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Genova: dall’altra parte della barricata

29 Marzo 2009 6 commenti

 

Pre Scriptum: quella merda del mio socio approfittando della mia temporanea carenza di connessione mi ha bruciato sul filo di lana e ha pubblicato la recensione di questo libro prima di me, nonostante il testo glielo abbia prestato io. 

Genova sembrava d’oro e d’argento è il secondo romanzo di Giacomo Gensini, ex celerino. Scritto senza particolare bravura e senza particolare infamia, ha però un grande pregio. E’ la storia di uno stronzo. E’ la storia vista e raccontata da qualcuno che sta dall’altra parte della barricata, anche se definire la barricata è l’impegno più interessante. Ha i suoi limiti e i suoi pregi, e devo dire che mi aspettavo di peggio.
Ormai di Genova hanno parlato tutti, e non c’è motivo per cui non ne parli anche la voce di uno sbirro del VII Nucleo Antisommossa – i famosi Canterini boys – e proprio per questo per me, che ho vissuto quei giorni, i giorni successivi e gli anni che hanno trascinato con loro le ricostruzioni, gli atti dei tribunali e i racconti di chi è stato e di chi stato non è, è un libro interessante.
Se dovessi darne una descrizione direi che è la dichiarazione di ineluttabilità di quanto è avvenuto e di quanto avviene, direi che alla fine dei conti per chi sta da quella parte della barricata archiviata la constatazione di un sistema marcio di cui essere ingranaggio, l’unica giustificazione è quella dell’inevitabilità del tutto, della dimensione intrinseca alla natura umana e alla società di quanto Genova è stato e ha rappresentato per tutti. E io penso che sia un po’ troppo comodo.

"Il consumismo, l’ipercompetitività, il mito del successo, l’individualismo patologico esasperavano le frustrazioni e acuivano la violenza. Un sistema fuori controllo e sempre più squilibrato provocava squilibri. Per questo la finzione dei diritti non poteva durare a lungo. Prima o poi, se l’apparato (del quale chi più chi meno facevamo parte) voleva sopravvivere, la repressione doveva diventare metodica e libera dagli  ideali delle rivoluzioni del diciottesimo secolo."
"I potenti e le lobby che li sostenevano si vedevano nella città dei Doria per decidere le loro quote di mondo. Niente di più. Noi e i manifestanti non avevamo alcun ruolo in tutto questo, non eravamo influenti, se non a un livello infinitesimale. Ma avremmo fatto un sacco di colore."


Il libro è onesto, secondo me, e molto istruttivo di come si percepisce lo sbirro medio del reparto mobile, delle contraddizioni che vive, delle ragioni che si da, al di fuori della retorica e dell’ipocrisia. Anche quando dipinge i poliziotti come uomini e non come robot o come fanatici: mette a nudo le contraddizioni e perpara il terreno per la vittima sacrificale delle spiegazioni che Gensini si è dato di Genova: la necessità antropologica e storica.
"Fatto sta che le veline ottenevano un unico scopo: renderci ogni giorno più nervosi. Caricarci come molle. […] Era il peggior modo possibile di reagire, ma anche l’unico. E non parlo della solita storia di rischiare la pelle per milletrecento euro al mese, con tutta la retorica annessa. Queste alla fine erano cazzate: l’avevamo scelto. Parlo del fatto che noi comunque eravamo e restavamo uomini. Credevano davvero che indossare un caso e una tuta ci rendesse immuni alla fatica e alla paura? Immuni alle emozioni… alla tensione, alla rabbia? No… nessuno di loro lo credeva davvero, […] ma fingevano che non fosse né possibile né accettabile, difendendo l’ipocrita mondo immaginario raccontato in tv."
"Perché quello che condividiamo non è la divisa, ma un segreto. Un segreto sull’umanità e sulla sua miseria. Sullo squallore della sua cieca violenza, sui suoi egoismi, sulle ipocrisie. Noi sappiamo cosa c’è dietro la facciata. Ed è questo che ci rende fratelli."
"Ma gli scioperi, gli sfratti, le rivendicazioni sociali di qualunque tipo sono un’altra cosa. Ogni volta dobbiamo trasformarci in automi, ogni volta. Quello che ci salva è che i nostri antagonisti scatenano regolarmente su di noi la loro rabbia, come fossimo stati noi a decidere. E noi non possiamo fare altro che difenderci."
"Lo spettacolo è incredibile, Genova sembra bruciare di mille incendi, un fumo nero e denso sale al cielo. Sirene lontane, grida lontane e un sole che sorride cattivo, soddisfatto dello spettacolo. Genova avvolta dal fumo e dalla rabbia… bellissima e nuda. Non so perché alzo le braccia al cielo e grido un grido di trionfo, grido la mia rabbia e la mia gioia. Grido per liberare la tensione. Grido perché era cos che l’avevo immaginata e desiderata. Grido perché so che questo è solo l’inizio."


