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Archivio per la categoria ‘cinema’

Il resto della notte

27 Agosto 2008 5 commenti

Ieri io e blanca siamo andati a vedere uno dei film che non avevamo visto durante la rassegna milanese su Cannes, Il Resto della Notte, di Francesco Munzi. Il nostro amico Claudio l’ha molto apprezzato e viste le ultime inattese convergenze con i suoi gusti ci avevo quasi creduto anche io: purtroppo sono stato smentito. Il film è ben fatto, ma in sostanza lo trovo una reality fiction di destra, con appena appena una verve debole antirazzista almeno nella prima parte, un inno alla resa nei confronti della paura e della ferocia. 

Vedere il film, come leggere l’ultimo fumetto del maestro Miguel Angel Martin, mi ha fatto pensare alle nostre ultime fatiche blackswiftiane. Io e il mio socio abbiamo in canna pronti alla prima stesura due lavori: il suo Shanghai Karma, già ottimo e per quanto mi riguarda solo in attesa di un editore oppure della nostra decisione di pubblicarlo online e sticazzi, inquadrato su temi molto interessanti e su un setting che offre ampi spazi per discussioni e ragionamenti (ovviamente 中国); il mio Concrete, il seguito ideale di Monocromatica, il cui tema centrale è la ferocia (come nel film e nel fumetto), ma che alla stesura attuale è assolutamente inadeguato e monco, nonché poco convincente. Oltre a tutto questo abbiamo in mente almeno tre altri lavori che devono essere affrontati nei prossimi mesi, sempre che ce la facciamo. 

I problemi principali per ora sono di varia natura: da un lato c’è una scelta editoriale da fare, ovvero visto che la Colorado Noir che ci aveva offerto spazio è temporaneamente (ma mi sa mica tanto) ferma, se vogliamo cercare altri editori cartacei e quali? Fare una autoproduzione? Cercare spazio in una piccola casa? Tentare la strada della stampa digitale e basta? Ovviamente ci piacerebbe una soluzione mista che collegasse una pubblicazione e soprattutto una decente distribuzione con un percorso online di approfondimento: il modello Manituana non può essere ignorato come sforzo e come prospettiva, anche se Wu Ming prendono il loro lavoro di scrittori più seriamente di noi (e ne hanno ben donde! 🙂 

Sul tavolo poi ci sono altri temi: come autori dobbiamo crescere, dobbiamo capire se riusciamo a lavorare seriamente e razionalmente su un testo, diversamente dall’impulsività con cui abbiamo affrontato tutto il progetto finora, altrimenti destinato a rimanere in un forse colpevole ma comprensibile semidilettantismo. Non vuol dire prendersi sul serio, che quello è più un errore per noi che una risorsa, ma vuol dire metterci un serio impegno. Non so se la differenza è palpabile. 

Ma tornando al film quello che mi ha indotto a pensare è che se da un lato il tema che a più riprese affrontiamo è centrale – quello della crudeltà e della ferocia, della sua pervasività e delle vie d’uscita – dall’altro il suo sviluppo è rischioso, la reality fiction tocca il cuore dell’interpretazione della realtà che ci circonda ed è un attimo scivolare in direzioni che non mi interessano e che non mi rappresentano. Il fumetto del maestro per esempio pende troppo verso un forse un po’ speranzoso movimentismo che io non riesco più a valutare come una opzione credibile, mentre il film scivola quasi istantaneamente in un facile conformismo un po’ qualunquista, in cui la soluzione è arrendersi al gioco delle parti. Incitare la gente ad ammazzarsi non è veramente una cosa di cui c’è bisogno, ci pensa già da sola, mi pare. Poi forse ho male interpretato io, ma forse anche Munzi non è mica riuscito a scrollare questo scivolone dalla pellicola. 

Questi sono un po’ di pensieri in libertà, che spero potranno sollecitare anche un po’ di discussione anche qui sul blog, mentre aspetto che il socio rientri in Italia e che troviamo il tempo per vederci e pianificare seriamente un po’ di ragionamenti e un po’ di prospettive. Tanto per non lasciarvi in balia dei nerazzurri… 🙂

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Cannes a Milano: sorpresine e no

