Come truccare un’elezione americana

27 Ottobre 2006 Commenti chiusi

Se c'è una cosa per cui adoro l'approccio americano ai problemi, è l'attitudine alla disclosure delle peggio cose, ovverosia, tradotto in parole povere, la capacità che hanno di esporre i meccanismi che si celano dietro gli eventi più banali in maniera esaustiva. E' il caso di questo articolo dove si spiega come fare per truccare un'elezione americana, tecnicamente parlando. Ovviamente nell'articolo non si prende minimamente in considerazione la parte politica della questione (e come le forme di manomissione spesso avvengano a quel livello, come nelle ultime due elezioni presidenziali americane) o la parte criminale del tutto (che invece in Italia l'ha sempre fatta da padrone, dai 100 euro a cranio offerte da Forza Italia in Campania alle ultime elezioni, fino alla tradizione siculo-cuffariana di evidente successo). Simm' a mafia, che ce ne facciamo del giochino hi-tech? 🙂

Tra l'altro la soluzione è semplice: fare politica tutti i giorni senza andare a votare. 

 

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USA e Sudan: trova la differenza.

27 Ottobre 2006 Commenti chiusi

Quello che mi colpisce di due simpaticissime notizie odierne è quanto abbiano in comune nonostante riguardino due ambiti della comunicazione anche abbastanza distanti: la prima notizia riguarda il Sudan e si riferisce al divieto imposto dal governo ad ogni attività giornalistica non esplicitamente autorizzata e organizzata dal governo sudanese stesso. La seconda notizia riguarda la prima sentenza nei confronti di un amministratore di un tracker bittorrent negli Stati Uniti. Il gioco è: trova differenze e similitudini tra le due notizie.

Andiamo con ordine: da oggi fare il giornalista in Sudan è passibile di pena di morte. Una misura democratica, evidentemente, che però è solo lievemente distante dalla posizione americana nell'ultima guerra in Iraq in cui i giornalisti non embedded venivano banalmente ma velatamente minacciati di essere lasciati al proprio destino se non di diventare degli obiettivi sensibili (non penso di dover citare il caso Sgrena per allenare la memoria di nessuno). 

La notizia fa il paio con la prima condanna in USA nei confronti del gestore di un tracker bittorrent in america a 5 mesi di prigione e 3000 euro di multa. Bittorrent per chi non lo sapesse è uno dei sistemi più usati di p2p e un tracker è un sito in cui utenti bittorrent si scambiano opinioni e consigli su dove trovare cosa e come ottimizzare le proprie ricerche. E' abbastanza evidente che non ci sia nulla di illegale in tutto ciò se non il fatto che colpire gli amministratori è ormai l'unica arma di "terrorismo" che le major riescono ad agitare, anche considerato il fatto che la maggior parte degli utenti dei loro spot moralisti della serie "la pirateria è un reato, se scarichi un film fai una rapina" se ne fottono ampiamente. Ancora una volta notiamo che in America, come in Sudan, i diritti civili e la libertà di espressione sono un optional spesso dimenticato a favore degli interessi di stato (in guerra) e degli interessi economici (in "pace"). Forse se le major e il governo americano si abituassero ad ascoltare quello che accade intorno a loro nella società  e nelle relazioni quotidiane tra le persone, troverebbero un modo intelligente di fare soldi sul p2p anziché pensare di risolvere tutto con l'uso di tribunali e sentenze.

 

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La bocca della verità

26 Ottobre 2006 Commenti chiusi

Durante l'assemblea degli azionisti juventini, tenutasi oggi pomeriggio, fuori dalle aule di tribunale e dalle roboanti sparate alla stampa, arrivano le affermazioni più oneste che si possano ottenere da un avvocato di una società che ha rischiato di scomparire dalla scena italiana della massima serie per ben più di una stagione. Altro che can can mediatico su mezza intercettazione e sparate di Moggi e del suo amichetto Mughini a controcampo, direi che la cruda durezza delle parole dell'avvocato Cesare Zaccone valgono mille articoli di giornale. 