Dopo questa sbrodolata di tuttosommato apprezzamenti veniamo al dunque. L’accusa più grande che si trova nel libro sostanzialmente è che laddove i poliziotti sono meccanismi inconsapevoli ma schietti del conflitto di potere, i manifestanti sono invece parte di quel conflitto di potere stesso. L’autore assume nei confronti della nostra parte della barricata un atteggiamento solo un filo meno stereotipato del solito, cercando di condirlo con l’esperienza diretta: la Rete Lilliput dei poveri deficienti che hanno difeso i violenti, i disobbedienti un branco di politicanti ipocriti e pagliacceschi, i black bloc quelli che volevano scontrarsi sul serio, gli antagonisti, i violenti.
"Una società individualista non può essere non violenta. L’individuo ha una grande considerazione di sé stesso. Alla fine sopporta la violenza solo in astratto, e solo se riguarda gli altri, ma ci mette poco a peedere la testa se riguarda lui. Non ti tiro un sasso per la fame nel mondo e le politiche neoliberista, te lo tiro se mi dai una manganellata. [….] Via Tolemaide è una conseguenza naturale. Noi, se non altro, ci risparmiamo l’ipocrisia di un sorriso falso. Noi non siamo non violenti. Noi siamo quello che siamo."


Devo dire che è una lettura interessante, e in alcuni tratti simile a quella che do io delle vicende genovesi, e che forse un giorno riusciremo ad approfondire, quando le ferite si saranno rimarginate e la ragione prenderà il posto dell’emozione. Gensini individua perfettamente alcuni meccanismi, quelli del potere, e anche mi strappa un sorriso quando mi rendo conto di quanto siano simili le sue posizioni rispetto alle decisioni delle tute bianche o dei vertici della polizia e dei giornalisti. Questo dimostra quanto è sottile il crinale che si può percorrere per interpretare i fatti, e quanto sia semplice sciogliere la propria responsabilità in un fatalismo ipocrita, salvo poi accusarne gli altri.
E’ su questo crinale che alcune crepe si aprono nell’onestà intellettuale di Gensini. L’esempio più eclatante sono: l’omissione della carica sul lungo mare a cui partecipa anche il VII nucleo e che nel libro viene liquidata con il commovente episodio di François (i dirigente del reparto che secondo me è identificabile in Michelangelo Fournier) che rifiuta di caricare la gente senza una via di fuga (ci ricordiamo tutti come è andata, no?); la trasformazione di uno degli arrestati più celebri del g8, il ragazzo brancato in piazza Tommaseo che canta la Marsigliese mentre lo portano via in un gigante ciclopico per forza e coraggio (il tizio è alto 175 cm e non particolarmente nerboruto). Mi si risponderà che gli eventi sono frutto di fantasia e non DEVONO corrispondere al vero. Reality Fiction. Ci mancherebbe, io sono d’accordo, quando servono ad alimentare la narrazione, ma non quando sembrano solo una patina giustificatoria su qualcosa per cui si ha la coscienza un po’ sporca. La mattanza.
E’ su questo livello che il libro non mi è piaciuto molto, sul poco coraggio nel prendere posizione su alcune vicende, per scioglierle tutte nell’ineluttabilità di eventi che era deciso andassero a finire così, come se la morte di Carlo, o la perquisizione alla Diaz, o anche gli scontri potessero finire in un solo modo, predestinato da qualche Demiurgo non troppo sveglio.
"Ma intuisco che non è tutta la verità. Che in tanti hanno congiurato per quella morte di cui non conosco ancora niente. Non solo l’impreparazione dei giovani carabinieri, la follia dell’essere umano e il cinismo dei media. NOn solo la demagogia di chi ha portato in piazza centinaia di migliaia di persone in piazza senza servizio d’ordine. Non solo il destino."

