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Archivio per la categoria ‘movimenti tellurici’

Lezioni di dignità

14 Dicembre 2006 39 commenti

In questo periodo mi sento portato a raccontare delle storie che vengono dal passato che ho in comune con molte persone che passeggiano per le strade della città di milano.
La storia che vi voglio raccontare oggi, parla di un gruppo di ragazzi e ragazze giovani (i piu' vecchi adesso hanno 30 anni, salvo qualche eccezione), che da
dieci anni hanno rappresentato quantomento una, se non la principale, realtà in movimento nel territorio milanese (la principale perché sono stati il centro di una rete abbastanza fitta di relazioni e progetti che hanno bene o male intersecato quasi tutti quelli che hanno fatto "movimento" a milano negli ultimi anni).
Ovviamente non è l'unica, se lo dicessi buona parte di quelli che non hanno fatto MAI parte di questo pezzo di storia milanese si incazzerebbero a morte con me, e avrebbero ragione, però queste stesse persone possono consentirmi di vivere la storia della mia città anche relativamente alla mia percezione, e quindi centrata in questo caso sulle esperienze di questo gruppo di attivisti, compagni, militanti (chiamateli come volete).

Purtroppo quest'anno è agro di complimenti e di leccate di culo, motivo per il quale sarò costretto a dare visibilità solo alla parte peggiore di questo pezzo di storia milanese, ma non temete che prima o poi troverò la distanza mentale sufficiente per parlare anche della sua porzione più entusiasmante (quella in cui si è fatto molto e con molta dignità).

I protagonisti di questo breve racconto sono due gruppi, che per comodità chiameremo bici e baci, un tempo ospitati nello stesso luogo e in una relazione dialettica che li teneva sulla tensione ideale per non dimenticare che prima dell'opportunismo viene la dignità e che prima del guadagno la libertà.

Il gruppo bici a un certo punto non riusciva più ad andare d'accordo con il gruppo baci, e decise quindi di andarsene in un altro posto, prima provando a occuparne qualcuno, ma poi, sospinto dall'ipotesi di fare qualcosa di più interessante, unendosi a una vecchia famiglia di molte glorie ma poche prospettive per dare vita a un progetto dall'invitante e goloso nome di fragola.
La fragola, si sa, è un frutto molto dolce e anche di bell'aspetto, capace di attirare i più insospettabili personaggi alla sua corte: allo stesso modo il progetto del gruppo bici insieme alla vecchia famiglia di fragola (sempre meno numerosa) iniziò a veder arrivare molti altri gruppi e molti altri progetti che volevano prendere parte a un avventura così gustosa.

Ma come sempre nelle folle si cela un po' di tutto, e sotto le mentite spoglie di qualcuno sinceramente interessato e avvinto dal progetto possono celarsi molti limiti e molti impostori: in fragola c'erano sia gli uni che gli altri.
Guarda caso tra i secondi la maggior parte veniva dal gruppo baci, o da qualcuno che vi era rimasto invischiato senza capire che le cose erano cambiate molto.

Nel frattempo il gruppo baci si era spezzettato e non riusciva più a combinare nulla: alcuni di loro facevano strada, altri inseguivano quelli che facevano strada (allettati dalle insegne luminose di partiti e sindacati), altri rimanevano lì dov'erano a contendersi le briciole di una nomea non all'altezza della realtà. Piano piano però, si sa, le briciole sono meno gustose di una fragola.
Nel corso degli anni il gruppo baci si era contraddistinto anche per un cinismo del tutto slegato da un progetto, e per cui un po' crudele e fine a sé stesso, quasi egoistico e in alcuni casi figlio della poca attitudine a distinguere tra opportunità e opportunismo: avevano occupato una casa e poi se n'erano andati facendosi dare in cambio 20mila gettoni, che avrebbero dovuto spendere pubblicamente ma che non si seppe mai dove finirono; poi seguirono una parte del gruppo bici per cercare di coglierne la volata, ma ottennero solo una un'ennesima contropartita, anche questi lasciati in un conto in banca senza un'idea di come spenderli senza mancare di rispetto ai 13 anni di occupazione che li avevano generati. Ma fin qui, l'ingenuità di credere che fosse possibile usare a buon fine questi gettoni era ancora comprensibile.

Proprio mentre la fragola cresceva e diventava sempre più succosa, al gruppo baci fu presentata un'altra occasione: in cambio dell'abbandono del posto che avevano occupato insieme al gruppo bici (e a molti altri), in cambio della storia di quel luoghi, delle ombre degli amori e degli odi che vi erano nati, degli efflui delle esperienze che aveva generato, qualcuno era disposto a dare ben 200mila gettoni. Il gruppo baci ormai era a pezzi e non avrebbe saputo cosa farsene, ma decise che era meglio prendere che lasciare, tanto la fragola era succosa e un po' di posto ci sarebbe scappato.

La città nel frattempo assisteva a tutto questo baillame senza profferire parola, abituata ormai troppo a parlare nei corridoi e poco nei tete-a-tete, incapace di formulare modelli alternativi e critiche lampanti a cose che evidentemnete non funzionavano più. Se il gruppo baci ha potuto perdere così tanto il lume della dignità non è solo colpa sua, ma certamente anche dell'afasia di una città abituata ormai a troppo.

Nel frattempo il gruppo bici non reggeva la tensione di una così bella fragola, e i suoi semi iniziavano a marcire: ci sarebbe stato bisogno di un intervento di potatura e ripulitura deciso e competente, ma non sempre si ha il coraggio o l'abilità di incidere una cosa bella come una fragola. Come però tutti sanno, se una fragola rimane troppo a lungo sul banco della vostra cucina, si trasforma in una poltiglia marrone e puzzolente, mentre se la piantate in un bel vaso, basta poco per vederla trasformare in una pianticella un po' meno bella del frutto, ma certamente più longeva e funzionale alla sopravvivenza di sè stessi e di chi ne può cogliere i frutti per nutrirsi.