"Qualcuno forse non ha capito la situazione in cui ci siamo trovati – ha detto -. Abbiamo dovuto leggere in 5 giorni un dossier di 7.500 pagine, con una serie di atti contro due dirigenti (Moggi e Giraudo, ndr) che rappresentavano la società. Invito tutti a leggere queste pagine, soprattutto le persone che santificano Moggi e Giraudo. Vi faccio presente che questi atti parlavano di cose irrispettose per quanto riguarda le regole del calcio e soprattutto parlavano di 4 episodi di illecito sportivo riguardanti 4 gare".

"Quindi la situazione era a dir poco drammatica – continua Zaccone – e, siccome il comportamento dei dirigenti ricade inevitabilmente sulla società, non c'era molto da fare. Noi avevamo addirittura due dirigenti colpevoli e quindi che cosa dovevamo fare secondo voi? O difendevamo i dirigenti oppure prendevamo le distanze da loro per cercare di far sopravvivere la Juve. Noi volevamo una giustizia equa, però, ve lo ripeto – rivolgendosi agli azionisti – i dati di fatto nei nostri confronti erano drammatici. Erano da serie C. Ci siamo permessi di chiedere una B senza penalizzazione perchè con i dati di fatto che avevamo sarebbe andata bene". 

Se dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fior. [il maestro] 

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Quando la privacy è un problema per gli affari

26 Ottobre 2006 Commenti chiusi

E' curioso notare come in America si sia finalmente sollevato un polverone sugli effetti collaterali che la paranoia securitaria della destra statunitense sta aizzando nella società e nella legislazione del paese da ormai un decennio a questa parte (in effeti anche qualcosa di più): ovviamente il problema rispetto alla tutela della privacy e della sfera della riservatezza dei propri dati è emerso solo quando i grandi manager e i businessmen d'oltreoceano hanno scoperto che i servizi di sicurezza americani potevano copiare, sequestrare e trattenere i loro computer portatili senza dover addurre alcuna motivazione; il tutto grazie alle nuove legislazioni antiterrorismo che come noi tutti conosciamo fin troppo bene hanno in una decina di anni di fatto distrutto ogni parvenza di tutela dall'arbitrarietà dell'esercizio del potere (già in sé quasi un ossimoro, ma a volte già la formalità può essere una buona conquista di partenza).

Una situazione analoga a quella italiana, in cui dopo decenni e decenni di intercettazioni ai danni di chiunque, si grida allo scandalo solo quando a essere coinvolti in una palese violazione ingiustificata della sfera privata sono politici e grandi nomi delle industrie: in un consueto doppiopesismo dove le angherie subite da chi ha più soldi e potere sono più rilevanti di quelle subite tutti i giorni da centinaia di persone (doppiopesismo che ha il suo riflesso nella commissione delle pene detentive e pecuniarie, guarda caso!!). E' curioso, ma nessuno ci fa mai caso… Peccato, no?

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Una storia in sei parole

26 Ottobre 2006 2 commenti

 

La rivista Wired ha resuscitato un episodio della bibliografia di Hemingway, che riteneva il suo più grande capolavoro una storia scritta in sei parole: "For sale: baby shoes, never worn." (In vendita: scarpe da bambino, mai usate. ndt).

Wired ha così invitato diversi autori di fantascienza, fantasy e horror moderni ha provare a fare la stessa cosa, pubblicando i risultati migliori: tra i miei preferiti si confermano solo un paio dei miei autori più amati, mentre compare qualche sorpresa. Molti dei miei beniamini in realtà hanno preso la cosa in maniera un po' buffonesca, e forse avrebbe fatto meglio con molta più onestà a rifiutare di fare una cosa che, magari anche giustamente, reputavano una colossale stronzata.

