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Venezia a Milano, tre: iran

17 Settembre 2009 Commenti chiusi

 

Per il terzo giorno di rassegna ci trasferiamo in Iran: due film diametralmente opposti che parlano in un certo senso dello stesso luogo. 

Tehroun, privo della sinossi sul depliant della panoramica (quest’anno un po’ sotto con la produzione grafico/editoriale), è un noir di un’ora e mezza ambientato a Tehran. Non è pretenzioso, ma ti fa godere esattamente quello che ti ha promesso: trama lineare, interpreti bravi, regia discreta, colori stupendi e fotografia decisamente sopra la media. Voto: 6,5.

Viceversa il Leone d’Argento Women without Men è l’esatto opposto: pretenzioso, carico di simbolismi un po’ tirati per i capelli da un lato e fin troppo plateali dall’altro. Non mi ha convinto e sono certo che si poteva trovare di meglio per un secondo premio al festival che sa molto di scelta politica. La Satrapi con un linguaggio più semplice ha fatto molto di più per spiegare agli occidentali l’Iran, le sue contraddizioni e il desiderio del suo popolo. Voto: 6.

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La Lega dei Citroni: stupido è chi lo stupido fa

17 Settembre 2009 Commenti chiusi

 


La Lega dei Citroni è una competizione che mette di fronte le migliori squadre dei campionati di tutta Europa. Stasera era la volta dei precedenti vincitori del trofeo e dominatori della Lingua – un torneo in cui le squadre si distinguono per la lingua dei propri sostenitori più che per le casacche o i colori sociali – contro i detentori del titolo della Serie di Oz. Mourlino non è stupido e capisce subito che la Barca schiera degli alieni – cosa non prevista dal regolamento: si distinguono per la scarsa statura e per la presenza di colla e magneti subdermici nei piedi che calamitano ogni pallone e ogni rimpallo. Il centrocampo migliore del mondo non è un’eufemismo e avere un nanetto a cui non si può togliere il pallone neanche con un Gatling fa decisamente la differenza. Allora non si può scherzare: Mourlino dice ai ragazzi in nerazzurro che devono contenere la squadra avversaria, non concedere nulla in difesa e puntare alle penetrazioni centrali del Leone e del Principe. I primi 45 minuti dicono 20 minuti di studio reciproco, 15 minuti di grandi azioni nerazzurre, 10 minuti finali di assedio del Barca, in cui l’odore delle mutande sporche di tutto lo stadio si sente più o meno fino alla Valtellina. I secondi 45 minuti i ragazzi di Mourlino calano fisicamente e gli alieni prendono il sopravvento, ma l’Orco e il Muro non mollano un centimetro, aiutati dall’Uomo di Cristallo e dal Colosso, oltre che da chi ha ancora fiato a centrocampo. Gli ultimi venti minuti apnea totale e altre folate di merda si levano da tutto lo stadio, ma alla fine si porta a casa un pareggio a reti inviolate su cui si può costruire molto. In futuro. Con la speranza che finalmente l’Inter diventi grande e non conosca più il vitello.
 

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Venezia a Milano, due: miracolo

16 Settembre 2009 Commenti chiusi

 