Invece, alcuni dei semi più forti della fragola se ne andarono, schifati dalla parte ormai marcescente che gli cresceva intorno, troppo attaccati alla propria libertà e alla propria dignità, per accettare di sporcarla per salvare i semi ormai persi e perversi. Con un grande tempismo contemporaneamente, i rimasugli del gruppo baci non videro che una migliore occasione per impiantarsi nella fragola, accelerandone il processo di decadimento.

Così adesso la fragola è diventata una specie di succursale di quel cadavere che è il gruppo baci, un cadavere trattato senza il riguardo che la salma di un pezzo importante di storia meriterebbe, e senza la dignità che gli si sarebbe potuta accordare. Il gruppo baci si diverte a dire che "le regole sono cambiate", ma senza essere capace di spiegare perché e in che direzione, che "i semi che non c'entravano nulla con noi se ne sono andati", ma senza essere capaci di spiegare perché una fragola è diventata una poltiglia putrescente che presto verrà lavata via dalla storia di una città onnivora.

Tra poco la fragola verrà messa in vendita un pezzo per volta. Ogni seme ancora presente, seppur mezzo affogato nella poltiglia, potrà comprarsene un pezzo trovando i soldi dove meglio crede, ma senza alcun progetto di ripiantarsi in un bel vaso alla ricerca di nuovi frutti. Il tutto verrà condito dai gettoni che cadono dalle tasche sdrucite del gruppo baci, senza alcun riguardo sui motivi che rendevano quei gettoni un vettore di pestilenza più che un fertilizzante denso di principi nutritivi.

Purtroppo Milano ci ha allevato così, incapaci di vedere le cose belle che ci crescono intorno, di coltivarle fino a che sono mature, spesso più propensi a farle avvizzire anzitempo, o a trasformarle in un acquitrino di sensi di colpa e di rimorsi, senza entusiasmo, senza passione, ma solo con il desiderio di cogliere un'opportunità troppo spesso personale e senza alcuna speranza collettiva. La politica non è fatta di mezzucci, e la dignità non si compra con i gettoni, né affittando i progetti inventati da altri, sperando che senza anima diano lo stesso un frutto rosso e gustoso. Fortunatamente la biologia e la storia sono più spietate degli uomini e delle loro società.

à la prochaine.

PS: tutti i riferimenti in questo testo, dedicato a chi lo comprende perché se ne sente colpito o coinvolto, sono assolutamente voluti e non casuali. Nessuno dei riferimenti è inventato o non corrispondente al vero. Il gruppo baci (il gruppo "istituzionale" del fu LSOA Deposito Bulk), il gruppo bici (il gruppo "antagonista" del fu LOA/reload), fragola (pergola move), i soldi (i gettoni presi per aus, ultima delle occupazioni scaturite dal secondo sgombero di metropolix, per garigliano, e questo gennaio per abbandonare lo spazio di via niccolini 36, zona cimitero monumentale), la lottizzazione (pergola verrà acquistata dividendola in lotti che saranno comprati da chiunque, individuo in cerca di casa o progetto con disponibilità economica, se lo possa permettere e faccia parte dell'attuale assemblea di gestione, un misto di bulk, gruppo storico di pergola, parassiti e opportunisti vari, con una frazione infinitesimale di illusi che si stanno lasciando usare come copertina patinata), il peccato originale (da quando il disciolto gruppo reload ha abbandonato il progetto pergola, in particolare da quando i cattivi di reload, tra cui il sottoscritto, se ne sono andati, il nuovo gruppo di pergola, composto da alcune persone che l'hanno occupata nel 90-91 e dai bulkaniani residui, ha senza fiatare accettato 10mila euro dal bulk per saldare i debiti che non si era capaci di saldare con una progettazione dello spazio che coinvolgesse chi aveva idee e non chi aveva interessi da saldare; e questo è stato solo l'ultimo atto di una restaurazione senza prospettive, attuato con cinismo da chi negli ultimi tre anni non ha saputo dare un briciolo di contributo serio al progetto), il riciclo dei progetti (il progetto pergola move non esiste piu', e nessuno in tre anni ha voluto costruire le condizioni per comprare pergola con dignita' e senza lasciare carta bianca ai piccoli tornaconti individuali o collettivi; il progetto postello è stato chiuso a settembre, e ha riaperto senza alcuna prospettiva e con un atteggiamento che è difficile descrivere se non come parassitario e volgare, oltre che privo di qualsiasi capacità effettiva di realizzare una dimensione politica), l'assenza di dignità e i voltafaccia che hanno caratterizzato l'ultimo anno (non ultimo il fatto che praticamente nessuno degli attuali "protagonisti" degli ultimi mesi di pergola abbia mosso un dito mentre 25 persone erano in carcere, 5 dei quali protagonisti quotidiani del progetto di pergola fino all'11 marzo), sono tutti
tristemente veri.
E' difficile raccontarli colmo di rabbia e di sdegno. E' difficile capirli per chi non ha visto giorno dopo giorno quei micropassaggi che hanno trasformato un progetto spazioso e vitale, in un coacervo di interessi a noleggio. Un giorno spero di avere il tempo di raccontare anche le fasi in cui i protagonisti di questa sordida storia nera, erano persone incredibili con cui costruire sogni in una città grigia come Milano.

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Perché leggo la gazza e non leggo più il corriere

13 Dicembre 2006 2 commenti

 

Alcune fasi della mia vita potrebbero essere definite dai giornali che leggo: c'è stata la fase corriere+manfo, c'è stata la fase corriere+manfo+sole24ore, c'è stata la fase haaretz e la fase pagina12. Neanche quando ero adolescente leggevo la gazza con l'impegno con cui la leggo adesso. Talvolta mi capita di fermarmi e di chiedermi il perché delle cose, le implicazioni dei miei comportamenti instintivi. Oggi ho avuto una risposta.

