, altamente raccomandabile.
Christopher Moore invece ho scoperto essere un autore molto sapido (come direbbe qualcuno di mia conoscenza che fa l’avvocato di professione e il finto sportivo di hobby), con un grande gusto per la battuta pronta e per gli accostamenti irriverenti. HO dato un’occhiata ad altri titoli della sua bibliografia e penso che leggerò anche altre cose a sua firma. La quarta di copertina nel dare una definizione dell’autore ci prende abbastanza: un incontro tra Stephen King e i Monty Python. E scusate se è poco.
A Dirty Job è un horror/fantasy di grande godibilità che parte da un’idea estremamente interessante e non banale, anche se costituisce un classico del genere: che forma ha la Morte, con la M maiuscola? Come funziona? C’è da dire che di horror decenti in giro se ne vedono veramente pochi e io quando ho voglia di un brivido mi devo rassegnare a riprendere cose con minimo 20 anni sulle spalle, ma devo dire che Chris Moore ha grande talento. La trama scorre via veloce (forse un po’ compressa dalla metà del libro in poi, lasciandoti la voglia che l’autore si fosse preso più tempo), ma forse è meglio così, perché un horror sarcastico di 1200 pagine potrebbe essere indigesto, mentre le 400 del libro si reggono bene. Chris mi dà l’idea di un tipo con mille idee, che a un certo punto deve per forza passare da una all’altra, e quindi chiudere quello che sta scrivendo per pensare alla prossima cosa. Forse sarebbe valsa la pena di farne una mini serie per dare più spazio ai fenomenali personaggi del libro: il mio preferito manco a dirlo è Verde Menta 🙂
Moore ha talento per trasferirti le emozioni dei personaggi, per strutturarli e renderteli familiari, qualcosa che a me devo dire non riesce granché bene, e i dialoghi nel testo sono fantastici. Devo dire che l’ho apprezzato molto e che lo consiglierei a tutti. Adesso vedrò di trovare qualcos’altro di suo e di leggiucchiare un po’ meglio. Unica pecca: la traduzione è buona ma la redazione meno, dato che ci sono tre-quattro frasi che proprio sembrano essere sfuggite (sono praticamente prive di senso o un modo di dire è tradotto male), ma è un peccato veniale facilmente perdonabile.

Voto: 7,5

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I nuovi totem

11 Marzo 2008 7 commenti

 

Joe Lansdale sforna libri come se fosse un antico panificio: regolarità e qualità impressionanti. Scrittura semplice, diretta, senza fronzoli e pretese di grande letteratura, ma altamente godibile e che arriva fino in fondo. Non si capisce perché tra gli scaffali dei best-sellers ci stia gente come Ken Follett e non gente come lui: il suo stile è più veloce, più adatto al tempo moderno, più vicino al senso comune di chi legge i libri da scaffale di supermercati. Forse non offre grandi avventure consolatorie in cui l’uomo medio possa pensare di immedesimarsi dimenticando i propri problemi. Forse è anche per questo che Follett mi fa vomitare e Lansdale mi fa godere. In effetti.
La Lunga Strada della Vendetta non ha una trama complicata, non ha personaggi troppo introversi e psicologici, non ha grandi affreschi lessicali. La Lunga Strada della Vendetta ha ritmo, ha personaggi familiari e immediatamente comprensibili, ha come fondali le strade che viviamo tutti i giorni (ovviamente più negli States che in Italia, ma la distanza non è così siderale), e soprattutto non ha paura di sognare.
Il libro è un noir con un tocco di fantasy che non stona, anzi arricchisce il "genere" del libro. Per un old-timer dei giochi di ruolo fa vibrare innumerevoli corde della memoria e dell’immaginazione: la spiritualità di popoli antichi che si incrocia con la modernità, l’impossibile che incontra il quotidiano, un’avventura che si conclude con un grande scontro e con un senso (o più di uno). Consigliato vivamente a tutti quelli che amano gli immaginari, e le meticce vie della fantasia, oltre che una buona dose di azione senza tante menate 🙂

Voto: 7

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