Dopo Locarno cominciamo a vedere i film di Venezia. Ne avevamo in programma uno solo, e due di Locarno, ma sfighe varie  ci hanno impedito di vedere questi ultimi. Ci siamo dovuti accontentare per quanto riguarda il secondo giorno di rassegna del solo Lo Spazio Bianco di Francesca Comencini, da più parti indicato come meritorio del premio per la migliore attrice a Margherita Buy, poi sfumato. Io ero diffidente: la Buy è brava, ma non ne posso più di vederla recitare sempre lo stesso ruolo, sé stessa sostanzialmente. Invece la ragazza mi sorprende con una prova fuori dagli schemi soliti e anche la Comencini e il montatore (o la montatrice, non lo so) si danno da fare per tirare fuori il meglio dalla sceneggiatura non originale tratta da un romanzo di Valeria Parrella. Tra un essere umano e l’altro stoccate all’Italia che si fa finta di non vedere tra scuole serali sballottate come mandrie (a Milano le chiudono direttamente, per chi non si fosse accorto di altri effetti della ricetta Gelmini-Tremonti, così che chi non ha potuto studiare possa rimanere privo di titolo di studio per sempre a meno di pagare fior di quattrini a qualche pretaccio o qualche squalo tipo CEPU e via dicendo) e figli illegittimi se non denunciati da entrambi genitori (epica la scena con lei – prof d’italiano – che dice ‘ma come illegittimo se è figlio mio?’). L’Italia fa schifo, gli esseri umani forse si possono ancora salvare (questa l’opinione della Comencini, io sono più drastico). Film da vedere. Voto: 7.

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Locarno a Milano, uno: chi ben comincia…

15 Settembre 2009 Commenti chiusi

 

La rassegna sul Festival di Venezia 2009 a Milano inizia in realtà con i film del Festival di Locarno. E devo dire che sono rimasto molto soddisfatto dei primi due film che ho visto. Al contrario del 2008 quest’anno sono riuscito a vedere pochissimo di Cannes e anche questo settembre potrò al massimo permettermi un paio di film al giorno (il lavoro non c’è, ma ti perseguita comunque). In compenso la situazione mi ha spinto a essere molto più selettivo nella scelta di quali film andare a vedere e forse questo migliorerà l’umore delle mie pseudo recensioni. 

I Due Cavalli di Gengis Khan è il nuovo film della regista de "La Storia del Cammello che Piange" e quanto a poesia non è secondo a questo suo film noto per la nomination all’Oscar: la pellicola è la storia di una donna della Mongolia Interiore (ovvero di quella parte di Mongolia ufficialmente parte del territorio della Repubblica Popolare Cinese) che intraprende un viaggio per recuperare il testo e la melodia di una canzone di cui le raccontava sua nonna che deduciamo essere morta da poco. La storia non è complessa, ma il film è struggente: le voci e le melodie mongole inseguono i paesaggi vasti delle steppe e delle montagne dell’Asia Centrale, attraverso le tradizioni di un popolo sradicato e che va scomparendo incalzato dalle miniere d’oro, dal gas e dalla ragione di stato. La lunghezza contenuta aiuta a non stancarsi, ma per i teneri di cuore, occhio ai lacrimoni. Voto: 7 

Dopo questo antipasto: Zhong Guo Gu Niang (letteralmente "La ragazza cinese", tradotto "She, a Chinese"), pardo d’oro meritatissimamente.  Il film esce in accoppiata con un documentario su 12 storie di vita in Cina, lavoro che probabilmente è anche il materiale su cui è stato costruito il film di fiction. Sullo schermo seguiamo la giovane Mei nella sua vita quotidiana al villaggio, nelle sue prime esperienze in città a Shenzen e Chongqing, fino all’approdo a Londra. Mei è la Cina: materialismo totale, nessuna astrazione, nessuno spazio alla teoria – attenzione non al sentimento che c’è e come – e volontà assoluta. La Cina che avanza, la Cina che attraversa ogni evento con la consapevolezza che ci sarà sempre un giorno dopo, che il futuro sarà sempre presente. La Cina che ci terrorizza perché sa continuare a camminare a dispetto di tutto. Fantastico. Per chi non conosce la Cina, è un ottimo film per capire i cinesi. Voto: 9.