Il problema che il libro solleva è che Genova non è solo una singola barricata. Chi c’è stato e chi non c’è stato non può fare finta di nulla. Deve capire che cosa significano le mille barricate che ha rapprentato, chi c’era da un lato e chi era dall’altro, e soprattutto come sono passate le persone da un lato all’altro. Ognuno sa che non è così semplice liquidare la questione con la retorica dello "scontro con gli sbirri maledetti" o con quella del "potere occulto che ha deciso che dovevamo essere uno strumento di violenza". Genova è complicata, ha vissuto di 300.000 anime e oltre, di violenza, di spettacolo, di potere, di parole, di azioni, di simboli.
"Alla fine ho capito una cosa: era in quello che eravamo, lì era nascosta l’essenza della nostra tragedia. Il settimo nucleo aveva un destino e quel destino era nel suo carattere, nel carattere degli uomini che lo componevano e lo comandavano. Era solo andata come doveva andare e in fondo lo sapevano tutti, anche noi."
Io invece non ho capito questo. Io a Genova non ero quello che ero, né quello che sono. E’ troppo comodo nascondersi dietro al fato, agitare un cinismo un po’ ostentato e confortevole, decidendo di non affrontare quello che si è fatto e come lo si è fatto. Io sono contento di aver letto questo libro, mi ha fatto pensare e ripensare a quello che ho vissuto e a come lo ho vissuto, e mi ha esposto un altro punto di vista. Ma non è il mio.
Su quelle barricate, ognuno di noi deve salirci e ci è salito. E ha scelto. Come ho già scritto in molti altri interventi, vivere significa essere partigiani, significa scegliere, significa sbagliare. Io so che quello che abbiamo fatto è stato qualcosa di grande, e non cerco giustificazioni per quanto di sciocco o sbagliato possa esservi stato. Il giorno che racconteremo noi la storia di Genova, spero di poter dire che in essa non ci sarà nessuna concessione all’ipocrisia, e che avremo cercato di affrontare la verità di quello che abbiamo conosciuto senza nasconderci dietro un dito. Avremo cercato di spiegare perché per alcuni è stata solo politica, per altri è stata vita, per altri un incidente, per altri ancora un’occasione. Avremo cercato di raccontare un punto di vista totalmente opposto a quello del celerino Gensini: che i sistemi non cadono da soli, ma cadono quando le persone decidono che è il momento di dire basta e di inventarsi qualcosa di nuovo e terribile. Anche a costo di fare molte cose sbagliate.


We have been nought, we shall be all.

 

Ponyo of the Cliff

28 Marzo 2009 16 commenti

 

Ponyo della scogliera è l’ennesimo capolavoro targato Hayao Miyazaki e Studio Ghibli. Il grande autore giapponese torna a raccontare una storia semplice, diretta, una fiaba moderna e solare. Parlandone con blanca, ppn e consorte dopo la proiezione ci siamo resi conto che Il Castello Errante di Howl, la precedente fatica del giapponese, è un’animazione molto complessa (I racconti di Terramare sono del figlio, che ne ha di strada da fare prima di dimostrare anche solo di essere degno di raccogliere da terra il pennello del Maestro), forse anche troppo. Io continuo a pensare che Hayao dia il meglio di sé quando con una storia semplice e i suoi tratti sempre bambini ritrae i sentimenti più puri e semplici. Penso che Ponyo sia un tornare a Principessa Mononoke, all’affresco di qualcosa di semplice e primitivo, come il rapporto con il mondo naturale e il desiderio che sia sufficiente un po’ di amore per riportare l’umanità al buon senso. Hayao è un’inguaribile romantico e un cocciuto naif, ed è per questo che non lo si può ammirare all’alba dei suoi quasi 70 anni. Se poi vogliamo parlare del lato tecnico grafico ci sono cose disumane in questa ultima fatica: una su tutte, la resa del mare in tempesta, la sua trasformazione in enormi pesci e poi in onde. Il tratto di Miyazaki si fa più semplice e allo stesso tempo più ricercato. Per me che so a malapena disegnare l’omino del gioco dell’impiccato è qualcosa di stupefacente. Interessante che non ci sia Lana in questo fumetto (c’è, ma è cresciuta in Risa, la madre di Soske), ma che – cito ppn – torni a far capolino uno dei personaggi più mitici della antropogonia miyazakiana: Jimsy, sotto le mentite spoglie dai capelli rossi di Ponyo. 

PS: se non volete venire ipnotizzati per sempre dal tormentone, appena si chiude il cerchio nero della dissolvenza sull’ultima scena, mettetevi dei tappi nelle orecchie (ponyo ponyo, pesciolino tu, dal profondo mare azzurro sei venuto fin quassù ad libitum). 

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Connivenze, quando non è più un problema di termini

26 Marzo 2009 6 commenti

 

La staffetta partigiana che frequenta il sito come veicolo di informazione antifascista mi ha segnalato una comunicato stampa di alcuni consiglieri regionali che sembrerebbe implicare che la Fondazione de Le Stelline abbia concesso i locali del famoso palazzo milanese per l’incontro tra i partiti di estrema destra europei facenti capo al cosiddetto European National Front. Sarà pur vero che sembra di essere tornati negli anni ottanta, solo con un po’ di tecnologia in più e un bel po’ di pudore in meno, ma non ricordo nel corso di tanti anni di schifezze perpetrate dalla destra a milano un atto di provocazione così esplicito. "E’ la solita provocazione a due mesi dalle elezioni", alcuni diranno, e hanno ragione. Ma è una provocazione che meriterrebbe una risposta di tutta la città, che come al solito starà zitta fino a che il proprio orticello non verrà intaccato. Brecht doveva dedicare la sua poesia a Milano, in cui siamo costretti a rimpiangere democristiani e socialisti, ladri sì, ma non certo fascisti come quelli che si aggirano tutti i giorni nelle strade. 