I quotidiani italiani sono un coacervo di schifezze, di menzogne malcelate e di cronachetta degna dei peggiori momenti di Gente e Novella2000. Fin qui, nulla di strano. Il problema attuale è che ormai non c'è più neanche il gusto della novità: le stronzate si susseguono con una soluzione di continuità totale, senza il benché minimo colpo di scena. La pantomima dell'informazione non cerca neanche più di nascondersi, di mimetizzarsi, ma agisce in maniera spudorata. A questo punto meglio leggere di calcio e sorridere di come i giornalisti si arrabattano nel trasformare ogni microdichiarazione in una questione nazionale (o internazionale) della durata di meno di 24 ore 🙂

Oggi però mi sono reso conto che c'è qualcosa di più: io ho sempre letto il Corriere della Sera come atto di estremo cinismo, per conoscere l'opinione pubblica degli italiani, per sapere che cosa pensano le persone che vivono intorno a me. Si sa che il Corsera è l'indice e l'origine di tutto questo, anche se Mediaset e tg1/2 hanno fatto molto per spodestarlo dal trono. In questi ultimi mesi, l'imbarbarimento del Corriere è qualcosa di stomachevole, che anche il mio stomaco abituato a digerire le peggiori cadute di stile della storia, fatica a mandar giù.

Perso nei meandri dell'inizio di questo blog c'è un post sulla querelle estiva a suon di articoli nella pagina culturale che riguardava il presunto antisemitismo mussoliniano e cercava di distinguerlo da quello hitleriano per la sua natura sociale e non certo spiritual/ideologica. Non metto in dubbio che la differenza risulti evidente e cruciale anche a voi… Il tutto nel silenzio asservito della comunità ebraica milanese che ha sempre trovato buona sponda nel Corriere e non si permetterà certo di rovinare i rapporti per un'inezia revisionista di questo livello. Ve lo incollo sotto per conoscenza….

Ma non basta. Vi faccio un breve elenco delle notizie di oggi sul corriere (ieri non c'era nessun articolo sulla strage di Piazza Fontana):

  • "Il grande segreto di Shimon Peres: la bomba atomica israeliana" (già perché lo scienziato che ha passato a mezzo mondo i piani di costruzione della bomba atomica non proveniva assolutamente dallo stato della stella di David, e soprattutto non lo sa nessuno che hanno la bombetta e che gliel'hanno regalata gli amerigonzi)
  • battage sul "mostro di Erba", che si scopre però essere all'estero, viene prelevato all'aeroporto e trattenuto dai cc per ore di interrogatorio a torchio, mentre vorrebbe andare all'obitorio a vedere i cadaveri di TUTTA la sua famiglia; non contenti del razzismo degli ultimi due giorni in cui era sicuramente lui ad aver sgozzato la famiglia e bruciato casa e cadaveri, adesso il Corrierone attribuisce tutto a vendette trasversali dei fratelli del "mostro" che sono sicuramente dei criminali, o direttamente a pregressi per spaccio del "mostro" stesso. Anche fosse, ma un dignitoso articolo di scuse nei confronti di una persona che hai accusato di aver ammazzato e bruciato la propria moglie e i propri figli parrebbe fuori luogo considerato che la persona in questione è un NEGRO? mah….
  • Articolone su piazza Fontana dal titolo: "La strage di piazza Fontana opera delle BR", un emergenza per tutte le stagioni… Solo leggendo in piccolo scopri che il titolo è il risultato di un sondaggio tra i cittadini di Milano, il 40 percento dei quali pensa che siano stati i terroristi comunisti a mettere la bomba alla banca dell'agricoltura e non Ordine Nuovo… Certo se non li avessero assolti forse qualcuno avrebbe dovuto insegnarlo nei corsi di storia, ma si sa è una verità scomoda che i mandanti di quella strage stessero e stiano in parlamento…
  • Dieci pagine dopo nella sezione milano c'è però l'articolo riparatore sull'associazione delle vittime che spiega come è andata… curioso che non venga messo nella stessa pagina, per evitare che il 40 per cento diventi 60… Chi ci vede malizia è perché ha cattiva coscienza, ovviamente….

E via così… Poi uno si chiede perché non ce la faccio a leggerlo e preferisco la gazza… Se volevo leggere un romanzo di fantastoria o fantapolitica, preferisco The man in the high castle: è scritto meglio e almeno è basato su fatti storici. 

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I figli degli uomini

10 Dicembre 2006 4 commenti

Il soggetto (ovvero il libro originale di PD James) è ottimo, e Cuaron riesce bene a rendere l'idea di un futuro non troppo lontano e fin troppo simile al nostro presente.  Come nella fantascienza migliore degli ultimi anni (e anche degli anni passati se pensiamo ad alcuni libri di PK Dick) non è necessario sciorinare astronavi e teletrasporto per parlare del presente attraverso il futuro (che è poi un po' il sale della fantascienza e il suo compito più difficile).

Il film è ben realizzato, i colpi di scena reggono bene, e Clive Owen è un perfetto emulo di Deckard (chi non sa chi è non è degno di questo post :). Tra l'altro gli invidio molto l'impermeabile…

Quello che mi lascia un po' perplesso di questo film, è l'esatto opposto di quello che mi è piaciuto del Labirinto del Fauno (anche se parlare del presente è più difficile che parlare del passato e della historia magistrae vitae): la maggior parte dei film riesce molto bene a criticare l'estabilshment e i governi, anche perché di questi tempi è un po' come sparare sulla croce rossa, ma quasi tutti i registi e gli autori vanno in catalessi nel momento in cui devono parlare dell'uso della violenza e delle possibilità di rivolta. 

Mi pare di ravvisare in questo trend un'afasia terribile delle sinistre mondiali, che hanno gioco facile nel criticare le destre e i governi lontani, ma che dimostrano una totale incapacità di proporre un qualsiasi modello o di difendere una qualsiasi posizione leggermente conflittuale. Il film di Cuàron soffre della medesima sindrome: l'uso di ogni forma di violenza è sbagliato e porta al tradimento e allo sviluppo di tutto ciò che rappresenta il peggio dell'essere umano (e fin qui potremmo pure cinicamente essere d'accordo, dato che non pensiamo che esistano uomini buoni), l'unica possibilità di salvezza (inteso in senso stretto, cosiderata la conclusione con Madonna nera e pseudo bambin gesù) è l'amore e la pace che sconfiggerà il male.

Il moralismo di questa posizione pseudo politica è talmente rivoltante da non meritare commenti, ma soprattutto pecca di ciò che rende più inefficace ogni progetto: l'assenza di realismo e di una sana dose di cinismo. La soluzione è un po' troppo semplice per essere vera, e soprattutto è buona solo per un film o per un melodramma, non certo per chi è costretto a strappare ogni centimetro di sopravvivenza a calci, sputi e morsi.