15 Giugno 2008 2 commenti

Ultima giornata dedicata a Cannes. Il primo film è stato la Palma d’Oro Entre les Murs: un film sul mondo dell’istruzione, sulle sue difficoltà e sui problemi cruciali che presenta. Il film racconta perfettamente la realtà difficile della scuola di oggi (e di ieri), in cui ai problemi scolastici si sommano tutti gli altri, e in cui gli insegnanti devono intendere il loro ruolo con margini molto più ampi che quelli di semplici istruttori di materia specifica. La realtà è riportata molto bene, e questo lo posso testimoniare di persona. Il messaggio subliminale non è solo che l’istituzione scolastica è carente di gente che ci crede sul serio e di strumenti, ma soprattutto che ciò che le sta intorno è complicato, e che il paradigma culturale è ormai conclamato: mai scegliere, mai impegnarsi, mai assumersi una responsabilità. Nessuno lo fa nel film, neanche il prof che prende a cuore i suoi studenti, e infatti alla fine l’ultimo dialogo con i suoi studenti è con una ragazza di colore che ritiene di non aver imparato nulla nonostante tutto. Avrei apprezzato più coraggio nel prendere posizione e meno nel raccontare un punto di vista sulla realtà. Era un piccolo gradino ma importante. Il film è ben fatto e merita, ma forse la Palma d’Oro è un riconoscimento eccessivo (se penso che in concorso c’erano anche Un Conte de Noel e soprattutto Il Divo). Voto: 7,5

Il secondo film francese invece merita poche righe di commento. La frontière de l’Aube è manierista, intimista e intellettuale nel senso più puzzone del termine. Una citazione mal nata della Nouvelle Vague che se quarant’anni fa apriva un periodo di intensa riflessione e riscoperta di valori e esseri umani e politica, oggi sembra una sbiadita e ridicola copia. Voto: 4 (ma solo perché sono andato via a metà film, altrimenti arrivavo certamente al 2).

Infine il film da cui mi aspettavo di più oggi: Waltz with Bashir, un’animazione israeliana su Sabra e Shatila che aveva destato molto scandalo soprattutto in patria. Forse perché gli israeliani non sono abituati a sentirsi dare dei nazisti, anche quando se lo meritano. Perché il film in sé è ben fatto (anche se l’animazione è un po’ approssimativa) con tratti del disegno e musiche superlative, e offre una ricostruzione storica tutto sommato attendibile. Ma non affonda il colpo. Punta il dito, ma poi sembra tutto sommato offrire una scappatoia assolutoria ai giovani soldati israeliani lanciati crudelmente in troppo orrore. Troppo comodo così, almeno per quanto mi riguarda. Voto: 6,5

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Cannes a Milano: esistenzialismo e pacchi

14 Giugno 2008 Commenti chiusi

 

Oggi durante la rassegna di Cannes a Milano c’erano i due film argentini della Quizaine (Liverpool e Salamandra): due pacchi assoluti, che non fanno onore a una terra ricca di intelligenze e di cultura. Tecnicamente insulsi, narrativamente inutili, contenutisticamente irritanti. Non c’è altro da dire che: perché? Voto complessivo per i due: 4.

Viceversa Un conte de Noel di Desplechin è stato per me una sorpresa. Negli ultimi anni i film con protagonista Catherine Deneuve mi hanno sempre fatto rimpiangere un suo ritiro a vita privata, e quindi sono arrivato in sala molto scettico. Invece ho trovato un film di due ore e mezzo che però scorre liscio come l’olio, con attori di altissimo livello, una sceneggiatura fantastica che racconta una saga familiare ed esistenziale profondamente e senza scadere nel patetico, nonostante sia molto facile. Se a questo si somma un’ottima colonna sonora e la voglia del regista di dimostrare con quanta naturalezza può gestire diversi registri narrativi e cinematografici ne viene fuori un film di grandissima qualità, che avrebbe meritato il premio per la sceneggiatura, andato invece per necessità di concorso al film dei fratelli Dardenne. Voto: 8

Le Silence de Lorna appunto è stata una piccola delusione. Il premio per la miglior sceneggiatura non lo merita e resto dell’idea che gli sia stato dato per non lasciare i pregiati fratelli  a bocca asciutta. Il film è tecnicamente ben fatto, non c’è discussione, ma è un po’ neutro. Il tema di fondo della tratta degli esseri umani rimane tinteggiato molto sfumato, mentre la trama del piccolo noir resta in primo piano molto prepotentemente: peccato. Inoltre il finale lascia molti nodi un po’ aperti, e quindi lo spettatore è portato a interrogarsi sulle altre piccole imperfezioni di sceneggiatura. Proprio per questo il premio per me non è meritato. In ogni caso è un bel film. Voto: 7

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Cannes a Milano: due noir e un pacco

13 Giugno 2008 Commenti chiusi

 

Oggi giornata già più interessante per quanto riguarda il festival. Il primo film che ho visto è il polacco a produzione francese Quattro Notti con Anna: un film drammatico psicologico molto nero, fatto di difficoltà di comunicazione e di grande solitudine, nei paesaggi, nelle immagini, nelle balbettate parole e negli sguardi degli attori. Un po’ duro da raccogliere al volo, ma valido nella sua realizzazione. Voto: 6,5.