dal sito di Muhlbauer:

OPPOSIZIONE CHIEDE ALLA REGIONE DI REVOCARE LA CONCESSIONE DEL PALAZZO DELLE STELLINE PER IL RADUNO NAZIFASCISTA DEL 5 APRILE

Ieri Forza Nuova ha annunciato formalmente che il raduno
nazifascista previsto per il 5 aprile si terrà presso il Centro
Congressi “Palazzo delle Stelline” di Milano. Cioè, in una struttura
pubblica, gestita dalla Fondazione Stelline, di cui sono enti fondatori
Regione Lombardia e il Comune di Milano.
Per questo motivo, oggi, tutta l’opposizione in Consiglio Regionale,
mediante una lettera firmata dai consiglieri Luciano Muhlbauer (Prc),
Franco Mirabelli e Maria Grazia Fabrizio (Pd), Bebo Storti (Pdci),
Carlo Monguzzi (Verdi) e Marco Cipriano (Sd), ha chiesto al Presidente
Formigoni e all’Assessore alla Cultura, Zanello, di intervenire
urgentemente presso gli organi della Fondazione, affinché la
concessione dello spazio venga revocata (la lettera può essere
scaricata in formato pdf in fondo a questo post).
Infatti, il raduno internazionale sponsorizzato da Forza Nuova dovrebbe
dare voce a organizzazioni politiche di cui sono note e conosciute le
tesi negazioniste, razziste e neofasciste. E ciò non contrasta soltanto
con i principi fondamentali affermati dalla nostra Costituzione –e
questo in realtà dovrebbe bastare-, ma persino con lo Statuto della
Fondazione e con la legge regionale che l’aveva istituita.
Inoltre, c’è da segnalare che nella giornata di oggi ci sono state
anche le prese di posizione ufficiali della Camera del Lavoro di Milano
e dell’Anpi provinciale, che chiedono ambedue a Sindaco, Prefetto e
Questore di vietare l’iniziativa del 5 aprile.

Inviato da
staffetta partigiana incazzata rossa

26 Mar 2009, 20:17

 

 

Relitti e Reietti

22 Marzo 2009 5 commenti

 

La capolista contro il fanalino di coda. In campo i relitti del campionato non impensieriscono mai i nerazzurri, nonostante i parecchi tiri nel tabellino, e solo la sufficienza degli attaccanti dell’Inter impedisce una goleada biblica. In campo anche i reietti nerazzurri: Amantone Mancini è il fratello obeso del giocatore della Roma, fa bene sulla sinistra, scompare dopo 33 minuti e esce al 40esimo per infortunio; Jimenez entra ed esce nel giro di dieci minuti per infortunio, riuscendo a anche nell’impresa di sbagliare parecchi palloni e non incidere; Obinna è un Suazo più scarso e il rimpianto per non vederlo con la maglietta dei toffies cresce a ogni pié sospinto; Maxwell entra e tocca due palloni, senza impressionare. Poi si chiedano perché fanno panca dura e perché José preferisca loro dei Primavera. Finisce con un risultato netto che non lascia adito a dubbi.
I protagonisti. JC quando serve c’è: un muro e un gatto allo stesso tempo. Maicon sta risalendo lo stato di forma un po’ traballante di febbraio, Santon mostra grandissimi numeri: una sua finta di sopracciglio che manda in bambola tutto il centrocampo della Reggina è un piacere da gustarsi e rigustarsi su Youtube. In mezzo alla difesa: Rivas fa il suo, con qualche buco di concentrazione, ma nulla di problematico; idem Cambiasso che sull’unico anticipo sbagliato ci potrebbe costare caro. In compenso avere tre Cambiasso (dietro, in mezzo e davanti) non sarebbe un film porno, ma solo una necessità per l’Inter. In mezzo la prova meno brillante: Muntari come sempre mostra grandi limiti di fosforo ed è palesemente il nemico del pallone numero uno, Zanetti fa il suo superando Facchetti nelle presenze in maglia nerazzurra e puntando Bergomi in scia, Stankovic sembra spompato al 30esimo ma poi resuscita con un gran secondo tempo; Obinna, Maxwell, Jimenez inguardabili: vendere, vendere, vendere. Anche regalare se caso, basta non vederli mai più: un insulto al gioco del calcio. Davanti Ibra fa di tutto insieme a Mario, una coppia che potrebbe farci sognare molto in futuro. Mancini per 30 minuti è la speranza che si riprenda abbastanza da essere capitalizzato in qualche modo, poi si spegne e si infortuna. Tutto sommato non possiamo lamentarci.
Arriviamo alla pausa con il vantaggio invariato. Ora ci sono altre nove partite, da affrontare con determinazione e grinta. Forza ragazzi.
 