L'idea che mi sono fatto è che l'afasia sinistroide nasconda molto semplicemente una visione troppo comoda della vita, e il segno di una sconfitta già consumata e senza alcuna prospettiva.

 

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Categorie:cinema, movimenti tellurici Tag:

Le parole di Placanica e il loro valore

7 Dicembre 2006 2 commenti

 

In questi giorni sono uscite ben due interviste a Placanica, di nuovo in grado di spiccicare parola dopo mesi e mesi di decerebrazione. Ovviamente le sue parole hanno scatenato un putiferio, riacceso speranze e indignazioni, e soprattutto dato il "la" alla madre e al padre di Carlo. Da diversi giorni cerco di avere il tempo di mettere a fuoco il tutto e solo oggi, uscito da un turbine di sbattimenti lavorativi, riesco a leggere un po' di cose.

Tanto per cominciare un po' di materiali: le due interviste di placanica si trovano su indy e su supportolegale. Inoltre può far bene (ri)leggersi lo speciale di pillola rossa su piazza alimonda, che è un ottimo punto di partenza sia per le teorie cospirazioniste che per quelle più realistiche.

Un secondo punto è un buon riassunto delle vicissitudini del carabiniere Mario Placanica, e alcune considerazioni in proposito: Mario Placanica spara contro Carlo Giuliani  tra le 17.20 e le 17.30 di venerdì 20 luglio 2001; torna in caserma e viene portato all'ospedale. Dopo qualche mese viene congedato dall'Arma con una lauta pensione. Dopo qualche altro mese finisce contro un albero con la sua auto, i freni e lo sterzo manomessi, ma si salva. Viene dipinto da tutti come psicologicamente e mentalmente leso, e la sua vista in aula di tribunale diciamo che conforta abbastanza questa valutazione. Poco prima di doversi presentare in aula per il processo contro 25 manifestanti dichiara tramite il suo avvocato che dirà tutta la verità al processo. Due giorni prima dell'udienza AN gli offre un posto politico in quel della Calabria, e lui arrivato in aula si avvale della facoltà di non rispondere. Passa un'ulteriore anno e Placanica tramite Calabria Ora inizia di nuovo a far parlare di sé e di una sua supposta versione dei fatti (che di fatto lo assolve e condanna il battaglione Sicilia e l'Arma dei Carabinieri).

Da questo iter notiamo due cose importanti: che ogni volta che Placanica parla gli succede qualcosa (lo congedano per problemi psichici, fa un incidente "strano", gli offrono un posto come politico, ecc. ecc.). A pensar male non si fa peccato e quindi per dedurre che fa comodo che Placanica stia zitto non ci vuole gran malizia. Il rumore che fanno le sue parole testimoniano abbastanza bene il rimosso collettivo rappresentato dalle giornate di Genova. L'altra cosa che balza subito agli occhi è che Placanica ha sempre usato queste sue boutade per far parlare di sé e per ottenerne un qualche tornaconto, garantitogli il quale non ha mai avuto problemi a cucirsi la bocca. Questo lo rende un personaggio alquanto inaffidabile come fonte.

Allora leggiamo quello che ci dice Placanica e cerchiamo di estrarne le cose interessanti e di evitare invece quelle fuorvianti (processo che a Giuliano Giuliani riesce proprio male con la sua fissazione del quarto uomo nella jeep (senza offesa…. fissazione comprensibile ma per i miei gusti per nulla solida nei suoi indizi)).

Placanica ci da i nomi di alcuni protagonisti importanti, per la prima volta ci conferma ciò che avevamo già visto nelle immagini: non solo in piazza Alimonda c'è il tenente colonnello Cappello (personaggio dalle scomode memorie somale e non solo), ma c'é anche il colonnello Truglio, un personaggio fondamentale della gerarchia del Tuscania, la cui presenza è sempre stato difficile confermare con le parole degli altri presenti in piazza Alimonda. Non solo, ma Placanica ci dice che Truglio era sull'altro defender che guarda caso riesce a lasciare la piazza mollando la jeep con un equipaggio meno esperto nel delirio.

Non solo. Placanica insiste di aver sparato in aria, ma d'altronde è comprensibile che non si voglia autoaccusare di omicidio volontario, e arriva addirittura ad ipotizzare la presenza di cecchini sui tetti nei dintorni della piazza (citando una visita di un ufficiale dei CC a una vecchia di uno dei palazzi come pilastro per questa teoria cospirazionista). Questa parte delle sue interviste, anche per il suo posizionamento postumo al delirio suscitato dalla prima intervista, è quella che sa più di bufala campata per aria. Una cosa interessante c'è però in tutto questo farneticare: Placanica afferma che Cavataio gli sottrae l'arma subito dopo gli spari, senza addurre alcuna motivazione. Il carabiniere sostiene che Cavataio abbia ricevuto un ordine relativo all'occultamento delle prove. In quel delirio per giorni e giorni gli ordini non si riuscivano a ricevere correttamente, le registrazioni di PS e CC sono un delirio di rumore (in particolare quelle dei CC) e proprio alle 17.30, dopo un morto ammazzato Cavataio sentirebbe l'ordine giusto nel suo auricolare? Placanica continua nella scia dell'invenzione. Assai più probabile che Cavataio (che era il legittimo conducente di quella jeep e che conosceva meglio di Raffone e di Placanica i meccanismi dell'arma e soprattutto quelli delle operazioni "à la Cappello") abbia agito di sua sponte prevedendo la necessità di manovrare il "reperto pistola" in maniera più sicura possibile da parte dei suoi superiori.

Gli elementi più importanti dell'intervista di Placanica sono due: uno solleva (almeno a chi sta scrivendo) molti dubbi, soprattutto per questioni temporali; l'altro invece lo considero l'elemento più attendibile e più importante di tutta l'intervista.