Ecco la mia personale compilation:

His penis snapped off; he’s pregnant! (Gli cadde il cazzo; era incinta!) – Rudy Rucker

With bloody hands, I say good-bye. (Con le mani sporche di sangue, mi allontano) – Frank Miller

It cost too much, staying human. (Costa troppo, restare umani) – Bruce Sterling

I’m dead. I’ve missed you. Kiss … ? (Sono morto. Mi sei mancata. Mi dai un bacio?) – Neil Gaiman

The baby’s blood type? Human, mostly. (Il gruppo sanguigno del bambino? Umano, principalmente) – Orson Scott Card

Kirby had never eaten toes before. (Kirby non aveva mai mangiato un alluce prima di allora) – Kevin Smith

Ecco l'esempio di chi era meglio se evitava: 

Tick tock tick tock tick tick. – Neal Stephenson

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Una partita da capolista

25 Ottobre 2006 Commenti chiusi

Quasi non ci credo di aver passato novanta minuti tranquillo a San Siro, però evidentemente la vita è fatta per smentirmi. Finalmente con un Livorno comunque quarto in classifica a 12 punti tiriamo fuori una partita da capolista, dominando la gara dall'inizio alla fine, eccezion fatta per i consueti 10 minuti di blackout a metà del secondo tempo che ci costano un gol (più che altro è Julio Cesar che ci costa il solito gol dimenticandosi di uscire e prendere un pallone che sapeva acchiappare anche un bambino di tre anni).

Arrivo trafelato allo stadio per colpa del traffico e quando mi siedo hanno appena finito di leggere la panchina dell'Inter ("con il numero 4 Zanetti"). Il polpettone mi fa su e giù nello stomaco per la corsa su per i gradini e la coreografia della curva interista non mi aiuta a digerire: palloncini a formare il tricolore, e striscione raffazzonato in spray su tela bianca di bassa qualità con scritto "per vostra informazione questo è il simbolo della nostra nazione". Reprimo un conato di vomito antipatriottico, e scruto il campo per capire chi cazzo ha messo in campo Mancini. Per una volta non mi viene un coccolone: in difesa Samuel e Materazzi centrali sono una sicurezza, Grosso e Maicon a dare spinta compensano una non grandissima capacità difensiva con un po' di polmoni (era ora!). Meno male, perché ogni palla che arriva in area è un rischio con Julio Cesar, che se tra i pali se la cava con gran classe appena deve fare un passo lontano dalla riga di porta gli viene nostalgia e si deprime peggio di Adriano. A centrocampo schiera Stankovic con il rischio che si faccia ammonire, ma il serbo è troppo in forma per rinunciarvi. Fa coppia con Vieira, non ancora tonico come le prime gare, ma già più vicino al centrocampista fenomenale che conosciamo. Sulle ali un Solari che ha fatto almeno un 50% di gare buone e Figo, che mancini fa giocare alla Alessandro Bianchi sul filo del fuori gioco: non chiedetemi perché, che non me lo spiego. Coppia d'attacco Recoba (capitano per l'occasione) e Cruz.

Recoba dura meno di 30', dimostrando di non riuscire a giocare più di 90' senza infortunarsi o incartarsi. Se non fosse per il piede sinistro che ha (ma oggi il primo assist lo fa di destro incredibilmente) sarebbe già stato mandato in pensione. Cruz ci mette l'anima, anche se ha un vistosissimo calo a metà del primo tempo che mi fa temere per il peggio. Il centrocampo regge e giochiamo forse un po' troppo insistentemente sulle fasce, senza nessuno che aiuti Cruz a tagliare in verticale. La partita comincia in discesa con un autorete incredibile del Palermo che ci spalanca le porte e un raddoppio à la Matrix che mi scalda il cuore con il suo sorrisone. Sul 2 a 0 cresciamo e amministriamo la partita: Cruz sfiora un gol stellare scheggiando l'incrocio, e anche Figo semina il panico a centrocampo con e senza palla, non a caso appena si accentra… ma forse Mancini non ci vede.