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Precarietà (poche parole ma buone)

17 Marzo 2009 3 commenti

 

Espio la mia colpa per non aver fatto un post su Dax ieri (come staffetta partigiana nella sua attitudine diy mi ha fatto notare) ritornando a parlare di politica e vita (anziché solo di vita come nel caso dei post precedenti). Vi propongo un post di blanca, che secondo me in poche parole dice molte cose su come si vive nel nuovo millennio. Tradotto: una merda che ci siamo preparati da soli credendo alle magnifiche sorti e progressive dell’Italia che ci hanno raccontato ma che intorno a noi non abbiamo visto mai (quella che funziona, in cui il mercato del  lavoro è perfetto, che è ricca e fa parte del primo mondo, ecc ecc.) 

 Dalla sera alla mattina arriva The President e dice che chiude il
posto dove lavoro da un mese e mezzo. Poi mi chiedo se chiude la
societa’ numero 1, la societa’ numero 2 o quella numero 3. Gia’ perche’
io sono assunta dalla numeo 2, gli altri dalla numero 1 e quelle della
numero 3 sono venute a misurare gli armadi per vedere cosa si possono
portare via. E pensare che i dipendenti siamo in 4 in totale e
impegniamo cosi’ tante societa’…

Io guardo i pescetti colorati. Prima di guardare i pescetti ero
tanto depressa, ma dopo che siamo stati tutti licenziati, dopo aver
fatto passare quel giorno e mezzo di panico e fuori dall’orario di
lavoro, la sera… insomma mi chiama The P. per dirmi che sono un
cavillo legale e che il mio contratto a 6 mesi non lo possono
interrompere. Mbe’, bene… cosi’ pare. Mi sposteranno da qualche altra
parte, nella societa’ numero 3? Oppure nella numero 4 che sta in un
altro palazzo? Nel frattempo speriamo che le poste italiane ritardino e
si comportino nel modo in cui l’italiano medio pensa al servizio
postale: non efficiente. Gia’, perche’ se non ci arrivano entro oggi le
lettere di licenziamento, si posticipa tutto.

Vinca il peggiore

15 Marzo 2009 5 commenti

 

Se qualcuno aveva bisogno di capire bene perché le squadre inglesi sono più forti di quelle italiane in Champions, la partita tra nerazzurri e viola è la spiegazione perfetta. Se la capolista si deve confrontare su quei livelli con la quinta in classifica (che in Inghilterra è l’Arsenal) allora si capisce come mai non può crescere. Giocando una delle sue peggiori partite dell’anno, l’Inter doma la fiorentina e mantiene inalterato il distacco. A parte questa notizia positiva, i novanta minuti hanno fatto cagare di brutto.
L’Inter schiera praticamente la formazione tipo, anche se i due centrali difensivi sono reduci da infortuni. Uno si aspetterebbe una prova dignitosa a livello di squadra, mentre eccettuati alcuni singoli il panorama è deprimente. La partita finisce quando Ibra dopo un colpo di Tae-Kwon-Do la sbatte dentro. I nerazzurri si limitano a giochicchiare e di fronte a loro la fiorentina non sa fare molto di meglio che qualche lancio lungo per Gilardino. Mutu ha sul piede la palla del pareggio, ma la spreca (non è Julio Cesar a fare il numero, ma il rumeno a fare una minchiata, attenzione).
Nel secondo tempo Mourinho insiste con Figo: uno spettacolo degno del peggior aguzzino; preferivo ricordarmi il Figo di due anni fa che questa specie di Slimer dei Ghostbuster versione belloccia. Il gioco rallenta ulteriormente, la Fiorentina si mangia un altro gol e l’Inter cincischia. Nei cinque minuti di recupero, Ibra mette il sigillo con un missile a 130 all’ora. Partita finita e tutti a casa, ma non è stato un grande spettacolo.