Placanica sostiene (come diversi di noi, tra cui Pillola Rossa e l'avvocato Menzione) che il corpo di Carlo sia stato sfregiato dopo la morte con una pietra poi posizionata ad arte di fianco al corpo per dare solidità alla tesi "lauriana" dell' "hai ammazzato tu con il tuo sasso". Mi piacerebbe molto poter usare le dichiarazioni di Placanica in un tribunale o in un libro di storia, ma purtroppo mi riesce difficile capire come Placanica abbia potuto vedere questi fatti quando sta andando dritto all'ospedale (arrivandoci per altro in orari abbastanza sospettosi, come sottolineato in Pillola Rossa, e diversi da quelli di Raffone). Mi sa che Placanica ha letto e/o sentito quello che stiamo scrivendo su siti e quotidiani circa il tentativo di far riaprire il processo, e gioca con il fuoco di una sua nuova imputazione per poter portare a casa ancora qualcosina dallo Stato. Mi spiace, ma io alla favola del Placanica che trova il coraggio per dire la verità non credo: il carabiniere Mario Placanica è un codardo e la sua storia degli ultimi anni ha ampiamente offerto prove circa questa tesi. Non ci credo che diventa leone in un giorno a caso del 2006.

Viceversa la cosa più interessante è la descrizione dell'accoglienza che Placanica riceve quando rientra in fiera: Placanica viene festeggiato, viene considerato finalmente un iniziato della "setta degli assassini" con tanto di basco dei Tuscania come trofeo. Gli sbirri sono entusiasti in fiera della morte di Carlo Giuliani, e questo è un dato che per la prima volta esce dalle labbra cucite dallo spirito di corpo delle forze dell'ordine italiane. La descrizione, seppur sommaria, che Placanica fa di quello che accade quando rientra in fiera, il ruolo di Cappello e di Truglio, combaciano molto bene con la percezione di sé che le forze di polizia e i carabinieri ostentano nei loro forum e nei loro organi di rappresentanza (vedi l'ultima indignitosa manifestazione del SAP): non tutori dell'ordine, o operanti della prevenzione di ciò che può mettere in pericolo la vita o la salute altrui, ma pedine di un potere molto poco democratico e nemici giurati di tutta una fetta della società che li circonda.

La speranza è che la somma del rimosso genovese e della flagranza di questa rappresentazione contenuta nelle scarne parole di Placanica siano sufficienti a svegliare molte persone che continuano a rivolgersi al poliziotto che passa sotto casa loro come se fosse un amico e non come se fosse qualcuno che si percepisce come un elite militare distaccata dalla necessità di comprendere la società nella quale vive, come l'unico depositario di un potere armato per nulla aperto al confronto e alla democrazia. Poi il problema sono due slogan su Nassirya….. mah….

 

 

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Giovani vecchi nazismi e conclamati talenti

5 Dicembre 2006 Commenti chiusi

 

Dedico un post superveloce (la mia vita fino a settimana prossima è un po' un inferno di impegni, penso che si noti dal ritmo rallentato dei post) a due produzioni di Wu Ming, pubblicate in questi giorni: su carmillaonline è apparso un testo sistematizzato che analizza la presenza di una trasformazione culturale e antropologica dell'homo italianicus verso il neofascismo. Il testo è molto attento e spiega meglio di come potrei mai fare  io perché i territori e soprattutto le persone stanno acquisendo sempre di più una deriva culturale di estrema destra. Se vi aggirate nei vostri quartieri, per le strade negli autobus, non dovreste stupirvi più di tanto, ma chiedersi perché a volte aiuta poi a trovare un meccanismo di reazione adeguato. Prima d'ora non mi era mai capitato di trovare due vecchietti sulla 70 che mi porta verso Bruzzano che si rivendicano ad alta voce la loro partecipazione alla gioventù balilla, il tutto con grande nostalgia: un tempo questi scampati al giusto destino di essere trucidati nel 45-46 stavano ben attenti a nascondere i loro piccoli tragici segreti nel profondo della loro memoria.

Oggi è anche uscito l'ultimo anticipo di Manituana, il nuovo libro di Wu Ming, che si preannuncia decisamente gustoso. Come dicono anche loro questi estratti non sono anticipi veri e propri del libro, ma side-stories, idee narrative rimaste al margine della storia che è poi diventata Manituana. Come spesso accade: la definizione di un contesto aiuta a immaginarsi la realtà che vi si cela. Nella fantasia e nella letteratura questo è un modo affascinante di dipingere ciò che attraversa la nostra mente mentre raccontiamo delle storie: successive approssimazioni per un grande affresco.

PS: il titolo è dovuto al fatto che secondo me Wu Ming 1 è il più grande talento letterario che abbiamo in italia da un pezzo a questa parte. Non è l'unico, ma è molto bravo 🙂 

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Mappe resistenti

30 Novembre 2006 Commenti chiusi

 

Giro il link (e il suo seguito) che mi è appena arrivato via mail e che mi pare un ottimo report dell'incontro avvenuto il week end scorso a Genova in materia di cartografie resistenti, ovvero come mappare i conflitti e i poteri. All'incontro hanno partecipato molti amici (Natella il guru di Ufo al popolo, Ludovico di Neural, i ragazzi di hacktitektura, marghe e le sue cartografie resistenti, paolo di molleindustria, ecc.), ma soprattutto Brian Holmes, uno scrittore eccezionale e uno dei partecipanti al progetto di Université Tangente, con i quali un paio di anni fa si tentò di mettere in piedi un software per costruire in maniera automatica e intelligente mappe delle relazioni e dei poteri che vi agiscono. Ci fermammo nel mezzo di mille altre cose, ma loro sono andati avanti e fanno cose egregie. Se vi capita sotto mano uno scritto di Brian, datevi il tempo di leggerlo, perché ne vale sempre e comunque la pena (anche quando non siete d'accordo).

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Categorie:atlas, movimenti tellurici Tag:

China Daily?

30 Novembre 2006 Commenti chiusi

Come vi sarete accorti oggi ho finalmente un po' di tempo, e lo passo a sparare cose sul blog, anziché evadere la todo list che mi giace di fianco sulla mia agenda. Per non apparire agiografico nei confronti del paese orientale che più mi affascina da almeno venti anni, riporto la notizia che sono riuscito a recuperare da Global Voices Online, circa gli scontri che sono avvenuti negli ultimi due mesi nella provincia dello Jiangzi, in Cina, e di cui viceversa raramente sentiamo parlare.

