Sintonie
E' un curioso caso di sincronicità quando le cose su cui stai rimuginando le trovi nei feed che segui, nel materiale grafico o narrativo prodotto da altri. Hai la sensazione che ci sia qualcosa di profondamente perverso nel modo in cui stai organizzando la tua vita.
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Milano gothic-punk: vento, fuoco, terra
Milano, nonostante qualcuno non lo noti, è una città capace di evocare sensazioni magiche e misteriose, in alcuni casi addirittura poetiche. Ad esempio in via Settembrini, angolo via Boscovich, da quando esisto c'è un palazzo fantastico, che mi è sempre più facile immaginare nella gotham scura e gotica di Batman o di qualche ambientazione di gioco di ruolo che non nel posto in cui sono nato. E' un luogo che gode di un aura un po' inquietante, soprattutto nei giorni cupi dell'inverno milanese o nelle sue notti in cui non si riesce mai a capire se le luci all'interno siano accese o spente.
Quando ero pischello è stata fonte di fascino incredibile, tanto che più di una volta abbiamo cercato di accedervi o di capire chi o cosa vi abitasse. La cosa si è sempre rivelata più difficile del dovuto, come se una specie di forza preternaturale proteggesse la privacy del luogo, o forse come se la nostra parte meno razionale non volesse trasformare un mistero un po' magico in una banale famiglia eccentrica.
Il terribile, l'immaginario vive tutto in questa contraddizione, tra ciò che potrebbe essere e ciò che è, tra ciò che la nostra fantasia aggiunge alla realtà e ciò che la realtà sottrae alla nostra fantasia.
Anche l'altro giorno mentre facevo queste foto, si è accostata in contromano una macchina sporca, dai vetri appannati dalla terra e dal fango. Dentro un tizio con i capelli corti e brizzolati mi ha guardato di sottecchi, i pantaloni militari e la felpa grigia a tinta unita. Ha portato all'orecchio un telefono molto moderno, uno di quei Nokia che sembrano essere delle ricetrasmittenti satellitari di film vecchi solo di tre-quattro anni, e ha continuato a parlare fino a che non mi sono allontanato. Poi ha ingranato la retro e si è allontanato verso i bastioni.
La realtà mi racconta di una coincidenza, sottrae a questo incontro il fascino misterioso che ha suscitato nelle mie ghiandole. Le sensazioni che ho provato mi riportano a pensare perché sul citofono di questa casa compaiono tre elementi alchemici, come se in realtà questa specie di piccolo castello fosse la sede di una nuova Golden Dawn o di un'altrettanto misteriosa setta.
Danse Macabre
La danse macabre è un genere di allegoria medievale in cui una serie di personaggi vengono trasportati lungo tutte le tappe della vita fino alla tomba. Il messaggio, che decorava moltissime chiese e non solo, era molto chiaro: la vita è effimera, la morte è certa, pentitevi e sappiate che Dio è l'unico giudice. Alla faccia del moderno terrorismo 🙂
Oggi su bibliodissey una raccolta di scansioni di danze macabre veramente interessante, anche se le migliori rimangono non scansionabili (trovandosi su pareti :). Vivamente consigliato!
Il cielo di piazzale Loreto
Milano è una città a pianta circolare, come molte città che hanno attraversato il medioevo. Orientarsi a Milano non è difficile, basta capire quali sono gli anelli che la circondano dividendola in strati, e quali le direttrici di fuga dal centro verso la periferia, omonime ai cunei che riversano nella città tutto ciò che le circola attorno.
Corso Buenos Aires è una di queste direttrici: taglia la città a partire da piazza San Babila dritto fino a Sesto San Giovanni, una specie di lama che collega ironicamento la ex Stalingrado d'Italia, le sue fabbriche vuote da decenni, i suoi stabilimenti che sono stati fonte di tubi innocenti per decine di occupazioni e di nascondiglio per centinaia di persone e migranti, con il centro nevralgico del pensiero economico italiano, nei pressi del quale si aggira anche la giustamente vituperata sede di Confindustria.