Sui protagonisti poco da dire. Si salvano la linea difensiva, tutti abbondantemente sopra la media. Saremo in emergenza anche settimana prossima dopo la squalifica di Samuel, ma speriamo di esaurire i malus. Si salvano anche Cambiasso e Stankovic che corrono per tre. Per il resto è un po’ una tragedia: Zanetti non è in gran giornata e balla come una scimmia in mezzo al campo, Muntari ha dichiarato ufficialmente guerra al pallone da calcio e pare stia avendo la peggio. Tutti speriamo in un armistizio presto. Mario e Ibra sono il simbolo dell’indisponenza: poca corsa, poche idee, tanti giochetti e poca concretezza (nonostante la doppietta). Figo ormai è impresentabile e in panchina abbiamo Amantone Mancini, il fratello di 140 chili del giocatore che fece un gol strepitoso al Lione (che speriamo se lo compri in estate).
D’accordo. Il  Manchester ha pagato la tensione di coppa prendendo quattro fichi dal Liverpool all’Old Trafford – poi qualcuno mi dirà perché nessuno commenta che evidentemente per i diavoli rossi la partita con l’Inter non è proprio stata una passeggiata in termini di energie nervose – mentre noi dando due fichi alla viola. Ma a parte questo c’è poco da godere in una serata come questa. Se non che ora mancano dieci partite. Avanti tutta.

 

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Prima assemblea per immagine il decennale dell’hackmeeting di Milano (endecennale dell’hm stesso)

13 Marzo 2009 8 commenti

Sotto la mail che è giunta in lista hackmeeting. Ci sono grandi idee e la voglia di scrollarsi di dosso un po’ di indolenza e un po’ della terribile Milano in cui si sta vivendo. Ce la faremo? Ai postumi l’ardua sentenza 🙂

 

a seguito della discussione in lista partita dalla volonta’
di esprimere solidarieta’ a conchetta, cuore storico della
cultura cyberpunk in italia per tutti gli anni 90, si e’ pensato
di tornare a milano con un hackmeeting.

questa domenica, 15 marzo, alle ore 16 presso la cascina torchiera
occupata senz’acqua (piazza cimitero maggiore, milano)
invitiamo tutti gli acari a partecipare alla prima assemblea
di preparazione

tanto e’ da discutere e da fare, occorre creare il contesto
giusto perche’ questo ritorno a milano lasci il segno, percio’
e’ tempo di cominciare a gettare le basi e vedersi e contarsi.
l’invito e’ esteso anche a tutte le realta’ milanesi che in questo
mese hanno espresso interesse e curiosita’ per hackmeeting.
happy hacking,

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Finalmente internazionali

12 Marzo 2009 9 commenti

 

Quello che chiedevo ai ragazzi con la maglia nerazzurra era di giocare una partita a testa alta e a viso aperto. Loro lo hanno fatto e io gli rendo merito. L’Inter gioca alla pari con la squadra più forte del mondo in questo momento (insieme al Barcellona, che io preferisco), prende due gol stupidi e tutto sommato occasionali e non ha fortuna nelle occasioni che crea. Il Manchester affronta la gara come la finale dell’anno scorso di CL e questo significa che anche loro temevano l’avversario. Per una volta finisce l’avventura dell’Inter in Champions, ma io finalmente ho la sensazione che la squadra sia maturata. Nessuna paura.
Il primo tempo comincia male: prendiamo un gol su palla inattiva al minuto numero 4. Il timore di una partita in bamba si fa concreto, ma succede l’imprevisto: l’Inter cresce, cresce, cresce. Centriamo una traversa e sbagliamo due gol quasi fatti. E Julio salva la porta su l’unica percussione del Manchester. Nel secondo tempo Muntari per Vieira è una scelta obbligata per la preparazione atletica del francese, più avanti Adriano per Stankovic è una scommessa tutto sommato vinta. Il terzo cambio dopo il palo di Adriano che segna la fine della fiducia dei nerazzurri è l’unico vero errore di Mourinho (imho): Balotelli rischiava di prendere un rosso ma anche di avere il guizzo giusto; Figo è un cadavere che non riesce a dare il dinamismo che serve alla squadra e non fa la differenza negli assist. La sua storia è finita con il calcione di Nedved.
La difesa funziona tutta abbastanza bene: i due errori di posizione su percussioni dei Red Devils vengono salvati da un grande Julio Cesar – incolpevole sui gol – e i due esterni fanno una partita sontuosa contro due clienti duri come Ronaldo (annullato da Santon tanto che fa male solo quando si accentra e parte da dietro le linee) e Rooney (un giocatore fantastico, come direbbe il mister). Il mister schiera un centrocampo a 3 con due ali che coprono molto e avanzano appena possibile: è il prototipo del gioco che cercherà di costruire Mourinho da qua al prossimo anno. Vieira ci costa il primo gol girandosi per marcare l’avversario e perdendo di vista la palla; Zanetti è in difficoltà ma ci mette il cuore, Cambiasso è monumentale e fa vedere che dietro le punte è pari a Lampard; Muntari fa una prestazione all’altezza anche se la qualità del suo predecessore francese è un’altra cosa. Davanti Balotelli è pienamente recuperato ed è una delle cose più importanti della stagione, Stankovic da tutto quello che ha e Ibra fa una gran partita, ma conferma di non essere un finalizzatore. Per essere il top gli manca questo: se non può farlo lui, ci vuole qualcun altro di fianco a lui. Balotelli, ma non solo lui.
Grande intervista di Mourinho nel dopo partita: parla del futuro e di come costruire una squadra per vincere anche in Europa. Da grande fiducia al gruppo, alla società e al suo progetto: se fa veramente quello che dice, costruirà un’Inter incredibile. Giovane, forte, determinata, vincente. Io sono orgoglioso della mia squadra ed è una sensazione nuova in Europa per noi interisti. Adesso aggrediamo il campionato e ribaltiamo la semifinale di Coppa Italia: fuori i denti e poi recliniamo lo schienale e mettiamoci gli occhiali 3d per le faville che il mister ci ha promesso. Ha trasformato i nerazzurri da pecore in tori nell’arena della CL; ora vediamo fin dove riesce ad arrivare. 