Volevamo vedere anche Mirna di Corso Salani e Frontier Blues di Babak Jalali, ma non ci ha retto. Ci sentiamo di consigliarli sulla fiducia. 🙂

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Settanta

15 Settembre 2009 Commenti chiusi

 

Secondo volume della "Trilogia sporca dell’Italia", dopo Confine di Stato. Sarasso fa parte di quella generazione che ha mangiato e digerito i cosiddetti nuovi media e che rielabora il modus narrativo di questi ultimi in vecchi media (come i libri, che per fortuna ancora non tramontano). Scrive un libro con lo stile di un fumetto: scene rapide, lunghi intervalli e poi scorci, improvvisi, collegamenti da tracciare con la fantasia prima ancora che con la consequenzialità delle parole sulla pagina. E’ un metodo interessante, secondo me adattissimo alla letteratura di cui Sarasso si sente parte, di quella riflessione sulla New Italian Epic che anche lui ammette influenza la direzione che sta prendendo il suo lavoro. Io mi sono goduto il libro, anche se sorvola un periodo ampissimo, forse risultando un po’ affrettato nello stilizzare quanto è successo all’Italia in quegli anni: d’altronde scrivere con maggiore dettaglio avrebbe significato scrivere un libro di 8000 pagine e forse non era il caso. Assieme al divertimento per la lettura, un’altra sensazione: le persone con cui è in contatto sono le stesse con cui siamo in contatto noi come Blackswift, la logica con cui vogliamo raccontare il mondo è la stessa, gli obiettivi e le influenze assimilabili. Eppure noi non troviamo la strada giusta, la motivazione o forse il modo giusto per convincere non solo noi stessi e i lettori, ma anche gli editori che valga la pena pubblicare quello che facciamo. Il mondo intorno continua a diventare più gretto dei nostri peggiori immaginari e lentamente la sensazione che quanto scriviamo si rivolga a un contesto che ci ha già superato è sempre più forte. Forse siamo noi a essere insufficienti: ci manca volontà, o forse anche qualità, per arrivare fino in fondo. Forse non sappiamo imparare abbastanza, o forse ormai ci siamo intimamente convinti che intorno a noi non ci sia la disponibilità di ascoltare a sufficienza. Non saprei: sono felice per Sarasso e per tutti coloro che riescono a trovare le motivazioni per raccontare e le strade per pubblicare, ma mi rimane la sensazione di essere un disadattato anche in questo contesto. Come se non mi bastasse esserlo nel mondo reale. Tornando al libro alla fine dello sproloquio: bel libro, divertente, da mangiare rapidamente come fumetti e film, per poi ragionarci con calma. Confermo il voto 🙂

Voto: 6/7

PS: non ho ancora capito se Sarasso lo conosco o no, probabilmente ci siamo incontrati mille volte. Ma trovare il mio cognome addosso a un carabiniere mi ha fatto veramente schiattare dal ridere. 

 

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Inter in Wonderland: l’asse dei formaggini

13 Settembre 2009 2 commenti

 

Quando mio padre mi diceva: "se non stiamo attenti finiamo sull’asse dei formaggini"; io non capivo che cazzo voleva dire. Oggi l’ho capito: la fine che hanno fatto la bella copia del grana padano (sì sì sono proprio offensivo!) è veramente triste. Neanche un tiro in porta della nazionale casearia, due pere e a casa, con tanti saluti al contadino.
I nerazzurri entrano in campo con il rombo: Barbalbero regista basso, la Statua di Sale (ritornata nel bozzolo dopo la scorsa partita) e Superman a fare gioco, l’Olandesina vola come al solito. Davanti il Principe e il Leone. Dietro il Bambino d’Oro, l’Orco, il Muro, il Colosso. Si sa che i formaggini sono molli e appiccicosi come poche altre cose: quando colpiscono il pallone, quello s’azzecca e prende traiettorie assurde, e i rimasugli che rimangono sulla sfera impediscono ai nostri eroi di giocare alla pari. Svirgolate, calci sbilenchi all’ultimo istante.
Nonostante il ritmo lento dovuto al paciugo latticino sul campo i nerazzurri producono fior fior di occasioni, mancando sempre la stoccata.
Nel secondo tempo si cambia: Mourlino passa al 4-3-3 sostituendo la Statua di Sale Thiago Motta (speriamo che rompano il guscio prima di mercoledì) con Supermario. E si cambia registro: inanelliamo occasioni da gol, ma la palla non entra. Dentro Calimero Muntari al posto di Barbalbero, e ci si muove di più. Fino a che il Leone si inventa l’impossibile e in mezzo centimetro quadrato si gira, calcia un missile a scendere all’incrocio dei pali. Lo stadio esplode reclamando la propria porzione di formaggio. Dopo si tracima: il Principe riesce a marcare e anche Supermario meriterebbe il gol, ma messo due volte davanti al portiere dai compagni non trova il colpo giusto.
Finisce con il risultato giusto e con i protagonisti giusti sull’asse dei formaggini.