Il Livorno entra  in campo nel secondo tempo per recuperare, e la leggerezza dell'Inter (o meglio di Julio Cesar) gli consentono di accorciare le distanze. Reagiamo da capolista riportandoci sul 3 a 1 in un minuto con Ibra che non esulta al gol inspiegabilmente (la sua arroganza arriva a tanto?). In compenso lo stadio esplode inneggiando allo svedese. Dopo cinque minuti a bordo campo si alza il tabellino del quarto uomo che segnala il cambio di Crespo per Cruz: c'è tempo per un calcio d'angolo e el jardinero infila la porta, uscendo in una standing ovation di tutto lo stadio. Negli ultimi dieci minuti avremmo potuto portarci sul 6 o 7 a 1, ma graziamo i livornesi più volte. C'è tempo per una standing ovation anche per Stankovic che lascia spazio all'esordiente minorenne Marooufi, che ben si comporta a centrocampo nello sprazzo di partita che gioca, con tanto di un paio di assist per Crespo che quasi infila la porta.

Ultima nota per l'arbitro Saccani, che evidentemente ha imparato a usare il fischietto in Inghilterra, dove si risparmia il fiato per correre anziché fermare il gioco, e per i suoi collaboratori Toscano e Romagnoli, che dovrebbero andare a scuola dalla Cini, visto che non azzeccano un fuorigioco manco a raccontarglielo per telefono. In ogni caso la gioia per una prestazione cosìè tale da non lasciare spazio a troppe lamentele. Tra quattro giorni ci aspetta la prova del fuoco dei cugini rossoneri: chi non salta rossonero è.

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La polpetta gigante!

25 Ottobre 2006 5 commenti

Ordunque oggi ci cimentiamo con un piatto semplice da preparare, non particolarmente lungo, ma di grande soddisfazione: il polpettone con contorno di puré

Ingredienti:

  • 500g di carne trita scelta
  • 2-4 spicchi d'aglio
  • due rametti di rosmarino
  • olio d'oliva
  • pane vecchio
  • prezzemolo
  • formaggio grana
  • 1-2 uova
  • 1l di latte intero fresco
  • 50-100g di burro
  • 1kg di patate
  • pepe
  • sale

Preparazione del polpettone

Preparate gli ingredienti prima di tutto:  grattuggiate il grana e un po' di pane secco (o mettete a parte il pan grattato), e mettete un po' di pane a mollo nel latte (ci deve stare almeno 10-15 minuti per essere della consistenza giusta). Tagliate a pezzettini il prezzemolo più finemente che potete. Ogni ingrediente ovviamente in una ciotola diversa! 🙂

Preparate nel forno una teglia con l'olio, gli spicchi d'aglio e i rametti di rosmarino. Accedente il forno al massimo della sua potenza.

A questo punto impastate per un buon 5-10 minuti la carne trita, l'uovo (uno di solito basta, ma alcuni ne preferiscono due), il prezzemolo, il formaggio,  un po' di pepe, un po' di sale, e il pane lasciato a mollo nel latte; quando arrivate ad avere una specie di polpetta gigante rotolatela nel pan grattato e deponetela nella teglia.

Fate andare per 5-10 minuti a fuoco alto, fino a che alla formazione di una crosticina croccante. A questo punto abbassate il fuoco e lasciate rosolare per circa 60 minuti. Se notate che il polpettone si sta seccando, aggiungete un mestolino di brodo o di acqua, ma non di più sennò fate un paciugo irreparabile.

PS: se volete le patate arrosto come contorno, non c'è bisogno di dirvi che oltre a olio, aglio e rosmarino nella teglia dovete piazzare delle patate tagliate a fette, che cuoceranno insieme al polpettone. 