La storia di corso Buenos Aires (un tempo Corso Loreto) è abbastanza lunga, e data almeno dall'inizio dell'800, quando era il viale di arrivo delle personalità dalle zone orientali italiane, che entravano a Milano attraverso la Porta Orientale (già Porta Venezia). Piazzale Loreto fino alla metà dell'Ottocento non è niente di più di uno svincolo autostradale (fatte le debite proporzioni) e si chiamerà Rondò Loreto fino al 1904 (identificando più che altro le poche case intorno allo svincolo stesso). Nel 1904 assume il nome che porta tuttora (nonostante le simpaticissime proposte di Zecchi di rinominarlo Piazza della Concordia, con dubbio gusto storico), ed è per il primo novecento il teatro di partenza della manifestazione sportiva più importante d'Italia, il Giro d'Italia. L'evento per cui è più noto è l'esposizione al pubblico ludibrio del cadavere di Benito Mussolini e di Claretta Petacci, insultato e deriso dalla folla per giorni prima al suolo e poi a testa in giù da un traliccio di una pompa di benzina dopo la sua morte fino alla sepoltura. Un evento barbaro che ha risposto alla barbarie che il Duce ha prodotto e coltivato nel nostro paese, per il quale non si vede la necessità né di pentimento nè di riappacificazione, con buona pace dell'esteta Zecchi e della sua concordia. Ovviamente nessuno ricorda che il suo cadavere fu esposto lì dal colonnello Valerio o chi per lui in ricordo della strage di Piazzale Loreto, una rappresaglia contro i partigiani per cui nessuno è mai stato né punito né particolarmente biasimato.
Milano è una città difficile, ma al contrario di molte altre capitali europee non perdi mai di vista il cielo, una distesa che più spesso ti ricorda tutto ciò che è accaduto sotto di essa, piuttosto che darti quella sensazione di libertà che l'atmosfera terrestre è abituata a garantirti in luoghi meno feroci della metropoli.
Il cielo sopra piazzale Loreto è una specie di indicatore della vita quotidiana della città: non è il cielo del centro, o quello abbandonato durante il giorno e nascosto durante la notte dei quartieri dormitorio, ma il cielo che osserva l'affannarsi quotidiano di una città sempre troppo indaffarata per cogliersi, o a volte talmente concentrata nel pensare da non riuscire a muoversi.
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Enter Fernando
Piazzale Loreto.
La parola di Milano è grigio.
Il cielo è una distesa non uniforme: dal pallore del cielo quasi bianco verso via Costa, in direzione nord-nordest, fino al grigio scuro delle nubi cariche di pioggia che evaporerà o si trasformerà in pasta grigiastra prima di toccare il suolo nella zona centrale, in lontananza verso sud.
Il piazzale è teatro di un costante carosello di macchine, clacson, insulti, infrazioni.
Doveva essere un luogo più divertente cinquanta o sessanta anni fa, quando al posto delle macchine c’era una ressa di persone che finalmente si gettava alle
spalle vent’anni di merda e violenza.
Milano sembra non cambiare mai: ti accorgi che è estate da un lieve mutamento della temperatura. Appena la conosci pensi che sia una città piatta nel suo grigiore umano, oltre che visivo, uditivo, sensitivo. Poi ti rendi conto che Milano può raccontarti qualcosa a ogni angolo, a ogni svolta del tuo senso di marcia, e spesso anche indipendentemente dalla tua voglia di restare fermo e immobile, in pace con il resto del mondo che ti circonda.
È solo dopo questa fase che capisci che Milano è come una specie di magma che continua a travolgerti.
Fernando cammina lentamente e senza fretta lungo il marciapiede di via Porpora. La giacca scura ordinata e pulita, la camicia bianca dal taglio anomalo, simile a una T-shirt, il pantalone elegante e le scarpe lucidate di fino. Dalle maniche della giacca spuntano due mani che non vanno per il sottile: le dita corte e arrotondate sulla punta, ruvide, si inseriscono su palmi ampi e solidi, segnati dal tempo e dalla fatica. Delle mani che riducono rapidamente a zero ogni discussione.
Il collo largo e muscoloso è proporzionato al suo fisico massiccio, non troppo alto, e sostiene una testa squadrata e accuratamente sbarbata. Fino ad arrivare ai capelli grigi ben tenuti e corti, e al cappello a tesa larga scuro calato in testa nei periodi più freddi dell’anno. Ogni particolare di Fernando parla
di un uomo che tende a non tergiversare e a concludere in fretta ogni questione.
Oggi non fa freddo. Il viso rugoso e invecchiato di Fernando cerca di raccogliere nei canyon della pelle ogni alito di vento che allevi la caligine milanese.Arriva fino al piazzale e si ferma a osservare le nubi che si addensano su Isola e sulla Centrale, rendendosi conto, grugnendo, che non ha né ombrello né impermeabile, e che se piove sarà costretto a comprare un trabiccolo da dieci euro da qualche cazzo di immigrato che magicamente comparirà al primo angolo di strada dopo dieci gocce.