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Questione di feeling

7 Marzo 2009 11 commenti

 

Il Genoa non aveva mai perso in casa in questo campionato. L’Inter doveva riscattare la pessima prova di Coppa Italia ed esorcizzare il pensiero di mercoledì. Ne esce una partita prevedibile: nerazzurri guardinghi e pronti a sfruttare la minima occasione; rossoblu arrembanti. Per almeno 50-55 minuti questa è la storia della partita, eccezion fatta per la freddezza con cui Ibra la insacca al minuto 2. Questione di feeling. Poi Julio Cesar salva la baracca due volte e noi perdiamo altri due centrali per infortunio tra il 15esimo e il 30esimo: a fianco di Cordoba ci va Cambiasso e il nostro baricentro scende ulteriormente. Resistiamo agli attacchi genoani e rientriamo in campo con un po’ di ansia. Balotelli (grande prestazione) si guadagna punizioni e palle, e quando arriva l’imbeccata giusta ci prova con un tiro un po’ liftato: la palla non entra del tutto, ma Morganti convalida. Questione di feeling (ovvero di culo). Il Genoa cala e la partita si mette in discesa: Balotelli mostra ancora di dover crescere rischiando più volte il secondo giallo (ci sarebbe stato, ma è vero che Mario si è preso quintali di scarpate e di provocazioni), ma la squadra tiene, e portiamo a casa un tondo due a zero.

Il dato più drammatico della partita è che per l’ennesima volta arriviamo all’appuntamento clou con quattro su cinque centrali e mezzo infortunati, e il centrocampo in emergenza piena. Chiamala fortuna. Ad altri non va mai così. Cazzo. Il dato più interessante è sicuramente il ritrovato feeling tra Ibra e Mario, che potrebbe essere la cosa più importante per l’Inter da parecchio tempo a questa parte. Speriamo bene. Mi spiace per il Genoa, ma spero si rifarà con altre squadre e che arrivi in Champions al posto di quelle merde dei rossoneri. Unico dispiacere della giornata: l’abulia in attacco del Torino e la sua incapacità di portare a casa uno 0-0 in un derby che ci avrebbe fatto comodo. Il gioco dei nerazzurri latita, ma adesso è importante fare risultato. Il resto arriverà.

I protagonisti. Julio Cesar è fondamentale quando il Genoa ci mette sotto. Avere lui in porta fa la differenza. Pochi cazzi.
Maicon è segnato da occhiaie strane, che arrivano sempre a marzo (anche l’anno scorso): che sia la stagione dell’accoppiamento? Ma non potrebbe aspettare l’estate? Burdisso e Matrix: sfiga. Cordoba dimostra di essere un giocatore di calcio solo quando di fianco ha qualcuno a dargli sicurezza. Di solito è Samuel, oggi era Cambiasso, uno e trino oggi, compariva in ogni punto del campo. Ci mancava solo che segnasse e poi bisognava rivolgersi alla Chiesa per rivedere direttamente il numero degli apostoli, quantomeno. Per Santon ormai solo conferme. Ora la seconda sfida con Rooney e Ronaldo, che la divinità in cui credi te la mandi buona.
A centrocampo Stankovic tiene banco e Zanetti soffre l’aggressività del centrocampo rossoblu. Muntari dopo 20 minuti di delirio capisce dove deve posizionarsi e fa il suo senza problemi. Ci manca fosforo, disperatamente, e Figo non ne da abbastanza perché non ha più di 20 minuti nelle gambe. Disastro in vista dell’Old Trafford. Davanti le notizie migliori: Mario e Ibra si trovano e si aiutano, finalmente; Ibra non sembra avere problemi e se la gioca; Mario sembra di nuovo la potenza giovane e imbloccabile che era sembrata alla fine dello scorso anno. Forse abbiamo trovato una cosa importante per il nostro futuro.