Preparazione del puré

Lessate le patate (con o senza buccia dipende dal vostro gusto) in una pentola di acqua bollente. Svuotate la pentola dell'acqua e passate le patate usando un passaverdure oppure una banalissima forchetta (più sbattimento però). Trasferite la pappetta di patata così generata nella pentola e aggiungete il burro e il sale. Mescolate lentamente aggiungendo latte a piacimento fino a raggiungere la consistenza che più vi piace. Il tutto potete farlo a fuoco lento oppure a freddo, riscaldando il puré solo dopo che avete raggiunto la consistenza desiderata.

Tempo di preparazione: 1,5 ore per il polpettone, mezz'oretta per il puré

 

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Fini, il velo, la religione, la destra che si insinua

25 Ottobre 2006 Commenti chiusi

In prima pagina del corsera (che leggo in quanto indicatore del mainstream che più indicatore non si può) oggi la mia attenzione è stata attratta da un riquadrino firmato dal leader di AN Gianfranco Fini. L'articolo è dedicato a una disanima del problema del velo, ma quello che per me risulta interessante (al di là della questione del velo che mi pare uno specchietto per le allodole come confermerà la lettura integrale della lettera) è la capacità del leader di AN di riciclarsi come politico rispettabile e la sua maestria nell'insinuare la prospettiva della destra conservatrice e bigotta (storicamente cammuffatta sotto l'egida del liberalismo) in frasi grondanti buon senso e rassicurazioni prevostali. C'è da dire che la sinistra italiana è da tempo incapace di rispondere sullo stesso piano, orfana di politici capaci e di pensatori degni di questo nome (non me ne vogliano le eccezioni).

Nella lettera (che trovate se cliccate sul tasto "continua" del post), Fini parte da una disanima ragionevolissima sul perché non sia il velo il problema ma l'estermismo islamico e l'assenza di libertà che esso porta con sé, per approdare a una condanna del multiculturalismo come forma  di negazione della società aperta. Leggendo lo scritto del leader postfascista, non si può che provare un brivido scoprendo di seguire perfettamente e ragionevolmente il filo logico del discorso. Fermarsi a pensare costituisce spesso un provilegio non per tutti, e forse il buon giornalismo avrebbe voluto un contraddittorio, ma si sa, è roba di altri tempi (dico il buon giornalismo 🙂

Perché fermandosi a pensare Fini scrive: "accettare che si costituiscano, all'interno di una società pluralista, identità culturali separate e chiuse mina alla radice il pluralismo e minaccia la società aperta"; oppure "Se le minoranze religiose hanno tra noi quelle libertà e quei diritti che costituzionalmente spettano a tutti i cittadini senza eccezioni, non ci si può appellare ai principi della legge islamica per esigere spazi o prerogative giuridiche speciali quali, per esempio, le scuole coraniche"; oppure ancora "Perché la concessione di «diritti collettivi» determinerebbe una sorta di feudalizzazione del nostro diritto positivo, calpesterebbe gli stessi diritti individuali dei membri del gruppo". Nella mia testa risuonano le campane dei campanili, gli oratori, i privilegi della Chiesa Cattolica, le sue scuole per cui il governo di centro destra ha costruito la parificazione non solo dei meriti ma anche dei contributi alle famiglie, veicolando parte dei soldi dello Stato direttamente nelle tasche della CEI e della Compagnia delle Opere, nonché, dulcis in fundo, il dannato crocefisso in aula e le misure punitive che adesso sono state implementate per chi non segue l'ora di religione in classe. 

Lungi da me sposare la tesi del laicismo a tutti i costi di scuola francese che alla fine è un specchio triste della tendenza a eliminare le contraddizioni tipica della gestione pubblica della politica corretta alla Americana (così da tenere tutta la merda in casa, per così dire), certo è che un po' di sano atteggiamento egualitario (diverso da ugualitario, spero tutti comprendano) non guasterebbe. Se Fini è davvero convinto dell'identità liberale italiana, abbia il coraggio di negare alla Chiesa Cattolica le stesse cose che negherebbe a questi supposti "barbari islamici" che tanto lo preoccupano. Oppure provi a negare alla comunità ebraica le proprie scuole. Allora sì che ne guadagneremmo tutti, eliminando spiacevoli doppio pesismi dovuti a valutazioni ben più geopolitiche e moraliste di quanto non si vorrebbe dare a bere a tutti quanti.