Qualche volta gli è venuto il sospetto che si nascondano in ogni tombino pronti a scattare con i loro ombrelli e le loro facce allenate a ispirare compassione nelle vecchiette e in una manica di rincoglioniti. Altre volte che siano proprio loro a evocare la pioggia con una qualche cazzo di stregoneria sciamanica
ereditata dal paese d’origine. Quasi sempre, quando si sofferma a pensarci, si rende conto che, con tutta probabilità, alla prima nuvola questo esercito di disperati si scapicolla su e giù per Milano per farsi strozzinare una fornitura di ombrelli che non riuscirà a vendere e che gli renderà la vita solo più miserabile. Non riesce proprio a capire perché lo facciano.
D’altronde, un motivo c’è se lui fa il lavoro che fa e loro fanno i vu cumprà o i lavavetri, si ritrova a concludere, mentre guarda le macchine attraversare
il piazzale.
Scosta leggermente la giacca dalle tasche dei pantaloni e ci infila le grosse mani per tirarne fuori una sigaretta senza estrarre il pacchetto. L’accende aspirando a lungo.
“In questa città del cazzo non si ammazzano mai” pensa quasi ad alta voce. Scazzano, trafficano, spacciano, si menano, sbraitano, ma non si ammazzano se non
per una coltellata o un colpo di fucile partito quasi per sbaglio. Nessuno cerca mai qualcuno per ammazzare qualcun altro.
Non lo fanno i delinquenti della periferia, non lo fanno i ricchi annoiati, non lo fanno neanche gli sbirri.
Che città di merda per fare il sicario…
L’unica città in cui con un mestiere così sei praticamente un disoccupato in pianta stabile. “Le mie solite idee del cazzo.”
Fernando prende un’altra boccata dalla sigaretta e si avvia lungo corso Buenos Aires senza una meta precisa. È ancora all’altezza della Feltrinelli, che lui
si ostina a chiamare Ricordi, come tutti l’hanno chiamata per almeno una decina d’anni prima che diventasse una libreria con un’immagine di sinistra, quando
squilla il cellulare.
Lavoro, spera. E per una volta tanto il suo intuito non lo delude.
La luce di Milano prima della pioggia
In previsione dell'uscita di Monocromatica, settimana prossima, e dei post che vorrei fare su questo blog di "orientamento" all'interno del romanzo, oggi volevo dilettarmi nel fare alcune foto. Purtroppo il clima mi è ostile e ha deciso di piovere cinque minuti sì e cinque minuti no, con il caso affermativo corrispondente a quando metto il naso fuori di casa. Sono stato costretto a rivoluzionare il mio programma per la giornata, ma non mi sono voluto negare la soddisfazione di fotografare Milano appena prima della pioggia, una luce strana che è difficile definire, a metà tra l'oscurità che precede un temporale e il taglio innaturale che le giornate di Milano hanno perpetuamente, come una specie di filtro fisso davanti all'obiettivo della macchina fotografica. La foto è solo appena ritoccata perché oggi è una pioggerellina più fastidiosa che degna del proprio nome, e di conseguenza anche l'effetto sulla luce è relativamente limitato.
The meaning of life
Non mi ricordo di aver riso tanto dai tempi del leggendario film dei Monty Python (che tra l'altro penso abbia la miglior locandina di tutti i tempi :). Se non vi riconoscete in almeno uno dei comportamenti sotto indicati non avete la minima chance di intuire il senso della vita. [per i curiosi, io ne centro almeno due, di cui uno praticamente tutti i giorni :)]
credits to xkcd
Zero calcare, molto colore
Bene, anche per me è arrivata l'ora degli spot: il fortunato vincitore di questa lotteria è il prode zerocalcare, pischello romano di grande talento grafico e pochi sghei, che però tutti noi apprezziamo per la sua immensa generosità (e pazienza, fate che sopporta karletto e O…).
Tra le sue produzioni più apprezzate potete trovare svariati fumetti su genova, tra cui quello che è stato stampato in versione poster e distribuito ai quattro angoli del globo, nonché il fumetto sui fatti dell'11 marzo che trovate anche sul sito di dovevadoevado.