Dal viaggio dei nostri agrumi preferiti abbiamo imparato tante cose, soprattutto quanto la Cina stia cambiando. La sensazione che ho è che troppe persone stiano confondendo la monumentalità dell'incedere del gigante asiatico con la conservazione di ciò che per tutti è stata la Cina da almeno mezzo secolo a questa parte. Il Regno di Mezzo sta evolvendo ad un ritmo spaventoso e presto ci sarà un cambiamento massiccio dei meccanismi con cui l'abbiamo conosciuta finora. La crisi di assestamento andrà molto più in là del "capitalismo di stato" che ci viene propagandato e l'arrivo di una forma occidentalizzata di democrazia apparente nel paese degli Han (e delle altre 59 minoranze, per non far torto a nessuno) potrebbe avere effetti molto diversi da quello che ci aspettiamo.

Io intanto mi maledico per l'incostanza con cui procede il mio studio di cinese, ma sarebbe anche ora per me di uscire dalla dimensione della lamentela per entrare in quella della volontà, altrimenti rischio di sembrare un vecchio trombone che si lagna di sé stesso ma che non fa niente per cambiare la situazione (ogni riferimento a una splash page che al momento troneggia su una pagina web di movimento molto conosciuta non è puramente casuale).

Intanto godetevi questo video e gli altri che trovate sull'articolo di Global Voices.

zài jiàn

 

 

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You need an I

30 Novembre 2006 3 commenti

 

Tre giorni fa è arrivato a Milano Andres, un videomaker (in realtà fa montaggio e audio, ma non è rilevante questo dettaglio) argentino che ha realizzato insieme all'allampanato dj/regista Raphael il film/documentario I the film, che parla di argentina, indymedia, e movimenti. In realtà questo è quello che c'è scritto nella sintesi per attirare le persone, ma il film, le cui riprese sono state girate nello stesso periodo in cui io ero a Buenos Aires, parla di tutt'altro.

Il tema principale del film secondo Andres/Raphael è il meccanismo reticolare con cui indy ha segnato un passaggio incontrovertibile delle forme di organizzazione politica. Secondo me invece questo è semplicemente uno dei quadri che dipinge il documentario, ma non è per nulla l'aspetto più rilevante.  Su indymedia ho visto produrre molte cose, alcune belle, altre delle ciofeche incredibili. Il film di Andres e Raphael ha il pregio di essere stato costruito con calma in 4 anni, e quindi di avere un punto di vista un filo più distaccato e meno agiografico di altri lavori che ho visto. Mi piace il modo in cui segnala le cose belle, e in cui non nasconde le cose che non sono riuscite o che potenzialmente non riusciranno. Un progetto è fatto dei suoi orizzonti e anche dei suoi limiti.

Ho rivisto moltissime persone che conosco nelle immagini, e mi sono ricordato delle scommesse che facevano i pibe di Lanus su quanto tempo ci avrei messo a tornare per una seconda visita. Io avrei scommesso sui due anni, ma intanto ne sono passati 4, e ancora non vedo alla distanza i soldi o l'occasione per tornare in un posto che per me è come una seconda casa. Ho riascoltato persone incredibili, che senza nascondersi hanno sempre cercato di dare il meglio di cui erano capaci per un sogno, quello di essere la voce dei senza voce. 

Il testo di Sebastian che ascoltate alla fine è un documento che si mandò alle liste internazionali di indymedia, al tempo in cui c'era una fronda italo-greco-latinoamericana contro i nordamericani che volevano prendere un finanziamento da Ford per non si sapeva bene quale fantomatica necessità economica. Il testo di Sebastian, che è il fondatore di indymedia argentina e uno dei migliori giornalisti e scrittori che io conosca, è uno dei testi più belli scritti su una delle due componenti fondamentali del sogno che c'era dietro il progetto di indymedia: essere uno strumento per amplificare la voce di chiunque combatta lo stato di cose presenti. Per un testo che inizi a rivelare anche l'altro pezzo del sogno potete provare a incrociare in un ibrido medio raro il film di Andres e Raphael e il mio post su indy di qualche giorno fa'.

Nel frattempo l'attuale collettivo di indymedia è andato avanti con il progetto che avevano delineato dieci giorni fa': una chiusura temporanea in attesa di spostare il sito altrove e di ridefinirne le funzioni (più che altro tecnicamente). Sulle liste si sono improvvisamente accorti che esiste un aspetto tecnico di manutenzione e finanziamento che non pensavano esistesse, e contemporaneamente si sono accorti di quanto l'attuale uso e abuso di indymedia sia lontano dal sogno che avevamo quando abbiamo cominciato. Il punto però non è una critica nostalgica di quello che mi sarebbe piaciuto, ma una visione un po' sarcastica del ritardo con cui si notano le dinamiche rispetto ai progetti che ci circondano. La sensazione che mi rimane addosso è che nessuno abbia un idea chiara di cosa vuole, e che anche la chiusura per quasi tutti sia più un atto di assoluzione indotta (se si lamenta qualcuno si riapre e si scarica la responsabilità di una scelta su chi si è lamentato; se non si lamenta nessuno allora ecco non valeva la pena continuare), facendomi pensare lontana la capacità di scegliere che è l'atto politico per eccellenza. Senza prendersi responsabilità non esiste dimensione né politica né progettuale.

Forse un giorno qualcuno andrà avanti con il lavoro che avevo iniziato a fare tre anni fa di raccolta e sistematizzazione di una storia delle liste, delle feature e del newswire, che rendesse merito di come il progetto di indymedia si andava evolvendo nelle sue dimensioni organizzative, ma anche nell'uso che se ne faceva o che non se ne faceva. Indymedia come bacheca non è un dramma, ma solo la rappresentazione della soggettività che la sta usando in questo momento. Certo se oltre a essere una mera bacheca, è pure una bacheca che funziona male, allora non ci siamo. Ma sistemare una bacheca rotta ha più senso che chiuderla per riflettere su come farla diventare una farfalla, senza la minima nozione di biologia.