 

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Outside.in Inside.out

25 Ottobre 2006 Commenti chiusi

Non passa giorno (o quasi) che non venga inaugurato un nuovo servizio di community, un nuovo strumento che cerca di esplorare un ambito diverso della relazione tra persone, relazioni e tecnologie di comunicazione. Questo da un lato dovrebbe avvisarci di quanto rilevante sia questo aspetto della nostra realtà, non solo da un punto di vista sociale e politico, ma proprio dal punto di vista antropologico. Una delle poche cose insindacabili che scrive John Batelle nel suo libro su Google è che il futuro senso della parola umanità avrà molto a che fare con le sue capacità di interpolare la realtà e le informazioni, con la sua effettiva capacità di cercare, codificare e definire il mondo che ci circonda in relazione a ciò che siamo e che desideriamo. In questo senso la sperimentazione sui modelli relazionali di informazione, ovvero sulle connessioni possibili tra le varie informazioni e su come presentarle nella forma più direttamente assimilabile sta concretamente alterando la percezione di sé degli esseri umani.

Negli ultimi giorni infatti abbiamo assistito al lancio di almeno due o tre progetti rilevanti per quanto riguarda la sperimentazione in questo campo e il desiderio evidente di dominarlo in maniera sempre più subdola e determinante (le avvisaglie di flickr evidentemente non accendono lampadine in testa a nessuno degli Homo sapiens sapiens o quasi): il primo progetto è outside.in, un progetto che punta decisamente sul concetto di proximity search e community lore (ovvero "ricerca di prossimità" e "tradizioni della comunità"). In sostanza outside.in vorrebbe essere uno strumento per localizzare la ricerca di informazioni relative a una comunità e sulla comunità stessa. Il concetto base è che il tipo di informazioni che si stratificano all'interno di una comunità sono ovviamente diverse dal tipo di informazioni che trovate sul giornale, e costituiscono una parte rilevante di come conoscere il luogo (fisico o virtuale) dove si vive e si lavora. L'idea del creatore, Steven Johnson, è quella di poter combinare mappe ad alta qualità con la produzione di informazione locale e di dibattito locale, una sorta di versione evoluta del bar e del panettiere sottocasa dove sapere tutto quello che c'è da sapere del tuo quartiere. Ora, diciamo che la cosa è uno strumento molto potente (in potenza, scusate il gioco di parole), ma è altrettanto preoccupante l'assenza di riflessione sull'impatto che ha l'esposizione della "lore" comunitaria a chi non ha alcuna relazione con essa. La relazione con il mio panettiere di fiducia è davvero sostituibile da uno strumento di questo tipo? In cosa cambia il mio rapporto con la conoscenza del luogo in cui vivo nel momento in cui è mediato non più da  persone ma da un software? E la solita domanda, chi controlla che non vi siano interferenze nella costruzione di una comunità di questo tipo? Interferenze con una certa direzionalità? Il rischio concreto è quello ancora una volta di sostituire i meccanismi di verifica e di iterazione delle informazioni interni a una comunità dotata di livelli di fiducia variabili e multidirezionali, con un meccanismo totalmente unidirezionale inverificabile di processing delle informazioni della comunità. E' un assillo che non mi abbandona, e che purtroppo non è particolarmente scalabile, perché chi può garantirmi rispetto a un soggetto terzo che fa partire questo strumento? Forse se ogni comunità potesse dotarsi di uno strumento autogestito si potrebbe accordargli maggior fiducia? Forse sì, ma ciò non toglie che l'effetto di mutazione antropologica non ne verrebbe ridotto, anche se mi metterebbe più tranquillo sapere che siamo noi (tutti, collettivamente) a dirigere il flusso di questo cambiamento.