Ora archiviamo il campionato per tre giorni e guardiamo all’appuntamento dell’ansia da prestazione. Prima o poi passerà. Io ai ragazzi chiedo solo di metterci l’anima. Il resto verrà da sé. Anche lì sarà principalmente una questoine di feeling. O di culo, come volete voi. Sono più forti, ma non sempre passano i più forti, altrimenti avremmo vinto già almeno un paio di CL e il Milan un paio in meno. Sì, mi sono mourinhizzato. 🙂 

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“Le riserve dell’Inter sono in pratica un’altra squadra da serie A”, nel senso da zona retrocessione

4 Marzo 2009 18 commenti


La partita più brutta dell’Inter di quest’anno, insieme a quella di Bergamo. Testa altrove, interpreti senza piedi e senza cervello (oltre che senza palle), e tre regali che fruttano alla Samp un risultato molto tondo e che consente di dire che il secondo trofeo stagionale (dopo la Supercoppa) è perduto. Non sono un milanista e non snobbo la Coppa Italia: ci avrei tenuto ad andare in finale, e vedere giocare la squadra in questo modo è per un tifoso un’offesa alla dignità della propria fede nerazzurra. Era meglio giocare con 4-5 primavera. Almeno facevano esperienza. Inoltre dimostra chiaramente che i rincalzi dell’Inter non valgono un’unghia dei titolari (nonostante gli emolumenti), e che c’è un’asse fondamentale per la nostra squadra, insostituibile: Julio Cesar – Maicon – Samuel – Cambiasso – Ibra. Senza di loro, sono cazzi. E per una squadra che vuole essere un top team non è accettabile.

Della partita c’è poco da dire. Obiettivamente la Samp tre occasioni, tre gol. Però l’Inter praticamente zero occasioni, anche undici contro dieci, se non negli ultimi dieci minuti, tutte buttate su Castellazzi. Certamente le scelte iniziali di Mou – in parte obbligate – hanno avuto un peso: rilanciare Rivas ci è costato due gol, Cordoba uno e Matrix quasi un altro. Muntari ci è costato l’assenza di azioni per settanta minuti. Approfitto della partita per dare qualche giudizio lapidario.
Toldo: incolpevole; giusto il rinnovo.
Rivas: se giochiamo con un giocatore che sarebbe panchinaro anche in una squadra di terza fascia (zona retrocessione) i risultati si vedono; occupare un posto da extracomunitario in squadra con lui è un delitto; vendere e comprare (o promuovere dalla primavera) un centrale giovane, forte e dotato di cervello
Cordoba e Matrix: la via del tramonto; panca a meno di infortuni
Maxwell: il solito fantasma; rinnovo a basso costo o può anche andare a giocare altrove
Zanetti: fa quello che può, come può. Non di più, ma non è abbastanza
Vieira: ci servirebbe al meglio tra una settimana, ma non lo è. Peccato. Fino a fine contratto, ma poi basta. Cerchiamone un altro così, tipo Diaby
Muntari: involuzione piena; sembra Martins, ma con meno scatto e con la lentezza di elaborazione del gioco di Jimenez; si può tenere ma come panchinaro pesante, non certo come unico acquisto decente dell’anno
Mancini: qualcosina; non abbastanza; a fine anno a pari prezzo al Lione e pensiamoci due volte prima di comprare altre volte dalla Roma
Adriano: speriamo che quello che ha fatto in questi mesi valga un’offerta dignitosa per liberarcene
Balotelli: unico a poter cambiare il match; quando andiamo in superiorità numerica si schianta di palle contro il palo e sviene; peccato, forse con lui in campo avremmo fatto quei due gol che ci avrebbero messo in migliore condizione al ritorno
Maicon: è stanco, si vede, ma fa ancora la differenza
Crespo: unico a fare movimenti da attaccante; peccato non li possa insegnare ad Adriano
Obinna: la sua frase "io sono da Inter" grida vendetta; speriamo l’Everton sia ancora disposto a darci 8 milioni per questo Martins più magro

Traduzione: le seconde linee fanno schifo e sarebbe meglio portarci giovani promettenti che adulti già promessi e scaricati. Speriamo che in società abbiano recepito il messaggio e si provveda. Non sto sputando nel piatto dove mangio, ma per anni abbiamo detto "vogliamo le seconde linee costose così fanno la differenza"; fosse così sarebbero giustificati i contratti milionari; ma non essendo così, fuori dai cojones. Ora buttarsi alle spalle questa partita di merda, e concentrarsi sul prossimo impegno, poi su quello dopo, e così via. Esiste solo questo modo per pensare di vincere con continuità. Ma forse in questo il lavoro di Mou richiede più di un annetto.
PS: socio, quando mi dici "fate il vostro dovere" con i ciclisti di merda perdiamo sempre (pareggiare = perdere con la Samp); la prossima volta fatti i cazzi tuoi 🙂
 

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