Oggi vi racconto una storia. E’ una storia vera. Arriva dalla vita di tutti i giorni. Se riesco proverò un po’ a popolare questa categoria, per cercare di offrire anche ad altri scorci di una vita quotidiana che spiega spesso molte più cose di quella virtuale che ci offrono media e opinionisti di varia car(i)atura. La storia che vi racconto è ambientata in un quartiere periferico di Milano, la Comasina, un quartiere difficile, dove ho vissuto per molto tempo, quasi cinque anni. Sono nato ad Affori però a mezzo chilometro di distanza, e cresciuto tra il mio quartiere e il suo gemello "malato" Bruzzano, che insieme alla Comasina, Quarto Oggiaro e Bovisasca completano il pentacolo della morte grigia: ovvero delle zone degradate del nord di milano. In effetti Affori dei cinque è quello messo meglio, storicamente sede della borghesia della periferia e l’unico quartiere di destra in anni migliori (adesso ovviamente non è più l’unico da molto tempo).
In Comasina si aspetta la metropolitana tre da trentanni esatti. La prima volta che ne parlarono avevo tre anni e sembrava fosse imminente. Gli scavi per realizzarla sono iniziati l’anno scorso, ovviamente creando un macello viabilistico che solo gli esperti topografi comunali e i vigili urbani potevano immaginare. Ma questa è un’altra storia, non quella che volevo raccontarvi.
In Comasina ci abitano persone di ogni tipo: dalle famiglie di bravi ragazzi con pochi soldi, alle famiglie di disperati, tossici, ex-carcerati redenti e non, mafiosi, delinquenti, immigrati lavoratori. In generale famiglie umili con un sacco di casini e spesso con pochi soldi per sistemarli, famiglie a volte ignoranti e presuntuose, a volte intelligenti e sfortunate.
Un tempo in Comasina c’erano una scuola elementare, in piazza Gasparri, al numero 6, e una scuola media, in via Bernardino da Novate. La scuola media è stata abbattuta per fare posto alla metropolitana. La scuola elementare è stata accorpata alle medie e alle elementari della Bovisasca, in via Gabbro, con quelle operazioni che in tempi di calo demografico si chiamano Istituti Omnicomprensivi. In Bovisasca almeno le due scuole rimangono separate. In Comasina no: dall’età di 5-6 anni fino a quella di 13 (o anche 16 in alcuni casi disperati) i ragazzi rimangono nelle stesse fatiscenti aule di proprietà del Comune. Quando sono arrivato e ho visto lo stato in cui versava la scuola, ho capito subito che il desiderio di tutti – sottinteso "di tutti quelli che amministrano le cose pubbliche" – è quello di farla chiudere per sfinimento. Solo così si spiega perché lasciare un bene pubblico marcire sotto il peso dei suoi anni, facendo solo gli interventi che altrimenti minaccerebbero di trasformarsi in denunce per gli amminstratori, ma senza muovere un dito di più. Nella scuola di piazza Gasparri, ironicamente intitolata a Gandhi, non c’è un’aula dove far trascorrere agli alunni l’ora di alternativa, o dove svolgere attività con i disabili, e le poche aule in surplus a quelle per le classi sono oggetto di aspro combattimento tra i docenti per le varie idee extra-curricolari. Ma fosse solo questo il problema, si possono insegnare un sacco di cose anche in un corridoio o in un cortile. Infatti io prevedo che farò esattamente così in primavera.
I problemi non sono solo questi. Infatti fino al 30 settembre la scuola non è stata in grado di avere tutti i professori necessari, tra defezioni e rinunce. Un motivo ci sarà, mi sono chiesto quando sono arrivato. Ma la periferia settentrionale di Milano è casa mia e mi ci trovo a mio agio. Sono abituato ai deliri e alle sue complicazioni. Non mi spaventano. Forse anche perché peso 85 chili e sono alto 182 cm e almeno ai ragazzini incuto ancora un discreto timore. Oltre ai prof, fino a dicembre la scuola non ha avuto un preside, ma solo un reggente, che giustamente ha fatto il minimo necessario per far sopravvivere la scuola. L’impasse è stato superato solo grazie alla buona volontà di 11 docenti, che tra le tre scuole si sono fatte in quattro per salvare la baracca. Pensavano di dover gestire una situazione di emergenza che si sarebbe colmata quando fosse arrivato un nuovo preside.
Dovete capire che la scuola del quartiere Comasina è una polveriera. Eccettuate le prime, in cui sono ancora piccoli per costituire un problema serio, le due seconde e le due terze hanno almeno tre casi complicati ciascuna: e nessuno disabile nel senso più nitido della parola. La maggior parte delle situazioni sono ragazzi con famiglie disastrate, con problemi di inserimento e di storie lunghe e terribili alle spalle, troppo vecchi per stare ancora alle medie, senza prospettive già a 15 anni e senza interessi, con la sola voglia di stare a spasso su una panchina a dire stupidate e sentirsi più grandi di quello che sono. Ne ho visti molti quando ero ragazzino io. La maggior parte sono diventati adulti infelici, delinquenti in carcere per spaccio o per omicidio (vi ricordate il barbone ucciso in largo marinai d’italia? Ecco, uno di quegli assassini era compagno di classe di mia soralla, di un anno più piccola di me…) Leggo la disperazione e la ferocia di questa città nelle loro storie, e mi piacerebbe trovare un modo per far capire loro che come sono diventato un adulto io, felice nonostante tutti i miei difetti e i casini in cui mi sono infilato, possono diventarlo anche loro. Che il loro futuro non è già scritto dal loro breve ma complicato passato.