Sempre più lanciato nell'inventarsi strumenti per dinamizzare il processo di creazione di una propria ontologia (camuffandola da personal ontology 🙂 è invece il colosso di Mountain View Google,inc. che ovviamente rappresenta la punta di diamante di un processo ennesimo (dopo il web) di questa mutazione antropologica. Proprio ieri infatti il motore di ricerca più famoso del mondo ha lanciato il suo nuovo prodotto: Google CSE, un meccanismo per creare in proprio un piccolo google a misura delle proprie esigenze. Mi pare che non sia molto difficile immaginare perché questo sia un passaggio abbastanza pesante nella direzione della personal ontology targata Page & Brin: ognuno potrà essere parte del grande sogno, personalizzato, autosettato a piacere, sotteso tutto da uno stesso grande meccanismo di indicizzazione della realtà. Un sogno magnifico e pieno di diversità, una rifondazione della variabilità antropologica targata INC (sta per Incorporated, per chi non lo sapesse). A me un po' di agitazione la mette.

Non per questo ovviamente ritengo si debba aver un atteggiamento retrogrado di sottrazione, però bisogna essere coscienti che chi gioca con il fuoco può fare grandi cose oppure rimanerci secco. Google punta evidentemente a rendersi lo strumento principe di interfaccia tra la percezione del singolo di sé stesso e il mondo, un obiettivo per nulla ambizioso <g> che dovrebbe metterci un po' sul chi vive: qualcuno dice che prima di Google, ci aveva provato Microsoft, e io direi per dare un esempio ancor più chiaro che ci provano Cristianesimo, Islam e Ebraismo (certo al momento con strumenti meno validi di google e un po' anacronistici, ma l'umanità è più facile prenderla con il passato che con il futuro, sinora….)

Nella stessa direzione va la sperimentazione di un nuovo servizio di ricerca che dovrebbe evolvere l'attuale search engine, searchmash, che però è ancora lungi dal sembrare questa ira d'iddio. Certo la relazione tra Google e Mac per creare un meccanismo intuitivo di interazione con il mondo della ricerca di informazioni garantirà credo maggiori soddisfazioni che non questo primo molto marginale esperimento (nonostante l'entusiasmo di punto informatico 🙂

Il futuro è adesso? Non credo, ma sicuramente si stanno ponendo le basi per un cambiamento molto denso nella stessa percezione della parola umanità e nella relazione di tutti noi con quello che ci circonda. Fortunatamente esiste il digital divide, ma penso che peggiorerà la situazione più che migliorarla regalandoci una distopia disegnata da un elite in grado di definire la realtà intorno a sé e una frazione ampissima del genere umano relegato nella crudeltà più feroce. Bello no? Non vi ricorda HGW?

 

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La scoperta dell’acqua calda negli States

25 Ottobre 2006 Commenti chiusi

Una breve per raccontare una cosa che mi stupisce sempre: ora voi ovviamente immaginerete che io sia intriso di un forte senso di antiamericanismo, e questo è vero se per americanismo intendete tutto quello che l'America rappresenta per il mondo, ma è falso se intendente in senso assoluto, visto che ho un sacco di amici americani e di cose che mi affascinano dell'America, solo che non emergono normalmente nella cultura generale…. 🙂

Indipendentemente da questo però, uno dopo tutti questi anni ancora si stupisce di scoprire che probabilmente Bush tiene circa 35.000 persone chiuse in una prigione segreta da qualche parte? La cosa stupefacente è che al di là dell'oceano qualcuno possa ancora pensare qualcosa di buono rispetto all'approccio di GWBJr con la libertà. Veramente, un po' più di realismo non guasterebbe! 

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