 

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I frutti dell’ira (furore)

8 Settembre 2009 5 commenti

 

In uno dei tanto angoli di bookcrossing degli ostelli che ho girato in Turchia ho finito per scegliere, come compagno di viaggio, The Grapes of  Wrath di John Steinbeck. Devo dire che è un autore che mi sono cagato poco nel passato e che ho approcciato il libro completamente scevro da influenze di critica e di altro tipo. Il libro racconta una fase della storia americana (e non solo) in cui le piccole famiglie contadine vengono cacciate dalla propria terra, spinte al nomadismo e nella povertà più assoluta cercano di sopravvivere a fronte di una società e una classe media tronfia della propria ricchezza e della propria superiorità. In questo momento in Italia sarebbe una lettura molto educativa (sempre che i poveri studenti italiani siano in grado di capire i lievissimi parallelismi con il presente del romanzo): in italiano è stato tradotto con il titolo di Furore, premio Pulitzer nel 1940 e film con Henry Fonda notevole. Leggerlo in inglese è stato veramente intenso e devo dire che le critiche di eccessivo schieramento a sinistra che ha ricevuto l’autore in seguito a questo libro (nonostante fosse un democratico abbastanza moderato e figlio di buona famiglia) sono pienamente condivisibili. Alcuni brani sono di un lirismo incredibile e alcuni passaggi delle discussioni soprattutto dei personaggi di Tom Joad, del predicatore Casy e della madre di Tom sono delle staffilate durissime alla società americana, al modello capitalista e alle sue implicazioni in termini di eguaglianza e di compatibilità con il "sogno americano". In uno dei capitoli finali c’è anche la descrizione più bella che io abbia trovato recentemente di che cosa voglia dire essere "di sinistra".


Timothy scraped a litttle hille level in the bottom of the ditch. The sun made his white bristle beard shine. ‘They’s a lot of fellas wanta know what reds is.’ He laughed. ‘One of our boys foun’ out.’ He patted the piled earth gently with his shovel. ‘Fella named Hines – got ‘bout thirty thousand acres, peaches and grapes – got a cannery an’ a winery. Well he’s all a time talkin’ about "them goddamn reds." "Goddamn reds is drivin’ the country to ruin," he says, an’ "We got to drive these here red bastards out." Well they were a young fella jus’ come out west here, an’ he’s listenin’ one day. He kinda scratched his head an’ he says: "Mr Hines, I ain’t been here long. What is these goddamn reds?" Well, sir, Hines says: "A red is any son-of-a-bitch that wants thirty cents an hour when we’re payin’ twenty-five!" Well, this young fella he thinks about her, an’ he scratches his head, an’ he says: "Well, Jesus, Mr Hines. I ain’t no son-of-a-bitch, but if that’s what a red is – why, I want thirty cents an hour. Ever’body does. Hell, Mr Hines, we’re all reds."’

Voto: 9

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Suck!