Il secondo film è un po’ un rebus. Ti aspetti che decolli da un momento all’altro e invece resta sempre lì, come un aeroplano perennemente lanciato sulla pista. Molte promesse e poche concretizzazioni in Dernier Maquis, che ti strappa qualche sorriso, ma è troppo poco per dare un senso a tutta la pellicola. Forse il regista voleva fare un film lungo il doppio ed è rimasto a corto di fondi, ma questo non depone a suo favore. Voto: 5/6.

L’ultimo film che ho visto è sicuramente uno dei migliori per ora che ho avuto modo di gustare nella rassegna. Non a caso gli è stato dato il premio come miglior regia. Les Trois Singes è un film turco molto noir, con una sceneggiatura tutto sommato facile (lui finisce in galera per coprire l’altro, lei va a chiedere dei soldi per il figlio di lui all’altro con cui comincia una storia, il figlio scopre tutto, lui quando esce si rende conto di tutto, e poi la storia si chiude in maniera ciclica), ma con molti altri elementi di pregio. Gli attori sono molto bravi e la fotografia è superlativa, roba da mozzare il fiato. La regia è pregevole e molte inquadrature sono piacevolmente nuove. A mio modesto avviso la camera fissa all’inizio e alcuni cambi di piano sono veramente validi. Consigliato vivamente. Voto: 7++

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Cannes a Milano: storie semplici, storie vere

12 Giugno 2008 1 commento

 

Seconda giornata della rassegna dedicata al festival di Cannes a Milano, secondo giorno con soli due film che ho ritenuto valere la pena di essere visti. Per ora il livello delle pellicole è decente, ma il loro numero un po’ sconcertante. Non riesco a capire se ci fosse poca roba al festival o se l’organizzazione milanese della rassegna non sia riuscita a portarne un buon numero come gli altri anni. Lo sapremo solo vivendo.

Tulpan è una storia di vita kazakha, con una giusta punta di ironia e con la poesia che i paesaggi kazakhi sanno ispirare. A me è piaciuto, nella sua semplicità e nella sua non complicatezza: la ricerca da parte di un ragazzo kazakho  di ritrovare sé stesso nelle radici della sua cultura, senza fronzoli e con tanto desiderio. Il paesaggio aiuta nel fascino, ma anche il resto è ben fatto. Premiato giustamente. Voto: 7

Un Lavoro da Uomo è un film finlandese. Erede di anni di Kaurismaki mi aspettavo molti silenzi e ironie un po’ sconcertanti. Le ho trovate, ma ho trovato una commedia noir decisamente ben girata e originale. Qualche caduta di tono, ma non troppe, e una buona tenuta dell’attenzione dello spettatore. Il finale può lasciare perplessi, ma io l’ho trovato abbastanza coerente con il resto del film. Anche questo un film tutto sommato godibile anche se non di livello eccelso. Voto: 7.

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Cannes a Milano: un folletto urbano e un docufilm perfetto per questi periodi oscuri

10 Giugno 2008 Commenti chiusi

 

Il programma della rassegna di quest’anno dedicata a Cannes 2008 a Milano si presenta più scarno degli altri anni: spulciando le sinossi e decidendo cosa andare a vedere mi sono ritrovato gran parte degli 8 giorni con non più di due film validi da andare a vedere. Solo il sabato e la domenica saranno con i consueti 4-5 film. Peraltro significativo è anche il fatto che per riempire il programma gli organizzatori hanno scelto di inserire tra gli altri anche 7-8 film d’essai (uno di sorrentino, uno di haynes, uno di kitano, uno di fassbinder, ecc.). Speriamo la qualità sia alta, almeno.

Oggi sono andato a vedere solo due film, anche se almeno un altro paio mi solleticavano, ma non sempre c’è il tempo. The Pleasure of Being Robbed è la storia di una ninfa urbana che si diletta nel sottrarre le cose agli altri, per usarle e scoprirle, più che per gretta avidità. Il film sembra una canzone dei Flaming Lips, ed è divertente (forse l’ultima scena onirica è un po’ semplicistica e naif, più del resto del film). Scorre bene e ha qualche inquadratura interessante. Non di più, ma neanche di meno. Voto 6,5 (per incoraggiamento).

