C’era una volta un allenatore portoghese dal taglio di capelli proteiforme al comando di una squadra di creature, mostri, eroi ed antieroi come non si conosceva da tempo. Durante una lunga estate calda, al volgere di un decennio, questo lusitano accompagnò i propri protetti in gita in riva al Fiume Giallo, con la speranza di tornare in patria con l’ennesimo tesoro, sfumato davanti agli occhi di tutti proprio quando sembrava cosa fatta. Al ritorno dal Regno di Mezzo, Mourlino stava scrutando l’orizzonte senza posa, come sua imperitura abitudine, ed ecco apparirgli come in un sogno una coniglietta chinaa (sing. masc. chinao, pl. chinai/chinae) madida di sudore e con il lascivo sguardo di chi ha bisogno di essere aiutata. Seguito dai propri fedelissimi il nostro protagonista si incamminò in una galleria scavata nella terra soffice al di sotto della Capitale, per chilometri e chilometri, sotto la Città Proibita, sotto le Grandi Montagne, attraverso la Grande Madre Agarthi, fino a sbucare senza aver neanche sfiorato un pelo della coniglietta (dannazione!), bello bello come il sole dell’Algarve, spazzolandosi un granello di polvere dalla spallina della giacca, sui prati di una Pinetina che non era proprio la Pinetina che conosciamo, in una Appiano Gentile che non era proprio identica all’Appiano Gentile a cui siamo abituati. Qualcosa era cambiato. Sapeva di non essere proprio sulla stessa Terra che aveva conosciuto e che stava per cominciare un’avventura che si sarebbe raccontata per molti anni a venire. O forse no. L’intento del vostro umile autore è quello di raccontare le vicende di Mourlino, il Principe dei Mostri Nerazzurri, nella Terra dei Cachi (nell’apocrifo predatato di Lewis Carroll si chiama Paese delle Meraviglie, ma il ragazzo era un inguaribile ottimista, nda) ed in particolare nel Campionato più sparagnino del mondo, la Serie di Oz.
Il primo impegno è quello con gli Scrondi del Tavoliere, una compagine di nani da giardino vestiti di rossobianco la cui principale caratteristica è quella di non avere qualità alcuna. Il Mago Mourlino è sempre stato famoso per la sua generosità e complice il caldo decide di non aver bisogno del primo tempo: i suoi ragazzi e gli scrondi si siedono a tavola con il Cappellaio Matto e cominciano a sorseggiare delle spume al grido di "Un buon non campionato, a te? A me! Un buon non campionato, a me? A te!". L’unico che si aggira con sguardo interrogativo è Barbalbero con il numero 14 sulla schiena: infatti in un paio di occasioni passa la palla agli avversari ignaro della pastetta che si stava consumando. La curva nerazzurra scandisce un solo grido per 45 minuti: "Po-la-se! Po-la-se!", ma il resto dello stadio non sa chi cazzo sia questo Polase e quindi rimane muta. Non si capisce se per questo o per la geniale novità dei tifosi ospiti al terzo anello che mi gridano nelle orecchie io non sento un cazzo e sono irritato come quando trovi una merda sul materasso prima di andare a dormire dalle grida dei sostenitori scrondici. Mourlino sembra stancarsi della pastetta, riconosce di non aver capito un cazzo e soppianta Calimero Muntari in crisi di zuccheri per il Ramadan con Supermario SOS, passando a un più interessante 4-3-3 e riscattando la prestazione dell’Ent.
Il Cappellaio Matto capisce perfettamente il grido sommesso dello stadio e nell’intervallo versa abbondanti dosi del medicinale nelle spume dei giocatori di entrambe le squadre, ignaro però dell’effetto che la sostanza ha su Mourlino, pari pari a quella dell’LSD. Infatti rientriamo in campo senza Barbalbero e con La Trivella Semipodale in un 4-2-4 che per 45 minuti non si vedeva dai tempi di Fossati nei primi del Novecento dove la tattica non si sapeva neanche dove stesse di casa. Il risultato è ottimale: 6 giocatori nella nostra metà campo e 4 in quella degli Scrondi che appena prendono la palla si lanciano come gazzelle nane nella prateria della nostra assenza. Nonostante tutto questo Il Principe si procura un sacrosanto rigore che Il Leone trasforma senza esitazioni, come invece non fa dieci-quindici minuti dopo. Dal settantesimo in poi le praterie si trasformano in interi continenti e prima o poi la frittata è destinata ad accadere con un liscio clamoroso dell’Orco Lucio e una diagonale fatta come la farei io giocando a baseball di Speedy Ritardo Cordoba. Pareggio. Rabbia. Aumentata dal fatto che la Trivella Semipodale e Supermario cominciano a fare giochetti inutili perdendo quintali di palloni, mentre il Drago Stankovic e la Statua di Sale si affannano alla ricerca del Polase che ormai è scomparso dalle loro vene. Nel finale rischiamo di prendere anche un secondo fico offerto gentilmente dai contadini del Tavoliere: finisce 1-1 e cara grazia.
Scatta il mantra: nonfacciamodramminonfacciamodramminonfacciamodramminonfacciamodramminonfacciamodrammi… ma cazzo di budda, fanculo al mantra, erano solo Scrondi, cazzo. Dovevamo solo rifilargliene quattro e basta. Se non vinci con questi nani da giardino hai perso, e basta, come dice il nostro saggio Maestro di Spada. Ci mancano più di un uomo in mezzo al campo. Da quattro anni. E gli unici a non accorgersene sono i mentori di Mourlino. Dopo questa grande partita d’esordio, guardo con molta fiducia al prossimo match della serie di Oz con la Nazionale della Terra dei Cachi. Che sia Crisi Inter non mi stupisco più, ma inizio già a rompermi le palle. Il vostro narratore colmo di pazienza.