8 Settembre 2009 2 commenti

 

Finalmente un po’ di tempo per leggere dopo la stressante vacanza turca 🙂

Per allietarmi ho preso il terzo volume di Christopher Moore tradotto dalla ottima Elliotedizioni (che mi sembra stia prendendo abbastanza quota, cosa di cui non posso che felicitarmi). Suck! è una ironica storia di amore ed avventura tra i vampiri:  contrariamente a Il Vangelo secondo Biff e Un lavoro sporco, mi pare un po’ scritto di fretta e con la mano sinistra. Divertenti alcuni sketch e alcune battute, lacunosa la trama e per nulla scorrevole la prosa. Se volete cominciare a conoscere il simpatico scrittore americano, non è sicuramente il libro da cui vi inviterei a cominciare. Vedremo la prossima scelta della casa editrice, intanto che fremo per il nuovo di Wu Ming (di prossima uscita) e per comprarmi l’ultimo di Erri De Luca (che un mio amico ha incensato parecchio mettendomi il tarlo nell’orecchio).

Voto: 6—

 

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Le proposte per la scuola italiana – una visione eterodossa

7 Settembre 2009 7 commenti

 

Pre Scriptum: non ho riletto; scusate strafalcioni; è certamente incompleto, ma di questi tempi sento il bisogno di cominciare a confrontarsi su proposte serie e strutturali, che di toppe non se ne può più. Ovviamente non penso che le proposte che ci sono in questo post siano complete o anche solo dettagliate, ma almeno sono idee che non ho sentito mai pronunciare nel dibattito pubblico sulla questione, tutto intento a ribadire che la Gelmini è una povera deficiente (vero), a strumentalizzare i precari per colpire il governo (per carità se lo merita il governo), a cercare di risolvere il proprio problema quando è evidente che c’è qualche piccola complicazione strutturale. 

 
In questi giorni – come tutti coloro che seguono quello che succede nel mondo – mi sono interrogato molto sulla questione della scuola in seguito alle proteste dei precari che si stanno diffondendo a macchia d’olio per tutta la penisola. Mi sono interrogato perché io sono uno di loro, ma non sono andato ai presidi, un po’ per pigrizia, un po’ perché rimuginavo.
E’ bene scriverlo in cima al post: ogni mobilitazione merita solidarietà, soprattuto in una fase come questa, durante la quale il tentativo è come sempre quello di distruggere la dignità delle persone, di convincerle che vivere una vita di stenti e di sottomissioni sia qualcosa di appetibile; quindi senza se e senza ma i ragazzi sui tetti dei provveditorati, incatenati ai cancelli di quegli edifici grigi, o attivi in qualsivoglia modo per cambiare in meglio la propria vita devono essere difesi e sostenuti. Inoltre parliamo di persone che hanno speso anni a lavorare per e nella scuola, che hanno studiato, obbligati dai mille sistemi che i governi hanno inventato per ritardare il momento delle scelte su come inserire nel mondo scolastico nuove forze, pagando corsi, prendendo ogni anno una laurea diversa, cercando di inseguire il gioco mafiosetto di governi e istituzioni sul mondo del lavoro.
Però oggi voglio provare a stare al gioco di ogni autorità che si rispetti, voglio provare a rispondere alla trita critica che si muove a ogni protesta: proposte, non pugnette. Bene, la domanda fondamentale è: come può migliorare il sistema scuola italiano? Come si possono risolvere i suoi annosi problemi? Mi sono posto questa domanda, e lentamente aggirandomi per le scuole e per i meccanismi della scuola, ho provato a darmi una risposta senza precludermi alcuna impennata di stronzaggine (chi mi conosce sa che è proprio difficile per me 🙂