 

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It’s a Bad Trip

26 Novembre 2006 3 commenti

Stamattina, come al solito, mi sono alzato presto. Dormire fino a tardi mi fa venire il mal di testa, da buon milanese ipercinetico. Torno dalla colazione e mi ritrovo un messaggio da un numero che non riconosco. Ieri me n'è arrivato uno che mi invitava a una festa con nani e ballerine che mi ha lasciato un po' perplesso, per cui ho pensato subito che qualcuno si era proprio segnato il mio numero sotto il nome del suo compagno/a di scorribande notturne. 

Invece mano a mano che leggo il messaggio mi rendo conto che non è un errore, ma che il messaggio è proprio per me. E' gomma, che mi scrive per dirmi che il Professor Bad Trip è morto.

Io non ho conosciuto molto il privato dello spezzino indiavolato che sta dietro lo pseudonimo, ma ho ammirato moltissimo i suoi disegni, e per me la sua impronta è stata una delle prime immagini collegate all'underground e alla partecipazione al mondo variopinto delle sottoculture milanesi e internazionali.

Novembre è il mese dei morti. Io ho un rapporto molto dignitoso con la mietitrice, da ateo e nichilista quale sono. Non riesco mai a soffrire per la morte in sè di qualcuno che lascia un immagine di incredibile potenza nel vuoto delle relazioni che non potranno più incontrarlo se non nei propri ricordi.  La morte è un problema dei vivi.

 

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La vera storia delle origini di indymedia italia

20 Novembre 2006 6 commenti

Pre scriptum: da molto tempo voglio scrivere una cronaca autonarrata dei due pezzi di movimento che io ho vissuto più intensamente negli ultimi dieci anni; da un lato l'evoluzione del connubio tra hacking e spazi sociali, dall'altro la soggettività che è emersa a cavallo della fine degli anni 90 e del nuovo millennio, e che ha profondamente innovato le forme del fare politica, pur perdendosi nel suo epilogo nel ricalcare le forme tradizionali della fine della politica 🙂 Un giorno lo farò. Questo consideratelo un assaggio, funzionale al ragionamento che sto sviluppando sulla crisi di indymedia, ormai finalmente conclamata.

Pre scriptum paraculo: questa narrazione è totalmente soggettiva e sicuramente altri occhi e orecchie l'avranno vissuta diversamente. Inoltre non è mia intenzione (mi pare di aver capito che qualcuno abbia interpretato così il mio ultimo post) assolvere o condannare alcunchi, dato che penso che i processo complessi di movimenti e politica siano tutt'altro che questione morale in cui individuare colpevoli e innocenti. Un processo non si conclude né inizia con un evento, ma un evento può essere parte di un processo complesso e ramificato, in cui può anche giocare un ruolo, se si vuole anche solo di immaginario, molto importante.

C'era una volta…..

Nel giugno del 2000 erano già successe alcune cose fondamentali per delineare il panorama di movimento che stava rapidamente cambiando pelle: a Seattle nel novembre del 1999 si era visto qualcosa che non si vedeva da anni, il blocco di un vertice internazionale ad opera di una accozzaglia di attivisti dagli approcci più diversi; era nato il cosiddetto "popolo di Seattle", la diversity of tactics, il summit-hopping,  e via dicendo. In Italia c'erano gli scettici (di professione, come me, e occasionali) e gli entusiasti (di professione, come Bifo, e dilettanti). Intanto c'era stata la Carta di Milano e la nascita delle tute bianche, prima simbolo usa e getta aperto a tutti, poi uniforme di un certo gruppo di centri sociali che si andranno via via definendo più come area che come pratica aperta, anche grazie all'alternativa praticamente inesistente (l'autonomia di classe di fine anni 90 aveva ed ha il sex-appeal di un tonno morto). Nel giugno del 2000 le tute bianche avevano già mostrato come intendessero interpretare la triade rappresentazione/conflitto/immaginario (sulle valutazioni in merito servirebbero circa 76 volumi a parte): Ponte Galeria era stato seguito dagli scontri di via Corelli (genuini per alcuni dei protagonisti, arrangiati per altri dei protagonisti, rivelatori per i più furbi dei primi e per i più cinici dei secondi), e dalla pagliacciata di MobiliTebio.

Prima del giugno 2000, però, succedono cose importantissime per quanto riguarda la comunicazione e gli strumenti digitali: a Seattle nasce indymedia, una rete di attivisti che pretende di autogestire in maniera aperta e partecipata la produzione di informazione circa gli eventi di movimento. E' un progetto fortemente innovatore, e immediatamente prende piede grazie sia agli eventi di Seattle che al suo potenziale. Intanto in Italia esplode il fenomeno degli hacklab e dell'hackmeeting: il lavoro degli anni 90 di ecn.org e di Decoder produce l'incontro tra politica e tecnologie digitali, trascinando nell'onda un sacco di entusiasti (come me), di esperti, e di compagni/e. Dopo l'hackmeeting98 la comunità si allarga, entrano in scena un sacco di pischelli e in due anni, oltre a rendere l'hackit una data irrinunciabile dell'agenda politica e techno-savvy italiana, si sviluppa una rete incredibile di collettivi, gruppetti, individui che si conoscono, che si stimano, si fidano delle cose che si fanno, e che condividono almeno i principi di base del senso che ha occuparsi di tecnologie, di società e di politica. Nascono e crescono gli hacklab, l'hackmeeting diventa un evento da imitare (in Spagna ci replicano da vicino :), nasce la necessità di autogestire la propria comunicazione al di là delle prime esperienze di tmcrew, ecn, decoder. In pratica si sviluppa una comunità molto solida, antiautoritaria, eterodossa, e decisamente ostile alle egemonie politiciste delle aree più in vista del movimento. 

Nel giugno 2000 void e devmat decidono di usare il logo di indymedia come uno specchietto per le allodole durante le mobilitazioni contro l'OCSE di Bologna, ennesimo passaggio del tour cominciato con i CPT e passato per Mobilitebio. Indymedia italia nasce così, come giochino da dare in pasto ai media al fine di dare visibilità alle mobilitazioni. Ai tempi non esisteva il process per diventare un nodo locale di indymedia, e il tutto si basava sulle buone relazioni con chi si era inventato indy a Seattle. Devmat, globetrotter del movimento all'epoca, aveva le relazioni, void il know-how tecnico. 