Il secondo film è un docufilm tratto dai veri colloqui di un centro di assistenza a donne, famiglie e minori con problemi legati alla loro sessualità e alla gravidanza. In tempi oscurantisti come questi Les Bureaux de Dieu è una boccata d’ossigeno. E’ ben fatto e godibile, nonostante le due ore (forse qualche decina di minuti in meno bastavano), e l’ultima intervista è la migliore in assoluto. Sono certo però che se non fosse stato francese a Cannes non se lo sarebbero inculato neanche di striscio, ma questo è certamente un mio pregiudizio. Voto: 6,5.

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Il Divo Giulio e l’Antico Testamento

8 Giugno 2008 5 commenti

 

Il Divo conferma quello che scrivevo a proposito di Gomorra: i talenti in italia ci sono, in ambito cinematografico, ma spesso è il coraggio a mancare, dato che si preferiscono polpettoni di qualità indigeribile della combriccola di Greggio, De Sica, Boldi e company, a film di fattura e proposizione eccellenti. Il Divo è prima di tutto un film molto ben fatto: teatrale e ieratico, corale e frastagliato, complesso – come dice il protagonista stesso interpretato da un insuperabile Toni Servillo – e profondamente legato alla storia politica italiana. Non è solo un film ben fatto: è un film molto coraggioso. Parla di un personaggio vivo e ancora molto potente, e lo fa senza sconti. Parla del potere, di come logora e di come non ammetta tentennamenti, parla di un Giulio Andreotti in versione IHVH dell’Antico Testamento, disposto alle crudeltà più assolute per assicurare un bene maggiore e futuro. Il potere non logora chi non ce l’ha, il potere assorbe chi ce l’ha, lo trasforma, agisce sulla mente degli uomini in forme feroci. Il Divo parla di una verità assoluta: la storia non è fatta di parole gentili, è fatta di epica, di scelte gravi, di violenza, di spietata determinazione nel realizzare un progetto. La storia è fatta di scelte, di complesse rappresentazioni della realtà, e non si può sempre ridurre tutto a uno schemino facile da digerire e giustificatorio di prese di posizioni leggere e poco interessanti.  La composizione narrativa del film mi ricorda il libro di Sarasso e la sua più recente graphic novel United We Stand, e si inserisce perfettamente nel ragionamento wumingiano sulla New Italian Epic, dando ragione delle finalità e dei motivi di quanto scritto da WM1. Devo dire che io l’ho apprezzato addirittura più di Gomorra, anche se probabilmente sconta la difficoltà di rappresentare i cunicoli della politica italiana e della sua storia: ho idea che un giovane italiota non capirà molto di vicende che presuppongono un interesse per ciò che accade nel tuo paese e circa chi prende le decisioni e perché. E’ un film molto speranzoso del livello di intelligenza medio della meglio gioventù, e per questo lo ringrazio, pur restando scettico come e più del Divo. 

Voto: 9 (come Gomorra, ma meriterebbe anche di più; ma sopra il 9 uno deve ponderare bene i voti 🙂

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Gomorra

5 Giugno 2008 12 commenti

 

L’altra sera sono riuscito ad andare al cinema. Finalmente dopo giorni di incasinamenti vari. In attesa di vedere anche Il Divo, per cui nutro grandi aspettative, ho visto Gomorra di Garrone. Il libro non l’ho ancora letto (mea culpa, mea culpa, mea maxima culpa), ma forse è un bene, perché mi consente di valutare il film per quello che offre e per quello che è, indipendentemente dal confronto con l’opera originale. Il film, diciamolo subito, è un gran film: vero, crudo, duro, senza sconti (se non per nomi e vicende che nel libro mi risultano più esplicite). Il film dimostra che i buoni registi ci sono in Italia, che si possono fare ottimi lavori con UN dipendente per settore della produzione (non ci sono 80 truccatori, ma uno; e così costumisti, sound designer, fotografi, ecc), e soprattutto che la carenza nel panorama italiota sta da tutt’altra parte. In Italia quello che manca è il coraggio di raccontare e soprattutto il talento per farlo: sono i soggetti e gli sceneggiatori decenti che fanno difetto al cinema italiano, nonché i soldi, ma se questo secondo problema si può minimizzare, il primo è una specie di aut aut per la qualità delle immagini in movimento che hanno dato tanto lustro al Bel Paese. Uscendo dal cinema con blanca ci siamo chiesti, leggendo che la pellicola era stata finanziata dal Ministero dei Beni Culturali: con tutti i limiti del governo di centro sinistra, oggi l’avrebbero finanziato un film così? La risposta ce l’ha data il giorno dopo Luca Barbareschi, neo deputato di FI, candidato anche a ruoli importanti poi tramontati nella partita a scacchi di Berlusconi con i suoi ingombranti alleati: "Gomorra non è un buon film, esporta solo quello che non funziona dell’Italia". Quindi, no, non l’avrebbero finanziato, perché dell’Italia bisogna raccontare gli spaghetti, le belle donne, le spiaggie, e il fascino dei suoi luoghi. Tutto il resto, tutta l’Italia vera che sta nella merda fino al collo anche se non lo sa, non bisogna metterla in piazza, perché si sa, è tutta una grande famiglia i cui panni vanno lavati in casa. Le parole di Barbareschi spiegano molto di come siamo messi. Almeno siamo riusciti per un piccolo frammento di tempo e di spazio a raccontare la verità, e a poter essere orgogliosi di un prodotto italiano coraggioso e ben fatto.