La grande news è che da oggi si lancia nel magico mondo delle graphic novel, la cui differenza con i fumetti è ben riassunta dalle righe introduttive di Mars Attack Rome, sulle cui prime tavole mi sono spanciato stamattina. Mi raccomando, leggete e diffondete il giovine! 🙂
PS: perché non fa un blog su noblogs, vi chiederete. E io che ne so? Chiedetelo a lui, no? Mannaggia alla delega…
Mappe celesti
Un processo naturale per gli esseri umani è sempre stato quello di aggiungere elementi qualificanti a ciò che lo circonda. Forse deriva dal processo di conoscenza del mondo che ci è naturale, dal fatto che siamo coscienti dell’esistenza della nostra percezione di un mondo esterno, e del fatto che questa percezione, scientificamente identica, in realtà varia da persona a persona. Non c’è alcun modo per poter definire la percezione soggettiva della realtà di un’altra persona, e affermare che gli stimoli neurali sono gli stessi non aggiunge alcuna verifica qualitativa della questione, ma solo quantitativa. Forse è questa consapevolezza che ha sempre spinto gli esseri umani a tracciare relazioni impossibili tra la realtà e la nostra esistenza, definire le relazioni come una sorta di lento processo di avvicinamento alla possibilità di definire il rapporto tra noi e la realtà in modo da eludere il senso di smarrimento quando pensiamo alle differenze tra gli occhi di due persone qualsiasi (e probabilmente anche di due animali 🙂
Uno degli esempi più interessanti da questo punto di vista è l’esistenza (da quando è esistita la civiltà) di uno zodiaco collegato alla posizione delle stelle (sia i pianeti ovvero le stelle mobili come venivano chiamate dagli antichi, che le stelle fisse). Quasi ogni civilità (non sono un esperto di archeologia, per cui mi baso solo su quelle più note) ha voluto correlare il passaggio del tempo alla presenza di gruppi definiti di stelle, immaginandosi che esse dipingessero immagini e figure nel cielo che gli umani nel corso dei millenni potessero riconoscere. Lo zodiaco non è altro che una suddivisione ciclica del tempo, legata a una percezione soggettiva di immagini possibili nel cielo, di relazioni posizionali tra stelle fisse. A questa necessità descrittiva, l’uomo da sempre ha collegato una necessità psicologica, quella di comprendere che elementi regolano la nostra vita, quali influssi subisce, quale potere si nasconde dietro l’influenza del mondo sull’uomo: lo zodiaco insieme alle varie forme di divinazione (in realtà come in quanto una forma di divinazione) è forse una delle forme più antiche dell’uomo per mettersi in relazione con il tempo e con la realtà.
Non stupisce quindi che la mappatura non solo dello Zodiaco nella sua veste quantitativa (cosa è un segno? dove si colloca? cosa rappresenta?) ma anche in quella qualitativa (che influsso ha? cosa significa l’attraversamento del segno da parte delle stelle mobili?) sia stata una delle più antiche forme di cartografia. E non stupisce neanche che civiltà distanti come quella indù o quella greca avessero cartografie simili (sono nello stesso emisfero, e vengono dallo stesso ceppo antropologicamente parlando), mentre quella moderna (derivata dalla tradizione ellenica) e quella cinese siano così lontane ed esercitino il fascino dell’esotico l’una verso l’altra.
Soprattutto non stupisce che questo istinto non sia stato per nulla scalfito da millenni di scienza e dalla dimostrazione palese di una razionale non esistenza di alcuna influenza da parte della posizione delle stelle sul nostro "destino". Ciò non toglie che ogni forma di divinazione continui a rappresentare un momento di interpretazione della realtà per gli esseri umani, ricorda loro l’ineluttabile realtà della percezione soggettiva di ciò che li circonda, della loro inesauribile solitudine di fronte alla comprensione del mondo. Allo stesso tempo la mappatura della relazione del mondo con la loro vita offre loro uno spunto per riflettere, per pensare, per ricordarsi dell’importanza delle relazioni tra essi e l’esistente (materiale o meno): la divinazione è una forma di filosofia, una serie di epifanie che servono non a interpretare segni di un destino già scritto, ma ipotesi di relazioni possibili con il mondo.
E’ per questo motivo che i segni zodiacali, i tarocchi (in futuro un post su questi strumenti incredibili di pensiero e influenza), i gusci di tartaruga, i vasi, le viscere, i presagi, e chi più ne ha più ne metta, continuano a esercitare su di noi lo stesso fascino, lo stesso immancabile senso di smarrimento e di meraviglia. Per questo lo Zodiaco, nato in Babilonia con il loro sistema numerico a base 60 (o meglio con il precedente sistema numerico a base 12 [vi siete mai chiesti perché contiamo 12 ore del giorno? e 60 minuti in un ora? Non sarebbe stato più comodo un sistema decimale?]), non è mai stato aggiornato o modificato, perché i segni della relazione con ciò che ci circonda non hanno bisogno di essere esatti, ma solo di essere suggestivi di tutte le eventualità possibili e impossibili. Il fulcro della divinazione siamo noi, i segni zodiacali sono un semplice agit prop della nostra coscienza.