Il riassunto di ciò che penso è il seguente: la scuola ha bisogno di più fondi, non di tagli; ha bisogno di una ottimizzazione delle risorse; ha bisogno di scelte nette sulle priorità e di investimenti in tal senso; ha bisogno di percorsi chiari per migliorare. Sembra semplice, ma se guardate bene è esattamente il contrario di quanto fatto dalla maggior parte dei governi da decenni a questa parte: si è sempre parlato di tagli a fronte di finanziamenti sempre più ingenti alle scuole private (no, io non penso che uno debba essere "libero" di scegliere la scuola privata, io penso che la scuola debba essere una e pubblica e che chi vuole una scuola privata se ne debba assumere l’onere anche economico); si è sempre parlato di riduzione delle risorse e mai della loro redistribuzione; le priorità sono cambiate anche nel corso dello stesso governo, e ogni volta alle parole raramente sono seguiti i fatti in termini di strutture, formazione, progettualità; sulle scelte nette, nonostante l’aspetto da virago della stessa Gelmini (di cui ho zero stima, tanto per chiarirci), anche l’attuale governo ondeggia a seconda della necessità politica e della ragione di stato (oltre che di cassa).
La domanda sorge spontanea: cosa faresti tu? Io risponderò, a spanne, ovviamente, non avendo accesso ai conti dello Stato, e tantomento fregiandomi di improvvisate qualità di economista. Risponderò con il buon senso di quello che vedo attorno a me, e con la voglia di cercare soluzioni.

Punto primo: fondi.
Annullare i fondi alle scuole private e reinvestire il tutto nel rinnovamento della scuola pubblica. Chi vuole una scuola privata, se la paghi. E non mi si dica che uno deve essere "libero" di scegliere. La libertà è quella di tutti di avere una scuola dignitosa: se a te piacciono i preti, o i centri rousseau, pagateli. La libertà di tutti è sempre più importante del capriccio di uno. Punto.
Detassare al 100% i versamenti delle aziende alle scuole siano essi in materiali, risorse umane, finanziari.

Punto secondo: posti di lavoro, rinnovamento e riorganizzazione delle risorse.
Facilitare il prepensionamento degli insegnanti over 50.
Facilitare il trasferimento degli insegnanti più esperti (leggi anche più anziani) a obiettivi funzione per varie mansioni scolastiche: dalle vicepresidenze, ai laboratori, alle mille cose che ci sono da fare in una scuola, fosse anche solo tenere i contatti con il quartiere, le associazioni locali e i progetti che si possono realizzare.
Ispezioni serie per valutare situazioni critiche e distribuzione delle risorse: non da lontano, però, da vicino; prendersi un anno e girare tutte le scuole, altrimenti non si capisce un cazzo di quello che succede. Sappiamo bene che il Sud (senza razzismo, è un dato di fatto) scoppia di insegnanti che hanno chiesto il trasferimento vicino ai paesi natii e che sono stati accontentati con strutture sovrabbondanti, tenute in piedi per i buoni uffici mafioso politici di questo o quell’amministratore. Anche al Nord il problema degli accorpamenti e della razionalizzazione delle strutture è impellente. E va fatto senza pietà, Brunetta style. Sappiamo altrettanto bene che le scuole sono piene di persone che occupano il posto pur avendo altri impegni, di gente che non merita di essere professore e che non si capisce con quale criterio sia arrivata a fare questo mestiere. (E tralascio la situazione delle segreterie, che è pure peggiore, se possibile, in molti luoghi).
Valutare la quantità di posti liberati e la loro localizzazione, e indire un concorso che spazzi via TUTTE le graduatorie piccole e grandi. Chi ha anni di servizio, titoli, specializzazioni, abilitazioni parte con un piccolo vantaggio, ma tutti se la possono giocare a viso aperto. Chi entra entra, chi non entra si infila nelle graduatorie di istituto in attesa di supplenze e del successivo concorso quando si rivaluteranno le posizioni vacanti dopo tipo 3-5 anni. Basta equivoci, basta farraginosità, è inutile stare a menare il can per l’aia: ci sono meno posti, un sacco di gente in graduatoria non sa più neanche cosa vuol dire insegnare, un sacco di gente giovane meriterebbe posti che sono in scacco. Un bel repulisti e si ricomincia da zero, ma prima bisogna capire bene quanti posti e dove si possono collocare. Chi non entra, dovrà inventarsi un altro lavoro, almeno per un po’.