Dopo giugno 2000, il giochino indy rimane un po' in sordina, mentre cresce lo sforzo fatto da alcuni ignoti che documentano in presa diretta le mobilitazioni: il sito degli sgamati diventa un punto fermo dell'informazione indipendente tanto quanto ecn o tmcrew. Indy ancora non se la cagano in molti, rimasta una lampadina molto luminosa, usata per quel che poteva dare: il brand.

Ma durante l'estate succede una cosa curiosa:  un gruppetto di persone provenienti da vari hacklab e da alcune esperienza telematiche (i suddetti sgamati, hacklab FI, LOA hacklab MI, Underscore TO, altri sparsi) si ritrovano in quel del nuovo Bulk (occupato proprio a Capodanno) insieme a Void. L'argomento è indy e il suo uso potenziale. Il gruppo che si ritrova è eterogeneo: si era giovani e ingenui, ma onesti nella voglia di fare e nel desiderio di creare uno strumento utile per tutti. Ammetto che forse non per tutti era chiaro il passaggio che stavamo compiendo, ma perlomeno una buona parte lo sapeva. Guardandolo in retrospettiva è stata una mossa di entrismo che più trotzkista non si può, ma nessuno dei presenti era trotzkista, né aveva la malizia con cui si fanno più avanti negli anni queste mosse. Per molti era semplicemente uno spreco che uno strumenot così potente fosse usato come puro e semplice brand: c'erano un sacco di cose migliori per cui usarlo!

Così chi era al Bulk quel giorno decise di entrare nella lista di gestione di indymedia e di iniziare a usarla per quello per cui serviva di più: creare un nuovo media dal basso di informazione, un canale potente, libero, aperto. La forza di chi era lì quel giorno, era il sentirsi una comunità, sentire molto denso il rapporto di fiducia con gli altri, a prescindere dalle differenze politiche. Ed è con questa forza che un gruppo di smandruppati si prese indymedia italia e lo trasformò a propria immagine e somiglianza. Difetti inclusi.

Da lì in poi la storia è nota: l'ultimo esperimento misto sgamati/indy per Praga 2000, la preparazione di Genova, la crescita di partecipazione e l'imposizione della logica antiegemonica e libertaria, l'aumento di visibilità del 2001-2002, la crisi nel momento in cui quella comunità che si credeva forte ha iniziato a dubitare di sè stessa, trascinata nei drammi ridicoli della Politica di movimento. Da lì in poi molti la vedono in maniera diversa, ma pochi si ricordano di come è cominciato il "periodo d'oro" di indy, quel momento in cui credevamo di costruire qualcosa di intrinsecamente diverso, mentre eravamo noi ad essere diversi dal resto del politicume.

Una breve parabola

Il retroscena pseudotrotzkista della fondazione di indymedia e del suo overtake mi serve per cercare di chiarire quello di cui ho già parlato nel mio precedente post, ovvero delle modalità della politica. 

All'epoca dell'incontro al Bulk ammetto che probabilmente non tutti la vedevano come la si può facilmente vedere oggi in prospettiva, ma molti di noi non avevano dubbi sul fatto che quello che stessimo facendo fosse un legittimo atto di sostegno a una certa opzione politica: cercare di creare un movimento che fosse quanto più libero possibile dalle egemonie, che fosse capace di liberarsi dei molossi ortodossi e politicisti che ne appestavano i modi di fare, che fosse legato ai territori sia locali che globali, che fosse più giovane e ingenuo, senza per questo risultare superficiale nell'approccio ai problemi. La nostra opzione passava per il controllo di uno strumento che in mano di qualsiasi egemonia avrebbe soffocato ogni possibilità rinnovatrice. E Genova, con tutto quello che vi è avvenuto, con tutti i deliri tra indy e disobbedienti, tra indy e bb, tra indy e chiunque, è lì a rappresentare che indy era l'unico snodo possibile di un movimento eterogeneo e che non abbandonasse mai i paletti fondamentali di un approccio radicale ai problemi politici, di un rifiuto dell'autorità, di un sostegno costante dei principi di solidarietà e uguale dignità delle ipotesi politiche, per lo meno di fronte agli strumenti di comunicazione.

Quello che è mancato da 3 anni a questa parte a indy (non da Torino, così nessuno fraintende) è stata l'opzione politica. Nessuno è stato in grado di rigenerare quell'amalgama di relazioni, immaginario, obiettivi politici che fosse in grado di ricostruire un senso del comune all'interno della molteplice comunità di indymedia. Ed è senza questa opzione che non si può porre fine ad una crisi o trovare una soluzione, perché per definizione una soluzione consegue all'individuazione del problema, e la definizione di problema dal punto di vista con cui guardi una situazione. Non si cambiano gli strumenti a caso, non si buttano li' soluzioni tecniche o politiche che non sono altro che una pezza (a meno che non lo si faccia consapevoli che sono solo una pezza). Si immagina qualcosa, vi si costruisce intorno un obiettivo politico, e POI si definisce lo strumento che serve per quella opzione. Altrimenti si sta giocando. 

A Torino il copione è stato lo stesso, nell'assemblea di indy, ed è questo che ho cercato di evidenziare sia quando ne ho parlato a latere con le persone al meeting, che nel mio post precedente. Fa male ma è così, senza idee non si costruisce nulla se non l'ennesimo luogo inconcludente e privo di interesse. E non c'entra nulla mistificare il senso di fare politica con "i modi vecchi" o "i modi nuovi": fare politica significa creare le condizioni per cui una certa opzione possa esistere e realizzarsi, il resto si chiama oratorio, ma è un capitolo totalmente diverso dell'enciclopedia della vita. Indymedia quando è cominciata era un progetto strumentale a un'opzione politica molto definita, e per questo molti la avversavano, perché ne intuivano la pericolosità. Si può spingere una certa opzione politica anche in modi innovativi, aperti, antiautoritari, eterodossi, ma se si vuole rimanere nell'alveo del fare politica una idea si deve pur averla.

 

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