Voto: 9

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Notti al Mirtillo e le Emozioni dell’Uomo

21 Aprile 2008 3 commenti

Esistono persone che sono specializzate in pronostici, altre che sanno trovare le parole giuste in meno di un secondo, oppure in un’ora ma riducono al minimo la necessità di spazio per quello che si ha da raccontare, altre ancora che riescono a trasformare un’immagine in un discorso, e poi ci sono persone capaci di trovare la materia giusta per dare forma a quello che uno ha in mente, che sono in grado di prefigurare il proprio pensiero in maniera totalmente lucida, oppure di seguire uno schema dal primo all’ultimo punto senza un attimo di pausa. Ci sono persone capaci di trovare la combinazione giusta di ingredienti senza ricordarli, e altre che possono recitarti tutti i marcatori della serie A dall’inizio del girone unico. Il mondo è pieno di talenti, basta comprendere quello che ognuno ha, o in mancanza d’altro quello che uno vuole, e concentrare la propria volontà su questa unica, esile, incredibile possibilità.

Wong Kar Wai molto tempo fa ha deciso di essere un regista, e ha deciso che avrebbe parlato di poche cose: emozioni, colori ed esseri umani. Ogni volta che vedo un suo film mi rendo conto che non ha ancora smesso di raccontare tutto ciò, forse per merito suo, o forse per merito della complessità dell’uomo, semplice nelle sue emozioni, infinito nella possibilità di esprimerle. Ad acluni My Blueberry Nights non sarà piaciuto perché troppo decadente, ad altri perché troppo americano rispetto al solito Wong Kar Wai, ad altri ancora perché i dialoghi non sono tutti il massimo della vita. A me è piaciuto perché è Wong Kar Wai allo stato puro, immagini incredibili, colori che ipnotizzano la tua mente e il tuo cuore, poche parole ricercate in maniera un po’ ostentata, e non sempre con il miglior risultato, la narrazione dell’individuo eterno in primo piano e sullo sfondo.

Voto: 8,5

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Il romanticismo di una banda araba

1 Aprile 2008 3 commenti

Il fascino delle immagini sul grande schermo, dei suoni e delle visioni in una sala buia è chiuso nella loro capacità di trasmettere alle persone che vivono l’esperienza cinematografica i sentimenti e le emozioni nel loro stato più primordiale. La passione per la parola scritta passa attraverso altri e più articolati meccanismi, mentre quella per il cinema è qualcosa di primitivo: penso che sia per questo che ha tanto successo, per questa capacità di identificazione con la vita delle persone.

La Banda è un film privo di complicazioni: l’autogestita banda della polizia di alessandria sbarca in Israele invitata per un concerto, si perde nel tentativo di raggiungere il luogo della performance, vive una notte in un avamposto desolato in mezzo al deserto, e infine giunge a destinazione. Tutto il film è nei personaggi che vivono questa notte a Beit Hatikva: tra dolci amori non corrisposti, il desiderio di non restare soli e di superare la memoria e il dolore, o anche solo di imparare a vivere.

Il regista lo sa: talvolta non serve un genio della fotografia, una sceneggiatura complicatissima, un drago del montaggio. Talvolta basta saper raccontare le emozioni degli esseri umani con saggia semplicità, toccando il cuore di chi sta seduto nella sala e vuole vedere e sentire raccontare anche la propria vita. La poesia della cultura araba aiuta, e sono uscito dal cinema pensando quanta parte di essa andrà distrutta nella caccia alle streghe e nelle pieghe degli opposti integralismi religiosi, con tristezza.

Voto: 7

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