E’ una scuola dura, dove ci sarebbe bisogno di molto più tempo e molte più persone di quelle che ci sono, per inventarsi modi nuovi di sconvolgere la vita degli alunni, di fare amare loro quello che si può imparare, di far trovare loro qualcosa che valga la pena del loro interesse. Ma di questi tempi più tempo e più risorse non sono la priorità nel mondo scolastico, anzi. Meno tempo, meno persone, meno risorse, e possibilmente un bel calcio in culo alla scuola pubblica. Nella scuola privata almeno, tutti questi derelitti pagheranno per essere lasciati stare e continuare ad alimentare la catena di crudeltà che permette ai pochi di vivere sulle spalle dei molti.
Tutto questo per spiegarvi che quando a dicembre abbiamo saputo che arrivava il preside ufficialmente designato, nutrivamo discrete aspettative circa la possibilità di vedere risollevate le nostre speranze per la scuola. Almeno per me era così. Ma forse sono un ingenuo. D’altronde ho sempre pensato che il problema della scuola – e del mondo in generale – non sono certo i pischelli, ma gli adulti. Professori senza voglia di insegnare, persone che dovrebbero stare in un CPS anziché dietro una cattedra, adulti che non hanno trovato di meglio. Non tutti ci mancherebbe, lo dico a scanso di equivoci, ma i pischelli possono ancora crescere, gli adulti difficilmente cambieranno.
Purtroppo all’arrivo del Preside è giunta anche una triste scoperta. Si è presentato un vecchino felicemente nonno che ha l’unica intenzione di godersi in nipoti e di andare serenamente in pensione. La prima cosa che ha fatto è stata rifiutarsi di convocare i Collegi d’Ordine e il Collegio Docenti, rimandandolo di una settimana quando era fissato da mesi. Poi ha preteso che chi fino ad allora aveva gestito la scuola – esaurendo così anche le ore stipendiate per fare le veci di un Dirigente Scolastico – continuasse a farlo come e più di prima. Poi il giorno dei Collegi d’Ordine non si è presentato a presiederli DANDO PER SCONTATO che qualcuno l’avrebbe fatto, trincerandosi poi dietro cavilli e cavillini per giustificare il fatto che non voleva perdere tutto il pomeriggio a scuola.
Dite che non l’ho preso in simpatia? Poco ma sicuro. D’altronde io penso che nella scuola se uno non ha voglia di trasmettere qualcosa agli alunni, è meglio che cerca un altro lavoro. Ma forse il fatto che un Dirigente prenda circa 3000 euro di stipendio è un frutto troppo ghiotto per mettere l’etica di traverso. Tutti abbiamo sperato che fosse solo il recente arrivo a frenarlo dall’essere quello che tutti si aspettavano: una figura di autorità e di stimolo per tutta la scuola. Non era così.
Infatti la seconda cosa che ha fatto è stata quella di mettere un bel cartello fuori dal suo ufficio con scritto: "SI RICEVE SOLO PER APPUNTAMENTO E NEI SEGUENTI ORARI". Ovviamente anche in caso di emergenze la cosa vale. Ma dopo poco tempo ho capito anche il modello che segue questo Dirigente: quello della Pubblica Amministrazione burocratizzata e fancazzista, che tanto lustro garantisce a Brunetta, purtroppo. Molti a scuola ingoiano il rospo, resi mansueti dalla coltre di leggine e leggi che il Preside scaglia loro contro alla prima protesta. Se neanche i docenti capiscono che la formalità, la legge, non conta un cazzo quando un comportamento è sbagliato, come faranno a trasmettere ai loro studenti il senso delle parole libertà, dignità, integrità e intelligenza. Di burattini siamo già pieni abbastanza, ma forse me ne sono accorto solo io.
Dicevo che il Preside ha trovato man forte nel modello che la Segreteria della scuola già incarnava nella rete di relazioni scolastiche. Era stato il mio primo impatto, e ancora non mi hanno convinto a ricredermi sul fatto che la disponibilità generale nella scuola da parte delle persone per rendere migliore una istituzione così importante sia molto bassa. Se volessimo far funzionare meglio la scuola, ognuno di noi dovrebbe impegnarsi a non perdersi in cazzate e sofismi, ma a lavorare insieme agli altri. Nella scuola italiana non funziona così. Sembra di stare nella fabbrica prima dell’era della sindacalizzazione. La segreteria contro gli insegnanti, gli insegnanti contro il ministero, i bidelli contro i genitori, il preside contro gli alunni, ecc ecc. Un disastro. La segreteria di solito è l’emblema della stupidità con cui vengono interpretate le regole e il senso della parola collaborazione in una scuola.