Punto terzo: priorità e indirizzi.
Scegliere ogni 3-5 anni degli obiettivi prioritari (che so, alfabetizzazione informatica, strutture di sostegno, progetti multiculturali) e disporre finanziamenti strutturali ingenti in tale direzione (vincolati): se per dire la priorità è l’alfabetizzazione informatica, per esempio, mettere su dei team regionali che attrezzino TUTTE le scuole con un’aula informatica seria per esempio. Giusto per restare sul semplice.
Predisporre (questo più o meno c’è già) ogni anno finanziamenti per progetti della scuola che abbiano a che fare con il contesto dove vive un istituto.
Programmare in via centrale (almeno regionale) gli interventi di costruzione/ristrutturazione di edifici e risorse dell’edilizia scolastica. Fornire sgravi per la riqualificazione di strutture abbandonate a fini scolastici, cofinanziamenti e via dicendo.
Se la via dev’essere quella di scuole che si differenziano anche per la capacità di coinvolgere il tessuto territoriale, che almeno abbiano qualche carta per attirare capitali e risorse. Sennò mi pare evidente che dire "le scuole devono essere fondazioni" è solo un modo per dire "vi diamo meno soldi, arrangiatevi con gli amici degli amici". Italian-style, ma style di merda anche.

Punto quarto: valutazione dei percorsi scolastici.
Il mondo sarebbe un posto migliore se fosse possibile vedere questa filiera: la gente paga le tasse, ottiene servizi PUBBLICI di utilità, valuta questi servizi, le valutazioni vengono registrate, analizzate indagate, e i servizi migliorati. Filiera virtuosa no?
Anche la scuola dovrebbe avere dei meccanismi di feedback locale (con le strutture del territorio, i consigli di zona, i comitati di quartiere e di genitori, un po’ una versione allargata e forse con un po’ più di potere decisionale dei consigli d’istituto diciamo) e globale (indagini statistiche, raccolta di questionari a campione sul territorio da poi filtrare, periodiche visite di autorità centrali, possibilmente a sorpresa e in incognito 🙂
Andrebbero poi premiate in qualche forma quelle scuole che si dimostrano essere in contatto con la realtà che le circonda, che si dimostrano capaci di migliorare proprio per la relazione con chi ha bisogno di loro.

Molti di questi punti sono ispirati da principi diametralmente opposti a quelli sia della presente amministrazione, che di quelle precedenti, strette in ragioni di stato e in un revisionismo del concetto di PUBBLICO francamente imbarazzante per chiunque si definisca "sinistroide". Un giorno qualcuno mi disse che è semplice distinguere: se il tuo obiettivo è rendere la vita della maggior parte delle persone migliore e dare a tutti le stesse possibilità, sei di sinistra. Se la solidarietà, la dignità e l’eguaglianza sono valori fondanti per te, sei di sinistra. Ma adesso si sa è tutto più confuso. Però al di là di posizioni che oggi vengono considerate estreme pur essendo all’acqua di rose, mi pare evidente che combattere per migliorare ciò di cui tutti potremmo godere è una necessità: non c’è democrazia senza la possibilità per tutti di una vita dignitosa. E alcune dei punti di cui sopra, anche se un po’ trucidi, potrebbero essere degli spunti da cui partire per cercare delle soluzioni e non solo delle toppe per nascondere le falle di un sistema rabberciato mille volte senza – come in molti altri campi – la minima idea della società che si vuole costruire e in cui si vuole vivere.

à la prochaine.

 

Quel che resta del giorno

4 Settembre 2009 1 commento

 

 

 

In un calcio fatto di troppi soldi, di maroni e tessere dei tifosi, di gente senza meriti che apre la bocca senza che nessuno abbia la decenza di dire nulla, di maneggi e magheggi, di poco cuore e troppo portafoglio, in un epoca fatta di poco orgoglio e nessuna dignità, quello che più ci manca sono gli eroi, i miti, o forse le persone che avevano il coraggio di essere uomini e donne.