Il primo giorno in cui sono arrivato mi avevano convocato per le 9.00. Mi sono presentato e ho trovato la porta chiusa a chiave. Già, perché gli uffici sono aperti al pubblico e ai docenti solo tra le 8.00 e le 9.00 o tra le 12.30 e le 13.30. Così che io avrei dovuto aspettare lì fino alle 12.30 per firmare il mio contratto, oppure iniziare a lavorare senza contratto. Ovvio no? Ho pensato che fossero un po’ eccentrici e ho insistito, ottenendo quello che chiedevo con qualche occhiataccia e qualche brontolio. Ma io sono un tipo testardo. Una settimana dopo ricevo una chiamata mentre sono in classe. Non rispondo, ovviamente perché non ho il cellulare in tasca. Quando vedo la chiamata persa non capisco da dove arriva. Richiamo e scopro che arriva dalla segreteria. Sono le 9.30. Vado verso la segreteria dicendo loro che sono fuori dalla porta di aprirmi per dirmi quello di cui avevano bisogno, così risparmiavamo soldi. No. Sono rimasto cinque minuti fuori dalla porta a parlare con la persona che stava nella stanza oltre quella barriera. Perché non era orario di ricevimento ovviamente.
L’episodio più assurdo è stato qualche giorno fa. A raccontarlo uno non ci crede, ma purtoppo è successo per davvero. Due ragazzi si sono picchiati in una terza. Per un pacchetto di cracker. La professoressa presente, piccolina e non certo forzuta, li ha fatti smettere. Poi voleva convocare i genitori. Purtroppo erano le 11.10. E’ andata in presidenza, ma il preside le ha detto che non aveva un appuntamento e lui non c’era. E’ andata in segreteria e le hanno detto che se voleva convocare i genitori doveva aspettare l’orario di apertura al pubblico. Che ovviamente era fuori dal suo orario di lavoro. Lei ha aspettato, ha fatto chiamare il padre del ragazzo e si è trattenuta a parlare dell’episodio. Senza la presenza del preside. Senza essere pagata per farlo, dato che era oltre il suo orario di lavoro. A sentirlo così sembra un episodio di Asterix. Quello quando entra nella casa dei permessi romani e deve salire e scendere per il palazzo preda della burocrazia. Invece è la realtà.
Dicevo che il Dirigente ha pensato bene di confermare che le prime avvisaglie della sua assoluta mancanza di voglia nel prendersi responsabilità non erano campate per aria. Due giorni fa la commessa mi ha consegnato una lettera in cui delega ogni coordinatore di classe a presiedere in sua vece gli scrutini. Ovvero: evitare di venire per i pomeriggi di una settimana a fare una delle cose più importanti per un Dirigente: capire cosa succede nella scuola, e indirizzare i propri docenti circa le varie situazioni nelle classi. A me rimane l’impressione che gli unici ragazzini che il Dirigente ha a cuore siano i suoi nipoti. E – stante le cose – gli auguro che trovino una scuola in cui la loro vita venga valorizzata come quella degli alunni della sua scuola.
Intendiamoci, non sto dicendo che tutti i segretari siano delle persone cattive, antipatiche, o di scarsa umanità. Forse per il preside un po’ lo penso, ma lo conosco poco per essere così perentorio – anche se è tipico del mio carattere. Certo è che il modo in cui approcciano la loro vita lavorativa nel mondo della scuola è diametralmente opposto al mio. Non penso che le persone si debbano sacrificare sul luogo di lavoro, ma che partecipare al mondo della scuola significhi approcciare il proprio mestiere con un po’ di passione, un po’ di disponibilità e la voglia di trasmettere qualcosa ai pischelli e alle pischelle, o quantomeno di collaborare perché il posto in cui stai tante ore al giorno funzioni meglio. Se l’unico interesse dei più è farsi gli affari propri e far trascorrere più placidamente possibile le ore che lo separano dalla timbratura del cartellino, bisogna porsi alcune domande, o no?
Ora il problema della scuola è il tempo pieno? Sono i voti in numeri o in giudizi? Sono il grembiule? Sono il numero di maestri? La ministra Gelmini secondo voi è stata in una scuola pubblica? (rispondo io: no, neanche da studente, e quindi che cazzo ne saprà mai?) Il problema sono gli alunni? O sono i presidi svogliati, i professori impreparati psicologicamente prima che didatticamente, gli amministrativi fiscali e burocratizzati? O forse le strutture fatiscenti, la carenza di fondi? O forse la disperazione di questa città? Avremo tempo per parlarne. Per quanto mi riguarda almeno fino al giugno 2009, quando finisce la mia supplenza. E spero anche più in là. Anche se farmi ben volere in un mondo ipocrita è sempre stata una cosa che mi riesce male.
Per ora mi fermo qui. Ma sono sicuro che non saranno le ultime storie che sentirete dalla profonda periferia nord di milano, settore scuola. Altro che no future.